Mario Argiolas è editore (Cuec) e membro del direttivo regionale dell’Associazione Editori Sardi. Una sintesi di questo suo intervento è stato pubblicato oggi dall’Unione Sarda. Quella che vi propongo è dunque la versione integrale.
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Il convegno che si è tenuto all’ultima Mostra del libro di Macomer è stato teatro di uno stimolante dibattito che ha restituito una ricchezza di approfondimenti e spunti difficile da sintetizzare in poche righe. Basti dire che tutti i relatori hanno mostrato la consapevolezza di un passaggio cruciale che prelude ad una svolta, ad un cambio di rotta.
Dal dibattito, introdotto da Simonetta Castia (presidente AES) e Onorato Succu (sindaco di Macomer), a cui hanno partecipato i librai Rita Marras e Tiziana Marranci, gli editori Mario Argiolas e Carlo Delfino, la sociologa Antonietta Mazzette, l’assessore comunale alle Culture di Sassari Dolores Lai, la direttrice della Mediateca del Mediterraneo Dolores Melis e il giornalista Vito Biolchini, è emersa l’esigenza di ripensare se stessi, il proprio ruolo di fronte ad una crisi e ad una trasformazione del paesaggio culturale e del mercato del libro quale non si era mai vista.
I dati forniti da AIE e AES sono drammatici: calo delle vendite di libri del 14% in due anni, le librerie indipendenti che chiudono o si trasformano in librerie di catena, gli editori che riducono drasticamente le tirature e la produzione o addirittura chiudono, il 56% degli italiani che ha rinunciato ai libri, al cinema e al teatro, con appena il 46% della popolazione che legge almeno un libro in un anno.
Se a questi dati si aggiunge la crescita dell’editoria digitale a danno del cartaceo e la crescita della vendita dei libri on line (oggi rappresenta l’11% del totale) a danno delle vendite in libreria (oggi al 73%, nel 2008 al 79%) possiamo comprendere la drammaticità del momento. Peraltro la grande distribuzione oggi rappresenta il 16% del mercato dei libri grazie alle politiche dissennate dei grandi gruppi editoriali che controllano la distribuzione.
Dopo dieci anni di nascita, crescita e sviluppo del modello di festival letterario (sono 1200 in Italia, più di 30 in Sardegna) che si è imposto come modello prevalente e vincente, e in cui si sono riposte molte speranze, si è iniziato a capire, anche in presenza di scarsità di risorse pubbliche e tagli alla cultura, che dal basso sale una domanda diversa, plurale. I festival, cha sicuramente hanno ancora un futuro, vanno sostenuti, magari con scelte più oculate e con un ruolo diverso, perché non hanno potuto e non possono, per le loro caratteristiche, assicurare significative ricadute sul piano della diffusione della lettura.
Tutti relatori si sono misurati con queste problematiche e hanno fornito, dal loro specifico punto di osservazione, spunti di riflessione e interessanti proposte per il futuro: il riconoscimento della funzione socio-culturale delle biblioteche e il loro ruolo insostituibile nel territorio (Dolores Melis); la necessità di ripensare le priorità dell’intervento pubblico e di misurare i risultati dei progetti culturali (eventistica) non solo in termini di ricaduta economica e turistica ma sopratutto in termini di ricaduta culturale a vantaggio di iniziative capillari diffuse nel territorio e nel contesto urbano (Dolores Lai); l’esigenza di rimettere al centro dell’attenzione e della progettazione culturale il libro, insostituibile strumento di riflessione, da cui trarre alimento, per crescere e partecipare ad esperienze altrui, e veicolo di contenuti culturali da utilizzare per riqualificare il sistema urbano anche attraverso l’apertura di sale di lettura nel vicinato (Antonietta Mazzette).
Spunti e proposte sono venute anche dagli operatori della filiera: l’editore Carlo Delfino (per l’AES) ha proposto di promuovere il libro nei piccoli centri attraverso un lavoro comune di editori e librai in collaborazione con l’intellettualità locale; i librai, a Sassari, stanno già costituendo una rete d’impresa per condividere servizi e progetti (Tiziana Marranci); la libraia Rita Marras ha proposto di creare una rete di librerie specializzate in editoria sarda e saperi locali – in sinergia con gli editori – e a questo proposito ha annunciato la recentissima firma di un protocollo d’intesa con Simonetta Castia.
