L’avete vista la cartina? L’avete vista bene? L’ho fotografata oggi in un ufficio della Regione e sono rimasto senza parole. Perché a furia di sentir dire da anni che nella nostra isola ci sono tanti tipi di Sardo quanti sono i paesi (anzi di più, perché da qualche parte ci sono perfino differenze tra quartiere e quartiere!) è stato uno choc invece comprendere che la lingua sarda è una e una sola, e che è parlata in quasi tutta l’isola, eccezion fatta per le isole linguistiche (quelle sì) composte dal Gallurese, dal Sassarese, dal Catalano e dal Tabarchino.
In realtà, che il Sardo fosse uno solo lo sapevo già grazie agli interventi di Roberto Bolognesi, che da tempo ci spiega come le differenze tra le diverse varianti siano in realtà minime, e che nulla impedisce a un buon conoscitore della variante meridionale (volgarmente detta “campidanese”) di comprendere perfettamente la variante settentrionale (volgarmente detta “logudorese”). Perché la lingua sarda, appunto, esiste e non è un’invenzione. E infatti la cartina riposta dunque in maniera chiara quanto stabilito dalla legge nazionale 482 sulle minoranze linguistiche.
Perché allora sono rimasto sorpreso? Perché io la Sardegna così unita non l’avevo mai vista. E ad unirla è proprio la nostra lingua. Sapere che il Sardo che si parla a Cagliari è lo stesso che si parla a Nuoro, ad Oristano, a Lanusei e ad Iglesias scardina una serie di luoghi comuni sui quali le classi dirigenti “eterodirette” da Roma (come diceva Francesco Masala) hanno campato per decenni, fomentando ad arte divisioni e contrapposizioni.
Quei feudi di cui ci siamo liberati tanti anni fa sono purtroppo rinati, modellati non su interessi economici ma su confini linguistici, ad uso e consumo di classi dirigenti incapaci di gestire processi complessi.
Invece oggi la Sardegna ha bisogno di essere governata unitariamente, e per questo è necessario pensarla come un’entità legata da elementi comuni. La lingua è l’elemento più potente che potrebbe unire i sardi fra loro.
Non ci credete?
La Sardegna ha la necessità storica di colmare il divario infrastrutturale che la divide dalle regioni più sviluppate. Servono strade, porti, aeroporti e reti di distribuzione dell’energia e della conoscenza digitale.
Ma esistono anche le infrastrutture immateriali. La lingua sarda è la più grande e importante infrastruttura immateriale che abbiamo e che ci servirà per uscire da questa crisi di senso nella quale ci troviamo.
L’introduzione del bilinguismo in Sardegna risolverebbe a cascata tutta una serie di problemi di cui noi oggi non riusciamo a individuare neanche la causa. Come quando si ha una strana febbre e i medici si sforzano di capire da che cosa dipenda.
Il bilinguismo non sarebbe certamente la soluzione per tutti i nostri mali, ma aumenterebbe la coesione sociale, aiuterebbe i sardi ad avere maggiore coscienza di sé, collocandoli finalmente in un contesto culturale nuovo e moderno, assolutamente in linea con quella prospettiva europea nella quale tutti noi non solo vorremmo essere, ma nella quale vorremmo anche avere un ruolo da protagonisti. Invece per unire l’Italia hanno spaccato la Sardegna.
Dov’è ora la Sardegna? Cosa pensa di sé? Siamo tornati ad essere un’appendice dell’Italia, snobbati dallo Stato, senza peso demografico né economico, dunque incapaci di incidere politicamente. Ma non esiste egemonia politica senza egemonia culturale.
La Sardegna ha una sua cultura, ha una sua lingua. Il bilinguismo, più di qualunque realizzazione infrastrutturale materiale, cambierebbe il corso della nostra storia.
E dunque, siccome siamo già in piena campagna elettorale per le prossime consultazioni politiche di marzo, io la domanda la voglio porre in maniera chiara a voi, cari lettori di questo blog.
In che misura l’introduzione del bilinguismo in Sardegna (in modi e forme né traumatiche né spericolate, ma mutuate da esperienze già riuscite nel resto dell’Europa) dovrà essere uno dei punti programmatici degli schieramenti in campo? E cosa ne pensano del bilinguismo i sostenitori dei candidati alle primarie del centrosinistra che dai prossimi giorni saranno in visita in Sardegna?
Perché è evidente che il bilinguismo è anche una metafora: la soluzione dei problemi della Sardegna passa esclusivamente per la soluzione dei problemi dell’Italia, o noi veramente godiamo non a caso di uno status di regione a statuto speciale che obbliga lo stato italiano ad affrontare la “questione sarda” in modi e forme diverse?
Nichi Vendola, Matteo Renzi, Pierluigi Bersani e i loro sostenitori questo ce lo devono dire con estrema chiarezza.
Post scriptum
È evidente che se il Sardo è uno solo, non accetto provocazioni della serie “ma quale Sardo insegniamo o utilizziamo?”.
Non è possibile unire l’Ogliastrino al campidanese o al nuorese, saró ingnorante ma molti dialetti in sardegna cambiano proprio i vocaboli per indicare la stessa cosa, ci sono centinaia di prove. Per questo mi chiedo come sia possibile unire gran parte della sardegna in una cartina che indica le minoranze linguistiche e dire che si parla il sardu, lo trovo senza senso se non quello politico di cui accenni. Sarebbe come fare una cartina dei dialetti italiani e indicare mezza Italia come italiano.
ho visto la stessa cartina nello stesso ufficio, Vito. E ho avuto la stessa reazione, fortissima. Diamo una mano a Pepe.
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PS. Adesso ho capito! Da tutto il lavorio carto-toponomastico finanziato dalla Regione negli ultimi anni è nata finalmente la famosa cartina, quella mostrata dal dott. Biolchini! Mai visto un finanziamento minimax più efficace: il minimo dell’investimento col massimo del risultato. Investimento: una cartina muta e qualche pennarello, costo totale 5 euri al massimo (perché non c’è soltanto il rosso), tempo di realizzazione: 5 minuti; personale coinvolto: 1. Dimenticavo: qualche scritta che pone problemi ortografici non indifferenti, il che allunga i tempi, facciamo 10′.
La pensiamo allo stesso modo. Sai quante voltre ho provato a fare questo discorso con tanta gente che però non ha la concezione di quanto una lingua possa unire. Tra l’altro bisogna tutelare la lingua stessa e mantenerla viva perchè i ragazzi oggi sanno esprimere ben pochi concetti in sardo il resto delle parole conosciute sono intercalare e insulti.
Questo è il primo di tanti esempi di come lo stato italigano (e non me ne vogliano gli talianisti perchè c’è veramente ben poco da discutere) ha tentato di annientare culturalmente la sardegna e di come noi , i sardi, non siamo riusciti a difendere la nostra identità.
Chiunque si sia occupato di lingue, di dialettologia, di sociolinguistica, sa che la rappresentazione cartografica della variabilità linguistica è sempre approssimativa se non grossolana quando i principi differenziatori selezionati siano pochi tra gli innumerevoli possibili (e la selezione non è mai casuale anche se può essere politicamente neutra). E’ ciò che dichiara l’autore di questa cartina:
http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:Languages_spoken_in_Italy_Bis.svg&page=1
Map of the languages and dialects spoken in Italy. The map is merely an approximation of the real status, since it can’t be more precise for size and compactness of the informations presented. :It can be easily modified through a vector image editing program, I can suggest Inkscape ecc. ecc.
Dimenticavo: nella carta che troverete nel sito linkato, i colori cambiano e ricompaiono le divisioni dialettali. Indovinate da dove proviene quella carta geografica…
Ecco a cosa è servita sino a oggi la produzione di carte geografiche come quella che ci mostra Biolchini:
http://exxworks.wordpress.com/2011/05/06/carneade-o-l’atlante-toponomastico-sardo/
Ringrazio ‘Giudizio Sdentato’ (bel nome, ma le auguro una pronta guarigione psicofisica) per la segnalazione del sito ministeriale http://www.minoranze-linguistiche-scuola.it/ministero/. Non lo conoscevo. Il fatto è che da qualche tempo il Miur non gode di molta stima nella scuola, ma anche se fosse stimabile non è forse rappresentante di quel potere centralizzato italiano che tanto sdegno suscita? Ma quando fa comodo, ci si copre persino con quella foglia di fico verdolina e mal fatta (chissà cosa sono quelle macchie bianche sparse qua e la: immagino siano zone disabitate o non ancora esplorate). La coerenza anzitutto. Per non parlare del testo di accompagnamento dove si raccolgono perle rare del tipo: “In Sardegna, lingua e territorio non coincidono” — ma guarda un po’, mai vista una cosa del genere! Oppure: “L’omogeneità del sardo antico [cioè quella rappresentata nella cartine verde speranza] si perse molto presto.” Oddio, si allude per caso alla frantumazione dialettale?
G.Araolla e M.Solinas ha(nno) ragione: “calicunu est timende a pèrdere sa rèndita de positzione chi tenet” ossia, in traduzione, vuole “resistere nelle proprie posizioni e rendite”, forse in qualche calda cuccia regionale, da dove si elargiscono carotine.
Gentile Gianna Collu, “a volte la normalità è rivoluzionaria”, dunque – se ne desume- a volte non lo è, e poi cosa vuol dire normalità in questo caso. Bisogna vedere quali volte sì e quali volte no, quantitativamente e qualitativamente. Gramsci, ma ancor prima di lui Ferdinand Lassalle, diceva “dire la verità è rivoluzionario” e non a volte ma sempre. Qual è la verità a proposito della legge 26? Ma ancor prima: non si è mai vista la rappresentazione cartografica di una legge (e quella cartina non vuole rappresentare la legge, ma la diffusione ideale e in orizzontale delle varietà locali, perché verticalmente, cioè in profondità, la situazione non è rosea, anzi per niente rossa); ma la Direzione linguistica della Regione, si sa, è creativa al massimo (e poi rivoluzionaria: bandiera, cioè cartina rossa la trionferà), soprattutto nello scopiazzare modelli altrui. Quando il modello catalano non ha più funzionato, perché i valenzani si sono detti diversi, linguisticamente (v. ad esempio http://www.icpj.eu/?id=5, anno 2009-2010), allora si è adottato il modello friulano e anche adesso la Direzione è al glorioso traino del Friuli per quel che riguarda la formazione degli insegnanti di sardo; molto originale da un lato e dall’altro lato pienamente confacente alla situazione isolana! La revitalizzazione del sardo non riesce a concepirla se non per imposizione dall’alto, attraverso l’ideologia strettamente normativa, e con le premialità in danaro, cioè bastone e carota, come vuole anche il ministro Profumo, per la scuola e per tutto. Finché il danaro dura, poi resta soltanto il bastone. Tornando alla legge 26, art. 2 : si riconosce al sardo, all’algherese ecc. “pari dignità rispetto alla lingua italiana”. Dunque, sulla rossa e rivoluzionaria cartina regionale anche questo andava rappresentato, sempre che in questi casi una cartina linguistica bidimensionale possa essere utilizzata: la cartina dovrebbe essere per lo meno tridimensionale, e molto ma molto sofisticata, anche tecnicamente. Quella rozzezza cartografica è soltanto locandina propagandistica. E non c’è bisogno di argomentarlo, si capisce al volo. C’era bisogno di dire che in Sardegna c’è il sardo? Lo sanno anche i neonati. Che qualcuno, adulto, rimanga folgorato nel vedere che in Sardegna c’è il sardo! Ma il sardo e le altre varietà non devono essere viste, devono essere parlate e ascoltate.
ohi mi seu lìgiu totu custa burrumballa po mi nd’acatai a s’acabu chi tenis sa monolinguite istèrica. A ddu nai innantis fiat mellus.
