Marco Zurru è professore associato di Sociologia economica presso la facoltà di Scienze politiche dell’università di Cagliari. Da anni viene consultato in qualità di esperto dal Comitato per l’emersione del lavoro irregolare presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e dalla Consulta Regionale dell’Immigrazione. Tra le sue pubblicazioni vi segnalo “Etnie in transito. Vecchie e nuove migrazioni in Sardegna, (Franco Angeli, 2007), e “Rapporto sulle migrazioni in Sardegna (Cuec, 2008).
Ringrazio Marco per avere affidato al blog questa articolata riflessione sull’istituzione della “Consulta dei cittadini stranieri ed apolidi della città di Cagliari”, una conquista e un successo della attuale amministrazione di centrosinistra. Ma su cui evidentemente non sarebbe male aprire un dibattito.
***
Ho fatto una tabella.
Nazionalità |
Aventi diritto al voto |
Votanti |
% votanti su aventi diritto |
Numero consiglieri |
FILIPPINA |
969 |
753 |
77,7 |
5 |
UCRAINA |
707 |
144 |
20,4 |
2 |
RUMENA |
529 |
0,0 |
||
SENEGALESE |
512 |
197 |
38,5 |
2 |
CINESE |
391 |
91 |
23,3 |
2 |
BANGLADESE |
212 |
152 |
71,7 |
2 |
PAKISTANA |
156 |
47 |
30,1 |
|
INDIANA |
125 |
27 |
21,6 |
|
RUSSA |
72 |
22 |
30,6 |
|
KIRGHISA |
69 |
0,0 |
||
SPAGNOLA |
69 |
0,0 |
||
BRITANNICA |
59 |
0,0 |
||
TEDESCA |
59 |
0,0 |
||
BOSNIACA |
55 |
5 |
9,1 |
1 |
POLACCA |
53 |
0,0 |
||
FRANCESE |
52 |
0,0 |
||
MAROCCHINA |
52 |
0,0 |
||
NIGERIANA |
50 |
0,0 |
||
PERUVIANA |
41 |
0,0 |
||
ALBANESE |
36 |
0,0 |
||
TUNISINA |
36 |
0,0 |
||
BRASILIANA |
30 |
0,0 |
||
BIELORUSSA |
24 |
7 |
29,2 |
|
BULGARA |
24 |
0,0 |
||
CUBANA |
21 |
25 |
119,0 |
1 |
Totale |
|
1470 |
30,7 |
15 |
Parafrasando un recente (e molto discusso, oltre che assolutamente discutibile) articolo di un collega, lascio scivolare l’incipit su “ho fatto una tabella”. Ma, a differenza del citato impegno del collega, questa volta i dati proposti evidenziano non acrobatiche conclusioni basate sulla correlazione tra densità di capitale sociale e orientamento al voto nelle primarie del centrosinistra, quanto l’happy (?) end o uno step di un percorso d’integrazione molto interessante intrapreso dalla giunta di Massimo Zedda, ovvero l’istituzione – attraverso un largo processo di partecipazione elettorale – della “Consulta dei cittadini stranieri ed apolidi della città di Cagliari”.
La porta d’ingresso all’organo “consultivo e propositivo del Consiglio e delle Commissioni Consiliari, del Sindaco e della Giunta” in merito a tematiche di stretta incidenza nella vita quotidiana dell’immigrato (luoghi di culto, di aggregazione sociale e culturale, attività lavorative, partecipazione e accesso alle strutture e programmi scolastici, alloggi e così via..) è aperta “ai sei rappresentanti maggiormente votati e (…) ai nove che hanno riportato il maggior numero di voti, divisi sulla base di una ripartizione geografica per macro-aree” (Regolamento dixit, delibera 25/2012, art.14).
La tabella evidenzia l’esito della consultazione elettorale, soffermandosi solo sulle prime 25 Comunità presenti a Cagliari (ordinate secondo la numerosità dei residenti e dell’elettorato attivo) i cui candidati abbiano goduto dell’assegnazione di almeno 1 voto. È una tabella che può proporre diversi spunti di discussione. Vediamone alcuni.
1 – Aventi diritto al voto e affluenza alle urne.
Solo chi conosce in epidermide l’universo migratorio nel nostro paese o ha smesso di osservarlo con attenzione perché troppo impegnato in altre faccende, può divertirsi in due distinte grida: a) “hanno votato in pochi, che delusione questa politica comunale!”; b) “hanno votato in tanti, che bravi che siamo stati!”. Strabismo in un caso, miopia nell’altro.
