Gianni Marilotti oggi è conosciuto soprattutto per la sua attività di scrittore (premio Calvino nel 2003, oggi in libreria con “Delitto alla Cattolica”), ma io non dimentico la sua lunga militanza politica, sempre a favore (come si diceva una volta, e come forse dovremmo riprendere a dire) delle “classi subalterne”. Questa riflessione non l’ha in realtà inviata a questo blog ma al sito Democrazia Oggi che nei giorni scorsi ha pubblicato il mio intervento “Autodeterminazione, diritti, sostenibilità: alla Sardegna serve un nuovo soggetto politico”, (interessanti i commenti che ne sono seguiti). Mi permetto dunque di rilanciarla, ringraziandolo per il contributo e promettendo di alimentarlo fra qualche giorno con una nuova riflessione.
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La proposta di Sardegna Sostenibile e Sovrana, esposta con chiarezza in questo blog da Vito Biolchini, merita di essere presa in seria considerazione. Non la considero una novità in assoluto, ma una riproposizione di un discorso unitario spento tre anni fa dall’irrompere sulla scena politica della candidatura di Michela Murgia.
Da allora sono successe alcune cose che è bene esaminare con cura. In primo luogo lo scioglimento di Sardegna Possibile, unica, vera novità nell’esangue panorama politico sardo e insieme a questo la disarticolazione di quella fittizia unità di tre liste elettorali tenute insieme dalla candidata comune.
Ho difficoltà a comprendere perché ciò sia avvenuto, ma è successo. Azzardo che forse, ingenuamente, qualcuno aveva pensato di vincere questa sfida impari e ha ritenuto il risultato elettorale, ma ancor più gli esiti di una legge elettorale truffaldina, deludenti. La conseguenza è stata che anziché aggredire i nodi di fondo che bloccano la crescita democratica della Sardegna, vale a dire – come ha giustamente osservato in un commento Tonino Dessì – il sistema della rappresentanza e il rapporto Regione-cittadini, le tre liste, pur forti del 10% dei consensi, hanno preferito litigare fra loro con reciproche accuse. Il tutto è molto triste.
Le altre formazioni dell’area indipendentista-sovranista hanno seguito la strada dell’alleanza col centrosinistra nell’illusione di poterne condizionare le scelte politiche, facendo le “mosche cocchiere” e finendo per essere risucchiati nel sistema oligarchico-consociativo (sono sempre espressioni di Dessì) a direzione Pd.
Nel frattempo, incredibilmente ma non tanto, l’idea indipendentista-sovranista non è andata in vacanza, è perfino cresciuta a livello sociale. Sono nate nuove associazioni, magari settoriali, che però mettono al centro della loro azione il tema della piena sovranità dei sardi nella gestione della propria terra. Come ciò sia stato possibile ha diverse spiegazioni: lo svuotamento e l’omologazione del Pd sardo al partito di Renzi ha accentuato il vulnus tra elettori ed eletti del centrosinistra; mentre l’idea di una Sardegna sovrana è cresciuta fino a diventare questione dirimente; il Partito dei Sardi, con la sua presenza nelle istituzioni, ha tenuta accesa la fiammella dell’indipendenza, barcamenandosi tra una funzione di lotta e di governo, ma è arrivata l’ora che si smarchi da questo abbraccio infruttuoso per i sardi.
Mi ostino a non ritenere le riflessioni di Vito Biolchini, Andrea Pubusa, Tonino Dessì, ma anche il percorso politico del Partito dei Sardi, tra loro incompatibili. Non so se sia il frutto di un mio fraintendimento, o di un bisogno di trovare dei punti di riflessione non banali in un panorama politico caratterizzato dal nulla o quasi.
Certo, vi sono in quelle riflessioni differenti premesse, accentuazioni a volte polemiche, credo frutto di esperienze politiche o professionali diverse, ma che, se la ragione non mi difetta, non configurano inconciliabilità di valutazioni, semmai arricchiscono gli ambiti di discussione. Mi riferisco, ad esempio, a cosa sia in gioco nelle prossime elezioni regionali del 2019: la costruzione, sotto il profilo progettuale ed organizzativo, del “quarto polo” indipendentista-sovranista per Vito Biolchini; il cappottamento del sistema oligarchico-consociativo che sta permanentemente soffocando la Sardegna, per Tonino Dessì.
Non sono differenze da poco, almeno all’apparenza. Entrambi vedono la Sardegna rispecchiarsi in un sistema quadripolare, confuso ma progettabile per Biolchini, confuso e irriformabile per Dessì; entrambi danno per scontato ciò che scontato non è: ovvero che i Cinque Stelle configurino un polo stabile e duraturo (evidentemente il terzo polo) e non un’onda elettorale alquanto effimera e priva di un radicamento sociale.
Il centrosinistra ha indubbiamente un suo radicamento storico sia nel tessuto amministrativo sia economico, sia nei gangli fondamentali del potere politico-finanziario; così il centrodestra con i suoi consolidati interessi economici, speculativi, finanziari e le posizioni dominanti nel campo dell’informazione. E’ polo, almeno potenzialmente, l’area autonomistico-indipendentistica-sovranista che, perlomeno da dieci anni viaggia intorno ad un 15-20% dei consensi elettorali, ma che è divisa, litigiosa, finora inconcludente.
