Dopo la (breve) sosta estiva, riprende l’appuntamento con i post del martedì che, oltre che su questo blog, vengono anche pubblicati sui siti della della Fondazione Sardinia, su Tramas de Amistade e su Aladinpensiero.
***
Settembre, è il momento di ripartire. L’antico calendario agricolo rivive in noi, nella voglia innata che abbiamo di riprendere le nostre attività con nuovo vigore. Ma è anche il momento di scegliere cosa fare ancora e cosa non fare più. È il momento di immaginare il futuro.
Il bilancio individuale diventa progetto collettivo per chi, in un modo o in un altro, ha deciso di mettere la propria attività intellettuale al servizio della comunità.
(L’intellettuale, dunque, o vive in un sistema di relazioni o non è tale. Esiste oggi in Sardegna questo sistema di relazioni? È abbastanza ampio, ramificato, diffuso, riconosciuto? Prevalgono le aperture o le chiusure?).
A scadenze regolari gli intellettuali pensano di servire a qualcosa, e forse è proprio così. Nelle campagne elettorali, anche soltanto per riempire un programma, la politica ha bisogno di idee, di riflessioni, di ragionamenti in grado di alimentare una realtà possibile. Idee che non possono ovviamente arrivare dal nulla, ma che sono frutto di anni di studio, di confronti, di illusioni e disillusioni, di successi (pochi) e di sconfitte (la maggior parte).
(Gli intellettuali sono coloro che conoscono la strada giusta o forse coloro che più di altri sanno dove si è sbagliato e che errori bisognerebbe non commettere? Perché se così fosse sarebbe chiaro il motivo del sempre più accentuato distacco tra gli intellettuali e la politica, o meglio tra intellettualità critica e politica: perché gli intellettuali che danno ragione alla politica non rimangono mai senza lavoro).
Anche se lo ammette con sempre maggior riluttanza, la politica ha dunque bisogno degli intellettuali, cioè di chi è in grado di collocare un’idea in un tempo (questo) e in uno spazio (il nostro). Ma gli intellettuali sono pronti oggi ad affrontare in maniera dialettica il rapporto con la politica, soprattutto in questi mesi che ci porteranno a rinnovare il nostro Consiglio regionale?
Dei limiti della politica sappiamo tutto, ma quali sono invece i limiti di chi vuole con le proprie idee e le proprie riflessioni migliorare la società? In Sardegna gli intellettuali sono all’altezza dei tempi e delle sfide di oggi?
Per tre mesi a Cagliari si è tenuto un esperimento originale: un gruppo di sei persone (Salvatore Cubeddu, Nicolò Migheli, Piero Marcialis, Fabrizio Palazzari, Franco Meloni e Vito Biolchini), costituitosi in maniera né del tutto casuale né del tutto precisa, ha condiviso riflessioni sulla realtà sarda nel corso di un incontro settimanale dalla durata molto limitata (un’ora circa), tenutosi nella sede della Fondazione Sardinia. A turno ciascuno di essi proponeva la una riflessione scritta che poi veniva condivisa nei blog e nei siti degli altri partecipanti.
(Perché in effetti l’unico criterio con il quale inizialmente si è proceduto è stato questo: era necessario che ogni partecipante avesse un blog o un sito. L’attività intellettuale può essere quindi disgiunta da un’attività di divulgazione delle idee? E quali sono oggi i canali attraverso cui queste idee vengono divulgate? Sono sufficientemente ramificati? Quante persone raggiungono? E con quali ricadute?).
Settembre, è ora di immaginare il futuro, dunque di farsi domande. E se il gruppo di sei persone si allargasse? Se ogni lunedì fossimo in dieci? Ci sarebbero più idee, è vero. Ma come coniugare la maggiore ricchezza di contributi con la necessaria snellezza degli incontri, la cui durata non può certo essere estesa in proporzione ai partecipanti?
E come selezionare i nuovi arrivati? Sempre sulla base di un loro “potere mediatico”? E di quali idee dovrebbero essere portatori i nuovi innesti? Di quelle in cui si riconoscono (seppur con le inevitabili differenze) i sei “fondatori” oppure il confronto sarebbe più proficuo mettendo sul tavolo posizioni anche disomogenee?
