La Manifattura ai tempi del Festarch (guardatevi la bella galleria del sito confinivisivi.it)
La realtà a volte è più semplice di come possiamo immaginare. Prendete ad esempio la questione della Manifattura Tabacchi di Cagliari. Il trasferimento di Sardegna Ricerche in viale Regina Elena da me ipotizzato nel post “Sulla Manifattura l’ombra di una grande operazione immobiliare e di potere”? “È una sciocchezza”, mi avverte una autorevole fonte. E anche ieri nel corso di una assemblea, l’assessore alla programmazione Raffaele Paci ha detto che “neanche un ufficio di Sardegna Ricerche aprirà alla Manifattura” (gettando peraltro nello sconforto i lavoratori di Pixina Manna che invece non vedono l’ora di abbandonare i cubi di cemento in mezzo ai cervi di Pula).
“Sardegna Ricerche sarà solo il capo condomino della Manifattura”, ha detto. E mai metafora fu più tristemente azzeccata. Uno spazio culturale come luogo da riempire e nulla più.
Tutto è dunque molto più semplice, altro che arabi: “Non siamo riusciti a fare un bando” ha detto il vicepresidente della Regione. Lo ha detto: come se niente fosse.
In due anni e mezzo la Regione non è stata in grado di fare un bando. E non è stata in grado di farlo soprattutto nell’ultimo di anno. L’assemblea organizzata da Sel a Cagliari il 14 maggio 2015 alla presenza del presidente della Regione e dell’assessore alla Cultura certifica la presa di coscienza da parte dell’amministrazione regionale della questione Manifattura. Ma un anno non è bastato. Adesso ne servono addirittura altri tre di gestione sperimentale affidata a Sardegna Ricerche per provare a trovare una soluzione.
Se c’è altro da dire, ditelo voi.
Ora, finiti i lavori, la Regione deve però mandare un po’ di carte bollate a Bruxelles che chiede giustamente conto delle risorse stanziate. L’escamotage Sardegna Ricerche consente di prendere tempo ma il fallimento totale è davanti agli occhi di tutti.
Perché la delibera dello scorso 8 aprile certifica lo stravolgimento del progetto Fabbrica della Creatività per il quale l’Unione Europea ha finanziato il recupero dell’ex Manifattura, quindi ora bisognerà provare a salvare le apparenze, tenendo all’interno dei locali qualche funzione culturale ma destinando lo spazio ad un grande hub per start up e imprese digitali.
Bisognerà vedere se i funzionari di Bruxelles e quelli della Corte dei Conti ci cascheranno. Mi auguro di sì altrimenti per i nostri amministratori (e per le casse pubbliche) potrebbero essere dolori.
Ma dall’incontro di ieri emergono altre verità che sollecitano tre domande.
1 – L’assessore Paci ha parlato di accatastamento e di agibilità che al momento alla Manifattura non ci sarebbero. In che senso non c’è l’agibilità? Nel senso che ad oggi negli spazi dell’Ex Manifattura possono entrare solo al massimo 99 persone?
2 – Ora, se non c’è agibilità, e “la Manifattura non si può aprire” (come lo stesso Paci ha dichiarato, riportato dall’Unione di oggi), perché la Regione vuole organizzare a tutti i costi una due giorni di apertura (“inaugurazione” ha detto addirittura l’assessore) per i prossimi 28 e 29 maggio? Se Sardegna Ricerche avrà tre anni di tempo per predisporre un modello organizzativo (tre anni di tempo!), perché tutta questa fretta di “inaugurare” lo spazio?
(L’unica ragione sembrerebbe di natura elettorale. A Cagliari incombono le elezioni comunali e il centrosinistra da questa vicenda ne sta uscendo con le ossa rotte. La sinistra di governo sta persino provando a scaricare ogni responsabilità di questo pasticcio su Pigliaru e Paci ma la realtà è sotto gli occhi di tutti. Per cui una bella manifestazione propagandistica a sette giorni dalle elezioni forse potrebbe placare gli animi, zittire i critici e ridare un po’ di fiato a questa frastornata sinistra di governo cagliaritana.)
Ma davanti all’ipotesi di una sedicente “inaugurazione” una ulteriore domanda sorge spontanea.
3 – Per quanto molti si riempiano la bocca di “cultura immateriale”, fare cultura costa. E quindi, quanto dovrebbe costare alle casse regionali questa inaugurazione per 99 persone?
Sono tre domande semplici semplici, che attendono tre risposte altrettanto semplici semplici (anche via sms va bene).