In primo luogo la lettura del Regolamento comunale lascia trasparire diverse volontà politiche malamente tradotte nel dizionario dei diversi articoli. Se, ad esempio, ci si concentra sull’elettorato attivo sembra di capire che l’intenzione dei nostri validi amministratori era (è) quella di tutelare gli interessi delle comunità più svantaggiate tra quelle immigrate.
A meno che non si pensi che gli spagnoli abbiano strutturato una identità di gruppo nel loro risiedere locale e – riunendosi bisettimanalmente per consumare ottima paella altrimenti non rinvenibile in tavole proposte da mano culinaria isolana – abbiano maturato diritti di Comunità, e dunque possibilità di rappresentanza in Consulta…; a meno che lo stesso legame possa essere ipotizzato per il gruppo inglese che si riunisce il martedì pomeriggio per il tè, o per il gruppo tedesco interessato a portare in Consulta i propri problemi nel rintracciare localmente sauerkraut e bratwurst di livello per allietare le proprie goderecce serate…
Insomma, senza farla lunga, basta leggere bene i Regolamenti di tante altre Consulte diffuse nel nostro paese per scoprire che altre amministrazioni sono state molto attente a perimetrare questo diritto di voto ai soli immigrati non comunitari (Modena, Segrate, Bolzano, Perugia e tante altre..), quelli appunto con una sedimentazione di problemi socio-economici enormemente più ampi rispetto agli anziani tedeschi che vengono a spendere gli anni della pensione alle (relative) calde latitudini isolane.
Bisognava essere più precisi, a meno che l’intento consapevole fosse quello (inutile a mio dire, ma questo è parere assolutamente personale) di massima inclusione di tutti gli stranieri. In caso opposto, come sanno (e insegnano) i giuristi, la forma è sostanza: una definizione più puntuale del dizionario avrebbe evitato anche gaffe, rallentamenti e problemi (di non facile risoluzione) con alcune comunità di immigrati.
Mi riferisco, ad esempio, al nodo della doppia cittadinanza che, di fatto, ha marchiato con il segno del rifiuto una serie di candidati (oltre che di elettori) importanti per storia, conoscenza e skilled oriented verso le diverse comunità dei migranti, solo perché in possesso della doppia cittadinanza. Non era scontato l’esito di esclusione a cui è approdata la nostra amministrazione: invero, non sono poche le realtà (soprattutto, a differenza dell’esperienza emiliana monitorata dalla Caritas, quelle dell’area milanese) che hanno deciso altrimenti, includendo al voto (attivo e passivo) anche chi in possesso della doppia cittadinanza italiana e non (San Donato Milanese, Abbiategrasso, Pero, etc..): a volte basta definire l’Organo come “Consulta per gli immigrati” invece che “Consulta degli immigrati o degli stranieri” per vedere trasformato il perimetro dei partecipanti.
Tornando al successo/insuccesso (?) delle percentuali di voto, se si depura l’elettorato attivo della presenza dei comunitari l’affluenza sale, ovviamente, di non tanto ma sale. Il dato non è raffrontabile – sarebbe un’offesa all’intelligenza di chiunque – con quello di qualsiasi partecipazione elettorale indigena (politiche, amministrative, referendum, primarie, etc.) ma deve esserlo con quello di esperienze simili.
Ora, essendo quella di Cagliari l’ultima delle decine e decine Consulte per gli immigrati elette o nominate in giro per l’Italia (la prima fu a Nanontola nel 1999), basta essere un po’ curiosi per scoprire gli esiti relativi: in quasi tutte le esperienze la prima volta che gli stranieri si sono recati alle urne hanno dimostrato una partecipazione che oscilla tra un 30-34 % per poi declinare a percentuali molto più modeste (intorno al 15%) nelle successive tornate elettorali, evidenziano una disaffezione della base elettorale che ha delle spiegazioni su cui – a mio avviso – non può non soffermarsi chi sta costruendo l’esperienza cagliaritana.
Insomma, che sia il 30,7% evidenziato in tabella o il 32,1% de riferito ai 4431 immigrati extracomunitari, poco cambia: Cagliari si dimostra nei suoi esiti elettorali in linea con l’esperienza delle altre amministrazioni che l’hanno preceduta. È un buon risultato generale, dunque.
Ma se si scende nel particolare si scoprono elementi più interessanti.