Organizzare il dibattito significa contribuire concretamente alla crescita la società. Questo è quello che gli intellettuali possono e devono fare oggi in Sardegna. Prima ancora di lamentarsi dei limiti della politica.
***
(Alla fine una decisione è stata presa: il gruppo del lunedì verrà ampliato ad altri tre-quattro blogger, mentre una volta al mese la discussione si aprirà a contributi esterni qualificati, nel corso di incontri che saranno aperti ad un gruppo più ampio di persone).
Pingback: La Sardegna è un mosaico (un intervento di Fabrizio Palazzari)
Egregio Vito, ero assente e solo oggi ho avuto modo di leggere il post. Debbo dire che sono rimasto abbastanza sconcertato e sommerso da dubbi ed interrogativi. Hai fatto affermazioni e posto dei quesiti senza spiegare alcune cose essenziali. Cosa significa essere intellettuali? Come si fa a riconoscerli? Come si fa a diventare intellettuali nel caso una persona non lo sia ma voglia diventarlo? Intellettuali si nasce o si diventa? Un ricercatore del settore scientifico è o può essere un intellettuale? Travaglio e la sua congrega del FQ sono degli intellettuali? Feltri è un intellettulae? E Mieli? E Berlusconi? E D’Alema? E Renzi? Il mio commento appare scherzoso ma, ti garantisco, non vuole assolutamente esserlo. Gradirei una tua risposta seria, anche se espressa con toni scherzosi.
Ti saluto cordialmente.
Cosa significa essere intellettuali? Produrre idee e collocarle in uno spazio e in un tempo: il nostro.
Come si fa a riconoscerli? Ce ne sono di diversi tipi! Riconoscerli comunque è difficile perché oggi soprattutto tendono a nascondersi e a sminuire il proprio ruolo o a disconoscerlo.
Come si fa a diventare intellettuali nel caso una persona non lo sia ma voglia diventarlo? Studiando.
Intellettuali si nasce o si diventa? La predisposizione va alimentata.
Un ricercatore del settore scientifico è o può essere un intellettuale? Certo! Comunque non è la professione che fa l’intellettuale, ma il contrario.
Travaglio e la sua congrega del FQ sono degli intellettuali? Beh, quando lo fanno direi di sì.
Feltri è un intellettuale? E Mieli? Lo sono entrambi. Feltri purtroppo di più e meglio.
E Berlusconi? E D’Alema? E Renzi? No, loro sono innanzitutto politici.
Credo che ad accomunare tutti i movimenti indipendentisti, in qualsiasi parte del mondo, sia la consapevolezza di non appartenere all’entità dominante (repubblicana o monarchica od oligarchica, etc.) se non per costrizione o convenienza per la mera sopravvivenza. Senza dare per scontati gli elementi unificanti (lingua, cultura, tradizioni) che talvolta, se mal interpretati, diventano motivo di ulteriore divisione interna spesso fine a stessa. Ciascuno di noi, credo, (a parte una ristretta elite) conosce la storia in maniera abbastanza sommaria (naturalmente la storia “ufficiale ” italiana). La storia della Sardegna, almeno quella di cui si hanno fonti certe ed attendibili, traccia un’evoluzione costantemente segnata da contrasti di potere che hanno accresciuto la capacità di sottomissione del popolo sardo. Descritto più volte, con semplificazione e spregio, come disunito, barbaro ed incapace di sviluppare rapporti sociali. Trascorrono secoli, fino al XIX e XX, e arrivano gli elementi unificanti: Regno, ancora regno e poi Repubblica. Passi da gigante! Ma solo in apparenza. I posti di comando provengono, come nei secoli passati, dal continente (e non solo dall’Italia). L’Isola viene vista solo come terra di approvvigionamento/sfruttamento di materie prime ( dai minerali al grano, dalla pietra alla legna, etc). L’approvvigionamento/sfruttamento prosegue coi balenti soldati (carne da macello) utilizzati per i vari conflitti totalmente estranei agli interessi dei Sardi. Con il boom del dopoguerra, dalla Sardegna si continua a scappare con le “navi bestiame” andando ad alimentare il mercato dei minatori, dei muratori e delle colf (allora venivano chiamate serve).
La politica di allora fece sua la famosa esclamazione di Galileo ” E pur si muove ” attribuendola alla gloriosa ” Littorina “, non capendo che, ora per allora, la priorità assoluta della Sardegna era ed è quella di rompere un’isolamento culturale ultrasecolare studiato e voluto per tenere un ” vero popolo ” all’oscuro della propria esistenza.