Come detto, i pentastellati in Sardegna non costituiscono affatto uno schieramento stabile e capace di rovesciare il sistema oligarchico-consociativo che sta permanentemente soffocando l’Isola. Né i Cinque stelle hanno alcun radicamento sociale o una proposta culturale specificamente sarda. È un elettorato etereo, che segue le imprese e le esternazioni del leader, con una forte carica critica (soprattutto nei confronti del Pd) ma che è destinato a disperdersi col mutare delle condizioni politiche. È successo anche nel passato che questi flussi elettorali abbiano premiato la protesta – per rimanere negli ultimi quarant’anni – di partiti come quello Radicale, i referendari di Segni, l’Italia dei Valori e da ultimo, appunto, il Movimento Cinque Stelle, tutti privi di un radicamento sociale.
Si tratta di un fenomeno, non so se solo italiano, ma che da noi ha ritmo intermittente che qualcuno ha già definito “il partito dei voti in prestito” dati a quei leader che di volta in volta sembrano incarnare istanze di cambiamento, per poi tornare disponibili ad altre proposte politiche o confluire nell’astensionismo.
Biolchini pone con chiarezza due questioni fondamentali di fronte a quello che lui chiama “quarto polo” ma che per me è il “terzo polo indipendentista-sovranista”: il progetto e l’organizzazione. Concordo pienamente, con la precisazione che le due questioni sono strettamente legate.
Perché l’organizzazione non si riduca ad un listone che sia un’accozzaglia di ex o di improbabili personaggi desiderosi di occupare spazi politici, occorre precisare il progetto e mettere a punto le straordinarie novità di cui esso è portatore.
Premesso che non è in gioco la rinuncia alla Carta Costituzionale che garantisce a tutti una libertà accettabile, come chiede Andrea Pubusa che guarda al progetto di Biolchini con curiosità ma con un certo malcelato, ancorché comprensibile, scetticismo, provo a riassumere ciò che è ampiamente presente nel dibattito di quest’area politica.
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Io credo, in molti lo credono, che l’indipendentismo non deve essere un movimento di protesta, ma di proposta. Non è una ricetta consolatoria dei momenti di crisi, non è una fuga nel ribellismo e nel nulla. L’indipendentismo di cui stiamo parlando nasce da una concreta riflessione sulla nostra storia, da un’analisi del contesto internazionale del quale facciamo parte e dalla consapevolezza che un modello di sviluppo quale abbiamo conosciuto finora non solo non garantisce più i livelli di benessere (per un terzo dell’umanità) ma non è più proponibile su scala planetaria.
L’indipendentismo di cui stiamo parlando è pienamente inserito nel dibattito mondiale sulla transizione da un sistema economico fondato sulle energie non rinnovabili ad un modello basato su quelle rinnovabili e pulite; sulla transizione dalla dittatura dei mercati (particolarmente finanziari) e dell’economia sui bisogni dei popoli e delle comunità a una società internazionale che rimetta la politica e quindi i bisogni dei cittadini, la salvaguardia dell’ambiente, la qualità della vita intesa come produzione di socialità, al centro del proprio agire; l’indipendentismo prende atto che pensare all’autosufficienza alimentare non è più un’eresia ma una concreta necessità; l’indipendentismo pensa che le ideologie dello sviluppo ci porteranno al disastro planetario ampiamente annunciato e che invece siano concretamente praticabili le teorie sulla decrescita felice.
L’indipendentismo pensa che su tutte queste questioni non possiamo assistere impotenti “perché sono cose più grandi di noi” ma che nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa e che per fare questo qualcosa dobbiamo iniziare a praticare quote crescenti di sovranità. L’indipendentismo non come fuga nell’utopia o nello sterile ribellismo, ma come concreto programma di operatività sui trasporti, sull’energia, sul paesaggio, sull’agricoltura, sulla istruzione, sulla ricerca.
Che l’aspirazione all’’indipendenza sia un’ipotesi legittima è dentro la tradizione democratica alla quale ci ispiriamo. Un popolo ha diritto alla sua libertà e se questa viene costantemente negata non rimane altra strada che la ridefinizione del patto costituente. Si dice che l’aspirazione all’indipendenza sia un retaggio del passato, che nell’era della globalizzazione è fuorviante ed antistorico chiudersi nel proprio particolare. La storia ci dice il contrario. Ci dice che a partire dal 1948 sono sorti (e sono stati riconosciuti dagli organismi internazionali) un numero considerevolmente maggiore di Stati rispetto al periodo storico della nascita degli Stati nazionali. E non mi riferisco solo al processo di decolonizzazione dell’Africa o dell’Asia, ma agli ultimi trent’anni, nell’Europa dell’Est, nei Balcani, in Africa, per non parlare dei processi in corso (Belgio, Scozia, Spagna o il Saharawi e il Sud-Sudan).