La partecipazione al voto è incredibilmente eterogenea tra le diverse comunità: si può notare come la storica forza della Chiesa nel gestire l’ingresso nel paese di alcune comunità asiatiche pesi ancora nella capacità di mobilitazione e di organizzazione della cattolica comunità filippina (3 aventi diritto su 4 si sono espressi nelle consultazioni); si nota la forza di coesione della comunità bangladese (una delle più recenti nell’isola rispetto alla storia migratoria della Sardegna) e il forte desiderio di rappresentanza già espresso in altre realtà del Mezzogiorno; si nota una moderata partecipazione della comunità senegalese che, pur avendo radici importanti nel contesto sardo paga l’esclusione di un candidato molto forte proprio perché in possesso della doppia cittadinanza e una frammentazione importante dei candidati (erano 5, solo uno ha superato i 100 voti, lasciando agli altri poche briciole); è evidente la tenuta di una solida base di nazionalità ucraina, alimentata da importanti e durevoli esperienze solidaristiche e associazionistiche di rilievo in città (il cui centro è Sant’Eulalia); allo stesso modo sono rilevanti – pur nei numeri contenuti – le partecipazioni della comunità pakistana (che ha espresso 3 candidati), di quella indiana, importanti protagoniste della “ridefinizione” di alcuni quartieri storici in Città e, infine, di quella cinese, ben strutturata all’interno di pochi ma rilevanti segmenti economici specializzati.
L’esperienza dei cubani dimostra come la scelta assolutamente ampia di libertà al voto sganciata da cleavages etniche fatta dall’amministrazione cagliaritana possa portare a risultati di attribuzione di un numero di preferenze superiore agli aventi il diritto: a differenza di altre realtà amministrative, la nostra Giunta ha concesso la massima libertà di espressione del voto verso tutti i candidati, a prescindere dal vincolo etnico.
Rimangono alcuni aspetti problematici di non poco conto: ci sono state assenze di peso nella consultazione elettorale, come quella dei rumeni (ma sarebbe meglio usare il genere femminile) che esprimono una presenza qualificatissima nei numeri dei residenti, delle polacche e delle nigeriane, dei marocchini e tunisini: l’importanza e la problematicità di questi gruppi etnici è di diverso rilievo e non va sottovalutata. Chi ha gestito faticosamente (e di questo bisogna essere assolutamente riconoscenti) la gran parte delle attività di animazione del contesto migratorio in città nella preparazione all’evento elettorale, avrebbe dovuto monitorare le partecipazioni e cercare di recuperare gli assenti. Questo è un lavoro da non tralasciare assolutamente: queste comunità, in qualche modo, vanno recuperate nella loro possibilità di veder rappresentate idee e proposte.
Resta da spiegare l’assenza al voto di spagnoli, inglesi e tedeschi, scusati perché probabilmente tutti impegnati nella organizzazione solidale di cene etniche.
2) Elettorato passivo ed eletti
Qui, a mio modesto parere, si rileva l’enorme pasticciaccio dell’esperienza. Polemicamente -rispondendo ad un post di Francesco Abate che mostrava su facebook le foto della bellissima serata organizzata dai cinesi per festeggiare insieme ai cagliaritani, filippini, bengalesi, cubani, pakistani, ucraini ed egiziani l’esperienza di partecipazione al voto della Consulta – supponevo come motivo di felicità per i Cinesi l’essere riusciti a “piazzare” un loro candidato con sole 3 preferenze.
Non me ne vogliano gli amici cinesi se uso il loro caso per evidenziare delle difficoltà che, invero, sono diffuse con altre conseguenze più dannose in altre comunità. Come è possibile riscontrare dai dati proposti, esistono delle comunità che non sono affatto rappresentate perché assenti al voto (cavoli loro, diranno i maligni…), mentre altre comunità pur avendo partecipato (e non poco) al voto, si trovano con un pugno di “mosche in mano”: nessun candidato pakistano, indiano, russo o bielorusso è riuscito a farsi eleggere.
A leggere bene il Regolamento comunale si capisce dove sta una delle importanti fonti del vulnus: il già citato e asciutto art. 14 (elezione dei Componenti la Consulta) definisce, oltre l’assegnazione dei primi 6 seggi, i rimanenti 9 in base a macro-aree, così definite: a) Filippine; b) Cina; c) Subcontinente Indiano (Bangladesh, Paksitan, India, Sri Lanka); d) Est Europa (Ucraina, Russiam Polonia, Bielorussia, Moldova, Lituania, Estonia e Lettonia); e) Europa Centrale e Balcani (Romania, Bosnia, Albania, Bulgaria, Ungheria, Slovacchia ..) e resto d’Europa; f) Africa Sub sahariana; g) Africa del Nord; h) Medio Oriente .. e resto dell’Asia; i) America e Oceania.