Lei vuole i posti di comando? Peggio per lei.
Caro Vito, le domande che poni sono molto interessanti e pertinenti rispetto al periodo storico che stiamo vivendo. Come sai, il mio timore riguardo all’attività intellettuale come tu la descrivi (e cioè l’elaborazione e il riordino materiale delle idee, soprattutto il confronto con altri punti di vista, il tentativo di interpretare il mondo e di condividere con gli altri questa visione) è che nasca, si svolga e sostanzialmente finisca in una cerchia ristretta, senza avere la diffusione “di massa” (mi piace sognare) che ne sostanzierebbe l’utilità. Si deve, insomma, semplificare e diffondere, se vuoi perfino rendere “accattivanti” certi argomenti perchè il maggior numero di persone possano interessarsene e coglierne l’importanza(degli argomenti in sè, non del punto di vista di chi li esprime). Sono tempi in cui il pane è assai più importante delle “rose”, o perlomeno non c’è il tempo di coltivare queste ultime.
Solo muovendosi così, mi sembra, l’intellettuale può svolgere il suo lavoro di pungolo, suggerimento, interpretazione, comunicazione. Nel nostro mondo globalizzato e tecnologizzato è evidente, poi, che si devono sfruttare tutti gli strumenti disponibili,altrimenti si torna all’effetto “cenacolo”. quello che io vorrei è che “intellettuale” non fosse più considerato sinonimo di originalità, bizzarria, esotico approccio alla vita quotidiana, simpatico e colto perditempo, ma come attore della realtà al pari degli altri.
un carissimo saluto 🙂
Sembra un post-intellettualesimo, sia da post inteso nel senso di postare, sia come potenziale futuro dell’intellettualesimo. Si possono fare tutta una serie di considerazioni dai vari commenti: 1) L’intellettuale può anche restare tale senza un blog personale: è il suo pensiero che in fondo conta. 2) L’intellettuale che però non interagisce, rischia di pensare alla risoluzione di problemi big-bang, cioè, ne vede la luce, ma non ci sono più da tempo. 3) Ogni intellettuale che si rispetti, necessita di stimoli: meglio se li trova fuori nella vita reale, sennò diventa filosofo dell’aldilà e noi siamo nell’aldiquà senza poterne beneficiare. Insomma, l’idea è gradevole, il proposito pure, l’importante è che chi segue la cosa, non si fossilizzi sul nome del filosofo. Non è che si vince la lotteria ad essere intellettuali, ma se si affrontano le cose in maniera concreta, fosse anche la gestione di una barzelletta, ne trarrà beneficio l’intero sistema. Il mio ragionamento è semplice: intelletto a fin di critica migliorativa, o ipotesi di nuove approcci e soluzioni? Si, perché passare il tempo a raccontarsi quello che non va bene è poco intellettuale, optare per demolire vecchie opere mentali e costruirne di nuove è invece un bel passo avanti per i nuovi stimoli: tanto la medaglia non ci sarà, ma la soddisfazione, quella può anche restare tutta!
Costruire opere mentali nuove? E cosa vuol dire?
Senza nulla togliere al linguaggio, sempre restando sulla linguistica strutturale, mi sto ancora ponendo la questione della lingua.
Giusto per fare un esempio: secondo me, Bachisio Bandinu è perfetto, in quanto esemplare gestore sia di lingua che di linguaggio.
In realtà, questo mio apprezzamento potrebbe essere contaminato dalla comune origine bittese; tuttavia, mentre il suo bittese (lingua, parola,linguaggio)è vivo, il mio è fossile, perché è rimasto quello di oltre sessant’anni or sono (secoli).
Bachis pensa in bittese, e comunica cose bittesi di oggi; io penso e comunico in bittese di ieri.
In quale lingua devono pensare gli intellettuali, perché possano dire di pensare a ieri, oggi e – soprattutto – a domani?
Questo pensiero può viaggiare in modo attuale, o serve la stele di Rosetta?
Bachisio Bandinu è apprezzato anche oltre i confini bittesi, quindi può considerare il suo apprezzamento come incontaminato.
Ottimo poi il riferimento alla stele: mi permette di esprimere meglio il concetto che le ho proposto prima.
