Questa magnifica foto di Mattia Vacca è stata scattata a Sedilo e ha come titolo “Introduzione alla vita nella Barbagia”. L’ho tratta dal sito dell’Espresso
Lo confesso, da tempo non leggo più i giornali italiani e quindi non so come le grandi testate hanno trattato la tragedia di Orune. Non mi stupirei se qualcuno avesse ecceduto in semplificazioni o stereotipi, che sono comunque il pane quotidiano del giornalismo (l’importante però è sapere che non si può mangiare solo pane, spesso peraltro anche duro o di cattiva qualità). Sta di fatto però che ciclicamente quando succede un fatto di sangue in Barbagia l’Italia vuole giustamente capire e i barbaricini si lamentano di tanto improvviso clamore, di tanto interesse subito ritenuto “morboso”.
Anche Marcello Fois oggi sulla Nuova Sardegna, nell’intervento dal doppio titolo (in prima pagina “Ma il codice barbaricino non c’entra” che è altra cosa rispetto a “Un delitto lontano dai codici della Barbagia” di pagina due) sembra dire (anzi lo dice proprio) che quello di Orune è un omicidio come tanti (“gli omicidi barbaricini non sono in nulla diversi dagli omicidi in generale”), che non c’è niente da capire, che la specificità criminale ben rappresentata da Pigliaru padre nel suo codice della vendetta non c’entra nulla e che c’entra invece la violenza globalizzata e globalizzante. Per Fois nell’omicidio del povero Monni non c’è
niente di particolarmente barbaricino in tutto ciò, anzi l’esatto opposto. Li conosciamo bene, a tutte le latitudini, questi campioni che ritengono di avere solo diritti e nessun dovere.
Fois da nuorese dice dunque esattamente il contrario di quanto sostiene la professoressa Antonietta Mazzette, docente di sociologia all’Università di Sassari, che da anni studia la criminalità in Sardegna e che sulla Nuova, nel pezzo pubblicato sabato 9 maggio e dal tutolo “Nessuno spazio all’omertà”, ha affermato che
Ogni omicidio è una storia a sé, ma nell’area che noi abbiamo definito “a rischio” e che comprende il comune di Orune, gli omicidi non prescindono dai luoghi in cui avvengono e dalla loro storia, per cui l’annientamento fisico di una persona rientra tra quei modi primordiali (ma residuali) di soluzione dei conflitti, in assenza di altri meccanismi di conciliazione e di mediazione.
Questo perché
l’omicidio si inserisce troppo spesso in un contesto culturale di violenza che persiste, e questo contesto è da considerare, oltre che “fatto criminale”, “fatto sociologico”. Fatto che si accompagna ad un altro fenomeno sociale: la diffusione delle armi da fuoco che, non mi stancherò di ripetere, in alcune parti della Sardegna è ancora troppo poco considerata un disvalore.
Anche se Fois e a molti nuoresi non piace sentirselo dire, secondo gli studiosi (ma anche per il sentire comune isolano) esiste un’area precisa (che qui definiremo genericamente della Sardegna centrale ma che gli studiosi hanno indentificato con maggiore precisione) in cui si è in presenza di un “contesto culturale di violenza” che ha come elemento caratterizzante una impressionante disponibilità di armi da fuoco da parte di tutti, perfino minorenni.
Di questo Fois non parla, la sua è una posizione riduzionista: allargando lo sguardo all’universo mondo, un omicidio nella “Sardegna di dentro” alla fine rischia di diventare praticamente soltanto una manifestazione della presenza del Male nella storia. Che senso ha dunque parlarne se non in termini teologici?
L’argomento è delicato, me ne rendo conto. Ma se la Sardegna di dentro evita di raccontarsi, di dirsi la verità, di guardarsi allo specchio, essa verrà raccontata da qualcun altro, cosa che questo qualcun altro farà con gli strumenti che ha a disposizione e dunque rischiando di generalizzare, di non andare in profondità, di equivocare.
Che Fois affermi che nell’omicidio di Orune non c’è niente di barbaricino è grave. Perché se il più celebrato intellettuale nuorese non riesce a guardare negli occhi Medusa neanche attraverso il riflesso della sua intelligenza vuol dire che il rifiuto di molti sardi di dentro nei confronti di ciò che è davanti agli occhi di molti ha qualcosa di psicanalitico.
Nessuno qui vuole iniziare un processo contro una certa Sardegna, semplicemente perché i problemi di Orune sono i problemi di tutta l’isola e viceversa. I panni sporchi si lavano in casa e la nostra casa è questa, lo spazio pubblico dove si discute in libertà senza timore di essere strumentalizzati. Chi non si racconta viene raccontato. E chi viene raccontato finisce con l’essere servo di chi racconta.
Ciò che si confida privatamente non può essere negato pubblicamente. Conosco anch’io molti sardi di dentro che mi hanno raccontato storie terribili di omicidi, di violenze, di sopraffazioni che avvengono nei loro piccoli paesi; e io da cagliaritano ho raccontato loro che cosa sia la violenza dei colletti bianchi, ho raccontato di professionisti che trafficano in droga, delle connivenze tra politica ed economia che in città determinano carriere improvvise dei mediocri a scapito di molti fra i migliori. A ciascuno il suo.
Qualcuno della Sardegna di dentro dovrebbe iniziare a parlare, a raccontare cosa significa, nel bene e nel male, vivere a Orune, a Nule, a Orani, a Olzai, a Lula, a Bono. Se non lo farete, qualcun altro lo farà per voi: ma non sarà la stessa cosa.
La parola ci salverà. Per questo attendo i vostri racconti di speranza.
Cara Pia, come era prevedibile i fatti le danno torto. Quest’assassinio è sempre più locale e la sua evoluzione dimostra l’esatto opposto di quanto lei ha sostenuto con vigore. E’ naturale che un omicidio rappresenti la comunità in cui avviene. Non è un’offesa. Accade ovunque.
Gentile Pia, lei scrive: “é vero che in questo omicidio c’è qualcosa di arcaico, ossia la maledetta balentia; ma non mi stanco di ripetere che,nel tempo, il termine balentia ha cambiato significato e ,di conseguenza, non è più una caratteristica esclusiva della Barbagia”.
Dunque la cosiddetta balentia (l’essere valenti, il sapersi far valere) è stata esportata? Non c’è più il copyright barbaricino?
Da tutto quello che lei ha scritto si evincono alcuni punti fermi. Non si può parlare e capire di Barbagia se non ci si vive o addirittura se non ci si è nati. Non ci sono più i balentes di un tempo, cosa ovvia, e dunque questo assassinio, come dice, a mio avviso sbagliando Fois, non ha nulla di particolarmente barbaricino. Però lei sostiene che contemporaneamente ha ragione anche Angioni che afferma una cosa sostanzialmente opposta.
Almeno la posizione di Fois ha il pregio di essere chiara e netta. Lui non sostiene argomenti che si contraddicono all’interno del suo scritto.
Insomma, se il termine balentia (per me ancora utile a definire certi comportamenti ben identificabili all’interno della comunità barbaricine) è secondo lei mutato di senso, ci sa dire che senso avrebbe assunto? E’ interessante.
