L’avvocato Martino Sechi, che ringrazio sentitamente, ha inviato al blog questa interessante ricostruzione della vicenda che riguarda le province sarde, con particolare riferimento a quella di Nuoro. Quattro (le più recenti) furono abolite ben dodici anni fa ma nel gorgo di nuove leggi, ricorsi e contoricorsi la questione però poi si è ingarbugliata, fino a riguardare anche le province storiche e le Aree metropolitane di Cagliari e Sassari. Fatto sta che entro il 30 giugno di quest’anno si dovrebbero tenere le nuove elezioni provinciali. Ma i candidati non hanno nulla da dire a riguardo?
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Il referendum del 6 maggio 2012, in occasione del quale il 97 per cento dei votanti (circa 525 mila) si era espresso con effetto vincolante per l’abolizione delle quattro province nate nel 2001 (Medio Campidano, Carbonia-Iglesias, Olbia-Tempio e Ogliastra), ha costituito il culmine del sentimento di insofferenza popolare nei confronti della moltiplicazione degli enti pubblici, perseguita a stagioni alterne dalla politica (non solo) regionale.
Il successo del referendum è stato accompagnato da autorevoli dubbi sulla sua legittimità. La giunta regionale, allora presieduta da Ugo Cappellacci, ne ha dovuto comunque prendere atto, dichiarando abrogata, tra le altre, la legge regionale n. 9/2001, che per l’appunto aveva istituito le nuove province.
Per garantire la continuità delle funzioni amministrative, il Consiglio regionale aveva stabilito che «gli organi provinciali in carica assumono in via provvisoria, e sino al 30 giugno 2013, la gestione delle funzioni amministrative attribuite alle otto province che saranno soppresse all’esito dei referendum svoltisi il 6 maggio 2012» (art. 1 della legge regionale n. 11/2012).
In seguito la legge regionale n. 15/2013, con riferimento alle quattro province “storiche”, aveva prorogato in extremis (la pubblicazione della legge nel bollettino regionale è del 1° luglio 2013) la durata degli organi in carica, fino alla futura approvazione di una legge di riforma organica dell’ordinamento degli enti locali.
A dicembre 2013 il presidente della Provincia di Nuoro Roberto Deriu, pur non dimettendosi, ha lasciato la guida dell’amministrazione all’assessore della sua giunta Costantino Tidu, nominandolo vicepresidente. Deriu è stato poi eletto in consiglio regionale, e il consiglio provinciale ne ha dichiarato la decadenza per incompatibilità dalla carica di presidente della Provincia con delibera n. 9 dell’11 aprile 2014. La Regione ha quindi disposto lo scioglimento del consiglio provinciale, ma consiglio e giunta, guidata dal vicepresidente, sono rimasti in carica fino alle prossime elezioni.
Sempre a dicembre del 2013 il Tar della Sardegna, chiamato a giudicare di un ricorso che riguardava la Provincia di Cagliari, aveva dubitato della legittimità costituzionale di quest’ultima disposizione, che di fatto attribuiva agli organi provinciali dei poteri di gestione ordinaria senza un termine preciso e “affidabile” di durata dell’incarico. Tuttavia la Corte Costituzionale, investita della questione, non è arrivata a decidere perché nelle more è stata promulgata la legge regionale 4 febbraio 2016 n. 2, ed ha quindi restituito gli atti al tribunale (Corte Costituzionale n. 164/2016). Per effetto della legge di riforma, la Provincia di Nuoro ha anzitutto visto modificata la sua estensione, perché alcuni comuni (tra i quali Bosa il più popoloso) sono passati alla Provincia di Oristano, mentre Budoni e San Teodoro sono entrati a far parte della Provincia di Sassari. Per quanto riguarda la struttura amministrativa, gli organi della Provincia sono il presidente e il consiglio provinciale.
A differenza di quanto previsto (a seguito della cosiddetta riforma Delrio) per le province delle regioni a statuto ordinario, non c’è un organo corrispondente all’assemblea dei sindaci; il presidente può assegnare deleghe ai consiglieri provinciali, mentre non viene espressamente menzionata la possibilità di individuare un vicepresidente.