Ritorna dunque un problema di dizionario…: un paese/nazione è assimilabile ad una macro-area? Non sono chiari i motivi di questa scelta (sicuramente qualcuna sarà presente) ma, di fatto, definire Filippine e Cina come macro-aree invece che inserirle nelle loro rispettive ha enormemente amplificato le possibilità di propria sovraesposizione a svantaggio di altre comunità, rimaste senza rappresentanza: quello che poi è accaduto, giacché su 15 componenti 7 sono asiatici (5 filippini e 2 cinesi) e nessuno proviene dal Pakistan, India e Russia.
È l’esito di una legittima scelta della nostra amministrazione, ci mancherebbe… Ma una diversa definizione dell’articolo 14 del Regolamento avrebbe potuto ampliare enormemente l’arena di rappresentanza delle molteplici comunità degli stranieri. Quando si parla di migrazione infatti bisogna usare sempre il plurale, stando attenti a non escludere nessuno, e a maggior ragione attraverso strumenti che si pretendono inclusivi nella loro profonda essenza.
Il Regolamento, come recita precauzionalmente l’art. 17 ,“ha carattere sperimentale e si applica solamente all’elezione della prima consulta”: quindi c’è tempo per leggere cosa accade nel resto d’Italia e cercare in seguito di correggere il tiro, magari essendo isomorfici con esperienze massimamente inclusive, quali quella di riservarsi un certo numero di seggi di nomina del Sindaco e della Giunta (proprio per coprire aree lasciate scoperte, per le più varie ragioni, dall’esperienza del voto), o magari scrivere con più accuratezza e conoscenza del fenomeno gli articoli fondamentali del Regolamento, come il citato e famigerato art. 14.
Detto ciò, la Consulta cittadina degli immigrati è un fatto importante, positivo e da sostenere con tutte le risorse materiali e immateriali possibili. Non solo è un fatto e prova di civiltà (come direbbe Norbert Elias) definire percorsi e organismi pubblici di discussione e proposta per una componente significativa (oltre che produttiva!) della nostra popolazione; ma, al di là delle conseguenze fattive sul piano dell’efficacia degli strumenti, è questo tipo di attenzione che le istituzioni locali dedicano loro che viene percepita e vissuta dalle comunità degli immigrati come una possibilità inclusiva in sé e per sé.
Le ragioni sono molteplici quanto semplici nella loro essenza: la differenza tra una porta sbattuta in faccia e un invito a palazzo per votare alcuni membri della propria comunità legittimamente definiti nelle loro capacità/possibilità di discussione e articolazione di un documento da proporre a chi governa la città è talmente banale nelle sue siderali distanze da non meritare altro spazio.
Ripeto, la Consulta è uno strumento importante e di possibile fecondo plurimo esito nel contesto locale, soprattutto di fronte ad una sedimentazione normativa che ha costruito la ragione profonda delle politiche migratorie sui concetti di diffidenza e sicurezza: anche i bambini (soprattutto i figli dei migranti) conoscono il peso dello ius sanguinis, le difficoltà per accedere ad una naturalizzazione, gli infiniti ostacoli che provengono da una concezione etnica e familiare dell’appartenenza: grazie alla coppia Bossi-Fini è presente una regolamentazione assolutamente restrittiva degli ingressi; nel 2008 è stato emanato il “pacchetto sicurezza” che legge il fenomeno migratorio come minaccia alla sicurezza dei cittadini (da qui l’enfasi sul concetto) e ne cerca di limitare i “presupposti danni” attraverso l’introduzione del reato di soggiorno irregolare sul territorio e una specifica aggravante per i reati di altra natura commessi da soggiornanti irregolari, o attraverso il prolungamento a 18 mesi del tempo di trattenimento degli immigrati irregolari nei Centri di Permanenza temporanei (ribattezzati nell’occasione Centri di identificazione ed espulsione); l’impossibilità per gli irregolari di compiere atti amministrativi, come quelli di stato civile; per non parlare, infine, dei controversi accordi con la Libia.
Talmente assillati dalla preoccupazione della sicurezza, i nostri legislatori, che nella fretta e nell’incompetenza hanno prodotto assetti normativi in cui l’assente era il rispetto di alcuni diritti umani, bocciati dalla Corte Costituzionale o sanzionati dalla Corte Europea.
Dunque il livello locale è importante, perché è proprio qui – dove le persone vivono quotidianamente, interagiscono con gli indigeni e con le amministrazioni – che si gioca la vera partita dell’integrazione degli immigrati. Ecco perché bisogna porre la massima attenzione alla costruzione e, soprattutto, manutenzione di questi strumenti partecipativi. Non sono dunque assolutamente d’accordo con chi non perde l’occasione per ribadire il “ora tocca a voi”, rivolto agli immigrati eletti in Consulta, per sottolineare la piena disponibilità dello strumento in mano agli immigrati.