Chiudo dicendo che una certa balentia la vedo anche nel tono dei suoi post, gentili, ma balentes.
La smetta di mettermi in bocca parole/idee che non ho. Continua a dire che secondo me “Non si può parlare e capire di Barbagia se non ci si vive o addirittura se non ci si è nati”; io questo nè lo penso, nè mi son mai permessa di affermare una cosa del genere, gliel’ho detto anche nel mio precedente post. Le dirò di più, chi mi ha spiegato la vendetta barbaricina è un professore di Milano che con la Sardegna e soprattutto con la Barbagia, non c’entra nulla, ma ,nonostante ciò, quando parla di vendetta barbaricina lo fa in “maniera perfetta”,. Ciò che io penso è che prima di voler parlare di vendetta barbaricina la si dovrebbe studiare e,soprattutto, CAPIRE; lei nei suoi post vuol parlare di evoluzione di vendetta e vede la vendetta anche nell’omicidio di Gianluca, dimostrando ,quindi, di voler parlare di un argomento che ,in sostanza, proprio non ha capito. Per poterne parlare non è sufficiente essere barbaricini, è necessario capirne il meccanismo; anche queste son tutte cose che le ho già detto. I balentes intesi come in passato, ossia come uomini “che valgono”, uomini d’onore, non esistono più( mica ci sono ancora persone che per dimostrare di essere uomini d’onore vendicano il torto subito e poi si danno alla macchia!); anche in Barbagia ci sono gli stessi tipi di balentes, ossia le teste calde, attaccabrighe, in sardo forse il termine corretto è” barrosi” ( che rende di più della traduzione in italiano ma non è comunque giustissimo), che ritroviamo nel resto della Sardegna; le ho già fatto un esempio calzante nel precedente post. Lei insiste che Fois abbia torto, ma non può affermarlo; è questo il suo problema di partenza, perchè lei ha dimostrato nel precedente post, di non aver capito quando si può parlare di vendetta barbaricina. Stia attento, Angioni non afferma nulla di opposto a Fois, entrambi infatti dicono che nell’ omicidio di Gianluca non vi è nulla di barbaricino. Angioni, infatti, afferma:” Ma per una vendetta di sangue non pare che stavolta ci siano né le ragioni né i motivi del vecchio codice barbaricino, dato che l’orunese Antonio Pigliaru ci insegna che solo il sangue chiama sangue. Qui invece non pare che ci sia stato un precedente di sangue, ma forse una rissa di giovanissimi in una festa, in una discoteca”. Se lei avesse capito il meccanismo della vendetta barbaricina, avrebbe capito che Angioni e Fois dicono la stessa cosa. Angioni continua:”Un atto di bullismo non pare aver mai giustificato in Barbagia lo spargimento di sangue con una scarica di pallettoni in faccia. E dunque lo sconcerto viene da questa commistione di qualcosa di arcaico con qualcosa di molto attuale». L’arcaico a cui si riferisce Angioni è lo spargimento di sangue e la vecchia balentia; il qualcosa di molto attuale e sconcertante è lo spargimento di sangue in seguito ad un atto di bullismo. Angioni ,allo stesso tempo, afferma che questo è qualcosa di nuovo per la Barbagia che MAI ha giustificato lo spargimento di sangue per un atto di bullismo. Successivamente Angioni si limita a chiedersi se si tratti in sostanza di un fatto isolato o se qualcosa di particolare, nel senso di cambiamento in negativo, stia accadendo in Barbagia. E’ giusto come ha poi detto lei, Angioni RELATIVAMENTE A QUESTO FATTO CHE APPARE COME FATTO NUOVO PER LA BARBAGIA, non ha certezze; tutti siamo incerti, perchè questo fatto per la Barbagia è nuovo. In sostanza per Fois e Angioni non si tratta di vendetta barbaricina, perchè la regola della vendetta di stampo barbaricino è che “il sangue chiama sangue”, lo dice Pigliaru e Angioni lo sottolinea. Infine io non ho un atteggiamento da balente, ho solo un “bel” caratterino, proprio anche di molti barbaricini, che vien fuori quando l’interlocutore vuole avere ragione su cose che proprio non ha capito ma che ,nonostante ciò, è tanto “saccente” da pensare di saperne più degli altri, anche di Fois. Infine preciso che tra l’avere un caratteraccio ed essere balente , stia attento, c’è un abisso.
Cordiali saluti,Pia.
Secondo il limpido ragionamento di Pia solo i barbaricini possono parlare di Barbagia. Angioni – al quale Pia dà ragione quando dice che in questo assassinio c’è qualcosa di arcaico e qualcosa di moderno, tesi peraltro in contrasto con quella di Fois – è di Guasila. Ed è sospetto. E’ straniero.
Identifico il mio pensiero con quello di Angioni, credo sia il più ragionevole e per fortuna intriso di dubbi.
Cara Pia, il suo è invece un pensiero fatto di certezze che provengono da una visione interna alle cose, glielo riconosco, ma aggressivo-difensivo e sotto certi aspetti tipicamente barbaricino. Gli omicidi sono tutti uguali. Le armi sì, gli omicidi no, evidentemente.
Dire che la balentia – fenomeno evidente a chi capita in Barbagia anche in piccole azioni innocenti – è un disadattamento sociale sarà pure vero in alcuni casi. E comunque la definizione disadattamento sociale è vaga, troppo ampia per aiutare la comprensione del fenomeno. Come dire di un quadro che è un quadro e non ragionare sull’epoca e sui perché.
Personalmente non amo le certezze, però si può concordare con il fatto che la storia, sopratutto quella recente, plasma le comunità e anche se volessimo non la possiamo cancellare. Al massimo possiamo fingere di dimenticarla. Però resta nel profondo, conscio e inconscio, di ogni comunità.