Prima ho detto che oramai la comunicazione bidirezionale permette un flusso di informazioni enorme: tutti possono scrivere qualsiasi cosa e raggiungere un numero di persone enorme. Se il problema del mezzo di comunicazione quindi viene risolto, si viene a creare un nuovo problema: la sovrabbondanza di informazione confonde tanto da diventare essa stessa un mezzo di disinformazione di massa.
Quindi ritorniamo al ruolo dell’intellettuale: così come nel gioco della settimana enigmistica, unendo i puntini, diviene evidente una immagine prima invisibile, così l’intellettuale deve essere colui che mette ordine nel guazzabuglio informativo in cui ci troviamo. Deve essere capace di scorgere l’immagine e unire i puntini per offrire quindi l’immagine nitida agli altri.
Per fare questo credo che debbano anche essere in grado di pensare nella lingua di ieri, in quella di oggi ed anche in quella di domani.
Ché il titolo di intellettuale se lo devono anche sudare: non è mica cosa da niente!
Io però mi interrogo su quale lingua debbano parlare se vogliono essere compresi e da chi vogliono essere compresi.
La stele di Rosetta potrebbe essere una risposta: devono essere in grado di parlare più lingue. Un po’ di greco, un po’ di geroglifico e un po’ di demotico. Perché ci sono fasce della popolazione che capiscono il greco ed altre no.
Soprattutto, se l’impegno vuole avere una funzione anche pedagogica, ci si deve concentrare sulla lingua che parlano le persone con cui si vuole parlare.
Sembra scontato ma io vedo intellettuali, autoproclamatisi tali, che si ostinano a parlare in greco a persone che capiscono il demotico. E infatti vengono sistematicamente ignorati.
Quelli per me non sono intellettuali: sono turrati molto forbiti!
Pingback: Chi organizza il dibattito fa crescere la società. Qualche domanda sugli intellettuali e la Sardegna di oggi | Aladin Pensiero
Devo dire che apprezzo l’iniziativa!
Quali saranno i nuovi componenti della squadra?
Sono curiosa!
🙂
P.S. un’anticipazione anche sugli argomenti in modo che anche noi, ci si possa preparare e dare il nostro contributo al dialogo?
Mi farebbe molto piacere dare una mano su temi di mia competenza. 😉
Voto a favore
Grazie!
🙂
Stante il fatto che “il medium è il messaggio”, sembrerebbe di poter capire che “se non hai medium, non hai messaggio”.
In altre parole, se non hai medium: o sei un intellettuale senza messaggio, o sei un intellettuale con messaggio non esprimibile (e forse non concepibile, dato il rapporto intrinseco fra medium e messaggio).
Ergo: bisogna dotare di medium tutti i possibili intellettuali (progetto M@rte?), ma – ovviamente – non può essere lo stesso medium per tutti, pena l’appiattimento del messaggio (e del pensiero intellettuale).
Che fare?
Forse enunciare (con buona pace del buon Marshall) che “la lingua è il messaggio”?
E se il messaggio fosse il linguaggio?
A me sembra che il medium sia oramai un ostacolo superato: la divulgazione è ai massimi storici e i costi sono ai minimi storici. Chiunque può scrivere qualunque cosa e raggiungere un numero di persone enorme.
Il problema secondo me riguarda sempre l’esprimibilità del messaggio in funzione della sua comprensibilità.
Naturalmente il discorso regge soltanto se noi adottiamo come forma mentis un afflato solidale di divulgazione intellettuale.
Il senso dell’articolo utilizza questa idea di fondo per cui la do per scontata.
Quindi il problema che pone anche l’articolo: “quali sono oggi i canali attraverso cui queste idee vengono divulgate? Sono sufficientemente ramificati? Quante persone raggiungono? E con quali ricadute?”
Il primo canale ed allo stesso tempo il primo scoglio è il linguaggio.
Se l’intellettuale, genericamente inteso, vuole mettere il suo ingegno al servizio della collettività, allora deve utilizzare un canale comunicativo adeguato, un linguaggio adeguato.
Qual’è il target? Perché a seconda del target deve cambiare il linguaggio.