La Provincia di Nuoro, che secondo i dati riportati sul sito web conta 211.989 abitanti, dovrebbe avere un consiglio composto da dieci membri, oltre il presidente. Sono eleggibili alla carica di presidente i sindaci dei comuni ricompresi nel territorio provinciale; sia i sindaci che i consiglieri comunali possono essere eletti al consiglio provinciale. Sindaci e consiglieri comunali sono anche elettori, secondo un indice di ponderazione per fasce demografiche. Si tratta quindi di un’elezione di secondo grado.
Prima però della pubblicazione della legge di riforma del 2016, gli organi di governo delle province erano stati nuovamente presi in considerazione dal legislatore regionale con la legge n. 7 del 2015, che ha previsto la nomina, per ciascuna provincia, di un amministratore straordinario fino al 31 dicembre 2015, qualora in una data compresa tra il 16 marzo 2015 e il 15 giugno 2015 si fosse verificata la scadenza naturale o altri casi di cessazione anticipata del mandato degli organi provinciali.
La legge regionale n. 35/2015 ha poi prorogato i poteri degli amministratori fino alle successive elezioni del presidente della provincia. Come amministratore straordinario è stata nominata dalla Regione a giugno 2015 Sabina Bullitta. Dopo l’entrata in vigore della legge n. 2/2016, l’incarico è stato affidato ad Alessandra Pistis, che si è dimessa per incompatibilità ad ottobre dello stesso anno. In suo luogo è stata nominata Maria Cristina Madeddu. Anche lei ha però lasciato l’incarico dopo soli due mesi, per cui la giunta Pigliaru ha infine nominato amministratore straordinario Costantino Tidu (dicembre 2016).
Il termine per lo svolgimento delle elezioni, che secondo la legge di riforma dovevano tenersi non oltre il 15 dicembre 2016, è stato prorogato una prima volta con legge regionale n. 29/2016. Nel 2018 è intervenuta la legge regionale n. 5 del 2018, che, annunciando l’indizione delle elezioni dei presidenti delle province e dei consigli provinciali entro il 15 ottobre 2018, ha previsto nel contempo che gli amministratori straordinari rimanessero in carica fino all’insediamento dei nuovi organi. Il termine per l’indizione delle elezioni è stato quindi prorogato al 31 dicembre 2018 con la legge regionale n. 39/2018 (pubblicata a fine settembre).
Nel 2019 il Consiglio regionale è intervenuto ancora, stabilendo che «Nelle more di una riforma organica del sistema delle autonomie locali della Sardegna, gli amministratori straordinari delle province, in deroga al disposto di cui alla legge regionale 4 febbraio 2016, n. 2 (Riordino del sistema delle autonomie locali della Sardegna), decadono con la nomina dei nuovi amministratori straordinari, secondo quanto stabilito dal presente articolo. Entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale, con propria deliberazione, su proposta dell’Assessore regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica, nomina gli amministratori straordinari delle Province di Sassari, Nuoro, Oristano e del Sud Sardegna, i quali restano in carica fino all’insediamento degli organi provinciali che devono essere eletti entro il 1° luglio 2020. Agli amministratori straordinari sono attribuiti i poteri previsti dall’ordinamento in capo al Presidente della provincia, alla Giunta e al Consiglio provinciale, ai sensi della legge regionale n. 2 del 2016» (legge regionale n. 18/2019).
Questa legge è stata impugnata davanti alla Corte Costituzionale dal governo italiano (Conte II), secondo cui il continuo rinvio delle elezioni provinciali e le conseguenti proroghe dei commissariamenti delle province violano tra l’altro i principi di democraticità di cui all’art. 1 della Costituzione, e pregiudicano l’autonomia e la rappresentatività degli enti locali.
Per un marchiano errore però il ricorso presentato dall’Avvocatura di Stato era stato notificato alla Regione (via posta) all’indirizzo sbagliato, cioè in via dei Giornalisti n. 6, anziché in via Trento. La Corte Costituzionale perciò non ha potuto far altro che dichiararlo inammissibile (sentenza n. 47/2022).