Saluti cordiali
Non ho mai detto che solo i barbaricini possono parlare della Barbagia, infatti, per certi aspetti, son d’accordo con Angioni che, come lei ben precisa, è di Guasila. Non ritengo che il pensiero di Angioni sia in contrasto con quello di Fois. Ho detto, in virtù di quanto affermato da Angioni, che nell’omicidio di Gianluca c’è del moderno e .allo stesso tempo, c’è anche qualcosa che RICORDA ciò che IN PASSATO accadeva in Barbagia; ma ,in realtà, in questo omicidio non c’è assolutamente nulla di barbaricino, perchè è vero che ,molto probabilmente, il ragazzino che ha sparato si è vendicato, ma la sua vendetta non ha nulla a che vedere con quella che in passato ha caratterizzato per tanto tempo la Barbagia. Anni fa , in Ogliastra, a Tortolì, un ragazzo è stato sparato e ucciso da un altro, perchè quest’ultimo veniva preso in giro in continuazione dalla sua futura vittima: in questo caso non siamo in Barbagia e ,di conseguenza, nessuno ha mai parlato di vendetta così come la intende lei, cioè la famosa vendetta barbaricina. I casi sono uguali, anche qui il ragazzo che ha sparato è un balente e si è vendicato, ma anche qui la sua vendetta non ha nulla a che vedere con quella barbaricina, e non perchè siamo in Ogliastra,ma perchè proprio non c’entra nulla. Siamo entrambi d’accordo nell’affermare ,almeno così mi sembra di capire, che la vendetta barbaricina non è più ,oggi, quella del passato. Qui non si può parlare di vendetta barbaricina, perchè non c’entra nulla; se ne potrebbe invece parlare, ad esempio, se in futuro qualcuno ammazzasse il ragazzino che ha sparato. In quest’ultimo caso probabilmente si potrebbe parlare di vendetta barbaricina (che oggi,ci tengo a precisarlo, è un evento molto raro), ma non nel caso del povero Gianluca. Le dò assolutamente ragione quando afferma che il mio atteggiamento è tipicamente barbaricino, e lo è perchè i barbaricini son stanchi di sentire persone come lei che parlano solo per luoghi comuni. Non si affronta un tema del genere nè per sentito dire, nè solo mediante i fatti di cronaca,che la maggior parte non sa neppure interpretare, nè semplicemente citando gli scritti dei sociologi; prima si studia per bene la famosa vendetta barbaricina e poi se ne può parlare. Altrimenti, se così non si fa ,si straparla e basta.
Cordiali saluti,
Pia.
Marco Zurru, sociologo, Università di Cagliari”:
“Ma, anche se esposte in modo così grezzo in questo spazio feisbuchiano, incominciano a dire qualcosa di serio e innegabile: il nuorese e tutte le zone interne continuano ad avere una densità di violenza grave diversa e più acuta rispetto al resto dell’Isola. Al netto delle dinamiche predatorie e del traffico di stupefacenti, le possibilità concrete di espressione violenza in queste zone sono manifestamente più ampie e gravi che altrove.
Da qui bisogna partire. Che ci siano residui culturali codificati a suo tempo da Antonio Pigliaru e ora distorti in un utilizzo travisato, che ci sia una presenza di armi più diffusa e – di conseguenza – una concreta più ampia possibilità di utilizzarle nelle relazioni conflittuali, che ci siano tanti altri elementi alla base di ciò che qualcuno ha sintetizzato in “l’occasione fa l’uomo ladro” … che ci siano tante altre ragioni, il punto di partenza è la consapevolezza che in questi territori è è più densa l’espressione della violenza grave da parte dei residenti, che siano giovani o adulti o anziani.
Accettare questo punto di partenza sarebbe già tanto. Magari per iniziare a impostare politiche educative specifiche. Tanto per dire…”.
Ieri in TV, nella trasmissione “Chi l’ha visto”, hanno raccontando del delitto di Orune e della scomparsa del ragazzo di Nule e, come ha scritto Biolchini nell’articolo, il racconto è fatto da altri, ricco di luoghi comuni, codice barbaricino incluso. A questo punto possiamo ragionare come tante volte ho sentito fare: “cosa ne sanno i continentali della Sardegna” o anche “parlano della Sardegna solo quando succedono questi fatti, come se da altre parti queste cose non succedessero”. Uccidere in quel modo barbaro un ragazzo di 19 anni mentre va a scuola, non trova una apparente spiegazione in un luogo, come la Barbagia, dove non esiste la criminalità organizzata e, probabilmente, neanche la microcriminalità tipica delle grandi città. Pertanto, se esiste una possibile spiegazione per questo efferato delitto, si provi a darla, come scrive Biolchini, senza i classici sconti che i sardi sono abituati a darsi.
Cara Pia, il Codice barbaricino non è uno strumento eterno e gli strumenti di lettura utilizzati da Pigliaru non sono più gli stessi. Ovvio. Però Antonio Pigliaru ci fornisce anche gli “aggiornamenti” e lui stesso spiega come ogni società produca un suo specifico crimine. Noi avevamo reati autoctoni che oggi sono un po’ meno autoctoni perché il mondo raccontato da Pigliaru si è mosso con un’accelerazione mai vista e non è più lo stesso. Però le radici non le recidi facilmente anche se pensiamo di essere “moderni”.
Così viene da assentire a quello che dice Angioni contro i sapienti con incrollabili certezze che sull’assassinio del giovane Monni si sono divisi tra la banalità di “si tratta di un delitto urbano” contro la banalità di “si tratta di un delitto ancestrale”.
Angioni – e come dargli torto – sostiene che quello di Orune è un delitto vecchio con connotati di modernità. E’ evidente che sia così, lampante e palmare, direbbe un avvocato. Però era necessario dirlo.
Insomma, ogni società ha i suoi delitti. Orune e la Barbagia hanno una loro riconoscibilità e un loro caratteristico modo di delinquere esattamente come altre società. O no?
E’ vero o no che a Orune allignano forme di violenza particolari e riferibili a quella comunità che ovviamente è nel complesso onesta? E’ vero o no che sino a pochi anni fa il sequestro di persona connotava la Sardegna e particolarmente la Barbagia? E’ vero o no che alcuni validi strumenti proposti dalla commissione Medici sono ancora da attuare (leggere gli atti e non dire, senza averli letti, che la commissione Medici è stato un atto di arroganza dello stato centrale e stupidaggini analoghe).
Medici era solo il Presidente della commissione. Le relazioni furono due, una di maggioranza (scritta da profondi conoscitori della realtà) e una di minoranza (una relazione di “destra” però di grande interesse e scritta con intelligenza). Gli atti sono densi di dati e proposte.
Insomma la realtà è molto più complessa di un semplice sì o no. E rispondere con un generico “succede dappertutto e magari succede anche di più altrove” sembra un tuffo negli anni settanta quando un impassibile intervistato di Orgosolo rispose a un giornalista Rai che a Milano di delinquenti ce n’erano di più.
Ripeto che ,a parer mio, Orune e la Barbagia non hanno più un loro caratteristico modo di delinquere, né ,di conseguenza, forme di violenza particolari. è vero che sino a pochi anni fa (anche se non sono più così pochi) il sequestro di persona connotava la Barbagia, ma oggi non più. Ripeto anche che son d’accordissimo con quanto sostenuto da Marcello Fois :”“niente di particolarmente barbaricino in tutto ciò, anzi l’esatto opposto. Li conosciamo bene, a tutte le latitudini, questi campioni che ritengono di avere solo diritti e nessun dovere”. Se pensate che un omicidio dovuto alla balentia di un ragazzino ( balentia nel senso moderno del termine) sia un fenomeno tipicamente barbaricino ,per me, sbagliate. E sono io a fare un tuffo nel passato quando, ancora oggi, si parla della Barbagia come terra isolata caratterizzata da forme particolari di violenza.
Cara Pia, cosa vorrebbe dire che non c’è “niente di particolarmente barbaricino” in questo assassinio? Vede, è cambiato anche il ” particolarmente barbaricino”. La offende chiamarlo barbaricino? Se vuole togliamo il “particolarmente”. Lo chiamiamo come vuole.
Però è evidente il rapporto tra questa comunità e i suoi crimini. O questo rapporto per lei non c’è più?
