Politica

Marchionne, il nuovo duce italiano. La sua dottrina forse salverà la Fiat, ma non certo l’Italia (e tantomeno la Sardegna)

Morto un capo se ne fa un altro. Se la stella di Berlusconi non brilla più come prima, la classe dirigente nazionale fa in fretta a trovarsi un nuovo duce (nel senso etimologico del termine). E il nuovo capo è Sergio Marchionne.

E’ tutto un fiorire di “Marchionne sì, Marchionne no”, “E’ lui che salverà l’Italia”, “No è lui che l’affonderà”. Come se l’Italia e la Fiat fossero la stessa cosa. Come se l’Italia potesse essere governata alla stregua di una multinazionale. Come se tutte le imprese italiane fossero come la Fiat. E qui sta il guaio.

L’economia nazionale si regge infatti sulla piccola e media impresa. Una miriade di aziende con pochissimi dipendenti, dove anzi “il padrone” ha spesso un passato da operaio. Aziende dove non è raro che titolari e dipendenti condividano gli stessi sforzi e gli stessi disagi quotidiani. Cosa c’entra tutto questo con la Fiat? Nulla.

Eppure adesso la “dottrina Marchionne” sembra poter essere applicata a tutti e dappertutto. E il messaggio che arriva all’opinione pubblica è molto semplice: “I contratti collettivi nazionali non esistono più, anzi le regole non esistono più, esistono solo le deroghe. Ne va del futuro dell’Italia, perdio!”.

Forse Marchionne con la sua dottrina salverà la Fiat, ma solo e soltanto la Fiat. Perché se le sue regole venissero applicate a tutte le nostre imprese, il sistema italiano collasserebbe in pochi mesi.

Questo lo sanno anche gli imprenditori, è ovvio. Che però di Marchionne iniziano ad amare la logica “win win”: un modo moderno per dire “o mangi questa minestra o salti la finestra”. Dice l’ad di Fiat: “A Mirafiori e a Pomigliano, in nome del mercato, si deroga alle regole. Se vinco il referendum, ho vinto. Se lo perdo, non investo più e porto la produzione fuori dall’Italia”. La metafora sarà pure abusata, ma quante volte da bambini abbiamo giocato con qualcuno che, quando perdeva, si prendeva il pallone, se ne andava e la partita finiva lì?

Ora vedremo tanti piccoli Marchionne porre le loro condizioni capestro ai lavoratori. Dimenticando che i lavoratori italiani ormai, pur di portare a casa lo stipendio, accettano di tutto: di lavorare in nero, di non avere i contributi pagati, di lavorare in condizioni difficili. Mentre, è bene ricordarlo, appena lo zero virgola degli italiani (i colleghi di Marchionne) dichiara al fisco più di centomila euro all’anno.

Il sistema economico nazionale si regge perché i lavoratori accettano di non rispettare le regole del lavoro. Se tutti i lavoratori dicessero no al precariato selvaggio, allo sfruttamento, se tutti i lavoratori (tutti assieme) smettessero di lavorare nel caso in cui nella loro azienda ci fosse anche una sola piccola violazione, l’Italia crollerebbe in un fine settimana.

La protesta dei ricercatori all’Università lo dimostra: per mandare in tilt questo paese basta mettersi in testa di rispettare le regole e di farle rispettare. Marchionne lo ha capito, e infatti alla Fiat vuole imporre la regola che non esistono regole se non quelle che convengono all’azienda.

Con il suo metodo Marchionne forse salverà la Fiat, ma solo la Fiat e non è neanche detto che lo faccia. Ciò che inquieta è appunto questa assurda analogia tra la Fiat e l’economia italiana, tra la Fiat e il nostro stesso paese.

Ad esempio, il sistema Marchionne applicato in Sardegna che benefici porterebbe? Evidentemente nessuno.

Cosa resterebbe allora? Una nuova filosofia delle relazioni industriali. Da questo passaggio il sindacato rischia di essere marginalizzato. La rappresentanza stessa dei lavoratori è messa in discussione. Drammaticamente.

In definitiva, anche Marchionne (come ogni duce che si rispetta) sta cambiando la Costituzione sostanziale del nostro paese. Che resta sempre una “Repubblica fondata sul lavoro”, cioè sull’equilibrio tra chi il lavoro lo dà e chi il lavoro lo riceve. Invece Marchionne vorrebbe una Repubblica “fondata sull’impresa”. E quello che ne consegue iniziamo tragicamente a percepirlo.