Spunti e proposte che fanno ben sperare per il futuro e che annunciano appunto una svolta a favore di un lavoro culturale permanente nel territorio; capace dare risposte alla domanda, che sale dal basso, di informazione e conoscenza, di crescita individuale e collettiva, di cittadinanza attiva. Emerge la volontà di lavorare unitariamente (amministrazioni pubbliche, scuole, biblioteche, librerie indipendenti, case editrici, associazioni culturali) con l’obiettivo di ampliare la base dei lettori e contrastare l’analfabetismo di ritorno.
Abitiamo in Sardegna e ci confrontiamo con il mondo e abbiamo la responsabilità, in primis gli editori, di impegnarci a recuperare un percorso di senso nell’analisi e rievocazione della nostra identità, rifiutando l’immagine stereotipata dell’Isola, che sempre più viene fatta circolare dai network, a vantaggio della complessità e dell’autenticità del locale e di una “sardità mai perduta” (Simonetta Castia).
Un cambio di rotta quindi, già in atto, ma che ha bisogno, per raggiungere gli obbiettivi emersi dal convegno, di una classe dirigente capace di abbandonare la “teoria delle eccellenze” a vantaggio di una politica culturale che faccia perno sul sostegno alle infrastrutture culturali permanenti e sull’elaborazione di un sistema trasparente e condiviso di regole e strumenti capace di premiare i progetti più meritevoli in ogni campo dell’arte e della cultura; che ha bisogno dell’assunzione di responsabilità da parte di scrittori, artisti e operatori culturali che sappiano andare oltre l’autoreferenzialità e una visione della cultura come puro intrattenimento e gioia di stare insieme a vantaggio di un concetto di cultura inteso come trasformazione di sé, fatica, interrogazione.
Dovremo imparare ad essere tutti soggetti attivi, attori sociali, rispettosi dei lettori e dei non lettori, impegnati in un percorso comune che ci veda protagonisti e produttori di cultura, a tutti i livelli e non più e non solo spettatori per lo più passivi, consumatori di produzioni editoriali e culturali elaborate altrove. Un percorso che rimetta al centro il libro, il suo ruolo sociale, recuperi la dimensione relazionale, affermi la bibliodiversità, rilanci il concetto di rete e mutualità, immagini un altro tipo di modello sociale.
Mario Argiolas
editore, del direttivo regionale AES
I dati che riporta Mario Argiolas sono drammatici ed evidenziano, purtroppo, un’incapacità radicata di affrontare i cambiamenti in atto nel mercato del libro, dell’editoria e della proposta culturale.nel suo insieme. Si potrà uscire da questa stagnazione solo col coraggio di affrontare queste tematiche in modo innovativo e senza chiusure conservatrici…
@marco ”Quale spirito della sardegna trova espressione nel sardo?” Non saprei dirlo, ma sò bene quale parte di me trova espressione in sardo, circa la metà o forse più. Ho un nome italiano e un cognome sardo, le due lingue sono dentro di me e io non posso e non voglio rinunciare a niente di quello che di me trova espressione nell’una o nell’altra.
Quando ho caldo seu imbaschiu, quando ho freddo seu atzutzuddiu, se ho fame seu famiu, a bortas seu tristu e annugiau, se son felice seu prexau, a bortas seu alligru e quando sono stanco seu fadiau, circu sèmpiri de non mi arrannegai e de non mi fai ocasionai.
Tui naras ca su sardu est morendisí, est berus e tenis arraxoni comenti est berus chi nosu a totu seus morendi, no est oi, non cras, una dii, ma fintzas a cussa dii su sardu est biu comenti ddu seus nosu, ti parit?
Si parla di libri in questo post, a me leggere in italiano piace e appassiona, ma una parte di me tenit abbisòngiu de ligi in sardu, circat cosas chi in italianu non agatat, as mai provau a ligi Lobina o Falconi o Alcioni o Lecca o Franziscu Masala?
Dici che abbiamo autori sardi di grande sucesso che scrivono in italiano, questo è bellissimo e mi riempie di gioia, ma non risolve la crisi dell’editoria in sardegna.