Cercherò, sinteticamente, di raccontare le ragioni di questo disaccordo e rimarcare alcuni punti che (forse) possono aiutare chi gestirà (aiuterà a gestire) questa complessa operazione.
1- La Consulta cittadina è una, ma non l’unica, delle diverse arene organizzative dove gli immigrati possono discutere la gerarchia dei loro problemi e articolare una proposta di possibili risposte da parte degli enti competenti. Esiste quella regionale, dovrebbe esistere quella provinciale e una similare (il Consiglio) è attivata da tempo da ogni Prefettura. Uno sguardo all’articolazione e possibile coordinamento delle diverse agende di lavoro potrebbe evitare inutili sovrapposizioni, assenze di alcuni temi, richieste maggiormente credibili alla luce di un percorso di maggiore consapevolezza collettiva dimostrata.
2- La Consulta, come meccanismo organizzativo, può essere uno strumento di grande speranza per gli immigrati, ma rischia di trasformarsi in una speranza disattesa se non si pone attenzione ad alcuni elementi salienti del meccanismo. Ne cito alcuni che derivano dalla personale esperienza presso la Consulta regionale:
a) può manifestarsi una notevole difficoltà alla comprensione reciproca (tra stranieri appartenenti a diverse comunità) a causa di scarse competenze linguistiche;
b) può esistere una tendenza a trasformare questi incontri in “sedute di autocoscienza” (mi si passi il termine) di tipo assembleare, dove ogni membro espone la propria lamentatio e solitamente non si riesce ad articolare un piano di politica attiva di largo respiro;
c) esiste la difficoltà tipica delle dimensioni assembleari a condurre un’opera di integrazione organizzativa delle discussioni avvenute (banalmente, arrivare ad una sintesi..);
d) esiste la normalissima propensione a “guardare il proprio giardino etnico” e dunque, nuovamente, arrivare ad una politica per gli immigrati che – insieme – trascenda e includa le specificità etniche;
e) esiste un problema di iato tra l’urgenza e la specificità contingente delle richieste della popolazione migrante e i tempi della politica;
f) può esistere la scarsa consapevolezza dei migranti in ordine ai limiti delle competenze amministrative a fronte dell’agenda dei problemi evidenziati dalle diverse comunità (l’incontro preparatorio in Cgil, a tal proposito, è stato illuminante..);
g) esiste il problema della esiguità di risorse economiche per affrontare l’agenda dei problemi proposti.
L’esperienza delle altre Consulte monitorata da colleghi o dalla Caritas ha dimostrato come questa esperienza importantissima possa ridursi nel tempo (fino ad annullarsi, come nel caso di diverse realtà emiliane o piemontesi) se non si attua una seria manutenzione dell’universo degli strumenti e delle risorse a disposizione. È necessaria la presenza di un mediatore con competenze linguistiche durante le riunioni della Consulta; è necessaria la consapevolezza dell’esistenza (e della possibile implementazione) di strumenti che già possono alleviare seri problemi della popolazione straniera a livello locale (leggi “alloggio”), come ad esempio, l’auspicabile fondo di garanzia e di intermediazione immobiliare definito nelle Linee Triennali Regionali per l’immigrazione; persiste la necessità di alimentare e ispessire l’esperienza associativa delle comunità migranti, vero cuore propulsore di qualsiasi esperienza di rappresentanza in Consulta.
Insomma, a mio modo di vedere, questa nuova possibilità di voice data ai migranti residenti a Cagliari è un fatto importante e di questo va dato atto a chi ci ha lavorato per vederne muovere i primi passi, ma affinché questa esperienza di elezione diretta non diventi un semplice surrogato di vera e propria partecipazione politica, ma uno strumento fattivo di proposta per la risoluzione concreta dei complessi problemi delle comunità dei migranti bisogna ancora lavorare sodo.
Marco Zurru
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Domanda: ma visto che Zurru è un esperto, anzi, il maggior esperto di migrazioni in Sardegna, perché non chiedergli un parere prima e non aspettare che scovasse le criticità dopo?
Hai ragione Matteo. Se avesse portato il suo contributo sicuramente la giunta lo avrebbe ascoltato e ne avrebbe fatto tesoro. Lo fanno sempre.