No as cumprèndiu una cibudda, biu dd’as chi est sa cartina de is minorias linguìsticas?
S’esempru de is valentzianus no apoddat a perunu logu. Est una comunidadi diferenti de sa Catalunnia, o bolis nai intzandus chi sa Sardigna si depit partziri in duas, tres regionis cunforma a su dialetu sardu chi s’impreat?
Ses cunfùndiu meda, e ses intrullendi s’acua aposta comenti faint totu is italu-fueddantis monolìticus e mandronis. Ponidì s’ànima in paxi, su protzessu no dd’as a arressai tui, atura tranchillu.
Immoi mi seu arròsciu, s’ogetu si depit furriai, est custa genti chi si depit bregungiai de fueddai una lìngua sceti.
Parole vuote di chi ha sempre remato contro, da cattedre universitarie e oltre.Tutto “Para fastidiar” e resistere nelle proprie posizioni e rendite. Leggetevi questo pezzo di Gianfranco Pintore del 2008 per capire con chi abbiamo a che fare e perché.
http://www.sotziulimbasarda.net/giugno2008/parafastidiar.htm
Gei nd’as iscritu unu. de isciollòriu! Inoghe calicunu est timende a pèrdere sa rèndita de positzione chi tenet… e diat èssere s’ora puru!
“…Ma ancor prima: non si è mai vista la rappresentazione cartografica di una legge…” Infatti quella in alto a sinistra sul sito del Ministero dell’Istruzione(vedi http://www.minoranze-linguistiche-scuola.it/ministero/ ) non è la rappresentazione di una legge (rosea o rossa che sia), la 482/99 che tutela 12 minoranze linguistiche, ma la mappa delle sagre de su burricu in cassola che fanno in tutta Italia, non ti consiglio di andarci ca ti papant luego etotu
Pedagogisti come linguisti e glottologi, psicologi come psicoanalisti e perfino
psichiatri, ritengono che la presenza della lingua materna e della cultura locale nel
curriculum scolastico si configurino non come un fatto increscioso da correggere e
controllare ma come elementi indispensabili di arricchimento, di addizione e non di
sottrazione, che non ‘disturbano’ anzi favoriscono lo sviluppo comunicativo degli studenti
perché agiscono positivamente nelle psicodinamiche dello sviluppo. Ma al di là di quanto pensano tutti gli studiosi di Scienze sociali, io personalmente nella didattica, in 4° anni di insegnamento ho potuto verificare che la lingua sarda serve:
-per allargare le loro competenze degli studenti, soprattutto comunicative, di riflessione e di
confronto con altri sistemi;
– per accrescere il possesso di una strumentalità cognitiva che faciliti l’accesso ad altre
lingue;
– per prendere coscienza della propria identità etno-linguistica ed etno–storica, come
giovane e studente prima e come persona adulta e matura poi;
– per personalizzare l’esperienza scolastica, umana e civile, attraverso il recupero delle
proprie radici;
– per combattere l’insicurezza ambientale, ancorando i giovani a un humus di valori alti
della civiltà sarda: la solidarietà e il comunitarismo in primis;
– per migliorare e favorire, soprattutto a fronte del nuovo «analfabetismo di ritorno»,
vieppiù trionfante, soprattutto a livello comunicativo e lessicale, lo status linguistico. Che
oggi risulta essere, in modo particolare nei giovani e negli stessi studenti, povero, banale,
improprio, gergale.
Inoltre – premesso che la sollecitazione delle capacità linguistiche deve partire
dall’individuazione del retroterra linguistico, culturale, personale, familiare, ambientale
dell’allievo e del giovane, non per fissarlo e inchiodarlo a questo retroterra ma, al contrario,
per arricchire il suo patrimonio linguistico –, l’educazione bilingue svolge delle funzioni che
vanno al di là e al di sopra dell’insegnamento della lingua: si pone infatti anche come
strumento per iniziare a risolvere i problemi dello svantaggio culturale, dell’insuccesso
scolastico e della stessa «dispersione» e mortalità come della precaria alfabetizzazione di
gran parte della popolazione, evidente e diffusa a livello di scolarità di base ma anche
superiore. Ma lo studio della lingua sarda, va al di là di questi pur importanti obiettivi.
Lo studio e la conoscenza della lingua sarda può essere uno strumento formidabile per
l’apprendimento e l’arricchimento della stessa lingua italiana e di altre lingue, lungi infatti
dall’essere «un impaccio», «una sottrazione», sarà invece un elemento di «addizione», che
favorisce e non disturba l’apprendimento dell’intero universo culturale e lo sviluppo
intellettuale e umano complessivo. Ciò grazie anche alla fertilizzazione e contaminazione
reciproca che deriva dal confronto sistemico fra codici comunicativi delle lingue e delle
culture diverse, perché il vero bilinguismo è insieme biculturalità, e cioè immersione e
partecipazione attiva ai contesti culturali di cui sono portatrici, le due lingue e culture di
appartenenza, sarda e italiana per intanto, per poi allargarsi, sempre più inevitabilmente e
necessariamente, in una società globalizzata come la nostra, ad altre lingue e culture, europee
e mondiali. La Lingua sarda infatti in quanto concrezione storica complessa e autentica, è
simbolo di una identità etno-antropologica e sociale, espressione diretta di una comunità e di
un radicamento nella propria tradizione e nella propria cultura. Una lingua che non resta però
immobile – come del resto l’identità di un popolo – come fosse un fossile o un bronzetto
nuragico, ma si ‘costruisce’ dinamicamente nel tempo, si confronta e interagisce, entrando
nel circuito della innovazione linguistica, stabilendo rapporti di interscambio con le altre
lingue. Per questo concresce all’agglutinarsi della vita culturale e sociale. In tal modo la
lingua, non è solo mezzo di comunicazione fra individui, ma è il modo di essere e di vivere
di un popolo, il modo in cui tramanda la cultura, la storia, le tradizioni.
Al Pd e a tuta la sinistra nongliene frega niente ne del bilinguismo ne dell’identità, e questo articolo dimostra che dopo la demonizzazione dell’indipendentismo adesso c’è l’appropriazione dei contenuti, il saccheggio a mani piene da parte di chi ormai non produce più nessuna elaborazione ma vive dalla rendita del “passato glorioso”. Quando la sinistra italiana si è occupata di questioni identitarie è sempre stato per bloccare le spinte dal basso e per rubare consensi. Spero che Biolchini riesca a dimostrare il contrario. Ne sarei felice ma rimango molto scettico e mi piacerebbe vedere fatti concreti e sopratutto vederli anche quando non si è in periodo elettorale.
Ma gentile dott. Biolchini, Lei pecca quanto meno di ingenuità. Che una cartina colorata ad arte da Peppe Corongiu nel 2011, col rosso! perché cavi l’occhio, ché sembra quasi la bandiera della Cina, Lei la scambi con la realtà … E che su questa manipolazione o mistifcazione cartografica, dove di per se non c’è nulla di originale, perché si sono già viste cartine manipolate (linguistiche e non), si costruisca anche un discorso … Ma andiamo … E se l’avessero colorata diligentemente col pennarello rosso per fare vedere la quantità di chi parla italiano, cosa ne sarebbe venuto? Tutta rossa rossa, senza nessuna macchiolina di nessun altro colore. Ma siamo seri, per carità.
Dente del giudizio, lei mastica amaro. E lo capisco perchè lei è un monolinguista italianista. Non so se questa cartina l’ha fatta Corongiu o chi. Però rispecchia esattamente ciò che dice la legge regionale 26 con le lingue riconosciute da quella legge. Niente di scandaloso. Ha ragione Biolchini, a volte la normalità è rivoluzionaria. Basta avere gli occhiali giusti per guardarla e il monoitalianismo non aiuta !!!
Eppure io mi chiedo, e chiedo a voi: in Sardegna c’è una fortissima corrente di pensiero tradizionale che predica la divisione della lingua in campidanese e logudorese (a volte anche nuorese o altre parcellizzazioni). Che si deve fare? Che dobbiamo fare? E’ chiaro che si tratta di un grande errore politico che nega l’unità e la stessa esistenza della lingua sarda. Come far cambiare idea a questa gente (anche attivisti) che forse sono solo operatori in buona fede educati male dagli accademici?
Nessun linguista nega “la stessa esistenza della lingua sarda”.
A forza di voler “far cambiare idea a questa gente” (come scrivi) …….. la gente non lo parla più neppure nel proprio ambito familiare e amicale.
Sarebbe meglio porsi altre domande.
O Anonimo (ma sempere tue ses o un’àteru anonimu?) sa zente non la faveddat prus ca sos linguistas lis ant postu in conca chi su sardu istrobbat a s’aprendimentu de s’italianu. E si non l’ant fatu sos linguistas, sos linguistas sos istados mutos. E sunt abbarrados a sa muda ca sunt ignorantes o ca lis fachiat cumbenia? De seguru si sa zente non faveddat prus in sardu non est neche de sa Movimentu Linguisticu o de su Populu Sardu o de Diego Corraine, ma de chie, dae sos Annos Settanta a oje, at impediu de fachere una polìtica linguìstica seria. E chie sunt custos? Responde si l’ischis.
Nòua, Maria, no penzu de essi “s’anònimo” chi ses nendi (cali est?).
In Sardinnia sèus in “diglossia istituzionale” de sèculus e de su tempus de sa Republica, sa diglossia, est prus che a-primu. Sa neghi manna est polìtica e s’arramediu est polìticu. Tenit curpa s’academia e tenit curpa sa scola -istituzioni- (chi est italiana comenti e prus de sa academia).