Evidentemente c’è. E partire dal presupposto di parlarne come se fosse avvenuto a Quarto Oggiaro o a New York è ridicolo. Inoltre, in termini storici e non solo, i fattacci che lei identifica come locali e riconoscibili sono recentissimi e sono nella memoria sociale, si rispecchiano nelle generazioni più giovane che, è naturale, compie azioni diverse.
Non conta più come siamo? O conta solo nel bene?
Cara Pia, il suo atteggiamento è davvero dannoso. Bendarsi è pericoloso.
Lo ripeto: lo stesso atteggiamento di quando si parlava di sequestri.
Saluti cordiali.
Son stufa di ripetere le stesse cose. Si rilegga tutti i post che ho scritto. Magari è lei ad essere bendato e ad avere un atteggiamento dannoso. Potrei rimanere giorni a scrivere inutilmente altri post ma per lei e alcuni che commentano tale articolo sarebbe alquanto inutile. Se pensate di sapere come “funziona” la Barbagia, dato che questo si evince dal suo post, è inutile continuare a parlarne; soprattutto con lei che pensa di conoscerla anche più di Fois. Cordiali saluti, Pia.
Non mi pare la sede adatta per una discussone sul lavoro di Antonietta Mazzette. Ciascuno, volendo, potrà farsi un’opinione leggendolo.
Mi permetto, invece, di suggerire la lettura di un contributo a mio avviso interessante di Giulio Angioni (spero che non sia stato già postato).
http://lanuovasardegna.gelocal.it/regione/2015/05/12/news/furia-moderna-che-fa-ancora-piu-paura-1.11408604
Che condivido in larga parte. E forse potrebbe lanciare un ponte tra Pia e Michele.
Grazie mille Gavino per il pensiero. Penso che ,purtroppo, io e Michele ,sul tema Barbagia, non ci incontreremo mai. Ho letto l’articolo di Angioni e sono anch’io d’accordo con lui su diversi punti. Ad esempio quando parla di “commistione di qualcosa di arcaico con qualcosa di molto attuale” in relazione all’omicidio di Gianluca. é ,infatti, vero che in questo omicidio c’è qualcosa di arcaico, ossia la maledetta balentia; ma non mi stanco di ripetere che,nel tempo, il termine balentia ha cambiato significato e ,di conseguenza, non è più una caratteristica esclusiva della Barbagia. Nonostante ciò, quando certi fatti succedono in Barbagia, si parla sempre di balentia, quando ,invece, questi fatti accadono nel resto dell’Italia/Sardegna si usa un altro termine/sinonimo; un esempio è quello che ha citato lei nel precedente commento,ossia “disadattamento sociale”.
Pia, mi scusi se insisto ma i suoi commenti sono un pò disarmanti, e lo dico senza ironia…dire che in Barbagia c’è il problema delle armi e dell’alcool come nel resto della Sardegna è fare gli stessi ragionamenti di chi dice che mafia e camorra non esistono perchè le estorsioni e il traffico di droga sono ovunque. Dire che se ci fossero davvero gravi violazioni delle norme lo Stato sarebbe intervenuto sul traffico d’armi e sulle regole che vietano di portare bambini a caccia non ha senso…quelle regole CI SONO GIA’ ma vengono violate. La tradizione di sparare ai lampioni non esiste nelle zone della Sardegna come Cagliari, Sassari, Alghero, ma solo nelle zone interne, per farle un esempio…io la trovo una tradizione idiota ma alcuni barbaricini che conosco non ci trovano nulla di male. Gli agguati da “muretto a secco” capitano più nelle zone interne che altrove…c’è un problema sociale si o no? Anche a Sassari ci sono problemi, anche a Cagliari ce ne sono, l’unica cosa che io e credo anche Vito Le stiamo dicendo è che non è corretto ridurre il tutto a “succede ovunque quindi non prendetevela con la Barbagia” ma sarebbe più corretto capire perchè si reagisce in certe maniere…. perchè si mettono bombe ai sindaci che fanno rispettare le regole, perchè si debba girare con coltelli pronti all’uso, perchè si vada a ballare con una pistola in tasca e poi a sparare in faccia a un 19 enne solo perchè si è litigato a una festa…nelle zone interne succedono certe cose più spesso, e le cronache ce lo raccontano, esattamente come a Sassari o Cagliari ci sono più idioti che bruciano le auto…se vogliamo affrontare il problema non giriamoci dall’altra parte dicendo che tanto è così dappertutto…
Mi scusi anche lei Michele, ma, per me, sono i suoi commenti ad essere disarmanti. Dire che in Barbagia c’è il problema delle armi e dell’alcool come nel resto della Sardegna NON é fare gli stessi ragionamenti di chi dice che mafia e camorra non esistono perchè le estorsioni e il traffico di droga sono ovunque.Questa è la sua idea. Per me, Mafia e camorra esistono, sono ordinamenti giuridici criminali,è un dato di fatto. Inoltre so benissimo che esistono norme che vietano di portare i bambini a caccia e norme relative al traffico d’armi, io ho solo detto che ,se il problema fosse così tanto grande, queste norme verrebbero inasprite dal governo, cioè verrebbero aumentati i controlli e previste sanzioni più severe. Quella che lei definisce “tradizione di sparare ai lampioni” non è assolutamente una tradizione della Barbagia; ma mi scusi, lei che gente barbaricina conosce? Solo delinquenti assassini con la tradizione di sparare ai lampioni? Preciso che poi ,molto spesso, quelli che sparano ai cartelli non sono neanche barbaricini, spesso sono quelli non barbaricini che vanno a caccia nei territori dell’interno, ma lei ,a quanto pare, conosce solo barbaricini delinquenti, ignoranti e fermi all’età della pietra, mentre invece tutti i non barbaricini che conosce sono santi che ,mai e poi mai, si sognerebbero di portare i bambini a caccia. Sarebbe corretto capire perchè si mettono bombe ai sindaci che fanno rispettare le regole, perchè si debba girare con coltelli pronti all’uso, perchè si vada a ballare con una pistola in tasca e poi a sparare in faccia a un 19 enne solo perchè si è litigato a una festa,se questo accadesse davvero spesso e solo nell’interno Sardegna. E poi non generalizzi, la maggior parte non gira armato alle feste, nè gira con un coltello in tasca pronto all’uso; almeno la maggior parte della gente barbaricina di mia conoscenza, dato che lei sembra conoscere solo “zente mala”. Qualcuno nato con la nocciolina in testa c’è sempre, ma non solo in Barbagia. E lasci perdere le cronache, pensa che le risse finite con l’uso di pistole e poi non denunciate siano qualcosa che accade solamente in Barbagia? Si faccia un giro nelle vie e nei bar “migliori” di Cagliari e veda un po’ che musica c’è lì. Concludo affermando che lei, Vito e molti che hanno commentato l’articolo, da quanto ho capito, volete che qualcuno della Sardegna di dentro ve la racconti però ,poi, quando lo fanno non va bene perchè, per forza,il problema, in questo caso l’omicidio di Gianluca, deve essere legato necessariamente alla specificità del territorio, e ,a quanto pare, voi ne sapete di più perchè conoscete qualcuno (qualcuno non vuol dire tutti!) dei sardi della sardegna di dentro.Insomma,ci vedo della prevaricazione senza,per altro,alcuna cognizione di causa. Né io, né Fois occupiamo un posizione “riduzionista”.Il primo approccio alla risoluzione di un problema prevede il suo inquadramento.Io non nego affatto il problema nè ,tantomeno,gli volto le spalle.L’errore è pensare che sia un problema della Barbagia in quanto tale,quando invece è assolutamente trasversale.Ecco perchè scrivevo “tutto il mondo è paese”.