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12 Comments

  1. Andrea says:

    L’accordo di Pomigliano e di Mirafiori è in linea con quanto avviene nei principali paesi europei ed è di gran lunga migliore di quello proposto ed accettato con entusiasmo dagli operai della Chrysler. Gli stabilimenti Fiat in Italia (e solo in Italia!) sono in perdita da anni. Se non fosse per la tanto vituperata delocalizzazione i 20000 operai Fiat italiani (e gli altri 50000 dell’indotto) sarebbero tutti disoccupati da un pezzo. E’ grazie al duro lavoro di operai Fiat non italiani, come i polacchi ed i brasiliani, se gli operai Fiat italiani hanno ancora un lavoro. Quanto pensate possa durare ancora questa situazione?
    Che cosa hanno in più gli operai italiani rispetto agli operai francesi, inglesi, brasiliani o polacchi per potersi permettere di lavorare meno di loro? Di certo vi posso dire che cosa hanno in meno rispetto agli operai tedeschi: affidabilità e serietà. In Volskswagen non fanno uno sciopero da 25 anni ed hanno tassi di “malattia” enormemente più bassi dei nostri. Ecco perchè possono permettersi di lavorare meno e guadagnare di più. I destini collettivi di un’azienda, come quelli di un paese, dipendono dalla somma dei comportamenti individuali, sia nel bene che nel male. E’ ora di farsi TUTTI un serio esame di coscienza. Se le cose vanno male possiamo prendercela con Marchionne, col potente di turno, col politico, ma in realtà il vero responsabile lo incontriamo davanti allo specchio tutte le mattine.

  2. Scusate, qualcuno mi sa dire perche’ e’ comunque dal 2008 che e’ in piedi il piano di chiusura di mirafiori e che tutti sanno (giornalisti e sindacati compresi) ma nessuno parla (viva la censura in italia) e che tutto cio che stasuccedendo fa parte solamente di una strategia paravento?

  3. salve non avete mai pensato se un bel giorno il caro Marchionne decidesse di andare a produrre le macchine che a prodotto fino adesso in un qualsiasi paese del mondo e i dipendenti fiat rimanessero senza lavoro.

    credete, a mè e a 30 miei colleghi è capitato nel 2004,con figli e mutuo da pagare fortunatamente i miei genitori mi anno aiutato e vi giuro non è stato bello dipendere da loro
    io credo che ci voglia un pò di buonsenso (ma tanto )
    anche da parte di noi operai tanti auguri di un nuovo anno e che faccia riflettere non solo fiat ma tutto il mondo del lavorociao a tutti da roby

  4. Neo Anderthal says:

    E se magari, anziché ridurre diritti e peggiorare le condizioni dei lavoratori la Fiat iniziasse a produrre qualche macchina un pochino migliore, più affidabile e meglio allestita?
    Possibile che per tutti debbano pagare gli operai delle catene di montaggio?

  5. cernio says:

    Fiat è solo un caso.
    Fiat ora è in crisi perché i lavoratori Italiani costano troppo rispetto agli altri paesi. Costano troppo perché hanno lottato per acquisire diritti importanti.
    Lasciamo da parte l’ipocrisia con la quale ci vestiamo da paladini dei diritti civili per la nostra nazione, ma la gran parte di ciò che consumiamo è prodotta in paesi dove, di diritto, non esiste manco la vita.
    Fiat non può fallire, non può chiudere, gli Italiani (i vari governi) ci hanno messo troppi soldi, i sindacati (per mero gioco di potere, usano i dipendenti come merce di scambio) la tengono per le palle.
    Eppure è un’impresa che non funziona più e non ha più senso di esistere, a queste condizioni.

    Marchionne vede una sola strada possibile, quella “dura”.
    Io mi chiedo, ingenuamente: perché non ricontrattare i trattamenti economici con azioni? Perché non introdurre, -sul serio però!- dei meccanismi di premialità/penalità per i quadri/dirigenti?
    Quanti dirigenti sono stati licenziati o hanno avuto una riduzione del compenso, nel 2010, per non aver raggiunto gli obiettivi?

    Quanti dipendenti sarebbero disposti a prendere un fisso pari al 70% dello stipendio e un 30% in base alle prestazioni?

  6. Alessandro Mongili says:

    In effetti nel pd sono tutti attizzatissimi

  7. Occorre proprio una bella dose di fortuna per salvare il belpaese… Il nr. contributo politico:

    http://notitiae.wordpress.com/2011/01/04/viva-l%E2%80%99italia-dall%E2%80%99alleanza-con-l%E2%80%99udc-al-piano-marchionne/

    NotitiAE un saluto!