Per quanto mi riguarda, sono sempre più convinto che Costantino Nivola, intervistato nel 1978 da Mario Faticoni (è interessante il libro “Sardi, svegliatevi!”, AM&D Edizioni), avesse visto giusto:
“Mettiamoci il cuore in pace. La Sardegna nella fase che sta attraversando non ha bisogno d’arte, almeno non della nostra arte: troppi appetiti da soddisfare, appetiti da terzo mondo, naturalmente, che richiedono priorità”.
E non c’è altro da aggiungere.
Normalmente sono i Condomini a scegliere (e pagare) l’Amministratore e non il contrario. L’esempio calza come i cavoli a merenda…
PS: Scusate. Ma qualcuno di voi sa che fine ha fatto l’incubatore d’impresa realizzato (assieme ad un museo dell’impresa in Sardegna ormai dimenticato) qualche anno fa nella ex vetreria di Pirri? Il luogo dove fare hub per l’impresa esiste già, se non sbaglio
G
Caro Vito, devo ammettere di condividere le tue analisi (quella precedente con l’ipotesi “immobiliare” e quella attuale: se non è vera la speculazione immobiliare, è vera l’inconsistenza nella programmazione, e non solo quella culturale). E purtroppo devo ammettere di condividere anche i commenti, perché fa male criticare amministrazioni nelle quali tante speranze erano state riposte. Anch’io penso che queste amministrazioni siano state del tutto prive di programmazione almeno nel campo della cultura. In riferimento all’Assessorato dei Beni Culturali della Regione, oltre a quanto qui sottolineato, vorrei aggiungere alcuni altri casi di totale assenza: il cd. Museo Giudicale (quello “inventato” da Soru e ancora di là da venire); la riorganizzazione della rete museale: l’assessore ha fatto suo lo slogan del “fare rete” ma lascia completamente inattuata la L.R. 14/2006 (anche questa voluta da Soru) e addirittura non convoca l’Osservatorio Regionale sui musei (completamente gratuito) nonostante l’abbia fatto eleggere quasi due anni fa e nonostante le sollecitazioni di tutto il mondo della cultura. Ma potrei continuare, citando l’opinabile gestione degli scopi della L. 26 o de “Sa die de Sa Sardinia”, oppure di delibere inattuate con conseguenti spese di centinaia di migliaia di euro per le casse pubbliche. Pero Cagliari ha concorso a diventare Capitale europea della cultura e ora ci prova con lo sport. Mala tempora currunt.
G. Serreli
Sapete chi c’è dietro?
Sempre lui!!! L’ex DC, ex PPI, ex PS, ex PSdAz e ora Beeeep…
Chi è?
No!!! Non è Gigetto di Pirri!
Pitica sa fantasia, o Marieddu!
Eeee, lassa perdi che c’esti sempri custu! Sa longa manu su Casteddu poitta non c’esti nasciu e da tempu boliri struppiai tottusu con s’amicusu. Custu è circhendi the maximum power!!! Ajò che già du scisi tui puru!
Già… l’agibilità. Al momento, la Manifattura sembra essere “diversamente agibile” e ingovernabile. Se fossimo in altri tempi passati (e troppo presto dimenticati) verrebbe subito in mente un passo antagonista e situazionista da mettere in atto: occupare la Manifattura e riempirla di tatzebao tirati a mano da artisti singoli o in gruppo. Non c’è caso possibile di “immaterialità” nelle attività culturali di qualsiasi genere esse siano. Costano impegno, fatica, sudore e spesso sangue. Neppure il vuoto pneumatico di quei padiglioni può considerarsi immateriale. La Manifattura sarebbe già potuta essere un luogo dove elaborare proiezioni del futuro ma Regione e Comune mentre, come dice Vito, si riempivano le bocche da fuoco di “immaterialità”, non furono neppure capaci di incorporarla nel progetto, peraltro evanescente, di Cagliari Capitale della Cultura Europea 2019. Caborg con Palma Paloma e Palma Palmira.
ma certo che non sono riusciti a fare un bando. l’obiettivo principale 2015 era il pareggio di bilancio e tutta l’amministrazione ha sottomesso il proprio operato al raggiungimento del risultato. 2016? stessa minestra
L’evidenza è una: il partito del Sindaco è al governo della città da 5 anni ed a quello dell’assessorato alla Cultura della Regione da più di due anni, quest’ultimo aveva la competenza sull’immobile e quindi l’opportunità di redigere, insieme al Comune-amico, un progetto per il suo rilancio. In tutto questo tempo non è stato fatto uno straccio di processo di coinvolgimento degli operatori e si è preferito investire i soldi ministeriali di Capitale Italiana della Cultura per fiocchi rossi e programmazioni effimere. La mancanza di un vero progetto culturale è alla base di questa situazione. La cultura è fuffa per i giovani-vecchi di SEL e non è attivatrice sviluppo. Questo è il punto.