Pia, il confronto con lei è per me molto interessante quindi mi permetto di risponderle ancora e chiedo scusa a Vito se abuso dello spazio….dunque, io conosco solo barbaricini buoni e onesti, non ho conoscenze tra i delinquenti..per questo ho maturato le mie idee…proprio perchè non conosco zente mala come dice lei, ma so che in Barbagia e genericamente in tutto l’interno c’è gente onesta, laboriosa ospitale e colta. Non generalizzo affatto, ma anche i numeri di certi reati, le cronache che lei pare disprezzare, un pò vanno letti e interpretati. Mi scusi, ma le faccio questo paragone: esiste la terra dei fuochi, ed esiste la collina di Minciaredda, vicino a Porto Torres : in entrambi i luoghi è stato consumato lo stesso reato, seppellimento di rifiuti tossici…uguale fattispecie penale, ma autori diversi…in Campania quello è un reato commesso sistematicamente dalla camorra…in Sardegna i tribunali dovranno appurare se il reato è stato commesso più volte e da chi…ora, Io non potrei mai dire ” non è una questione per cui crocefiggere la Campania, visto che succede anche in Sardegna”..certo, non si può e non si deve crocefiggere nessuno, ma obiettivamente là succede per motivi sociali tristemente noti e per abitudini criminali che incidono sulla vita in Campania, concernenti l’esistenza di una organizzazione criminale …questo paragone per farle capire il mio pensiero..che certi reati vengano commessi ovunque è un dato di fatto, sono le motivazioni, come nel caso dei sequestri di persona, che rendono una regione o una zona più soggetta a esserne colpita… e ad esserne vittima.Perciò ritengo che si debba andare a fondo nelle motivazioni storiche e sociali, per capire come mai certi fenomeni siano più diffusi in certe zone che in altre. Come diceva giustamente Vito nel caso dei reati da colletti bianchi, se si appiattisce il tutto non si vedono bene i motivi che li originano, che spesso , nel caso in questione, sono motivazioni derivanti da una concezione non corretta su come reagire in caso di offese…tutto qui, spero di non averla offesa, il mio è solo un invito alla riflessione, che per inciso dovrebbe riguardare tutta la Sardegna, per varie ragioni. Grazie della sua pazienza
Buonasera Michele, mi sono accorta solo ora del suo ultimo commento, altrimenti le avrei risposto prima di commentare il secondo post di Gavino. Anche io mi scuso con Vito che sopporta ,senza lamentarsi, la mia “polemica”. Devo dirle che mi fa piacere che mi abbia risposto, sia perchè io, nell’ ultimo post, l’ho un po’ “aggredita” usando quasi un tono poco amichevole ,e me ne scuso, sia perchè smentisce ciò che mi era sembrato di capire in precedenza, cioè che lei avesse una strana idea, un po’ troppo generalizzata, sui barbaricini. Nonostante ciò, porto avanti la mia idea e affermo che nel caso del povero Gianluca non vi siano particolari motivazioni storiche da analizzare. Ripeto, il concetto di balentia è cambiato e ,di conseguenza, la balentia non è più una caratteristica esclusiva dell’interno. Gli omicidi in generale son quasi sempre commessi da balenti, ossia da quelli che Marcello Fois definisce ” campioni che ritengono di avere solo diritti e nessun dovere”; ed è anche vero che ” li conosciamo bene, a TUTTE le latitudini”. é solo che, come ho già scritto, quando certi fatti accadono in Barbagia si parla di balentia, quando accadono in altri posti si usano altri termini. Una volta che si scoprirà chi è l’autore dell’omicidio ,forse, potranno esserne analizzate le motivazioni sociali che l’hanno spinto a tale gesto. Immagino e spero che queste varino da persona a persona, perchè se un ragazzino ne ammazza un altro per una discussione c’è veramente da preoccuparsi.
Cordiali saluti,
Pia.
Raccontare la Sardegna di dentro… E da dove comincio? La Sardegna di dentro si è sempre raccontata ed è stata raccontata da scrittori, giornalisti, antropologi, pittori, scultori, poeti, cantori, fotografi, registi…Ognuno ha detto la sua e se mi cimentassi io a raccontare la mia, sarebbe solo un altro filo nel tessuto complesso, sicuramente molto diversa da quella raccontata e vissuta da lucio qui sotto. La società pastorale che si atteneva al Codice Barbaricino magistralmente analizzato da Antonio Pigliaru è esplosa – come tutte – già dal 1945; il film Sonetaula di Mereu -tratto dal romanzo di Peppino Fiori, il quale ebbe “ispirazione”da racconti orgolesi -racconta l’evoluzione di quella società e ci racconta come cambia il volto di un ragazzino quando imbraccia un mitra. Nel film il mitra arrivava dai tedeschi in fuga. Oggi ? Ecco, io qui me ne sto ferma: da dove arrivano tutte le armi che circolano in Barbagia? O qualcuno mi vuol far credere che un minorenne barbaricino sia disposto a sbattersi per comprare un’arma che ” vendicherebbe il suo onore”? o per fare una rapina con bottino incognito? Io mi fermo qui -con la domanda sulle armi -perché non saprei raccontare come mai questa Sardegna di dentro partorisce dallo stesso grembo figli tanto diversi.
In breve.
Da quando ero ragazzino sento questi discorsi inerenti i fatti di sangue della Barbagia. Per alcuni giorni vige l’emozione, poi il clima si raffredda fino all’arrivo del successivo delitto.
Chi dicesse che questi omicidi sono simili a tanti altri, mi spiace per lui, della gente sarda, cioè noi, non ha capito ancora nulla.
La nostra mentalità interiore, e nello specifico quella esistente nella zona della Sardegna identificabile in quell’interno lontano dal mare, è troppo diversa da quella del “continente”, perché possa assimilarsi ad un confronto comune.
Come uscirne? Non con tanti discorsi filosofici vecchi come il cucco che si ripetono da un secolo, sempre gli stessi.
Il mio è un discorso empirico, surreale, mai applicabile, ma l’unico che veramente risolverebbe la situazione.
Noi sardi, in un immaginario onirico, dovremmo, con le buone o le cattive, venir presi a “tobbaccherasa” e catapultati, a piccoli gruppetti, per un congruo periodo di tempo (diciamo 25 anni) in tutti i miriadi di posti che compongono il mondo.
Impossibile, lo so, ma unica soluzione.