Se si parla di crisi dell’editoria in sardegna perchè suona cosi male il suggerimento di investire di più in un mercato, quello dei libri in lingua sarda, per il quale ci sono (previa alfabetizzazione) potenziali lettori?
Il sogno de “Supresidenti” dell’Ass. Don Chisciotte (mi piacerebbe, però, che in questo tipo di blog ciascun scrivente palesasse la propria identità!) è anche il mio, dato che vivo in quella vasta ed eterogenea realtà urbana che è Villanova-La Vega, ma per me il “fare una bella biblioteca nel quartiere” non può che essere “pretendere” che questa Amministrazione, che ho votato, si assuma la responsabilità di riqualificare il sistema “culturale” urbano dotando i quartieri di infrastrutture primarie come le biblioteche. Non ci possono essere scorciatoie privatistiche in questo campo, neanche quelle fatte da associazioni con le migliori intenzioni, che possono sì interagire con le le politiche culturali delle istituzioni locali ma neanche la loro ricca sommatoria potrà mai sostituirne il ruolo; quello delle biblioteche pubbliche è (dovrebbe essere, se si guarda alle esperienze più avanzate di cui in Italia si sono storicamente fatte portatrici le amministrazioni di sinistra o agli storici modelli europei) un ruolo socio-culturale insostituibile per recepire domande individuali e collettive, espresse ed inespresse, di informazione e conoscenza (“il cotto e il crudo”) che passa attraverso il libro, di formazione continua della popolazione adulta (l’analfabetismo di ritorno è lì che avanza sopratutto in realtà socio-economiche disastrate come la nostra), di quella interazione con realtà (individuali e collettive) di alfabetizzazione minima, il mettersi sulla loro lunghezza d’onda per costruire percorsi di crescita. Dove esistono biblioteche di quartiere che svolgono effettivamente la loro “mission” è dimostrato che si riesce anche a recuperare gran parte della popolazione a un ruolo attivo nella vita sociale, civile, democratica e anche economica.
Con il trasferimento della Biblioteca Provinciale (che peraltro non poteva avere una “mission” riferibile a un territorio e un’utenza dati) quest’area vastissima e complessa quanto a composizione socio-culturale, resta totalmente priva di riferimenti percorribili stante che è scomparso anche quel minimo di attenzione “locale” che la Circoscrizione veicolava; un’ipotesi per rendere percorribile la richiesta di una Biblioteca di Quartiere potrebbe essere quella di ipotizzare, come percorso realistico, che attorno alla rinata Scuola “Riva” nasca un Polo Culturale Territoriale, in cui si giochino sia le politiche culturali istituzionali sia i contributi fattivi delle tante associazioni culturali presenti sul territorio. E magari si potrebbe partire dall’apertura di un positivo conflitto con l’amministrazione comunale veicolato da una raccolta di firme che lo rivendichi.
Volete vedere come si fa politica culturale seria e legata alla vita di un quartiere e di una citta? http://www.looponline.info/index.php/2013-01-27-16-27-57/europa/cultura/spazi-industriali-recuperati/827-la-friche-belle-de-mai-marsiglia-www-lafriche-org.html
Bella davvero la Scuola Riva come Polo Culturale del territorio 🙂
Hai perfettamente centrato il punto, l’editoria sarda è quasi interamente in italiano anche perchè come ho scritto e tu fai giustamente notare mancano, nei sardi, le competenze di lettura e scrittura del sardo.
Come giustamente osservi gli autori sardi riscuotono un grande successo, ma nonostante questo l’editoria sarda è in grave crisi, questo è emerso a Macomer.
Io propongo di percorrere le strade per uscire dalla crisi che sono state indicate dagli autorevoli interventi riportati nel post lavorando anche sulla editoria in lingua sarda (anche non solo) perchè questo potrebbe coinvolgere nuovi lettori, ma questo si può fare solo se i sardi imparano a leggere e scrivere in sardo. Sarebbe un male se i sardi imparassero a leggere e scrivere in sardo? O sarebbe una crescita culturale, che contribuisce a quel lavoro culturale auspicato da M. Argiolas che può invertire la rotta?