La proroga successiva è legata al sopravvenire della pandemia da Covid-19, che ha imposto il rinvio delle elezioni comunali (da tenersi tra il 24 ottobre e il 29 novembre 2020) e, di conseguenza, di quelle provinciali (posticipate ad una data compresa tra il novantesimo ed il centocinquesimo giorno dalla data del primo turno delle comunali) (legge regionale n. 13/2020).
La Regione, con decreto del Presidente n. 83 del 28 agosto 2020, ha finalmente indetto le elezioni provinciali per il giorno 30 gennaio 2021. Ma quando mancavano pochi giorni ha deciso di rinviare ancora, giustificando la scelta sia con l’esigenza di attendere l’approvazione di una nuova legge sulle province allora all’esame del consiglio regionale, sia con l’opportunità di evitare assembramenti (deliberazione di giunta n. 1/19 dell’8-1-2021).
Effettivamente il Consiglio ha poi approvato, ad aprile, la legge regionale n. 7/2021, che ridisegna l’assetto delineato dalla legge n. 2/2016 provvedendo all’istituzione della Città metropolitana di Sassari, alla modifica della circoscrizione territoriale della Città metropolitana di Cagliari, alla istituzione delle Province del Nord-Est Sardegna, dell’Ogliastra, del Sulcis Iglesiente e del Medio Campidano, alla modifica della circoscrizione territoriale della Provincia di Nuoro, e, infine, alla soppressione delle Province di Sassari e del Sud Sardegna.
Anche questa legge è stata impugnata dallo Stato italiano (governo Draghi), e in particolare è stato sospettato di illegittimità costituzionale l’art. 6, che, secondo quanto scritto in ricorso, viola l’art. 43 dello statuto sardo laddove non prevede che la modifica delle circoscrizioni provinciali passi per un referendum con esito vincolante. Infatti, nella legge si prevede che i comuni interessati manifestino la loro volontà attraverso una delibera del consiglio comunale presa all’unanimità; solo se non c’è l’unanimità, o comunque se lo richiede un terzo degli elettori del comune, viene indetto un referendum che tuttavia viene espressamente definito “consultivo”, dunque non vincolante.
Anche questo ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale, questa volta a causa di errori nella formulazione della questione di legittimità: secondo i giudici della Consulta l’Avvocatura di Stato ha sbagliato ad impugnare unicamente l’art. 6 della legge (quello cioè che disciplina le forme di consultazione popolare), e non invece l’intera legge regionale, perché se anche venisse annullato l’art. 6, il resto della legge n. 7 del 2021 resterebbe complessivamente in vigore, e con essa le variazioni territoriali così stabilite.
Dice la sentenza (n. 68/2022) che «anzi, il risultato finale cui l’accoglimento del ricorso condurrebbe sarebbe, paradossalmente, l’espunzione totale o parziale, dalla legge regionale stessa, delle procedure dirette ad assicurare, comunque sia, la possibilità di un accertamento della volontà delle popolazioni interessate dalle variazioni in discussione».
Naturalmente la pronuncia è stata strumentalizzata dalla giunta Solinas, che ha avuto gioco facile a sostenere che si sarebbe così certificato «che il Consiglio regionale ha pieno diritto di legiferare nelle materie di sua competenza, senza indebite interferenze dello Stato», e che «Il pronunciamento rafforza la convinzione sulla bontà del percorso intrapreso dalla Giunta regionale» (secondo le parole del presidente Solinas riportate dalla stampa).
Evidentemente non è così, la Corte Costituzionale non ha detto niente di tutto ciò, ma per la propaganda politica questo poco importa. E poco importa anche che nel 2012 ci sia stato un referendum.
Nel frattempo è inutilmente scaduto il termine, fissato dalla stessa legge n. 7/2021 al 31 dicembre 2021, per lo svolgimento delle elezioni provinciali e per la durata in carica degli amministratori straordinari. L’ultimo capitolo, per ora, è costituito dall’approvazione della legge regionale 23 ottobre 2023 n. 9, che modificando la legge n. 7/2021 ha indicato un nuovo termine per le elezioni provinciali, che dovrebbero tenersi entro il 30 giugno 2024. Il condizionale è d’obbligo, anche e soprattutto perché a febbraio ci saranno le elezioni regionali, con possibili mutamenti della cornice politica regionale.