Dopo di che, ci verrebbe dato il permesso di tornare nell’Isola. State pur tranquilli, dopo aver sperimentato per tanti anni il contatto con la Civiltà, avremmo finalmente cambiato in meglio la nostra Cultura e Mentalità, ferme alla notte dei tempi.
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La foto che introduce l’artcolo non c’entra niente con i fatti di cronaca di Orune. Tu dici che dobbiamo iniziare a raccontarci noi anzichè farci raccontare, ma se il tuo era un tentativo d’inizio mi sa tanto che hai sbagliato nel scegliere l’immagine. Probabilmente l’hai scelta senza conoscere il suo vero significato e mi dispiace. Va bene raccontarsi, l’importante è sapere sempre di cosa si parla, senza farlo a vanvera.
Saluti,
Giuseppe Putzolu
Invece più passsano i giorni e più penso che sia l’immagine più adatta per cercare di capire il rapporto che molti sardi hanno con le armi.
Beata ingnoranza…
Ignorante sarà lei, e pure maleducato. Su ricordi che in questo blog lei è ospite , gradito finché non offende il padrone di casa. Buona serata.
Vedi?…negare sempre,anche l’evidenza,non è ignorante ma cattiveria allo stato puro..Che messaggio si dà a un bambino nel mettergli in mano un fucile e sovrapporgli il dito nel grilletto! Putzolu vrigonzatindhe!
Quale sarebbe il significato di mettere un arma in mano ad un bambino ? Gli unici che vedo fare la stessa cosa sono vestiti di nero con dei candelotti legati in vita e delle scritte in arabo dipinte addosso.
“far sparare ad un bambino” non significa nulla e quella foto non simboleggia nulla. Potrebbe essere stata scattata in Toscana, regione di cacciatori incalliti che fanno sparare ai bambini per “introdurli” alla caccia. Chi ha amici toscani o anche solo parenti toscani sa a cosa mi riferisco.
Va da se che quella foto in realtà rappresenta “l’introduzione” al rito di dare il via alla Sagra di S. Costantino e basta. Se si vuol parlare seriamente di Balentia e disagio giovanile delle zone interne della Sardegna che ne si parli, ma lasciamo da parte le fastidiosissime riduzioni giornalistiche de l’Espresso e le foto-simbolo per favore. Ha ragionissima Marcello Fois e io sono cagliaritano da generazioni.
“Se si vuol parlare seriamente di Balentia e disagio giovanile delle zone interne della Sardegna che ne si parli”: siamo qui per questo. Chi vuole essere il primo?
Assai semplicemente, non è vero che la Sardegna di dentro non si racconti. Può darsi che i racconti non si trasformino in carta stampata, questo sì. Chi lo pubblica un romanzo che parla di Lula o di Foresta Burgos? Poi i racconti bisogna anche saperli ascoltare o andarseli a cercare. Da Kasteddu è difficile.
Comunque, non sarei in disaccordo completo con Fois. Mentre avrei molto da eccepire sul lavoro di Antonietta Mazzette, che suggerirei di leggere con maggiore attenzione alla base fattuale utilizzata. Non sono certo che la sua analisi (della Mazzette) sia poi così azzeccata. Citare una frase ad effetto, estratta da un contesto più ampio e difficile da leggere, è ciò che si fa correntemente nel giornalismo, ma a volte non rende bene il senso delle cose.
Visto il tono discorsivo, azzardo una previsione. Quando le faccenda verrà chiarità, credo la vicenda si ridurrà a un paio di ragazzini decisi a dare una lezione a Monni (non ad ucciderlo) cui la situazione è sfuggita di mano perché abbiamo troppe armi a spasso. Se succede a Milano e un branco dà fuoco a un clochard o a Napoli e un paio di balordi spacca l’intestino di un poverino con l’aria compressa, si parla di disadattamento sociale; se succede a Orune si parla di balentia.
Preferirei ricondurre l’accaduto al disadattamento sociale, evidenziando le peculiarità locali. Possibilmente, evitando di confondere folklore e ricerca sociologica seria.
Anch’io azzardo una previsione: mi sembra difficile che non si voglia uccidere una persona sparandogli tre fucilate ad un metro di distanza.
In ogni caso anche ad Orune parlerei di disadattamento sociale; che la balentia (quella vera) non c’entri nulla in questa questione va da sé.
E quindi parliamo di disadattati sociale a Orune o dove volete voi, parliamo delle troppe armi che circolano in Sardegna. Questo è il punto: perché possedere e usare armi (senza averne ovviamente un motivo o una valida necessità) non è considerato in molte zona della Sardegna un disvalore? Qualcuno può dare una risposta a questa domanda?
Il primo rapporto a cura della Mazzette sulla criminalità in Sardegna lo trovate a questo link:
http://eprints.uniss.it/4342/1/Mazzette_A_Libro_2006_Criminalità.pdf
E’ del 2010, qualche mese fa ne è uscita una versione aggiornata che però non ho trovato on line.
1998, subito dopo l’omicidio di Don Muntoni a Orgosolo. Una troupe televisiva di un tg nazionale si reca nel paese barbaricino e intervista giovani, vecchi e anche ragazzini. A un gruppo di questi ultimi che sosta davanti a una scuola la giornalista chiede: ” Ma non ci sono troppe armi in giro? Voi usereste mai delle armi?” Risposta ” Cercheremo di non usarle”…Capito? Cercheremo, non “non ne useremo perchè è sbagliato usarle, è pericoloso..” Vito, ma secondo te se è normale far usare e circolare armi in certi territori, se è normale far responsabilizzare i ragazzi insegnandogli a usare pistole e fucili e portandoli a caccia anche da piccoli ( cosa molto pericolosa, come si è visto), si uscirà mai da questo cerchio di morte? Ribadisco che serve una decisa presa di coscienza in certi territori della Sardegna..abbandonare alcune pessime tradizioni, parlandone e discutendo ognuno dei propri difetti, come dici giustamente tu.
Avete mai pensato che le armi circolano OVUNQUE,che ovunque vengono portati i ragazzini a caccia (con ovunque mi riferisco all’Italia intera) e non solo nella “Sardegna di dentro”? Pensate davvero che vi sia un nesso tra un omicidio e il fatto che l’assassino sia stato portato a caccia da piccolo e che, sempre da piccolo, abbia imparato sparare? Davvero pensate che nel 2015 al funerale di un morto ammazzato si giuri vendetta? Davvero pensate che le persone della Sardegna di dentro parlino ancora di vendetta e uomo d’onore? Davvero pensate che solo nella Sardegna di dentro vi sia un “contesto culturale di violenza”? Pensate davvero che le storie terribili di omicidi,violenze e sopraffazioni siano così tante e che quando accadono i sardi di dentro non conoscano altra soluzione dall’ammazzare chi gli ha fatto il torto? Pensate davvero che nella Sardegna di dentro non vi sia la violenza dei colletti bianchi, i professionisti che trafficano in droga e le connivenze tra politica ed economia che determinano carriere improvvise dei mediocri a scapito dei migliori? Ogni mondo è paese, svegliatevi e guardatevi intorno.