Mi permetto di far notare che, forse, non si lavora abbastanza sul versante della letteratura in lingua sarda. Il libro in sardo è raro e vende poco, ma il motivo non è la mancanza di interesse bensì il fatto che la maggior parte dei sardi che conosce il sardo non ha nessuna, o quasi, abilità di lettura e scrittura del sardo. Molti davanti ad un testo sardo non si ritrovano, non capiscono la grafia e nella lettura non riescono a sentire il suono delle parole e abbandonano, rinunciano.
Si potrebbe obiettare che il sardo non ha una grafia unica, è vero, ma è anche vero che i testi in sardo prodotti negli ultimi vent’anni hanno una loro coerenza ortografica, che adottano molte regole ortografiche comuni, che possono presentare piccole differenze su alcuni aspetti minori, ma queste differenze ricadono comunque in un piccolo insieme di possibilità.
Si dovrebbe insegnare ai sardi a leggere il sardo a partire dai testi che sono oggi disponibili, quelli che sono stati scritti sino ad oggi, anche se non presentano uniformità ortografica, insegnando quali sono le regole ortografiche assodate e accettate da tutti quali quelle in cui gli autori si differenziano.
I sardi possono imparare, e a quel punto quel piccolissimo settore della letteratura in lingua sarda potrebbe crescere in modo consistente.
Si dice che si vuole ampliare la base dei lettori e contrastare l’analfabetismo di ritorno, perché non ripartire dalla lingua sarda, perché non provare a verificare se il sardo è capace di solleticare interesse, emozioni, sensazioni, stati d’animo diversi, proprio a ”vantaggio di un concetto di cultura inteso come trasformazione di sé, fatica, interrogazione”.
Forse la lingua sarda può contribuire a ”renderci protagonisti e produttori di cultura, a tutti i livelli e non più e non solo spettatori per lo più passivi, consumatori di produzioni editoriali e culturali elaborate altrove”.
Quale migliore strumento della lingua sarda per ”recuperare un percorso di senso nell’analisi e rievocazione della nostra identità, rifiutando l’immagine stereotipata dell’Isola, che sempre più viene fatta circolare dai network, a vantaggio della complessità e dell’autenticità del locale e di una “sardità mai perduta”.
Forse l’editoria in sardo vi sembrerà problematica dal punto di vista economico, ma qui stiamo parlando di cultura e di come il sardo possa essere la chiave che apre nuove porte, che genera nuovi interessi, che coinvolge e fa scoprire il piacere della lettura a nuovi lettori, che rimette al centro il libro e il testo scritto a vantaggio dell’editoria in qualunque lingua.
quanto bla bla sulla sardegna e la sardità.
Ma sapete quanto importa al mondo della sardegna ?
poco e niente.
libri in sardo, e chi riesce a leggerlo il sardo o meglio a scriverlo?
E’ troppo complicata, è più facile scrivere in francese senza sbagliare che non in sardo.
Infine, mi potresti spiegare cosa dovrebbe veicolare il sardo, c’è l’invasione di autori sardi che scrivono in italiano, sono in testa alle classifiche di vendita, vincono i premi letterari, vanno in tv, al cinema vediamo film tratti dai loro romanzi.
La sardità non ha bisogno del sardo per esprimersi.
“La sardità non ha bisogno del sardo per esprimersi”. Che affermazione perentoria.
Marco ha perfettamente ragione: l’essere e sentirsi fortemente Sardi non ha niente a che fare con il parlare o scrivere in Sardo.
Chi la pensa in modo diverso è semplicemente “un fanatico”!
Quindi chi scrive o anche solo parla in sardo non ha niente a che vedere con l’essere sardo?
E rispetto alla sua opinione: Lei ordinariamente inquadra tutti i modi diversi di pensare nell’ambito del fanatismo?
Non è mia intenzione essere perentorio, in effetti sembrava un po’ uno slogan elettorale.
Un approccio è che l’editoria in lingua sarda non può che seguire il decorso della lingua sarda, che oggi è morente come tutte le lingue locali europee.
Chi scrive o parla di filosofia in sardo? Il diritto in Italia è in italiano con espressioni latine. La storia dell’arte è in italiano. Le scienze come fisica, medicina, chimica parlano inglese, qui anche l’italiano è perdente.