A domanda retorica risposta Di Legno. Perfetto direi! (Carissimo Di Legno, la tua è la ciliegina sulla torta che completa la mia domanda ovviamente ironica)
Premetto che io e Marco siamo legati da un’amicizia fraterna che dura ormai da quasi tre decenni (trent’anni giusti alla fine del 2013, Maya permettendo) e che abbiamo anche una certa consuetudine ad avere discussioni vivacissime anche quando la pensiamo allo stesso modo. Dal punto di vista formativo siamo praticamente “fratelli”, con predilezioni e indole differenti, ma figli entrambi di quel gran professore e ancor più grande uomo che è Gianfranco Bottazzi.
Detto questo, a volte Marco ha un limite: ne sa troppo.
Detta così sembra una battuta, ma invece a volte essere troppo competente in una materia porta ad attribuirle all’argomento trattato un peso superiore a quello che effettivamente ha nell’economia generale nel quale esso è inserito e per giunta a sostenere con abilità, cognizione di causa e ridondanza di argomentazioni molto difficili da controbattere per un profano. Dal momento che Marco è forse il massimo esperto in migrazioni che abbiamo in Sardegna, diventa quindi una missione quasi impossibile.
Cosa ci succede quando Marco ci spiega, con grande competenza e precisione, quali sono i problemi emersi dalle elezioni alla Consulta? Che noi ci concentriamo sui problemi, che paiono proprio perché così ben descritti ancora più gravi di quanto poi magari sono, e lasciamo sullo sfondo il punto vero della vicenda: cioè che finalmente e per la prima voce gli stranieri residente a Cagliari hanno la possibilità di far sentire la loro voce da uno spazio “istituzionale”. Mentre Marco è ben consapevole di questo, infatti lo ribadisce, con cadenza regolare, in più punti del suo lungo post, altri commentatori non riescono a distinguere – per usare una metafora spesso usata – l’importanza della foresta che cresce (creazione di una Consulta, possibilità per i cittadini stranieri di votare i propri rappresentanti) rispetto a qualche albero che cade (i nodi critici che Marco ha opportunamente segnalato). Infatti, abbiamo un “realista più del re” che sintetizza mirabilmente questo approccio con il seguente commento: “A me sembra invece che Zurru abbia voluto dire che il risultato di quella che lui chiama fatica dei consiglieri sia anche una grande cagata. A leggere bene la tabella e i suoi commenti e’ evidente che molti sono rimasti ingiustamente tagliati fuori. E ora? Bisognerà aspettare la prossima legislatura per vederli dentro?”
A questo commento Marco risponde indirettamente quanto interviene ad infilzare il povero Broz (che evidentemente non sa che con Marco toccare con leggerezza certi temi è come mettere le dita in una presa elettrica) affermando: “Solitamente alle idiozie e banalità non rispondo e lascio correre (sia i simboli che i portatori delle stesse)…”
Quindi io concordo pienamente sulle conclusioni di Marco, che cito per intero:
“Insomma, a mio modo di vedere, questa nuova possibilità di voice data ai migranti residenti a Cagliari è un fatto importante e di questo va dato atto a chi ci ha lavorato per vederne muovere i primi passi, ma affinché questa esperienza di elezione diretta non diventi un semplice surrogato di vera e propria partecipazione politica, ma uno strumento fattivo di proposta per la risoluzione concreta dei complessi problemi delle comunità dei migranti bisogna ancora lavorare sodo.”
E credo chi sia importante: a) che la consulta non sia assolutamente un “happy end” ma uno “step”, esattamente il primo, di un percorso di integrazione; b) che le criticità rilevate da Marco siano messe in agenda e valutate con attenzione, compresa la proposta di trasformare una “Consulta degli immigrati o degli stranieri” in una “Consulta per gli immigrati”. Perché è un obiettivo importante che gli stranieri residenti a Cagliari si sentano cittadini a tutti gli effetti (in attesa del riconoscimento dell’elettorato attivo e passivo almeno per le elezioni amministrative), ma anche che siano concretamente messi nelle condizioni di affrontare e provare a sciogliere i problemi che si trovano a vivere in un paese straniero e culturalmente differente. Altrimenti il rischio è quello della rappresentazione neppure mediata dei propri bisogni, di comunità di appartenenza quando va bene, individuali quando va male (che tutto il mondo, si sa, è paese…). Per dire che “ora tocca noi” declinato applicato agli stranieri non può essere un “adesso sono cazzi vostri”; c) un’amministrazione che appunto veda anche nella Consulta, come in altre iniziative che sta portando avanti, uno “step” verso il miglioramento della città, lasciando da parte la permalosità rispetto a certi toni – a volte esageratamente fastidiosi (e anche ingiusti a parer mio) – per utilizzare invece le sollecitazioni, anche quelle più critiche, per rafforzare la proposta amministrativa. Qui vale lo slogan di Filippo: “meglio di prima non ci basta!”