No, le armi non circolano ovunque. Per il resto non ho capito che spiegazione dà lei di quanto è accaduto. Glielo chiedo sinceramente perché vorrei sentire pareri diverso dal mio.
Gentile Pia, un paio di anni fa un ragazzino di dodici anni è morto in Sardegna per una fucilata sparata da un compagno di caccia del padre durante un appostamento al cinghiale. Le norme dicono che non si dovrebbero portare a caccia minori di 14 anni, se non sbaglio, per ragioni di sicurezza. Qui stiamo parlando della Sardegna, e il fatto che le regole vengano infrante ovunque e che di reati dei colletti bianchi o spaccio di droga ce ne sia anche al di fuori della Sardegna o della Barbagia, non significa che fatti come quello di Orune vadano accettati senza battere ciglio. Come ho già scritto, ogni luogo ha i suoi difetti e giustamente Vito ci chiede di parlare di questo, non di pensare che siccome tutto il mondo è paese va bene così e ce ne dobbiamo fregare…Comunque, per rispondere alla sua domanda…si, io credo che ci sia un nesso tra la familiarità con le armi trasmessa anche portando ragazzini a caccia e l’idea di poter usare tali armi come mezzo per risolvere diatribe…sbaglierò forse ma ritengo che sia così…e parlo per esperienza diretta visto che conosco molti abitanti dell’interno.
VIto mi potrebbe dire dove le armi non circolano?Il problema delle troppe armi che girano non è solo barbaricino. L’idea che ho io di questo fatto cruento è la stessa di Marcello Fois: “niente di particolarmente barbaricino in tutto ciò, anzi l’esatto opposto. Li conosciamo bene, a tutte le latitudini, questi campioni che ritengono di avere solo diritti e nessun dovere”. é vero, nell’omicidio di Orune non c’è assolutamente nulla di barbaricino, e preciso che il titolo “Un delitto lontano dai codici della Barbagia” è esatto, questo omicidio si oppone in toto alle regole di tale codice, codice che .peraltro, è stato “superato” da tantissimi anni,così tanti che la maggior parte della gente, sopratutto i ragazzini, non sanno neanche che è esistito.
Guardi, io ho 45 anni, ho sempre vissuto a Cagliari (nei quartieri popolari, sia chiaro: centro storico prima, San Michele poi, Pirri ora) e armi non ne ho mai visto neanche per sbaglio, e come me tantissimi altri da queste parti. Poi magari circolano anche qui, ma procurasele non è semplicissimo, mi creda. Quando ci riferiamo alla circolazione delle armi ci riferiamo alla possibilità di disporne facilmente e senza generare allarme tra i nostri amici e conoscenti. Questo nelle zone urbane non avviene.
Detto questo, certo che questo omicidio non ha niente di barbaricino se alla parola diamo una accezione positiva (e io gliela dò), così come non c’entrano niente i famosi codici, su questo siamo d’accordo. Però penso che questo omicidio sia maturato all’interno di un contesto culturale che è quello delle nostre zone interne dove un minorenne va ad una festa con una pistola non genera scandalo, sconcerto, incredulità. Non possiamo cavarcela dicendo che la Barbagia non c’entra senza dare una spiegazione che non prescinda dal contesto e che si accontenti di un generico “queste cose avvengono dappertutto”. No, queste cose non avvengono dappertutto; ognuno ha la sua criminalità, il suo disagio, i suoi drammi. E questo omicidio è frutto di un contesto preciso, dove troppi minori hanno familiarità con le armi. Voltare lo sguardo altrove non ha senso.
Gentile Michele, ho parlato di reati di colletti bianchi e di spaccio di droga perché nell’articolo è scritto: “Conosco anch’io molti sardi di dentro che mi hanno raccontato storie terribili di omicidi, di violenze, di sopraffazioni che avvengono nei loro piccoli paesi; e io da cagliaritano ho raccontato loro che cosa sia la violenza dei colletti bianchi, ho raccontato di professionisti che trafficano in droga, delle connivenze tra politica ed economia che in città determinano carriere improvvise dei mediocri a scapito di molti fra i migliori. A CIASCUNO IL SUO.”, in questo modo Vito fa capire ,sbagliando, che la realtà dell’interno Sardegna e quella cittadina ,in questo caso di Cagliari, siano opposte,ma,in realtà, niente di più sbagliato. Ripeto, ogni mondo è paese. Inoltre, non assolutamente detto che fatti come quello di Orune vadano accettati senza battere ciglio, lei conosce qualcuno che prende con leggerezza questo fatto?Io neanche uno. Fatti del genere, per me, non son dovuti ai “difetti della Barbagia” ma dipendono da altre cause (comuni al resto del mondo), ad esempio, forse il ragazzino che ha sparato ad Orune non è mai stato seguito dai genitori o forse è solo nato cretino. Circa l’uso delle armi (parlo di armi registrate) se la situazione fosse davvero così grave,il governo avrebbe già adottato diverse soluzioni; idem per i minori di 14 anni che vengono portati a caccia, se la situazione fosse grave ci sarebbero i controlli. Infine, a parer mio, non vi è assolutamente alcun nesso tra la familiarità con le armi trasmessa anche portando ragazzini a caccia e l’idea di poter usare tali armi come mezzo per risolvere diatribe. L’idea di risolvere una diatriba con un’arma ,a parer mio, è dovuta all’ambiente familiare (un bel po’ ignorante) o alla cattiva compagnia che si frequenta o ad entrambi questi fatti; ma generalizzare dicendo (so che lei non sta generalizzando ma la maggior parte lo fa) che tutti in Barbagia fanno così e che tutti maneggiano armi non si può sentire. A leggere i diversi commenti a quest’articolo mi viene da ridere e ,allo stesso tempo, da piangere. La Barbagia è descritta come fosse il Far West e come se fosse ferma all’età della pietra, ancora lì a giurare vendetta per il torto subito. La Barbagia si è evoluta, non è vero che lì il tempo non è mai passato e che mai passerà. Vito sulla realtà della Sardegna dell’interno ormai c’è poco da”indagare”, perchè la sua realtà è oggi identica a quella di tutti gli altri paesi.