Allora cosa scrivo in sardo? Quale spirito della sardegna trova espressione nel sardo? io non so rispondere.
come confronto ho portato gli scrittori sardi, una vera valanga nell’editoria, che scrivono in italiano.
“Un cambio di rotta quindi, già in atto, ma che ha bisogno, per raggiungere gli obbiettivi emersi dal convegno, di una classe dirigente capace di abbandonare la “teoria delle eccellenze” a vantaggio di una politica culturale che faccia perno sul sostegno alle infrastrutture culturali permanenti e sull’elaborazione di un sistema trasparente e condiviso di regole e strumenti capace di premiare i progetti più meritevoli in ogni campo dell’arte e della cultura; che ha bisogno dell’assunzione di responsabilità da parte di scrittori, artisti e operatori culturali che sappiano andare oltre l’autoreferenzialità e una visione della cultura come puro intrattenimento e gioia di stare insieme a vantaggio di un concetto di cultura inteso come trasformazione di sé, fatica, interrogazione.
Dovremo imparare ad essere tutti soggetti attivi, attori sociali, rispettosi dei lettori e dei non lettori, impegnati in un percorso comune che ci veda protagonisti e produttori di cultura, a tutti i livelli e non più e non solo spettatori per lo più passivi, consumatori di produzioni editoriali e culturali elaborate altrove. Un percorso che rimetta al centro il libro, il suo ruolo sociale, recuperi la dimensione relazionale, affermi la bibliodiversità, rilanci il concetto di rete e mutualità, immagini un altro tipo di modello sociale.” Beh, questo modello esiste già e si sta affermando con successo, si chiama Lìberos.
Amen!
Capisco l’entusiasmo di Pierfranco Fadda. Lui pensa di aver trovato con Liberos il modello vincente per ampliare la base dei lettori e fare rete. Purtroppo molti, compresa la Regione Sardegna e diversi comuni, pensavano la stessa cosa quando si costituirono in Sardegna i Presidi del libro. Io penso sia meglio non inseguire il modello vincente ma pensare in termini di iniziative plurali in rete tra loro. Se veramente, come auspico, si vuole fare rete. Secondo l’Anci il 60% delle risorse viene impiegato, in Sardegna, per importare spettacoli da fuori. Recentemente importiamo anche molti scrittori che sono ben felici di fare i loro tour in Sardegna. Nulla di male, basterebbe riequilibrare le cose, promuovere con lo stesso zelo le nostre produzioni ed essere un pochino più selettivi.
Avendo settanta anni, e avendo avuto – per mia somma fortuna – nonni, genitori, moglie, figli e financo nipoti cultori del libro e della lettura, sono di ciò felice ma sono per ciò nei pasticci.
Adoro la carta stampata: buttare anche solo una brochure o un quotidiano mi provoca disagio, conservo quasi tutto ciò che ho letto, e che spesso rileggo, con piacere.
Sono quindi sommerso dai libri, dalle riviste, dai fascicoli, dai ritagli.
Ho da molti anni digitalizzato tutto il mio archivio di disegni, eliminando gli originali; ne ho sofferto, ma me ne sono dovuto fare una ragione. Fosse dipeso da me, gli originali esisterebbero ancora.
In realtà, sono un po’ un seguace del principio nascosto in questa storiella:
“Una volta, da una sede periferica, si scrisse al Ministero Competente per segnalare l’esistenza – nei propri locali – di un archivio ormai assolutamente inusato da tempo immemorabile: erano documenti obsoleti e dimenticati, ma assai ingombranti. Per tale ragione, si chiedeva l’autorizzazione a eliminare l’intero archivio. Dal Ministero (Competente), venne data tale autorizzazione, ma solo nel rispetto di una condizione: che dei documenti da eliminare si facessero due copie.”
La morale – almeno per me – non risiede solo nei paradossi della burocrazia, ma anche nel sacrosanto riscontro del fatto che di ogni tipo di dato è meglio averne una copia in più, invece di nessuna copia.
Ora, al mondo siamo in tanti, e se ciascuno raccoglie senza mai buttare, per di più illuminato dal sacro principio della ridondanza, lo spazio viene rapidamente a mancare. Succede con le case, le automobili, le calorie, i morti. Succede anche con la carta stampata: ho libri in scatole in cantina, in pile per terra, sui tavoli, in bagno, in auto; naturalmente, ho anche libri nei miei (molti) scaffali.