Su “Movimentu linguisticu” est fendi sa politica sua ……. e podit essi criticau, fentzas in modu politicu.
Reblogged this on Fabio Argiolas.
Intrevista a Xavier Frias Conde unu linguista ispanniolu ca at istudiau sa variante de su logudoresu !!!
Custu po smuntai sa teoria ca intre unu logudoresu e unu campidanesu no b’at cumprensione
S’intrevistadore est campidanesu e su profesore arrespundet in logudoresu.
Si podet arrennescere unu ispanniolu ca at istudiau sa limba nostra de mannu , pro ita no ddu podet faghere unu sardu?
http://www.youtube.com/watch?v=cqeWSAFBzrc
bell’articolo anche se continuo a chiedermi due cose. La prima. Dove è il Popolo Sardo, perchè se è vero che è un popolo, fino ad ora si è visto poco di questa coscienza , di questa Ri.evoluzione culturale. Certamente è indubbio che in questi ultimi anni , soprattutto grazie alle politiche indipendentiste moderne ci siamo Ossigenati il cervello, ma non è abbastanza.
La seconda domanda è perchè i nostri politici sardi non hanno applicato le politiche del bilinguismo e quando le hanno applicate, lo hanno fatto spesso ad arrogus e a mussius . Bersani, Vendola, Renzi , Alfano e compagnia delle itaglie non sanno manco cosa è la Sardegna figuriamoci la nostra Lingua…Anzi, lo sanno bene cosa è la Sardegna… un bacino di “disperati” che Votano questa gente di merda perchè messi alla fame. Mi fa piacere che Vito abbia generati questa Bella discussione . Gràtzias po s’attentzioni.
La conoscenza della lingua sarda è importante per motivi di altra natura, questi automatismi sfuggono dalla realtà. Non vi è alcun nesso tra rendimento scolastico e bilinguismo, tantomeno tra bilinguismo e intelligenza. Poniamo il caso dei paesi di lingua inglese; hanno un tenore di vita nettamente superiore e ogni anno fanno incetta di premi nobel senza porsi il problema…semplicemente perché non è un problema. La matematica, ad esempio, incide maggiormente sulle capacità cognitive e non genera false aspettative…non prendiamoci in giro! La verità è che i sardi dell’interno vivono un disagio maggiore e quindi sentono la necessità di emergere laddove altre aree, meno marginali, non richiedono tale sforzo. Purtroppo, in un mondo dove non è possibile arrestare i flussi migratori è necessario convincere le masse, quelle che poi avranno un contatto diretto con tali poveracci, che tutto ciò, in un modo o nell’altro, è un bene…più che altro per mantenere un minimo di pace sociale…chiedete agli ispanoamericani.
Non vi è alcun nesso tra rendimento scolastico e bilinguismo, tantomeno tra bilinguismo e intelligenza.
Anonimo, nessuno ha mai sostenuto il nesso tra bilinguismo e intelligenza. Non truccare le carte per favore. Solo che il bilinguismo da più abilità cognitive. Questo è un modo di fare propaganda da troll di bassa lega.
O Frori! Mi che “abilità cognitive”e intelligenza est sa propriu cosa!
Non proprio…
Caspita se esitono nessi fra rendimento scolastico e bilinguismo! Non perchè lo dicano gli studiosi di scienze sociali ma perchè in ben 40 anni di insegnamento l’ho sperimentato e verificato, in modo inoppugnabile! Tanto che, se non ci fossero altre motivazioni -culturali, civili ecc:- la lingua sarda e con essa l’intero universo culturale sardo -ad iniziare dalla storia – dovrebbe essere insegnata almeno per ragioni didattiche.
Si, con il rendimento scolastico non c’è collegamento ma i dati migliori OCSE-PISA in Italia sono nelle valli ladine dove si fa tedesco, italiano e ladino. Ma è un caso, attenzione, dipende dall’aria buona che c’è da quelle parti. 🙂
È arrivato Zampanò! Questo signore/signora ispirato dallo spirito santo mette in discussione i risultati di anni di ricerca scientifica sugli effetti positivi del bilinguismo sulle capacità cogniotive degli umani. Visiitate il sito e fatevi un’idea sullo spirito santo anonimo.
http://www.bilingualism-matters.org.uk/: sorry
Il sardo è un solo. Ma al primo tavolo di impostazione didattica o divulgativa ci si scanna per le duemila micro varianti, con solito ricorso al campanile, che ciascuno ha il più bello ed è il suo. Un po’ come capita con certo indipendentismo, che fa uno 0,02% in più alle urne e subito si scinde in miliardi di sottomovimenti, Tutti asseriscono di essere l’unico buono, e per favore, niente provocazioni, E così via “a ziru”
Caro Mankallio non ci sono più le belle stagioni, i politici sono tutti ladri e il sardo è diviso. Certo, alla fiera dei luoghi comuni il tuo intervento vince il premio speciale per la banalità.
Cara Luisa. Io cito fatti, non luoghi comuni. Chiedi nei luoghi deputati a discutere come “tecnicamente” si fanno le cose (in materia di decidere quale lingua destinare al bilinguismo) oppure spiegami tu perché Irs, nato da una scissione interna, poi si scinde in ProGres che a sua volta si scinde in Fiocco Verde, senza contare gli altri movimenti. Banalità? Considerarle così peggiora soltanto le cose
Manky, francamente non ho capito la tua risposta. Boh?
Basta leggere con un minimo di attenzione. Cordialmente
Seu torrada immoi de s’Irlanda, ingunis anti fatu meda inghitzendi propriu de su concettu de “infrastruttura immateriale”, imoi tenint una economia forti ( est faula custa cosa ca est acabadu su “miracolu” irlandesu, c’esti e meda puru) . “The irish Pride” est sa prima infrastruttura immateriale e gratzias a custa anti criau unu stadu ca podit imparai a totus cumenti bessiri de custa crisi. S’autodeterminatzioni ,su concettu de “comunidadi” e politicas soberanistas funti is crais ca depeus usai po essi, finalmenti, prexiaus e aricus in domu nosta, chentz’è abetai ca calincunu benit s’agiudai, du podeus fai nosu, e lestrus puru…
…poita est sa cultura e sa cunsiéntzia sa prima liberdadi… totu inghitza de ingunis.
Vito, seu totalmente de acordiu cun tui.
L’Irlanda è in piedi perché il governo locale, con energiche dosi di denaro giunto dal governo centrale inglese, ha comprato fette intere del comparto bancario fallito un paio d’anni fa. Si chiama “pilla”; cioè infrastruttura molto materiale. Poi parliamo di tutto il resto, ma parliamone con ordine per favore, non andando a braccio in preda agli entusiasmi personali
Appunto Manky, sa pilla cun sa lingua sadra depiri abarrai inoi in Sardinnia, proriu de aici cumenti in Irlandia
No, dico: ma voi indipendentisti sapete leggere?
Gràtzias a Vito Biolchini pro nd’àere pubblicadu custu bellu interventu subra sa chistione linguìstica. Mi faghet praghere meda chi issu puru siat pro una bisione unitària de sa limba cosa nostra, e chi nd’apat postu in craru deretu chi no est prus possìbbile a atzetare sciollòrios che “ma quale sardo?”.
Pro cantu pertocat s’utilidade de sa connoschèntzia de sa limba sarda, apo lèghidu, me is cummentos de carchi bisitadore, paràulas chi iscòviant chi ddoe sunt galu dudas. Bos bògio contare, tando, de sa primu letzione de unu cursu de limba inglesa chi aia sighidu carchi annos a oe: fiat unu cursu intensivu pro megiorare sa “fluency, not accurancy”, pro dda nàrrere cun is faeddos de sa prof. Insaras, issa at cumetzadu a nos fàghere allegare, in inglesu… de is italianos, de comente arresonant, de comente bivint, de comente papant, fintzas de comente allegant. Issa a sa fine nos at ispegadu custu sceberu suo: “the best way to understand a foreign language is to start from understanding WHO YOU ARE”. Tocat de partire dae sa cumprensione de chie/comente semus, de ite bolimus nois, de comente arresonamus, pro fàghere a manera de nd’abèrrere sa mente a su mundu, e non arreare serrados in intro de is làcanas (non feti geogràficas, ma fintzas culturales) chi nos ant postu totu a inghìriu. E tando, cussa fràsia m’est abbarrada in conca: ca apo cumprèndidu ca a èssere bilingue no est isceti chistione de una fatzilidade prus manna in s’imparu de una limba istràngia (chi puru ddoe est, e est cosa de importu mannu meda) comente nos at ispiegadu Antonella Sorace. Pro sa Sardigna, e duncas pro is Sardos (totus, fintzas is chi su Sardu ancora non dd’ischint o chi dd’ant imparadu a matucheddos comente a mie), su de nde torrare a su Sardu est mescamente una manera de si abèrrere a su mundu, colende in s’àndala de sa cumprensione de nois etotu. Pro custa arresone, a pàrrere miu, su dannu chi nos ant fatu, leende·nos su deretu de nde bìdere e intèndere sa limba nostra apetotu, est mannu meda: semus a su puntu chi depimus galu cumprèndere ite bolimus e comente ddu bolimus, ma pro bona sorte nostra is cosas sunt cambiende. In mègius, megu de nai.
Sun annos chi soe cumbintu chi su nodu pius malu a isorbere siet propriu su chi narat Maria Antonietta Pirisi: ite fagher pro nos difendere da cuss’accademia italiana in sardigna sa chi est contra a sa limba a s’istoria e a s’archeologia de su populu sardu. Soe in prenu de accordu cun issa: toccat a cumintzare da incue.
Sarebbe la vera rivoluzione (ma meglio: evoluzione) culturale capace di vincere l’atavico fatalismo, a dispetto di ciò che sostengono i falsi “cittadini del mondo” attraverso la lingua sarda è possibile studiare ogni disciplina umana!