Adesso ci troviamo di fronte ad una buona fetta della società che intende il termine “intellettuale” nella sua accezione negativa di una presunta superiorità relativa: al termine associano una figura canuta e occhialuta, comodamente adagiata su una poltrona di pelle scura che ama discutere con altri canuti occhialuti in una lingua sconosciuta (probabilmente morta), mentre tracannano porto chiusi nella loro torre d’avorio. Fine dello stereotipo.
Come si fa a stabilire un dialogo?
Io una risposta ce l’ho ma è imperfetta e/o sbagliata, come sempre.
Esigenza primaria: tornare al neolitico.
Lo scenario e’ sconfortante: un premio Nobel per la pace sta per bombardare la Siria. L’economia mondiale e’ avvolta in una spirale che stritola quasi tutti. Il fascismo serve, ancora una volta, per coprire la paura della perdita di privilegi ormai indifendibili. La politica, non piu’ con la p maiuscola, e’ inerte e staccata dalla realta’. Non parlo dell’Italia.
Ma tra poco, pochissimo, nei tempi delle decisioni ponderate, dovremo eleggere chi rappresentera’ la Sardegna.
La liturgia prevede un rito strano, magari funzionale in altri Stati, forse Uniti, ma usato maldestramente qui da noi. Ai dibattiti nelle piazze, nelle sezioni di partito, nei canali ancora in bianco e nero di una TV che ora ci sembra viva, si e’ sostituito un anonimo “mi piace”.
Con grande timidezza – senza usurpare un ruolo di intellettuale che non so come si possa acquisire, se non in una cella di un carcere che doveva impedire ad un cervello di pensare – dico come la penso ora.
Il progetto esiste: e’ quello che la Giunta Soru ha cercato di realizzare.
Ora evidenzierei alcuni aspetti : sobrieta’, competenza, senso etico.
Senza scomodare Spinoza, ritornerei a Gramsci e a Berlinguer, magari con un pizzico di Pertini. Con grande speranza, virtu’ molto amata anche da tanti laici, aggiungerei un po’ dell’apparente follia di Papa Francesco.
Di sicuro non votero’ chi non parla chiaro in termini di terra. Odio quella incolta, ovunque. L’agricoltura deve giocare un ruolo decisivo nella nostra Sardegna.
Nel neolitico si posero le basi per la lavorazione della pietra e per l’addomesticamento dei semi, conservati in recipienti di ceramica. La tecnologia stava rendendo possibile il fermarsi a ragionare su noi stessi. Stava nascendo la Politica.
Ho sempre votato a sinistra, e io so cosa vuole dire, con il cuore e con un ragionamento. Ora il cuore e’ triste e la ragione ha visto nascere troppi mostri, ma ottimisticamente credo che un giovane preparato come Andrea Murgia sia una buona possibilita’ per la nostra Terra. Verifichiamolo.
Franco Meloni, fisico.
“…Ho sempre votato a sinistra, e io so cosa vuole dire, con il cuore e con un ragionamento. Ora il cuore e’ triste e la ragione ha visto nascere troppi mostri, ma ottimisticamente credo che un giovane preparato come Andrea Murgia sia una buona possibilita’ per la nostra Terra. Verifichiamolo”.
Franco Meloni, fisico.
Caro Franco, Franco Meloni, fisico, se permetti questa dichiarazione la firmo anch’io. Così per essere riconosciuto:
Franco Meloni, ex dirigente pubblico, ora direttore di Aladinews.
In veste di giornalista ecco cosa ho scritto su Aladinews a proposito di Murgia, di Andrea Murgia: http://www.aladinpensiero.it/?p=14654
I giovani intellettuali (quelli di master and back e dintorni) come la Brigata Sassari (la prima) e Murgia, Andrea Murgia, come Emilio Lussu, tutti (insieme a chi ci sta) per liberare la Sardegna dall’attuale classe dirigente e condurla verso l’avvenire! Lo so gli storici del sardismo (e non solo) inorridiranno o tuttalpiù sorrideranno benevolmente. Ma mi piace l’ardita rappresentazione e io la propongo. Eccome!
A proposito di dibattito, anche se fuori tema. Domani, 5 settembre, ricorre il 75° anniversario della firma, da parte del sempre troppo poco vituperato re sciaboletta Vittorio Emanuele III, del regio decreto legge 5 settembre 1938-XVI n. 1390, riguardante i provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista. Per chi avesse poca memoria riporto il testo:
REGIO DECRETO LEGGE 5 settembre 1938-XVI, n. 1390
REGIO DECRETO LEGGE 5 settembre 1938-XVI, n. 1390, Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista (GURI n. 209, 13 settembre 1938). Convertito in legge senza modifiche con L 99/1939.