Infine, una piccola nota biografica: sia io, sia Marco e qualche altro migliaio di persone come noi abbiamo vissuto a Cagliari da “migranti”, perché lo studente universitario cosiddetto “fuori sede”, domiciliato a Cagliari, in appartamento o presso le strutture universitarie, viveva una vera e propria città parallela, che raramente si incrociava – se non al lezione – con la Cagliari degli indigeni. Una comunità, quella dei fuori sede, che pur avendo un peso notevole sull’economia cittadina, non aveva alcuna voce. Con luoghi, riti, abitudini diversi da quelli degli altri cittadini. Un universo parallelo che ogni tanto destava la meraviglia di qualche studente cagliaritano doc portato in tour per le case dello studente o per il rituale del caffè pomeridiano. Non so oggi come sia, forse le due Cagliari sono più vicine rispetto ai tempi miei e di Marco, ma ragionare su una “Consulta per gli studenti fuori sede” non sarebbe male.
Vito, perdona questo intervento dopo quello che ritenevo essere un contributo, certo critico, ma pur sempre di apporto alle problematiche discusse. Solitamente alle idiozie e banalità non rispondo e lascio correre (sia i simboli che i portatori delle stesse..), ma l’ammasso di cazzate (a volte le cose bisogna concettualizzarle esattamente e con puntiglio) del post di Broz mi ha toccato in uno dei (pochi) punti di riferimento a me continuativamente presenti: la mia onestà. Ora, che un deficiente anonimo – che dimostra che il destino a lui attribuito da qualsivoglia divinità è evidentemente realtà (ovvero non capire una cippa delle cose al mondo) – pensi di dettare i tempi ad altri, ci può anche stare: avrà le sue urgenze, poretto… si accontenti dei ciò che riesce a farsi spiegare del mio intervento da qualche amico capace di interpretare la lingua italiana, anche se in ritardo con la sua urgenza appuntata nel mese di settembre. Che possa stare personalmente sul naso a diverse persone, non c’è dubbio: quando ci si espone – qualsiasi ruolo si rivesta – tale rischio è sempre presente; rischio fortemente insistente a Cagliari in ragione di diversi atti di questa giunta di sinistra: gli argomenti discussi nel tuo blog e le difese a spada tratta di diversi sostenitori, fan, supporter, talebani di alcune scelte politiche costruite dal partito che esprime il sindaco Zedda sono più vicini ad atti di fede che ad esiti di ragionamenti politici (ma questo è un mio personalissimi punto di vista). Ora, tutto ciò può andar bene e solitamente le accuse ancorate a tali elementi non mi smuovono.
Ma che si racconti il falso oltre la calunnia di ciò che è accaduto nella pagina Fb di Abate, mi ha fatto letteralmente girare le palle. Tutto ciò che è scritto è ancora presente in quei post e mai mi sognerei di fuggire dalla responsabilità delle mie posizioni, cancellando alcunché. Che poi Broz (o chi per lui o con lui) usi questa feccia per altre ragioni, oltre quella di calunniarmi, la dice lunga sulle capacità di confronto di alcuni cosiddetti impegnati.
Scusami ancora, non avrei mai voluto dover inviare questo post. Come hai ben compreso, gli intenti del mio intervento erano/sono altri. Grazie ancora per la tua ospitalità e per la continua presenza critica.
infatti, io ho visto lo scambio di battute dopo aver letto l’articolo. ma quando no si ha niente da dire, o quando si vedono attacchi anche nelle critiche più ragionevoli a me sembra quasi chiaro che il tempo della frutta sia molto vicino.
Presto ti chiederemo aiuto marco, per i migranti, non certo per noi.
Guarda che si scherza! È davvero un apporto interessante. Io sono convinto che gli eletti della consulta, con l’aiuto di tutte le comunità e di chiunque li voglia aiutare, sapranno proporre miglioramenti anche nelle direzioni da te indicate.
Ma stiamo scherzando? Davvero non si può controbattere o avere idee diverse senza per questo essere attaccati verbalmente e senza che nessuno si sdegni? Davvero chi scrive è così insicuro – al di là della sua tracotante sicumera, della inesistente distanza da se stesso e dalla voglia di parlare a senza unico, senza contraddittorio, per di più dal blog di un suo amico – da non accettare una critica? Zurru rilassati, non è che ogni volta che parli sei sopra una cattedra, se qualcuno la pensa diversamente da te o “osa” sollevare qualche dubbio non ti cade la corona dalla testa.