S’arrejonu est de importu mannu
Sichimus custa caminera, ca s’arrejonu est de importu mannu pro brincare lacana paris a una limba aunidora. E so cuntentu ca Vito Biolcini nos at mustratu custa carta chi achet pesare cussideros vonos. Ma su chi cheglio contare in custa occasione mi torrat in mente dae sas paraulas de Atropa Belladonna chi ammentat a Gianfranco Pintore. De custu iscrittore toccat de ne aeddare in atteras occurentzias, prus distantes dae sa partentzia sua: custas chitas sun metas caentes. E toccat chi sos sentitos si iffrischen: Ma como est zustu contare paca paraulas chi a mie paret chi sien in tema pro affortiare s’arrejonu. Leghenne pro una presentatzione mea in sa biblioteca de Tziniscole su romanzu Sa losa de Osana ( Premiu Grazia Deledda 2010) appo poitu notare sas paraulas de sa modernitate chi Gianfranco presentat in linea cun su tempus de oje. Conto custa particularitate ca no est veru chi s’iscrittura in sardu diat collire solu sas raichinas de su tempus mortu: sa limba chi impreat Gianfranco Pintore est limba de modernitate; de frequente isse ponet in pazina custa paraulas: sms, tzellulare, carculatore, telefoneddu, tzitofonu, pelliculas, telegiornale, taxi, plexiglas, carros armatos. e gai sichinne, ca s’impignu de Gianfranco Pintore non est pro una limba sarda museificata, arressa a su tempus colatu, ma, senne limba sarda intro sa modernitate, de custu nos dat contu chin sas istorias suas, sos protagonistas, sas novitates, presentannelas a chi leghet operas de litteratura. Non cheriat una limba intro unu baule, prontu a s’interru. Un’ atteru cussideru mi piaghet de presentare in custu bellu abboju de Vito Biolchini, chi torro gratzias pro su chi contat sempres chin sa ischina ritza: Gianfranco Pintore est torratu in Sardigna dae su Continente, a differentzia de chie, intellettuale, s’est imbertu pro chircare bona vortuna intro s’industria culturale oristera. Ghiratu in Sardigna Gianfranco s’est mustratu iscrittore de ispiritu, tocheddanne sos primos annos metas campanas a sas oricras de sos surdos e de sos burocrates de sos partitos mannos comente una creja. Su sardu l’at imparatu istanne in Sardigna, chircanne. istudianne, cumbintu chi sa limba sarda est su coro de su populu, galu oje brivu de soverania politica. E sos males chi notamus e leghimus die pro die lu cunfirman, ma b’est chi non si lassat intossicare. S’isperantzia est chi siemus in metas: in sas cittades e in sa biddas, presentes aunitas comente sa cartina iscobeta dae Vito Biolchini mustrat in colore ruju.
Vittorio Sella
Deus Gratzia Vito , bellu articulo de importu mannu , deo seu unu ca si poinit cada dì a istudiai sa limba mia cosa ca no apu tentu sa possibilidade de faghere a sa iscola , immoi seu provende a ligi is librus ca agatu in internet e ddus pongu in sa libreta eletronica e mi ddus ligiu cada mengianu in s’autobus andende a traballu , aici sa vida de disterrau passat prus a lestru .
Limba Sarda Limba Ufficiali
Adiosu
Quando ero alle scuole elementari (quasi 50 anni fa) la maestra derideva quelli come me che non riuscivano ad esprimersi correttamente in italiano, di conseguenza il più delle volte si preferiva stare zitti piuttosto che rischiare la presa in giro per “l’italiano porcellino”. Ho sofferto come un cane per questa cosa. Per fortuna le cose sono cambiate (non il mio italiano che è rimasto porcellino) ma il diritto al bilinguismo nasce con noi e dobbiamo appropriarcene. Un grosso contributo l’avrebbero potuto dare i romanzieri in modo da procurare testi da utilizzare nelle scuole, invece se togli i pochi audaci tipo Pintore il resto ha preferito la lingua italiana.
Lino
Vendola, Renzi e Bersani non penso siant interessados ne a sos problemas de sa Sardigna, e nemmancu a sa tutela de sa limba nostra. Issos, comente sos polìticos italianos de àteros ischieramentos, sunt petzi interessados a arregòllere votos dae nois Sardos, pro sìghere a nos leare pro macos (pro non nàrrere un’àtera paràula). Deo apo giai acabau de donare su votu a zente sìmile e a polìticos sardos chi una borta a Roma o a Bruxelles si irmèntrigant dae in ue sunt bènnidos, chi a bortas faghent finta de defensare sa Sardigna in manera demagògica, ma sas cosas non cambiant mai in mègius. Custu, pro a mie, est unu trenu chi nois Sardos non podimus pèrdere, subra de totus est pretzisu chi sas generatziones noas faeddent e defendent su sardu. Sa renàschida de sa Sardigna partit dae sa defensa de sa limba e de s’identidade nostra. E s’àtinu de s’identidade nostra est sa fortza chi nos faghet intèndere fortes e prontos pro gherrare contra totus inimigos, in intro e a foras dae Sardigna, chi sunt chircande in cale si siat manera, de nos cantzellare comente pòpulu.
A dolu mannu…
Il più grande problema che il Sardo si trascina da decenni è che non conosce le proprie radici, ripudia la propria lingua e si vergogna di ciò che è. io sono di una generazione in cui pochi lo parlano, molti non lo parlano perché è una lingua “grezza”, a scuola mi hanno fatto studiare la storia d’italia ma della sardegna mai, solo qualche accenno ad eleonora d’arborea. mia nonna e i miei mi hanno sempre parlato in italiano, il sardo solo per sgridarmi. e non sono poi così sfortunata, perché tanti delle generazioni successive non sanno neanche cosa sono i nuraghi!! oggi abito in toscana, purtroppo, ogni anno torno in sardegna e la vedo sempre più abbandonata, sempre più rassegnata, e mi dispiace di non saper parlare in sardo, mi spiace che la gente sia così presa da questioni inutili, perché anche secondo me si deve partire dal riconoscere le proprie radici ed esserne orgogliosi, perché è l’orgoglio che può darci la forza per difenderci da tutti i soprusi che arrivano dallo stato centrale. se non sappiamo chi siamo, non sappiamo neanche cosa vogliamo. se avessi avuto fin dalle scuole elementari un insegnante di sardo (non importa quale sardo) sicuramente io e tutti gli altri insieme a me oggi avremmo una diversa consapevolezza. forse siamo ancora in tempo, se il sardo e la cultura sarda entrano nelle scuole è di certo un passo avanti, perché chi crescerà, saprà qual è il suo vero dna.
Normalmente non scrivo commenti sui blog.Ma stavolta un paio di paragrafi sono di una chiarezza cristallina. Li citerò spesso.
“Dov’è ora la Sardegna? Cosa pensa di sé? Siamo tornati ad essere un’appendice dell’Italia, snobbati dallo Stato, senza peso demografico né economico, dunque incapaci di incidere politicamente. Ma non esiste egemonia politica senza egemonia culturale.
La Sardegna ha una sua cultura, ha una sua lingua. Il bilinguismo, più di qualunque realizzazione infrastrutturale materiale, cambierebbe il corso della nostra storia.”
E’ esattamente così che stanno le cose. Quanto alle polemiche “quale sardo”, frius / fritu, nuorese campidanese logudorese, basta leggere le espierienze di politica linguistica e di rivitalizzazione che si fanno in tutto il mondo (alcune delle quali ho la fortuna di conoscere da dentro, professionalmente) per capire che è un non-problema. O creato ad arte dai nemici o – semmai in buona fede – temuto e ingigantito da chi, nei fatti, è stato colonizzato culturalmente talmente bene che neanche se ne accorge più.
Bravo Zoli….
Cuccureddu, su questi problemi puoi leggere
http://bolognesu.wordpress.com/2012/10/19/mauro-maxia-versus-fiorenzo-toso-ultimo-dei-tanti-nemici-della-lingua-sarda/
E ai sardi che non parlano il sardo cosa gli facciamo? Li mandiamo in Corsica?
http://www.cuec.eu/index.php/2012/10/la-sardegna-che-non-parla-sardo/#more-1958
E’ un vecchio trucco colonialista quello di cercare di far litigare i galluresi e i tabarchini (che sono sardi a pieno titolo) con i sardi, e i sardi tra di loro. Basta non ci caschiamo più. Del resto la cartina parla chiaro. Il sardo è una lingua unita e normale, talmente normale che ha le sue minoranze interne da tutelare. Integralmente. Chi fa questo gioco è solo l’ultimo arrivato di una lunga serie di provocatori italiani pagati dagli atenei. Neanche tanto originale.
Sa limba est sa bestimenta de s’animu nostru; bi nd’ant pro cada die e bi nd’ant pro sas dies de festa. Cando sas miradas nostras giompent sas lacanas de s’isola no timemas de ammustrare dae inue benimus… est un balore in prus finas in campos inue s’inglesu comente in sa scientzia est mediu de comunicatzione. S’isforzu meu pro amore a sa gente mea :http://www.smirg.org/index.php?l=sar
Petzi pagas paràulas. Si tratat de bìdere si cherimus èssere meres o tzeracos in domo nostra. Si cherimus èssere meres, no atzetamus chi sos potentados econòmicos istràngios fatzant in Sardigna su tempus bonu o (comente oramai est sa règula) su tempus malu. Si èssere meres non atzetamus chi una limba imposta dae sos Savojas nch’isperdat una limba che a su sardu chi tenet milli annos de istòria. Si cherimus èssere tzeracos…
In su 1827 sos Sardos depiant fàghere a mancu de unu còdighe chi los aiat rapresentados pro sèculos non solu dae su puntu de bista giurìdicu ma fintzas dae cussu linguìsticu: sa Carta de Logu. Unu còdighe de leges e ordinamentos tziviles e criminale chi totu sos Sardos de sas biddas depiant osservare (Sas tzitades aiant sos istatutos issoro, semper iscritos in sardu). S’artìculu 129 s’intitulaiat “Chi sos Oficiales depiant havere a dispesas issoro sa Carta de Logu” narat: «Item ordinamus chi ciascunu Curadore siat tenudu de havere a dispesas suas sa Carta de Logu cun sa quale issu, ed issos Jurados e Juygantes si pozzant plenariamente informare quando esserent assos bisongios…». Custu cheret nàrrere chi in cada bidda esistiat unu còdighe giurìdicu pretzisu pro totus e iscritu in sardu, su sardu istatuale de totus.
Su còdighe de Càralu Felitze, naradu fintzas còdighe Felitzianu, aiat fatu fora sa Carta de Logu dae sas domos de sos Sardos e cun issa s’istitutzionalizatzione de sa limba sarda. Dae cussu mamentu su sardu non fiat prus limba ufitziale. Sas bisentas polìticas chi nos ant giutu a sas dies nostras ant fatu su restu. Oe nois amus una Carta de Logu, s’Istatutu Regionale sardu de su 1948, chi non nos rapresentat prus. Non nos rapresentat comente còdighe del leges, ca su raportu cun s’Istadu depet èssere mudadu a favore de un’autonomia prus manna pro sa Sardigna, e non nos rapresentat galu prus comente còdighe linguìsticu, ca est iscritu in italianu e non tenet perunu artìculu chi interessat sa limba e sa cultura sarda.
