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Troppo storytelling e poca storiografia: la crisi della Sardegna è anche questa

ottana

Ottana

Cosa vede la Sardegna quando si guarda allo specchio? Leggendo il notevolissimo post di Umberto Cocco pubblicato su Sardegna Soprattutto e dal titolo “Ma davvero c’interessa una Sardegna caramellosa, nostalgica, fashion?” (incentrato sul documentario “Senza passare dal VIA” dei registi Antonio Sanna e Umberto Siotto, riguardante l’industrializzazione della Sardegna centrale negli anni della Rinascita), si ha l’impressione che lo specchio sia deformante, o che il nostro sguardo non sia così acuto.

Perché le letture di maniera sono sempre dietro l’angolo, anche quando discendono da posizioni politiche e culturali che sentiamo condivisibili.

L’idea che tutto il piano di Rinascita sia stato un fallimento è molto in voga nel mondo indipendentista e dell’identità, che con questa sua narrazione punta a far fuori il concetto stesso di Autonomia speciale, considerata come un passaggio nefasto della nostra storia. Ricordo a proposito un drammatico confronto a Milis anni fa tra Michela Murgia e Pietrino Soddu, dal quale a mio avviso nessuno uscì vincitore (forse Soddu, ma ai punti), per il semplice motivo che chiedersi se la Rinascita e l’Autonomia sono state positive o negative non ha più alcun senso: perché oggi sono solamente sorpassate, superate.

Di fatto quel modello economico non funziona più e quel sistema di rappresentanza politica non basta più. L’Autonomismo non ha fallito: si è semplicemente esaurito. Fallimentare sarebbe invece continuare a riproporne gli schemi economici o politici, come invece Pigliaru e il Pd sardi fanno ancora, puntando sul rilancio della metallurgia pesante nel Sulcis e genuflettendosi davanti all’Eni, o ritenendo che la riforma costituzionale renziana tuteli la nostra specialità.

Le parole cambiano di significato a seconda di quando vengono pronunciate e da chi, e bisogna prendere atto che l’Autonomismo di Pigliaru figlio non è certo quello di Pigliaru padre (e molti fra coloro che hanno votato l’attuale presidente della Regione si stanno drammaticamente rendendo conto di questo terribile fraintendimento).

Allo stesso modo, continuare a dire che la Rinascita è stata una sorta di catastrofe antropologica (e non ricordare contestualmente la piaga dell’emigrazione o il dramma, quello sì catastrofico, dei sequestri di persona) significa solo assumere una posizione di maniera, esattamente come quella di chi sostiene che fu un grande risultato. Non solo luci né solo ombre in quegli anni, ma luci e ombre assieme.

Più che di un nuovo storytelling, la Sardegna ha quindi bisogno di una storiografia seria, sana, poco propensa a salvare le decennali rendite di posizione dei signori dell’Autonomia e dei loro discendenti politici e/o accademici, ma neanche appiattita su un racconto suggestivo ma assolutamente decontestualizzato, nel quale poi i sardi faticano a riconoscersi.

Lo storytelling può servire a vendere qualche libro in più o a far arrivare nell’isola più turisti, ma per far crescere una società ci serve una storiografia vera.

Sarà forse perché continua a preferire la narrazione suggestiva all’analisi rigorosa che l’indipendentismo sardo (in tutte le sue forme) oggi segna il passo? Pensiamoci.

 

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5 Comments

  1. Caro Vito, è un articolo acuto e condivisibile. Ma le parole sono cose potenti, dovrebbero essere usate con cautela, sopratutto nei titoli, e su questo concordo in pieno con il signor Gregorini. Non ce ne sarà mai abbastanza, né di storiografia né di “storytelling”. Essi non sono nemici, ma colonne che si supportano a vicenda. Oserei piuttosto il contrario: sinché si continuerà ad avere terrore dello storytelling, fraintendendolo come mistificazione tendenziosa della storiografia, ci verrà sempre a mancare lo sguardo spregiudicato e audace necessario a sondare le pieghe della realtà. Ma, come dire, immagino questa sia una mia deformazione professionale… 😉 Un saluto.

  2. Marco Sini says:

    Caro Vito, condivido largamente.Dal contrasto Laconi-Lussu su storici sardi e storiografia in, e della, Sardegna all’oggi. Sulla stagione dell’Autonomia e della Rinascita e sulla stesso processo di industrializzazione degli anni ’60 e 70, occorrono ricognizioni storiche rigorose e critiche, ma non frettolose evacuazioni di acqua sporca con bambino……

  3. Nicola Dattena says:

    In questi giorni ho sul comodino, il bellissimo libro di Bachisio Bandinu Noi non sapevamo.
    L’analisi dell’autore è cristallina, mette in evidenza in poche pagine i danni e la violenza subita dalla nostra società, dal dopoguerra in poi. E’ sicuramente una lettura amara, ma è nostro dovere reagire sia come classe politica, che come semplici abitanti di quest’isola.
    Un caro saluto
    Nicola

  4. è vero che ci leghiamo al nostalgico progetto di autonomia,in buona parte fallito,per la scarsa abituale concertazione dei sardi avezzi alle promesse di rinascita false e accomodanti ad personam,proposte dai politicanti di governo avvallati dai servi politici sardi turnanti.la sardegna ha bisogno di sardi che credano veramente al rinnovamento,cominciando da quello culturale,politico socialee etico.l ultima parola è sconosciuta da troppo tempo dai politici del governo e da molti di quelli locali,la rivoluzione che si deve subito mettere in atto e quella socio economica,decidendo sorti della gente e del territorio,senza alludere a fantomatici delinquenziali piani di rinascita,come in passato,decidiamo prima che vocazione e prerogative ci offre la nostra terra,sè la storia la propria tradizione,possono e dovrebbero essere un punto e snodo principale da considerare,insieme alla configurazione naturale e alla sua rara bellezza e unicità territorialeecc. unirsi in progetti condivisi ,in intenti comuni,lavorando per un cambiamento individuale aprendosi ad un progetto aggregativo socioeconomico di intese praticabili a più livelli ed ecosostenibili,tangibili e coerenti con il territorio le persone le comunità dalle più grandi alle più piccole,salvaguardandone la propria identità….cè tanto da fare basta solo cominciare spogliandosi ognuno del proprio ego,e accettando il dialogo con un atteggiamento aperto all ascolto e alla costruttività comune

  5. Antonio Gregorini says:

    Caro Vito, perché creare dualismo e contrasto fra le due categorie: “Lo storytelling può servire a vendere qualche libro in più o a far arrivare nell’isola più turisti, ma per far crescere una società ci serve una storiografia vera.”
    Servono entrambi e non devono per forza confliggere.
    Lo storytelling di Nurnet, per esempio, che non né autopoiesi, né fantarcheosardismo, è a mio avviso fondamentale per gli aspetti economici e per attrarre attorno al tema storico archeologico un pubblico che, altrimenti, resterebbe distante.
    L’analisi storiografica che porta avanti con metodo antropologico, sempre per esempio, Fiorenzo Caterini, è fondamentale per capire le ragioni, le forme, e i danni che una certa lettura della storia, o meglio la sparizione della storia, hanno determinato.
    Servono entrambi per “La Costruzione dell’Identità” che, come tutti stiamo ripetendo, può e deve portare alla formulazione di un modello di sviluppo diverso ma anche a una nuova forma di autonomismo, primo fondamento per l’autodeterminazione reale e responsabile.

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