  8. Lorenzo says:

    E’ vero che non si può vivere di deroghe, ma non si può vivere neppure di regole cristallizzate e immodificabili. Se il principale sindacato italiano si fosse dimostrato davvero riformista negli anni passati, oggi le forzature di Marchionne non sarebbero neppure necessarie. La dottrina Marchionne è la risposta – certamente imperfetta e in quanto tale discutibile – all’immobilismo politico, economico e sindacale del nostro Paese. E’ chiaramente una forzatura, ispirata dalla filosofia di fondo della globalizzazione. Ma è una forzatura imposta dall’incapacità della politica, di Confindustria e dei sindacati di trovare un equilibrio accettabile tra le regole del mercato e i diritti dei lavoratori. E questo vale per la grande industria, per le piccole e medie imprese, per il pubblico impiego, per tutti. Tanto in Italia la situazione è sempre grave ma mai seria.

  9. BlekMacigno says:

    L’andamento in borsa dei titoli Fiat la dice lunga: a Marchionne poco interessa del risultato industriale. Conta solo che gli azionisti (in maggior parte banche e fondi di investimento) abbiano un ritorno in modo che possano continuare a foraggiare l’azienda con flussi crescenti di denaro.
    Tutte le aziende altro non sono, ormai, che immense società finanziare.
    Con tutto ciò che ne deriva e consegue.

  10. La storia ….poi racconta come finiscono la maggior parte dei dittatori quando il popolo si ribella!!

  11. Claudio M. says:

    Sono cresciuto con un padre che mi elogiava l’industria made in Italy e del quanto fosse importante acquistare italiano e quindi anche per l’auto fiat (fabbrica italiana automobili torino), ma dopo diverse fregature “made in fiat” …con rispetto per il caro babbo, ho dovuto spendere i miei soldini facendo un’equazione semplice qualità/prezzo ripiegando altrove… L’azione Marchionne sicuramente è stata più efficace dei suoi predecessori, in particolare Fresco, ma non certo applicabile in altri ambiti…in Sardegna poi è tutto dire !!!

  12. Buonasera a tutti,
    mi chiedo sul lungo periodo per chi la FIAT produrrà autovetture? Il mercato dell’export non mi sembra pensabile anche perchè se il modello al ribasso passa, magari anche le case automobilistiche estere si adegueranno, magari ognuna sperando di poter esportare la sovraproduzione di autovetture verso non si chi visto che in nessun luogo i salari non saranno sufficienti a pagare le spese. I cinesi in genere non comprano macchine FIAT e forse neanche parte di tutto quello che viene prodotto per il mercato occidentale. Magari si cercherà di stimolare una nuova bolla di debito, non so quanti cittadini o stati potranno permetterselo, anche perchè le banche, salvate più volte, per farlo mi sembra abbiano bisogno di sistemi nazionali solidi (o pseudo tali) alle spalle.
    In un sistema senza regole magari anche il lavoratore prova a deregolarsi nella speranza di riuscire a sopravvivere sulle spalle di chi il sistema lo sostiene.
    Magari accettando soldi fuori busta (in nero) per rientrare nell’aliquota più bassa e pagare meno tasse per qualche anno; magari accettando di lavorare in nero non pagando tasse; magari accettando salari così bassi che non ci sono tasse da pagare; magari accettando il fatto che adesso per me non cambia niente e continuerà così; magari…
    Senza le tasse magari spariscono progressivamente i servizi e spariscono principalmente per tutti quelli che sono più vicini alla base cioè il 98 % degli italiani che ha un reddito al di sotto di centomila euro, ma anche per molti di quelli che il reddito lo hanno più alto, che scopriranno che in un mondo non solidale avere una prestazione medica può costare decisamente molto, così come la sicurezza privata, etc.
    Non capisco quale sia l’obiettivo di lungo periodo di queste politiche, anche perchè non trovo nessuno che ne parli in maniera da analizzare in maniera esaustiva quali siano le implicazioni e gli impatti. Mi sembra che si stia in un’atmosfera perenne da “io speriamo che me la cavo”, per tornare a quanto si diceva tempo fa sulle primarie, sembra di essere in una situazione in cui i problemi non si affrontano per risolverli ma per rinviarli ad un futuro in cui la loro gestione e responsabilità sarà a carico di qualcun altro.

    Buonanotte, f

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