Ulteriore elemento di incertezza è dato dal fatto che il consiglio dei ministri il 19 dicembre ha deliberato di impugnare davanti alla Corte Costituzionale la legge regionale n. 9/2023. Ad oggi il ricorso non è stato ancora pubblicato in Gazzetta ufficiale, perciò non si conosce il contenuto delle censure di incostituzionalità avanzate dal governo.
Il tema non è per ora al centro del dibattito pre-elettorale, forse anche perché sulla reintroduzione delle “vecchie” nuove province il consenso in consiglio regionale è stato condiviso anche da esponenti della minoranza, specie da quelli provenienti dai territori delle province abolite nel 2012 (è interessante leggere il verbale della seduta del consiglio regionale del 9 marzo 2021, dove si discuteva della futura legge n. 7/2021). Curioso che nel 2012 anche il consenso sul referendum abrogativo fosse trasversale, potendo contare su convinti sostenitori come Ugo Cappellacci e Renato Soru.
Meno note sono le proposte attuali in merito alle funzioni e alle risorse delle province, chissà se l’argomento verrà affrontato nella campagna elettorale. Per ora non resta che aspettare, ma del resto ad aspettare ci siamo ormai abituati.
Martino Sechi
In realtà la classe politica sarda, compresi molti di coloro che nel 2012 si batterono strenuamente per l’abolizione di tutte le province perché, allora, faceva demagogicamente comodo, sarebbe favorevole al ripristino delle antiche province come erano prima della riforma Del Rio. Quei posti fanno gola a un ceto politico di sottogoverno, specie di sinistra ma non solo, che quando i partiti di riferimento sono all’opposizione galleggiano sull’orlo della sopravvivenza.
Solo che c’è un piccolo impedimento: la riforma Del Rio è una riforma fondamentale della Repubblica, e per tornare all’antico bisognerebbe abolirla. Chissà se la Meloni intende porre mano anche lì …
In realtà diversi esponenti, da Soru stesso a candidati della Todde, hanno parlato di una volontà di un “federalismo interno”. Ciò pone la base per discutere per forza di cose anche delle Province o comunque della nuova (?) suddivisione della Sardegna. Nello specifico però non hanno ancora espresso progetti chiari, se non quello di dare maggiori poteri ai comuni. Di sicuro, parere personale, quel referendum a posteriori fece più danni che altro e forse le Province in sè non sono il male assoluto come vennero dipinte, anche perchè volenti o nolenti puoi cancellare un confine politico ma i servizi vanno gestiti lo stesso, la gente non scompare. Gli elettori dovrebbero essere i primi ad ammettere che quel referendum fu un fallimento per la nostra società.
Ringrazio per l’interessante spunto e riassunto. Come spesso accade, c’è il rischio di buttare via il bambino con l’acqua sporca: noi Sardi abbiamo il dovere, oltre che il diritto, di (ri)organizzare in modo intelligente le nostre Regioni storiche e relativa rappresentanza. Abbiamo una corposa letteratura a disposizione di questa giusta ambizione. Occorrerebbe dunque mandare in soffitta l’approccio dei fu 5stelle: le cosiddette Province (termine da superare, come sopra) possono ancora svolgere un lavoro utile pro sa Sardinnia -, e così sarebbe qualora formassimo una nuova classe avente maggiore cura dei territori, della nostra Storia e ricchezza linguistico-culturale, del nostro paesaggio e patrimonio archeologico. Al fine di av-vi-ci-na-re le popolazioni, facendone un argine contro le speculazioni energetiche e immobiliari in primis. Il tutto, rifuggendo da un becero gerrymandering e ponendo fine alla cosiddetta elezione indiretta -altro schiaffo in faccia inferto alla democrazia sarda-. Ci sarebbe da tornarci su, cosa che mi auguro vivamente.