Forsis pagos ischint chi custu istiu intre sos referendum chi amus votadu bi nd’aiat unu chi dimandaiat de pòdere torrare a iscrìere s’Istatutu Regionale nou. Pro tantu non nos depimus fàghere fuire custa ocasione istòrica e depimus nois Sardos torrare a iscrìere sas règulas chi nos faghet intèndere orgolliosos de èssere parte de custu pòpulu. Amus una limba e una cultura millenària chi non podimus lassare in sas manos de àteros, ca est sa nostra. In custos ùrtimos annos semus resèssidos a torrare a iscrìere sas normas pro una Limba Sarda Comuna, como custas normas las depimus iscrìere in sa Carta fundamentale de sa Sardigna.
Pro custu depimus èssere nois ebbia a torrare a iscrìere sas normas de cumbivèntzia tziviele. Tando ebbia, cando amus a èssere prontos a presentare su còdighe de sas leges nostras in Parlamentu, amus a pòdere preguntare a Renzi, Vèndola Bersani o a cale si siat àteru polìticu ite nde pensat de sas normas chi amus iscritu e si sunt de acordu a las cundivìdere cun nois in Parlamentu. Tando ebbia amus a ischire si Bersani o chie si siat est amigu o inimigu de su pòpulu sardu. Tando ebbia amus a detzìdere chie istrangiare e chie iscatzare. Tando ebbia…
Bèrtulu Porcheddu
Est pròpiu gasi, sa limba aunit totu sos sardos e los faghet sardos. In cale si siat terra de cunchista sa prima cosa chi est atacada est sa limba locale. Cun su bilinguismu sardu-italianu e cun s’istùdiu de sas àteras limbas istràngias nois sos sardos arriscamus de èssere puru prus intelligentes! Ma custu fortzis a medas no andat bene.
Questo discorso delle piccole differenze o delle differenze sfumature non mi ha mai convinto. Perché se anche uno pronuncia l’inglese in vari modi, lo scrive comunque in un unico modo. Se in italiano la frase: “mario ha aperto la porta” è corretta. Non mi sembra corretta la variante: ha aprito, ha apreto, ha aperito etc.. o mi sbaglio? Anche se il significato può essere in qualche modo comprensibile, sappiamo tutti quale sia la forma esatta. Ma se per indicare il freddo alcuni dicono “friusu” e atri “frittu” non diciamo che parliano di una lingua comune, ma di varianti locali o dialettali.
Son d’accordissimo sul discorso fatto, invece, dalla signora Muggianu.
Quindi Paulsc se qualcuno dice cefalo e l’altro muggine, o seggiola o sedia, o ciuco o asino, l’italiano comune non esiste. Bravo, te ne intendi si vede.
…Caro Vito, il tuo articolo mi ricorda tanto quelle fiammate di orgoglio tanto frequenti nella storia di Sardegna, che appunto non durano mai abbastanza. Questi lampi di amor patrio isolano emergono sempre in periodi di crisi, e questo lo è sicuramente, come reazione alla frustrazione nel vedere l’ isola arrancare. Ma non credo sia questa la strada. Nelle regioni di altri Stati europei dove l’insegnamento della seconda lingua, quella locale, è praticato, le cose non vanno poi così bene, basti pensare alla tanto acclamata Catalogna, che per uscire dalla crisi è andata col cappello in mano a Madrid. Quindi l’equazione non torna. I problemi isolani restano tali sia che li si discuta in Sardo sia che li si discuta in Italiano, lingua che ci consente di parlare sia tra noi sardi, diciamolo pure, e con altri 60 milioni di nostri connazionali, dai picchi nevosi delle alpi alle più sperdute contrade siciliane.Insegnamolo il sardo nelle scuole, certo,non perchè è la lingua che usano i sardi, ma perchè è quella che invece non usano più, sotituita dal più pragmatico italiano.Il sardo si usa ormai solo per rafforzare qualche battuta, per parlare magari con qualche anziano, sarebbe un peccato perderne totalmente l’uso. Quindi insegnamolo, ma non illudetevi che sia la panacea di tutti i mali dell’isola. L’Italia è anche Sardegna, e solo risolvendo anche i problemi Nazionali, si risolvono anche i problemi Isolani.
Riccardo, questa solfa la sentiamo da 150 anni, dai…e basta. Di che cosa hai paura? E sulla Catalogna sei male informato proprio perchè leggi solo giornali e siti in italiano.
Diat chèrrere a dainnantis a cumprèndere bene chin bene ghite cheret nàrrere vostè chin sa paràula “natzionale”.
Po mene , ma petzis po esèmpiu, sone naztionales sos problemas de sa terra mia :Sa Sardinna! Chin amistade.
Si, ma dove si vuole andare se la Regione stanzia solo un milione di euro per la politica linguistica? L’ufficio regionale ha dimostrato di essere molto fantasioso e creativo in questi anni (anche la cartina lo dimostra), ma per fare una politica linguistica seria bisogna uscire dalla piccole provocazioni o dalle semplici iniziative mediatiche.
“non esiste egemonia politica senza egemonia culturale”: vero. Come è altrettanto vero che le emergenze percepite in questo momento dai più non sono di tipo culturale, semmai brutalmente materiale. Temo che la necessità del pane soffochi la giusta attenzione verso le “rose”, cioè verso la lingua sarda e una politica di bilinguismo che senz’altro sarebbe opportuna, ma che non mi trova d’accordo sulla definizione di “più importante infrastruttura immateriale”. La caratteristica più importante che abbiamo, e che ci rende unici, è quella che temerariamente si definisce “identità”, composta di vari elementi, e che nel nostro caso mi sembra “oltrepassare” la questione della lingua. Altrimenti cosa ne facciamo di tutti coloro che per motivi vari non parlano correntemente il sardo? sono, siamo “meno sardi”? Certamente l’insegnamento precoce a scuola sarebbe un’ottima cosa, perlomeno colmerebbe la lacuna non altrimenti superabile di chi, non parlandolo, non può trasmetterlo ai figli (ho delle forti perplessità sull’insegnamento della lingua agli adulti).
Sono d’accordo sull’importanza della lingua: più di altre cose, ha una fortissima valenza politica. Ma insieme – o prima, anche- di questa battaglia dovremmo forse preoccuparci degli altri elementi che costituiscono la nostra identità di sardi: il senso di appartenenza, di coesione e non di divisione, la consapevolezza dei nostri limiti e delle potenzialità della nostra terra, la necessità di proteggerne l’ambiente, un modello di sviluppo economico piuttosto che un altro, ecc.
Regina, sei a un passo dal capire ma ti fa difetto ciò che ti hanno raccontato all’università. E purtroppo ci credi ancora.
Caro Vito,
sono perfettamente d’accordo sul fatto che la lingua sia elemento determinante nel creare coesione sociale e culturale in un popolo. Tuttavia, con riferimento alla cartina che hai allegato all’articolo, ho qualche difficoltà a riconoscerne l’esattezza. Tu sai che ho una buona conoscenza del campidanese in quanto sono di madrelingua sarda (ho imparato a parlare in sardo, mentre l’italiano l’ho imparato a partire dalle elementari): ebbene, secondo la mia esperienza personale non riconosco l’esattezza della cartina della lingua sarda. Se infatti la ritengo giusta per quanto riguarda la parte occidentale dell’isola, non ritengo sia così per la parte orientale. Quando parlo con un nuorese o un ogliastrino non riesco a capirli, se non a costo di sforzi che mi tolgono il piacere della discussione. L’esperienza riportata da Parodi riflette la situazione reale, ed in caso di adozione del bilinguismo, che ritengo auspicabile, sarà meglio che di questa situazione si dovrà tener conto.
Sei sicuro di essere madre lingua? Io penso di no.
Cosa ti fa pensare che non lo sia? Non lasciarti ingannare dal cognome.
Paolo, Mi paret punta a susu chi unu chi ischit bene su sardu suo non cumprendat cussu de un’àteru. Est unu prezudissiu.
Quello di Vito è un paradigm shift, quello che in tanti abbiamo vissuto, ed è anche qualcosa che libera dalla sensazione che “non ci sia niente da fare” mai, e che dobbiamo accettare la nostra marginalità a sicut erat e no torra mai.
A mio modo di vedere non bisogna confondere unitarietà di una lingua, o sistema linguistico, con l’intercomprensione. E soprattutto non bisogna pensare che si tratti di fenomeni quasi-naturali. Bolognesi, e altri, ci spiegano che all’80% il sardo funziona in modo uguale, ma che spesso esistono fenomeni fonetici (di pronuncia) che, soprattutto in mancanza di abitudine all’ascolto di alte pronuncie, ci rendono per un attimo poco comprensibili gli altri modi di parlare in sardo (vedi esempio di Parodi, molto veritiero, io stesso di fronte a uno di Ollolai che aspira l’aspirabile mi perdo). Ma anche un britannico, arrivato in Louisiana, per un attimo scantona per gli stessi motivi. Si consideri che ormai nello spazio pubblico non lo si parla più, soprattutto nelle città, e che non siamo quasi mai esposti al suo ascolto, toutes variantes confondues. Questo non toglie che c’è da sperare che accada.
In ogni caso, vi prego ancora una volta di guardarvi i dati della ricerca sociolinguistica “Le lingue dei sardi” [www.regione.sardegna.it/documenti/1_4_20070510134456.pdf] prima di ripetere ancora una volta, per la miliardesima volta, che ai sardi non gliene frega nulla e dovremmo imparare l’inglese. No, prima dobbiamo essere competenti del nostro modo di parlare, e anche coscienti della nostra lingua, altrimenti le altre lingue non si imparano. Ponei menti a mimi, che ne ho imparate tante, conoscere il sardo fin da bambino (non in famiglia, ma nell’ambiente di paese in cui ho passato l’infanzia), avere dunque una testa naturalmente portata alla duplicità (e+) dei codici e delle lingue, mi ha aiutato un casino, come ben sa chi promuove il bilinguismo nei bambini.
Non che mi importi granchè di cosa pensano Vendola, Bersani e Renzi, però sono d’accordo con Biolchini sul fatto che si dovrebbero pronunciare in merito all’argomento. I loro sostenitori dovrebbero metterli con le spalle al muro, se a qualcuno di loro importa della questione linguistica sarda.
I leader non conoscono il problema? Che si informino. Non gliene potrebbe fregare di meno? Se fossi nei panni dei loro sostenitori e a me importasse mi regolerei di conseguenza.
Per tanti anni abbiamo accettato supinamente la (mancata) politica linguistica fatta dalle classi dirigenti di turno. Ora abbiamo capito che la politica linguistica ce la possiamo fare noi.
Siamo in tanti, ci crediamo e lavoriamo sodo per una causa comune. Io credo che ai politici converrebbe porsi seriamente il problema.