Per fortuna, come già i miei nonni e i miei genitori, ho figli e nipoti a cui lasciare il “fondo”. E il problema.
Come faranno? Come fare?
Bene, io sarei ragionevolmente disposto a cedere tutto (sentiti figli e nipoti), se solo fossi certo che tutto l’Ambaradam non vada distrutto o disperso. Ma, guardandomi intorno, non sono affatto sicuro di ciò.
E quindi? Quindi, un bel giorno (lontano) mia moglie e io moriremo, la nostra casa non esisterà più, e delle nostre cose si dovrà fare carico qualcuno, se vorrà e se potrà. Presto o tardi, non potrà più, e quelle cose andranno perse, avendo sempre meno valore.
Ho visto a Roma, in piazza di Fontanella Borghese, libri provenienti da biblioteche private: erano pieni di annotazioni e richiami. Erano stati usati e amati.
Non sono solo i cani, a non dover essere abbandonati per strada…
Campus, il suo è un commento pieno di sentimento. Ha mai pensato di fare una donazione a una biblioteca “di periferia”? Una trentina d’anni fa gli eredi del Giudice Casella donarono al Comune di Sinnai la biblioteca del giurista, e così fecero, nel corso degli anni, altri uomini di cultura. Quei libri vengono trattati con amore e messi a disposizione di chi li utilizza per motivi di studio, e sono un vanto della comunità sinnaese. I suoi libri potrebbero avere stessa sorte.
Come è simile la mia situazione alla tua.
Amante dei libri, conservato tutto per anni e anni fin da quando ero ragazzino, anche le brochure, sommerso dalla carta, da un anno ho iniziato a spogliarmi di questi beni, anche loro sono terreni, li lascerai qui, porterai con te l’informazione che trasportavano, l’emozione che si è incisa nella tua anima.
Però i libri sono veri amici, chiaramente quelli che ti hanno dato tanto perciò non li ho buttati, li ho donati a delle biblioteche oppure li ho regalati oppure portati al mercatino per rivenderli.
Curioso, hai buttato i tuoi disegni, perchè? quelli sono opere d’arte vere, dovevi tenerli.
Curioso, la digitalizzazione, quando passerai ai libri digitali ?
non abbandoniamo i libri per strada, diamogli un futuro, doniamoli come oggetti veramente preziosi.
Tra i tanti sogni dell’associazione Don Chisciotte c’è anche quello di fare una bella biblioteca nel quartiere.. Magari durerà quanto il famosissimo cavaliere..
Ho notato che nessuno ha messo in evidenza un fatto non secondario.
Per i tantissimi “poveri” che circolano sulle strade Sarde ed Italiane, non pensano che il costo dei libri abbia un’influenza determinante?
Più che rivolgersi a una classe dirigente spesso sorda e cieca e in rotta verso lidi più “proficui”,penso che gli editori e tutti coloro che ruotano attorno al pianeta libro e al mondo del sapere dovrebbero trovare spazi più ampi nel mondo della scuola e con gli insegnanti sopratutto.
L’amore per la conoscenza e la cultura parte dalla scuola,fin dalla più tenera età:la passione e l’amore per la lettura ci vengono dati da coloro che sanno proporre ai bambini bambine le loro visioni,i loro amori,spalancano le porte di mondi misteriosi,sconosciuti affascinanti.
Chi sono io,chi è l’altro,dove vive,come vive,come mangia e come si veste,pensiamo solo cos’è avere come compagno di banco un africano,un cinese,un rumeno…
Sono tutti spunti e frecce nell’arco per ogni insegnante,internet è un parco giochi divertente ma il libro resta un mondo di mondi che invita alla riflessione,al pensiero.
Amate i bambini,essi vi stupiranno sempre.
La sapienza nasce dall’amore di chi insegna,la curiosità e la straordinaria mente dei bimbi li porteranno da adulti a frequentare i libri con la stessa passione e determinazione che la cultura offre a coloro che affrontano la vita e il vivere stesso a viso aperto,con gli strumenti da noi donati.