REGIO DECRETO-LEGGE 5 settembre 1938-XVI, n. 1390
Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista.
VITTORIO EMANUELE III
PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTA’ DELLA NAZIONE
RE D’ITALIA
IMPERATORE D’ETIOPIA
Visto l’art. 3, n. 2, della legge 31 gennaio 1926-IV, n. 100;
Ritenuta la necessità assoluta ed urgente di dettare disposizioni per la difesa della razza nella scuola italiana;
Udito il Consiglio dei Ministri;
Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per l’educazione nazionale, di concerto con quello per le finanze;
Abbiamo decretato e decretiamo:
Art. 1
All’ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere ammesse persone di razza ebraica, anche se siano state comprese in graduatorie di concorso anteriormente al presente decreto; né potranno essere ammesse all’assistentato universitario, né al conseguimento dell’abilitazione alla libera docenza.
Art. 2
Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica.
Art. 3
A datare dal 16 ottobre 1938-XVI tutti gli insegnanti di razza ebraica che appartengano ai ruoli per le scuole di cui al precedente art. 1, saranno sospesi dal servizio; sono a tal fine equiparati al personale insegnante i presidi e direttori delle scuole anzidette, gli aiuti e assistenti universitari, il personale di vigilanza nelle scuole elementari. Analogamente i liberi docenti di razza ebraica saranno sospesi dall’esercizio della libera docenza.
Art. 4
I membri di razza ebraica delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti, cesseranno di far parte delle dette istituzioni a datare dal 16 ottobre 1938-XVI.
Art. 5
In deroga al precedente art. 2 potranno in via transitoria essere ammessi a proseguire gli studi universitari studenti di razza ebraica, già iscritti a istituti di istruzione superiore nei passati anni accademici.
Art. 6
Agli effetti del presente decreto-legge è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica.
Art. 7
Il presente decreto-legge, che entrerà in vigore alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno, sarà presentato al Parlamento per la sua conversione in legge. Il Ministro per l’educazione nazionale è autorizzato a presentare il relativo disegno di legge.
Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a San Rossore, addì 5 settembre 1938 – Anno XVI
VITTORIO EMANUELE
Mussolini – Bottai – Di Revel
Visto, il Guardasigilli: Solmi.
Registrato alla Corte dei conti, addì 12 settembre 1938 – Anno XVI
Atti del Governo, registro 401, foglio 76 – Mancini.
Questo è un bel dibattito, non c’è che dire..
…contributi esterni qualificati…dall’alto del mio rum e porto dopocena posso aspirare all’apporto di contributi esterni inqualificabili? Grazie signor intellettualissimo Vito:)
Simone, per te Miss Italia continua! 🙂
….banalissimo Vito…e io che ti seguivo, quasi piu’ di miss Italia:)
Caro Vito,
il tema è stato affrontato da tantissimi, e non ultimo, anzi, da Gramsci. In questa sede, mi limito a segnalare chi lavora all’Università in qualità di ricercatore e docente dovrebbe essere un intellettuale per definizione ma, purtroppo, quasi sempre non è così.
Un tempo forse era così, oggi l’università é così scalcagnata e vittima dei baroni che fatico a riconoscere molti intelletuali al suo interno. Stessa cosa per gli scrittori. Avrò forse io una concezione troppo alta della letteratura, ma se penso a uno scrittore mi viene in mente Pavese, Calvino, perfino Moravia. Oggi conosco decine di amici miei che hanno scritto un libro. È un mestiere sputtanato cazzo! Sinceramente fatico a vedere in soriga la bisura dello scrittore (pilusu e fisico a parte) e nella Murgia una guida culturale che si pone in maniera egemone a guida delle masse.
Francu, ti quoto (solo per Zurru supercazzolaro, però..!) 🙂
Noo vito il dibattito no! Non potrei sopportare una supercazzola enfatica e profetica di zurru, un bolognesi che sproloquia in sardo e si incazza se rispondi in italiano, un floris che si irrita il colon contro i tagli alla cultura e tu a barba che parli del chiagliari e del sant’elia. Fate voi. Mi fido!
🙂 🙂