………………………… è evidente che il bilinguismo è anche una metafora: la soluzione dei problemi della Sardegna passa esclusivamente per la soluzione dei problemi dell’Italia, o noi veramente godiamo non a caso di uno status di regione a statuto speciale che obbliga lo stato italiano ad affrontare la “questione sarda” in modi e forme diverse
alla nostra isola serve lo studio delle lingue, dell’informatica, della medicina, dell’architettura… di tutte quelle discipline che consentirebbero ai nostri giovani -e non solo- di fare il salto di qualità.
gentile vbiolch, quello che lei sostiene è condivisibile ma a mio parere non attuabile. viviamo in un mondo reale dove le priorità, volenti o nolenti, sono ben altre. meglio imparare l’inglese, il mondo non è solo la sardegna
Caro Bastian, la Sardegna da quando è italiana è fuori dal mondo, come l’Italia. Va bene l’inglese, ma anche il sardo. IL mondo non è solo l’Italia e fuori dall’Italia l’italiano non serve a nulla.
Ma l’inglese si studia già, anche se nessuno l’impara. E i risultati dell’ingnoranza della propria lingua e cultura da parte dei Sardi sono sotto gli occhi di tutti. Il fatto che Bastán non lo veda la dice lunga su di lui.
Perché non si chiede ai sardi che lingua vogliono avere, oltre l’italiano? Vi sembra un’operazione democratica questa?
Perchè prima di chiederglielo, bisogna dare ai sardi una cultura, la loro cultura. Solamente allora avranno le carte in regola per poter votare democraticamente. Daresti il diritto di voto a un dodicenne?
Ecco, i sardi ora sono tutti come dei dodicenni: sostituiamo tutta la falsa retorica di cui è impregnata la scuola italiana con un racconto equilibrato della storia, anche e soprattutto della nostra, poi votiamo.
Beata ignoranza! Esiste la ricerca sociolinguistica coordinata da Anna Oppo e la ricerca delle università di Edinburgh e di Cagliari sull’identità. vada a vedersele.
Cara Silvia, tutte le inchieste sociolinguistiche degli ultimi anni sembrerebbero dimostrare un grande favore popolare verso il bilinguismo. E’ antidemocratico che le élite sarde non abbiano dato risposta a questa richiesta che viene dal basso.
Ciao, credo non sia una provocazione chiedersi quale sardo insegnare e sopratutto : CHI lo dovrebbe insegnare? Io provengo da un piccolo centro del nuorese e ho sempre parlato in sardo, sono molto orgogliosa di questo e spero di trasmetterlo ai miei figli se mai ne avro’, ma non mi piacerebbe proprio sentirli parlare ne gallurese ne campidanese,, Gia’ il mio sardo e’ diverso da quello di mia nonna, i miei fratelli non si possono sentire per come lo rovinano, nei paesi piu’ vicini si usano parole ed espressioni completamente completamente diverse: come si puo’ dire che si puo’ insegnare? Sarebbe comunque una forzatura e non avrebbe senso. io penso sia giusto continuare a parlare sardo ma non vedo possibilita di attuazione pratica di questo disegno..Attualmente vivo nell’isola di Minorca e qui si parla e si insegna nelle scuole sia catalano che castigliano. Tuttavia la gente del posto parla anche Minorchino che e’ ancora diverso ma non si insegna da nessuna parte se non nelle famiglie. Questo processo avviene da tempo immemorabile.. Io penso che per il sardo sia un po troppo tardi ma sono comunque curiosa di sapere come lo risolvi tu questo prolema.. Secondo me nell’articolo non e’ per niente chiaro e poi per quanto riguarda Vendola e compagnia cantante: cosa vuoi che capiscano? Non sanno neanche dove sono messi per tutto il resto figuariamoci se sono capaci d cogliere le sfumature di una lingua cosi’ complessa!
Maria Antonietta Muggianu
Cara Maria Antonietta Muggianu, ciò che bisogna portare nelle scuole è un codice scritto di sardo standardizzato esattamente come nelle Baleari si porta un catalano standardizzato. Ciò non avviene da tempo immemorabile, ma dalla fine del franchismo, cioè avantiieri. Domani possimao farlo anche noi continuando a parlare ognuno i suoi dialetti, ma ho anche capito che tu ai tuoi figli parli in italiano e questo non va bene. Li stati privando di un’oppurtunita per la vita.
Sa lingua est su strumentu prus potenti in su donai a una comunidadi sa cuscientzia de essiri comunidadi. Ddu scint beni is populus europeus chi ant gherrau po sa soberania. Totus, mancu unu escludiu, ant cumentzau de sa lingua su percursu insoru concas a s’indipendentzia. E giustamenti. Po custa arrexoni, is politicus italianus timint una politica linguistica seria: iat a bolli nai ca seus cumentzendi a pigai in is manus su destinu nostru. Unu bilinguismu folkloristicu e strecosciau nci podit passai puru, unu seriu no. Is spagnolus ant nau pag’ora: “Est curpa de su bilinguismu chi sa Catalunya oi pretendit s’indipendentzia”. Fortzis tenint arrexoni. Unu fueddu feti no mi torrat, deu iapessi nau: “Est meritu de sa lingua”.
Caro Vito,
il tuo articolo sull’unificazione linguistica della Sardegna mi ha colto di sorpresa, e mi ha indotto ad andare con la memoria ad un’esperienza molto tormentata da me vissuta nel lontano 1979, quando con il Teatro di Sardegna misi in scena un adattamento del “Fuenteovejuna” di Lope De Vega. Per l’occasione avevo commissionato al linguista Leonardo Sole di Sassari la traduzione in lingua sarda dei dialoghi dei “popolani” di quell’immaginario paesino ribattezzato, per l’occasione, “Funtanaruja”. Ebbene, Sole scelse il “logudorese”, spiegandomi che secondo la tradizione in Sardegna questa variante era considerata espressione della lingua “colta”, usata in poesia e nella narrativa. Lo spettacolo fu presentato un pò dovunque nell’isola, eppure in occasione delle repliche nel Campidano questa scelta fu considerata da molti spettatori (ed anche da qualche critico) provocatoria e di difficile comprensione nel centro-sud della Sardegna, aprendo un dibattito molto acceso (con punte anche molto violente) su quale dovesse essere considerata la variante unificatrice della lingua sarda. Allora fu per me molto difficile affrontare queste forme di contestazione, essendomi io, “istrangiu”, affidato completamente alla sapienza linguistica di Sole. Secondo il tuo articolo, invece, questo problema non esiste più. Puoi aiutarmi a capire che cosa è successo nel frattempo?
Marco Parodi
Mi permetto di anticipare una possibile risposta. Ciò che forse è cambiato nel frattempo è la l’approccio della linguistica nei confronti della lingua sarda: si tendono ora a superare i vecchi dogmi wagneriani, forse figli di una certa ideologia che teorizzava una presunta purezza linguistica circoscritta che ne caratterizzasse qualitativamente anche l’etnia.
Ciò che non è cambiato è la lingua sarda, che è sempre una, articolata nella sua ricchezza lessicale e nelle sue sfumature fonetiche che poggiano su una sostanziale omogeneità grammaticale e sintattica (e in grandissima parte anche lessicale). Ancora, ciò che è cambiato è l’approccio politico al tema: l’oggetto oggi ha capito il gioco del divide et impera, aspetta solo che la rivolta venga appoggiata, o meglio condotta da una classe politica che non sia interessata a manetere lo status quo, come quella attuale. Il contenuto del bicchiere è sempre lo stesso, ovvero quasi pieno, nonostante i miopi che lo vedono mezzo vuoto.
Caro Parodi, sono successe tre cose.
1) abbiamo imparato a non ascoltare gli accademici in fatto di lingua perché non ne capiscono un’acca
2) abbiamo capito la differenza tra codice scritto e pronuncia che vale per molte lingue europee e mondiali, ma non per l’italiano
3) abbiamo cominciato faticosamente a costruire il codice scritto unitario
Ripeti l’esperimento scrivendo un’opera teatrale in un unico sardo, ma facendo recitare gli attori ognuno nel suo dialetto naturale possibilmente di zone diverse
Sono convinto che funzionerà, oggi.
Una lingua non è tale se non viene codificata. Bisonerebbe allora distinguere tra lingua parlata e lingua scritta. Perché se due persone di paesi confinanti utilizzano due vocaboli differenti per esprimere lo stesso concetto, è inutile parlare di lingua. Se per definire un maschio di giovane età uso la parola boy o garçon, sto utilizzando la stessa lingua? Non mi pare. L’esempio più calzante è la lingua cinese. Il cinese scritto è codificato e studiato in quanto tale, mentre il cinese parlato cambia da regione a regione e si evolve come un dialetto. Tanto è vero che cinesi di regioni diverse non si capiscono e per intrattenere affari hanno bisogno di documenti scritti. Per cui bisogna trovare un accordo su quale “forma di sardo” bisogna codificare come lingua scritta e lasciare che la “parlata” faccia il suo corso. Forse, così, potremmo essere presi sul serio.
L’accordo c’è. Lo ha proposto la Regione nel 2006. Criticabile ed emendabile finché si vuole, ma la strada è quella. Fare due codici significherebbe negare l’unità della lingua, la lingua stessa. Ecco la perdita di senso.
Caspita, un bell’esempio in grande scala (geografica e ancor più demografica)!
….. “pitzocu” e “piciocu” non mi paiono troppo distanti linguisticamente per non riconoscerne l’appartenenza alla medesima lingua; “pitzocu” e “boy” mi parint fueddus de duas limbas mancu sorris.
Ajò, in Sardegna la difficoltà è anzitutto politica e culturale. Sa limba est fentzas ‘lingua’ (in Campidanu) e in antis de totu tocat a torrai a chistionai in sadru, ca fueddendi fueddendi (e lezendi su chi est zai iscritu) sèus imparendi.
A parte la ricchezza espressiva che non è poi così tanta da necessitare una severa codificazione (eccezion fatta anzitutto per le specie botaniche e meno per gli animali), il sardo ha regole comuni e una buona comunanza di vocaboli da secoli (magari andrebbero riscoperti perché in molte parlate ormai in disuso).
Bellu artìculu! Si torrat a bogare a campu (ca est semper mègius a l’ammentare, bidu chi calicunu a bortas si nde ismenticat) s’unidade de sa Sardigna, de sa cultura e de sa gente a incumentzare dae s’unidade de sa limba. Vito, ais resone: s’importu culturale mannu de cussa cartina est sa de mustrare sa Sardigna paramiche. Su commentu chi at fatu @aladywriting “La frammentazione della terra e della lingua sono la stessa cosa e non giocano mai a favore di chi sta sulla terra e parla la lingua” dat s’idea de su su traballu culturale/coloniale chi ant fatu e chi galu sunt faghende unas cantas de pessones, ca lis torrat a contu a nos bìdere e a nos mantènnere partzidos. Pro mèdiu de sa limba podet arribare sa libertade nostra: sa libertade culturale e mentale.