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Dunque il nostro è pienamente il tempo in cui molti popoli stanno concretamente e democraticamente percorrendo la strada dell’autodeterminazione e della sovranità. Ma è conveniente per i sardi? Nessuno ha la bacchetta magica. Credo si possa rispondere ragionevolmente in modo affermativo tenendo conto che peggio di come stiamo messi ora non è possibile; e non è un ripiegarsi su sé stessi, visto che continueremo a fare parte di quelle istituzioni entro le quali ci troviamo ora, Unione Europea e istituzioni euro mediterranee in primis.
Dovrà essere una sovranità assoluta? Io credo di no. Credo che il principio di sovranità inteso in senso assoluto secondo la formula “superiorem non recognoscens” non sia più valido da lungo tempo, da quando gli Stati hanno rinunciato al proprio potere esclusivo cedendo quote della propria sovranità a vantaggio di istituzioni internazionali che meglio possono operare sulle grandi questioni del nostro tempo.
Far parte dell’Unione Europea comporta vantaggi e limiti, opportunità e vincoli per Stati grandi e piccoli. La governance europea è un complesso, a volte farraginoso e sostanzialmente dirigistico, sistema entro il quale Stati, Regioni, Comuni, Università, organizzazioni sociali e di categoria sono chiamati a operare e sono tenuti a fare i conti. L’eurozona ha creato di fatto una situazione nella quale il potere dei singoli Stati si è di molto affievolito. Credo che in questo quadro rivendicare una sovranità assoluta non sia nell’ordine delle cose, ma la piena sovranità delle nostre scelte nel quadro delle politiche europee ed euro mediterranee sì.
Per esercitare pienamente la nostra potestà non serve spostare da Roma a Bruxelles il nostro sterile rivendicazionismo ma servirebbe effettivamente inserirsi in modo attivo nella rete di relazioni istituzionali ed interistituzionali esistente, a partire da quella euro mediterranea.
L’Unione europea è certamente la casa entro la quale ridefinire la nostra aspirazione alla libertà. Ma come sta agendo l’UE nel contesto mondiale? Sono adeguate le sue istituzioni? C’è una governance realmente condivisa? Credo che anche su queste questioni ci compete come sardi di esprimerci.
Sulla sponda sud del Mediterraneo stanno emergendo nuovi soggetti politici, nuovi interlocutori ai quali non possiamo riproporre eternamente solo logiche mercantili, ma con i quali può nascere una riflessione comune nella ricerca di nuovi orizzonti di convivenza. I temi della decrescita, di economie fondate sullo scambio e non solo sul danaro, sulla reciprocità, condivisione sono i temi dell’oggi. Se la Sardegna ha un progetto è ora che lo tiri fuori.
In tutta franchezza penso che la logica che ha sotteso finora le politiche euro mediterranee, quella basata sulla interdipendenza reciproca, abbia fatto il suo tempo. L’interdipendenza è un concetto che suppone una relazione tra pari, ma così non è mai stato e di ciò i nuovi protagonisti delle rivoluzioni in nord Africa iniziano a trarne delle conclusioni.
Mi pare che non sia in gioco la sostituzione di un dittatore con un altro, magari più presentabile. L’UE cerca nuovi interlocutori politici affidabili con cui negoziare per attuare politiche mercantili e di contenimento dei flussi migratori. Ma ciò che sta emergendo da questi paesi è una forte richiesta di cooperazione tra pari che ponga al primo posto politiche di indipendenza economica e di redistribuzione della ricchezza mondiale. È una sfida che la Sardegna può raccogliere.
Nell’ambito della cooperazione decentralizzata già oggi parzialmente operante tra Organizzazioni Non Governative, Università, Città, Regioni, nazioni senza stato, è possibile sperimentare partnership nuove. La Sardegna può essere un laboratorio nel quale si pratichi una transizione da politiche di interdipendenza a politiche di inter-indipendenza.
Sarebbe l’inizio di una nuova stagione politica capace di dare prospettive e respiro internazionale alla nostra aspirazione alla libertà e al tempo stesso di fornire risposte alla domanda che emerge, forse ancora confusamente, dai movimenti di rivolta nella sponda sud e sud-est del Mediterraneo.
Gianni Marilotti
ma…. il radicamento sociale? l’organizzazione stabile per evitare che ci soffochino?
Sardegna Possibile est istada sa fortza politica chi prus s’est acostiada a sa realizatzione de su de tres polu polìticu in Sardigna ponnende imparis fortzas indipendentistas e non indipendentistas e arribbende a pigare su 7% pro is listas. S’erentzia (eredità) de cussa esperientzia dd’at pigada “Pro s’alternativa natzionale” chi est costituidu de duos de is tres partidos de Sardegna Possibile prus tres partidos. Esempru cuncretu de diminutzione de su fratzionamentu polìticu a intru de s’area sovranista. Tocat a “Pro s’alternativa natzionale” fàghere de tzentru agregadore de su tertzu polu.
pratigamente is allegas de su p.d. e su matessi programma
Bene, il dibattito prende piede… segnalo questo articolo a proposito
http://www.podimus.org/2017/06/30/e-la-pressione-fiscale-il-concetto-chiave-per-una-nuova-proposta-politica-in-sardegna-aliquota-al-125/