Solidarietà a Broz e a chiunque venga aggredito da energumeni verbali e pieni di sé.
(Vito, pubblicando o meno questo post ti giochi la credibilità di blogger che crea uno spazio realmente aperto alla libera discussione, visto che l’altro lo hai censurato).
L’ho detto e lo ripeto: io non censuro gli argomenti, censuro i linguaggi. Se vedete che non pubblico un vostro commento, provate a scriverlo diversamente. E in ogni caso non abusate dell’anonimato nel quale vi nascondete. Caro Karalis, nel tuo commento dai giudizi abbastanza gratuiti e sgradevoli su di una persona che si firma per nome e cognome. Bisognerebbe insultarsi ad armi pari, non credi?
Touché.
Ma il precedente commento era decisamente più soft.
In ogni caso il mio intervento non era mirato a offendere nessuno, quanto a evitare che questo spazio di discussione, di cui evidentemente sono un affezionato e critico lettore, diventi a) la vetrina di chi vuole mettersi in mostra esponendo tesi e riflessioni, e guai a chi le mette in discussione; b) un ritrovo tra amici di vecchia data, e guai a chi si intromette nel dibattito se non con genuflessione; c) il tempio in cui si riceve acriticamente l’ipse dixit pronunciato dal sacerdote di turno, e guai a chi si mette fuori dal coro.
Non siamo in un’aula universitaria ad ascoltare le tesi di disinvolti accademici in carriera, giusto?
Siamo in uno spazio di discussione, ripeto, libero, che deve lasciar spazio anche a chi la pensa diversamente o a chi ha meno strumenti per confutare le opinioni esposte senza che nessuno si senta in diritto di alzare i toni o di aggredire verbalmente chi si permette di dire bah, come è capitato.
Lo dico senza neanche entrare nel merito di chi pontifica/aggredisce, ognuno evidentemente è libero di farsi l’idea della persona sulla base di esperienze dirette (ancorché questa pagina effettivamente qualche spunto lo offra).
Ma io qui difendo un principio.
O Massi, e firmati …
O anonimo, e firmati! (Cosa c’è, la rivolta degli anonimi che criticano l’anonimato altrui?)
Leggo solo ora l’intero commento di Marco Zurru. In precedenza avevo preferito evitare la lettura approfondita per evitare che mi girassero gli zebedei (avevo intuito che sarebbe stato poco cortese, com’è infatti stato), e passare direttamente a specificare che si scherzava. Ora, letto lo sproloquio, mi chiedo se ce ne fosse proprio bisogno e se la reazione non sia stata sproporzionata. Ma comunque mi scuso per averla provocata.
Mi permetto di aggiungere un elemento di critica: credo che la riflessione parta da una tabella viziata da un pregiudizio, un’approssimazione. Il ragionamento si sviluppa con la errata certezza che ogni candidato abbia preso solo i voti dei propri connazionali.
Ad esempio è una chiara approssimazione, e credo io che si discosti molto dalla realtà, assegnare zero voti espressi alla comunità rumena. Ci sono rumeni che hanno firmato per candidature di nazionalità diversa dalla loro, e così è accaduto con altre comunità. Nemmeno i filippini hanno tutti votato un filippino.
Ne è dimostrazione il fatto che risultino 25 votanti cubani su 21 aventi diritto.
A me sembra invece che Zurru abbia voluto dire che il risultato di quella che lui chiama fatica dei consiglieri sia anche una grande cagata. A leggere bene la tabella e i suoi commenti e’ evidente che molti sono rimasti ingiustamente tagliati fuori. E ora ? Bisognerà aspettare la prossima legislatura per vederli dentro ?
Intervento interessante, in ritardo di 3-4 mesi. I consiglieri della consulta immigrati credo saranno in grado di correggere il regolamento per renderlo più rispondente alle necessità delle comunità straniere e di coinvolgere e trattare i problemi relativi a tutte le comunità.
Molto più interessanti però i commenti de mengianeddu da tutti stigmatizzati – e ahimè cancellati dall’autore in fuga verso questo blog – alle foto della festa cinese.
Grazie Marco, un intervento importantissimo. Diciamo pure però che Vito avrebbe fatto bene in quei giorni a scrivere qualcosa sull’argomento perché, pur con tutte le osservazioni da te giustamente poste, la (bella) notizia c’era eccome.. bonu fine xida..
Hai ragione, non una ma ville volte, purtroppo però il blog va avanti a strappi e a sentimento. Ma ci stiamo organizzando per offrire un servizio il più puntuale all’affezionata clientela! 🙂
ge du sciu 😉