E su bilinguismu/plurilinguismu est su mèdiu pro abèrrere sa mente de sos giòvanos nostros, ca lis faghet brincare sas làcanas de unu provintzialismu chi nos ant impònnidu o chi fortzis nos semus fatos impònnere.
No isco ite nde pensant Renzi, Bersani e Vendola de su bilinguismu e de sa limba sarda e a manera sintzera mancu mi nde afutit: credo chi su chi pertocat de prus sos sardos est su chi nde pensant issos etotu, s’importu chi daent a sa chistione. In sos ùrtimos deghe annos cosas medas sunt mudadas, in mègius, ma su caminu de fàghere est galu longu. @Bolognesi fintzas inoghe narat chi “Tocat a si ponni a fueddai in sardu cun totus e in donnia logu!”: est beru e cando amus incomintzare a bìdere cadaunu de nois e fintzas sos polìticos sardos chi lu faghent, sena nos ispantare, at a èssere su momentu chi su sardu est intrende a beru in sos sentidos e in sas intragnas.
Cun amistade
Mah. Permettimi di essere molto scettico e poco convinto, di fondo, dell’utilità, in questo momento storico e con questa congiuntura economica, dell’insegnamento della lingua sarda.
Quello che servirebbe, in my humble opinion, alla nostra isola è lo studio delle lingue, dell’informatica, della medicina, dell’architettura… di tutte quelle discipline che consentirebbero ai nostri giovani -e non solo- di fare il salto di qualità.
Unu disoccupau chi chistionada in sardu, aparrada unu disoccupau.
Signor Manca, a parte che si tratta di un diritto, ma è proprio perché siamo in una fase di stagnazione economica che abbiamo ancor più bisogno di esercitare quel diritto. Osservi il potere che esercita la minoranza altoatesina rispetto a quella Sarda: http://www.sanatzione.eu/2012/10/barzelletta-o-realta-ecco-le-differenze-fra-i-politici-sardi-e-quelli-altoatesini/
Caro Manca di Nissa, tutte le cose che hai elencato in Sardegna si insegnao già. E lo spascio è sotto g;li occhi di tutti. Quello che non si insegna è il sardo. E lo sfascio è sotto gli occhi di tutti. Unu disocupau est disocupau mancai fueddit in italianu sceti. I suoi sono i discorsi vecchi e interessati di una classe dirigente fallimentare che ci ha promesso la luna in cambio della rinuncia al sardo. Ma ormai non vi crediamo più!
Sai che penso Robè su questo punto? Che ci sia più conformismo e disinformazione fra i Sardi e non altro. E credo anche che la responsabilità dell’assenza di consapevolezza fra l’esercizio del diritto e il potere che ne deriva in termini politici sia una mancanza a cui il nazionalismo Sardo non ha saputo e voluto porre rimedio. infatti la maggior parte degli indipendentisti attuali non ha la lingua fra i pilastri della sua azione politica.
E’ forse il principale ritardo del nazionalismo Sardo rispetto a quello di tante altre minoranze senza Stato.
Aggiungo, da cosa nasce, anche in termini di diritto, il particolare trattamento riservato nella Costituzione Italiana alle province autonome di Trento e Bolzano? Non certo dall’aria fresca, quello che gli indipendentisti non comprendono (e che avrebbero dovuto trasmettere anche alle altre forze politiche) è che la specialità si fonda proprio nell’alterità linguistica e culturale, e non nell’economicismo fine a se stesso. Casomai è proprio l’economia che verrebbe influenzata dall’esercizio e dal potenziamento della specialità.
Vorrei che Gianfranco Pintore avesse potuto leggere questo articolo, di cui a mio parere il fulcro è questo paragrafo “Dov’è ora la Sardegna? Cosa pensa di sé? [..]
La Sardegna ha una sua cultura, ha una sua lingua. Il bilinguismo, più di qualunque realizzazione infrastrutturale materiale, cambierebbe il corso della nostra storia.” Ricordo che gli dicevo “Come siete fortunati ad avere una lingua! ” e questo da una parte gli faceva piacere, dall’ altra lo amareggiava, perchè sapeva quanto si potesse fare di più per utilizzarla. Conosceva molto bene l’ effetto collante psicologico della lingua e della cultura, ed era ben conscio delle sue ripercussioni sociali. Uno dei punti è: la gente lo vuole? dove il bilinguismo c’è -su strade, musei, documenti, scuole-è anche perchè la gente lo ha voluto.
Bellu abberu custu post o Vito! Imbetzes cussa politica chi has tzitadu sa risposta l’hat dada da ora; peruna politica est pius istatale italiana e tzentralista de cussa: sa pius nemiga de sa sardigna. Cussa de siguru est pro su “status quo” e pro su piano sulcis, a che fuliare a su entu su inari pubblicu e a approendare sos solitos.
E dopo aver stigmatizzato le “eterodirezioni”…TORNA A VENDOLA_RENZI-BERSANI?¿?¿?¿??¿¿¿???¿??????
MACHISSENEFREGA!!!! Se (davvero) vogliamo il bilinguismo glielo imponiamo, se non ci interessa a noi…figurati a loro.
Io avrei una proposta provocatoria e non nazionalista: togliamo dalle università sarde tutti quei professoroni sardi (ma italofoni) che ci hanno sempre raccontato della divisione del sardo e della Sardegna fino a farcela introiettare. Mettiamoci professori americani, hawaiani, baschi, gallesi, scozzesi o catalani. Gente che conosce il mondo e le lingue. In questo modo noi sardi, con la nostra lingua, entreremo nel mondo.
Io sono d’accordissimo con questa proposta, Maria Antonietta. Trovo che non ci siano persone che apprezzano una delle ricchezze della Sardegna come può essere la lingua, quanto le persone che vengano da fuori. I punti su cui i partiti indipendentisti catalani basano le loro tesi sono lingua e fisco. Prova a toccare la lingua ai catalani, vuoi vedere che non reagiscono come noi sardi, che ci sentiamo grezzi a parlare il sardo? Andiamo a vedere cosa sta facendo Mario Satta, sindaco indipendentista di Perfugas, per il bilinguismo. Andiamo a vedere l’amministrazione indipendentista di Bauladu con Davide Corriga (sindaco indipendentista di 27 anni!) che sta decidendo di introdurre il sardo dalle elementari.
Checché ne dicano gli italianisti, c’è bisogno di un'”educazione alla sardità” per riprenderci la Sardegna, per riprendere fiducia in ciò che abbiamo, imparare a conoscerlo e farci delle idee su come rendere queste risorse risorse economiche.
Qui specifico meglio cosa intendo: http://inlibertade.blogspot.it/2011/06/mancata-educazione-alla-sardita-come.html
Maria Antonietta, Blasco Ferrer fiat catalanu e at fatu prus dannu de sos àteros fortzende sa chistione de logudoresu e campidanesu. Totu andat bene, ma sena dogmas. Si sos sardos fiant Bolognesi, Mongile e Corraine andaiant bene, mi.
Mmmmmm mumble mumble… Se bilinguismo significa due lingue, la più (finora) bistrattata delle quali inserita pienamente nella scuola, nei percorsi formativi e in quelli comunicativi ufficiali (istituzioni, mass media, amministrazioni pubbliche), chi ce lo dice che la seconda debba per forza essere l’italiano? Se vogliamo essere nazione indipendente anche questo lo dovremmo scegliere noi (abbiamo usato come lingua ufficiale statale, non nazionale, per più tempo lo spagnolo che non l’italiano).
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Bellu artìculu de a beru Vito! Naramus semper chi tocat a cambiare sa conca de sa gente si nde cherimus essire a foras de sos problemas de sa Sardigna. A connòschere duas o prus limbas est una manera de cambiare sa conca e sa cultura de sa gente: mancari non bastat, ma est una modu bellu pro incomintzare…
su bilinguismu e giustu chi bengada imperau finzas po is piccioccheddus mei is scollas desinuncas cun s’andazzu de is tempus modernus medas fueddus beinti perdius e cambiaus cun cancu fueddu italianizzau e cussu no anda bei e donniunu chistionidi in sa varianti sua aicci eus a fai u bellu movimentu de postusu de trabballu meis is truttura pubblicasa.
umpera su sardu alfabetu
http://www.youtube.com/watch?v=Hxlw_csrZro
Bella, bellissima riflessione, Vito. E’ successo che qualche anno fa ho mi sono resa conto di non essere in grado di trasmettere questo bene prezioso ai miei figli. Cresciuta in una Cagliari dove parlare il sardo era sinonimo dispregiativo di “biddunculo”, mi sono ritrovata a capire il sardo ma non a saperlo parlare. Da dove cominciare? Dal linguaggio universale, quello della musica e del ballo tondo. Quello dei baddadoris de prazza, a s’antiga. E in questa forma di condivisione, nel giro di pochissimo tempo, sono venuta a contatto con persone di varia provenienza, che sanno parlare il sardo e lo conservano orgogliosamente: non è poi così difficile capirsi e penso che alla fine, nonostante le varianti, quello che scrivi possa essere vero. E per esempio, giocare a cantare una canzone di Rossella Faa coi bambini e sorridere delle varianti della sua parlata di Masullas, non ci impedisce di capire il significato del contesto…
Su ki serbit immoe est a legher is sardu. Tenimus prus de 200 romanzos in sardu e medas sunt bellos de a derus: literadura ebbía. S’unica literadura sarda. Leghende unu s’acostumat a un’imperu de su sardu prus cumplessu e podet imparare faeddos noos. E imparat ki su sardu non est una limba ruza ki serbit sceti pro contare barzelletas e pro faeddare male.
Gratzias meda!
vito, mai un tuo articolo, seppur meritevoli i tantii altri, e’ stato cosi chiaro e preciso (in una parola…giornalistico? di questi tempi come sai…è raro…) x cui mi fa piacere confermare! anche se, su Fb , x vie affettive tue, traverse, sono incappato in una giovane nuorese che, ahimè, proprio xke giovane, ha significativamente dato il suo pensiero contrario e cmq anagrafico sulla questione. Giuro, mi son difeso, a spada tratta, ma zero, alla fine, per dipserazione, ho iniziato a scrivere in nuorese skietto, e solo, e ripeto solo a quel punto, ha capito, si è rilassata ed è andata, con salutini vari 🙂
ke poi…chi ha esperienza di figli.. gli sara capitato…quando crescono…di dover cmq comunicare con il coniuge di cose X ke il bimbo/a nn deve capire…..x cui…spesso i dialoghi tra genitori sono avvenuti in sardo!!e questo è fantastico se ci pensate ma, dura poco xke, se lo indirizzate bene..,nel giro di poki mesi,…capirà anche il sardo xfettamente e, quindi senza magari esserne coscienti, avete cretao un indiividuo bilingue! x cui ovvio ke appena arriva a scuola e ha apprrocci con l’nglese… tutto gli sara piu facile…;) xke e’ gia abituato mentalmente a tradurre!!!
Sono genovese, ma devo avere nel mio patrimonio genetico qualcosa di sardo, perchè la cultura della vostra Isola suscita in me rispetto e interesse. Ho però una nipotina, figlia di un sardo dimentico delle sue radici; lei, che ha solo otto anni, ha saputo di questa sua origine e da quel momento ne vuole sapere di più. Tengo gli occhi sulla vostra Isola anche per lei, per insegnarle a farlo da sola appena potrà. Avevo anch’io l’idea di una notevole frammentazione linguistica. Mi interesso alla limba sarda per insegnare alla mia nipotina della sua esistenza e importanza; la cartina che Lei ha pubblicato, così uniforme nel colore, isole linguistiche a parte, mi ha fatto pensare che la mia idea di lingua sarda somigliava all’aspetto del territorio sardo dopo la legge sabauda delle chiudende. La frammentazione della terra e della lingua sono la stessa cosa e non giocano mai a favore di chi sta sulla terra e parla la lingua. Il bilinguismo in Sardegna, a mio modestissimo parere, è sacrosanto. Parlerò di questo alla mia nipotina. Grazie, soprattutto da parte sua.
«Post scriptum
È evidente che se il Sardo è uno solo, non accetto provocazioni della serie “ma quale Sardo insegniamo o utilizziamo?”».
Il sardo è uno, nel senso che il sardo è una lingua che ci accomuna, ma i linguisti (e i politici che hanno commissionato loro gli studi) hanno fatto de “sa limba” -proprio per l’utilizzo- più una questione di divisione che un fatto di comunanza.
La pretesa è stata di voler fare prima la lingua (che invece già esiste), perfetta ed estranea, e poi i parlanti!
Cosa vuoi che dicano i politici italiani se non che si persevera nell’italico percorso (ottocentesco, appunto!)?
Anonimo, le lingua colte non sono un fatto naturale. Da qualcosa si deve pur cominciare. Guarda che gli stati e le lingue funzionano ancora come nell’Ottocento. Guarda la cartina dell’Europa e quali lingue vengono insegnate. Non ripetere quello che dicono allo sfinimento gli accademici sarditalioti. Ragiona con il tuo cervello. Che cosa proponi tu?
Non saprei bene cosa dicano gli accademici sardo-italioti, scusa tanto, Marco. Solitamente ragiono col mio cervello e altrettanto spero di te, pure quando leggi o ascolti gli accademici sardi (in lingua italica).
Le lingue colte sono un fatto storico e non ho affermato che siano un fatto meramente naturale (quando mai?). Dubito, invece, che gli Stati e le lingue funzionino ancora come nell’Ottocento (la convinzione è tutta tua), ma in Sardegna si vorrebbe che così fosse.
Cosa propongo, mi chiedi? …… che si favorisca l’uso della lingua, semplicemente, come primo fatto. Le modalità sono più d’una e tra di esse complementari, compresa l’adozione delle varianti storiche ‘normalizzate’ ciascuna secondo comuni regole ortografiche.
Capisco che le due varianti storiche non possano esser considerate in una visione ottocentesca, imperiosa e fuori dai tempo presente, che sinora non ha portato certo giovamento ai parlanti e ai possibili parlanti il sardo.
Ma che cosa vuol dire varianti storiche? Ma si è mai parlato delle varianti dell’italiano o di altre lingue? Le varianti sono dialetti forzati dai linguisti italiani per bloccare l’unificazione del sardo. La linguistica dell’Ottocento la fai tu ancora con le cazzate di Spano e Porru. Siamo oltre il Duemila aggiornati.
Astiosetto, Marco?
Ho usato proprio il termine “varianti storiche” non a caso.
Credo che un aggiornamento, anzitutto statistico, occorra a te; magari ti occorre anche una ripassatina alla socio linguistica e qualche considerazione di più per la presente situazione sarda (chiedo scusa qualora fossi un ‘sociolinguista’, però ostinato a negare il presente).
A me e ad altri non interessa, al momento, la LINGUA UFFICIALE, monocodice, standardizzata, accademica, burocratica, forzosa. Chiaramente non mi interessa la situazione così com’è. Non dimentichiamo l’assunto politico dell’articolo di Vito.
Tu e chi la pensa come te avete un preciso obiettivo che nel breve periodo e nel precedente passato ha soltanto creato una disaffezione per la lingua sarda e il fallimento della politica linguistica giacobinisticamente propugnata.
Lassa perdi s’academia e bessi de ‘omu!
” TOMA LA CALLE! ”
P.S.
Si attendono commenti politici, magari anche di colui che ha scritto l’articolo.
Caro Anonimo, @ o ite ti narant, a mie mi paret imbetzes chi cussa polìtica at dadu resurtados mannos in su cambiamentu de comente sa gente la pensat. Ses tue chi non ti nde seras. Torro a nàrrere, ma proite non si faeddat mai de “variantes” pro àteras limbas? Petzi pro su sardu eja?
Posto il sistema x (quale?) ciò che è dissimile da x è una variante.
A me pare che tutte le lingue naturali abbiano delle varianti in tal senso, meglio denominate ‘variazioni linguistiche’, no?
Nel nostro caso specifico, invece, NON facendo riferimento a una lingua UFFICIALE, con “varianti storiche” indichiamo dei sistemi linguistici non del tutto coincidenti (anch’essi con le proprie ‘variazioni’ interne).
Mica vogliamo metterci a discorrere di occitano e “langue d’oïl oppure di alto e basso tedesco? Qual’è, in definitiva, il nostro scopo …… e quale l’azione precipua?
Torno a scrivere, in un modo che mi pare chiaro, di non condividere -oggi e nel passato recente- le politiche linguistiche propugnate ……. i cui risultati soddisfacenti sono soltanto, al più, nella fantasia di coloro che hanno sostenuto tali politiche. Al massimo si sono istruiti, con abbastanza difficoltà, alcune decine di burocrati e un centinaio di insegnanti.
Mi dispiace, pur pensando che si sia fatto anche del buon lavoro.
La mia divergenza è politica.
Vito, est craru chi Bersani, Vendola e Renzi non ddi pentzant nudda de sa limba sarda, fortzis non ischint nemmancu chi b’est…
Sa cosa lègia est ca fintzas su PD, de SEL, etc. “sardos” non ddi pentzant nudda, che pro issos sunt partidos polìticos italianos in totu.
Duncas s’unica manera pro fàghere su bilinguismu sùbitu est a si pònnere nois sardos a ddu fàghere, sena de pensare o isperare chi siat calicunu polìticu italianu chi si dd’at a donare, ca tantis non at a acuntèssere mai…
Sa primu cosa de fàghere est un’iscola sarda, chie est disponìbile a pònnere fìgios suos in un’iscola trilìngue sardu, inglesu e cun 3 oras de italianu a sa chida?
Se ne è già parlato in altre occasioni, e sono pienamente su questa linea. Però è chiaro che se si parla di “bilinguismo” non si può pensare solo ad avere i nomi delle vie in Sardo, come in Catalano a Barcellona, o a divulgare qualche commedia in “limba” in più. Con la gradualità necessaria, il bilinguismo dovrà essere globale ed investire ogni aspetto delle istituzioni e della società sarda. ALMENO secondo il modello altoatesino.
Zunkbuster, questo si che è parlare…sottoscrivo
Non ho capito come il bilinguismo può farci diventare moderni. (A parte il riconoscimento ufficiale), Il fatto del bilinguismo potrebbe farci avere dei sostegni economici da parte dello stato italiano o cosa? Dopotutto, visto il periodo critico che tutti stiamo attraversando credo nella totale indipendenza del territorio sardo. Se il bilinguismo potrebbe aiutare questa grande lotta ben venga! comunque secondo me è solo contorno, noi abbiamo bisogno di persone con le palle che abbiano voglia di affrontare un vero cambiamento, che ci aiutino e ci guidino per raggiungere un obiettivo. Che venga ottenuta carta bianca e che vengano poste delle basi solide e delle leggi reali che riguardano solo la Sardegna. una volta che abbiamo questo potremmo parlare di bilinguismo o unica lingua e mettere leggi a favore. Ma per adesso che nicki vendola o chicchessia dica qualche cosa non mi riguarda visto che nessuno mai ci ha degnato di considerazione. La regione Puglia ha avuto nicki vendola e ha fatto migliorare la situazione e si batte per i pugliesi, noi per adesso siamo tutti col culo per terra! e non veniamo interpellati per nessuna cosa. la cosa più brutta è che noi sardi, noi popolo che soffriamo ogni giorno, siamo rimasti sempre in silenzio!
Anonimo siamo col culo per terra per un problema di mancato autoriconoscimento culturale. Da li bisogna partire.
Complimenti per l’articolo,finalmente,avevo proprio bisogno di leggere argomentazioni a favore della lingua sarda,bravo Vito.
femu acanta de scriri 2 rigas in favori mannu de su chi hat scritu Vito, has fatu prima, o “s’omònimu”; mellus aici 🙂
ita depeus fai? inghitzai nosus, donniunu, a umperai su sardu in donnia logu
e totus imparis? una grandu batalla longa, puru cun festas, manifestadas, a pitzus de su bilinguismu. Diaderus, perou. Imoi, no crasi
Cussu est, o su Dotori! Tocat a si ponni a fueddai in sardu cun totus e in donnia logu!
Stiamo freschi: http://www.sanatzione.eu/2012/10/barzelletta-o-realta-ecco-le-differenze-fra-i-politici-sardi-e-quelli-altoatesini/
Cunsideros de importu mannu pro sa Limba, chi a pustis de milli cuntierras sena cabu ne coa, chi balent petzi a nos partzire, apostivigant una veridade manna: s’unidade de su pòpulu Sardu est totu a unu cun s’unidade linguistica. Una Gente una Limba, Sardos e Sardu, amus a nàrrere. Est de importu a bi crèdere nois in antis de totu e de chircare de propònnere custas ideas finas in foras de sa terra nostra.Su Sardu , una Limba chi si podet e si depet impreare in onni àmbitu de sa vida e de sa cultura, una limba fitiana e una limba de literadura o de giornalismu, ma semper sa matessi Limba, sa nostra.