Vito,a parer mio, le armi ci sono ovunque e per procurarsele basta avere gli agganci giusti. Non penserà che se adesso vado in Barbagia, fermo uno e gli chiedo di procurarmi una pistola, quello, tranquillo, me la procura? Poi, ovviamente sempre a parer mio, una persona,anche maggiorenne, che va a una festa armato non è vero che non genera scandalo. Preciso che fatti del genere (persone armate in discoteca o a feste) non accadono solo in Barbagia ma anche sulla costa della Sardegna, e, anche quando ciò accade nella costa, c’è chi si preoccupa e chi,invece, la prende alla leggera (si tratta sempre di una minoranza).Non è più vero che ognuno ha la sua criminalità, oggi, ogni mondo è paese: in Barbagia c’è il problema delle armi, dell’alcool e della droga come in tutto il resto della Sardegna. Per me il problema non è esclusivamente della Barbagia, queste cose accadono dappertutto; sono nata in Barbagia, cresciuta in Ogliastra e adesso sto da 10 anni a Cagliari, e si,queste cose accadono dappertutto.
http://www.webalice.it/tognolini/cab-orun.html
15 anni fa io, sedilese, cagliaritano e romano, e Bruno Tognolini, cagliaritano e bolognese, abbiamo fatto questo lavoro a Orune. Il documentario si chiamava “In faccia al vento”. Forse va recuperato e meditato…
non so, parli di una realtà mai raccontata… e in questa pagina vedo un’immagine che la racconta in apertura di articolo (il ragazzino a sedilo), una raccolta di fondi per una regista sardo-australiana che si intitola “balentes” sulla destra, e citi uno scrittore – fois – che dagli anni novanta del ‘900 racconta di altro, ma anche di questo, basta leggere i suoi ultimi due libri – se vogliamo possiamo addirittura tornare alla distinzione tra agricoltori e pastori di satta, nel giorno del giudizio, per arrivare alle origini della Faccenda? o dobbiamo arrivare alla nobel di nuoro?.
tra l’altro, tratterei con più riverenza il fois, che parla con un livello di consapevolezza non-cagliaritano delle cose di balentìa, nel ventunesimo secolo, vale a dire dei burdi che si fanno forti per essersi procurati una pistola, cosa che se vuoi fai pure tu a cagliari, se hai dei motivi per te validi.
è certo utile lo sprone a raccontare la sardegna, ma della sardegna, ancora la balentìa? perché non piuttosto l’emigrato che torna qui e deve imparare il sardo che non ha imparato a casa o ha dimenticato, o il cameriere sfruttato nel sarrabus, che finisce la stagione estiva stremato, o il servo pastore marocchino, o il parcheggiatore delle vele? arcipelaghi è un bel film, ma questa terra sta cambiando, e la gente pure, e per fortuna. e meno male.
che va bene il giornalismo, e voler estrarre a tutti i costi una tesi dagli avvenimenti più recenti, e degli “studiosi di turno”, ma pure basta con questa cosa della balentìa, anche per rispetto delle persone che in queste recenti vicende hanno avuto dolore.
vai in un bar burdo, anche lì a cagliari, o meglio nei paesi limitrofi, e gestisci gli avventori, è meno difficile di quello che sembra. e ne verranno fuori pezzi più interessanti, e il silenzio e la discrezione che ci hanno reso famosi nel mondo, faranno passare queste dolorose vicende in una meno clamorosa, e soltanto apparente, indifferenza. non per altro, ma indifferenza “sociologica” per questi che sono solo criminali, e nessuna analisi gli potrà trovare un’appiglio, neppure quelli del solito cagliaritano con dei complessi di inferiorità verso “i sardi di dentro”.
scusa, ma penso al dolore dei parenti, e non mi sembra il caso di fare Un Caso Sociologico anche di questo.
In questa vicenda sono morti uno forse due ragazzi, e diversi altri si sono rovinati la vita per sempre, per non parlare delle loro famiglie e delle loro comunità. Perché fare finta di niente? Perché parlare d’altro? Sul “solito cagliaritano con dei complessi di inferiorità verso i sardi di dentro” poi proprio non ti capisco, non capisco il senso della frase in questo nostro ragionamento.
Quando gli esempi sociali sono di una bassa miseria etica e morale e i più sono conniventi, di che cosa ci dobbiamo stupire. Ragazzi che sfidano il presente non avendo una visione del futuro, prendono oggi con cieca violenza ciò che forse non avranno mai l’opportunità di ottenere lavorando e vivendo serenamente con la nuova famiglia per formare una nuova società. Accompagnando mio figlio ad Ottana per una gara, ci siamo fermati nella via principale alle 8 del mattino, per un caffè, e nei tavolini all’esterno un bel gruppo di ragazzotti dallo sguardo fiero e spavaldo bevevano birra e scherzavano tra di loro; a bassa voce abbiamo commentato con i piccoli atleti e con i genitori che dovrebbe essere vietata la vendita di alcolici e che forse sarebbe opportuno ritirare la licenza di mescita a chi vende alcolici ai minorenni, ma nessuno di noi ha reagito redarguendo il giovane dietro il bancone, o a provare a dissuadere i ragazzi nel continuare a bere o a chiamare le forze dell’ordine per far rispettare la legge. A Sassari nelle passeggiate pomeridiane s’incontrano gruppi di ragazzini, le “greffe” che parlano e scherzano sulle scalinate pubbliche, nei giardini o nelle piazze e anche loro bevono alcolici o fumano o si impasticcano e poi mangiano di tutto e imbrattano i loro ritrovi che sono anche i nostri e quando gli fai notare che non ci si deve comportare da sporcaccioni ti sfidano e poi qualche macchina viene vigliaccamente aggredita dal fuoco. I muri delle città sono segnati da scritte incomprensibili che a quanto pare identificano gruppi di controllo territoriale di fascisti e nazisti contrapposti con cancellazioni e trasformazioni di graffiti dalla nuova sinistra che s’incontrano in gruppi sociali che vogliono cambiare ciò che a loro non piace. Poi al calare del sole il bere alcolici o usare droghe fa prendere coraggio o peggio annulla la disponibilità verso gli altri e ogni piccola discussione si trasforma in offesa che ai due capi di sopra Sassari e di sotto Cagliari si somigliano per zuffe, incendi e atti di vandalismo per ritorsione verso il sistema da contrastare e che al centro della nostra isola risolvono con le armi per non dover più avere a che fare con chi non appartiene al loro mondo fatto di verità non modificabili, anche noi abbiamo i nostri mostri fatti di ignoranza e cattiveria, i nostri balentes sempre più violenti, sempre più bastardi che dovrebbero essere controllati e bloccati dai propri genitori, dai familiari, dagli amici, dai vicini, dai conoscenti, dagli estranei, da chiunque possa, voglia e debba fermarli, che sia concittadino, oriundo, isolano o continentale non mi importa la sua nazionalità o il suo colore purché si riesca a far vivere nel migliore dei modi il presente per migliorare il futuro senza dover rimpiangere il peggior passato.
Io non racconto più, ormai. Quando l’ho fatto, con un libro ormai nel cassetto, ho rotto un codice, mettendo davanti agli occhi di tutti le responsabilità delle nostre comunità.
Risultato: grandi pericoli per me e per la mia famiglia e disonore, non per la comunità ma mio davanti alla comunità.
D’altronde, se una comunità accetta di convivere con una minoranza che impone le sue regole di violenza alla maggioranza di brave persone, quella comunità è malata. Saranno sicuramente brave persone, ma quella comunità è malata perché comunque, alla fin fine, le va bene così. E da come vedo le cose ripetersi ciclicamente, per me la Sardegna non ha alcuna speranza, se non forse nella sua estinzione per consunzione, emigrazione e distruzione del proprio ecosistema, visto come i “veri sardi” wagneriani, deleddiani e lilliuani trattano i loro boschi e le loro campagne.
Concordo in tutto, ovviamente.
Bravo Vito bellissimo articolo, grazie
Ho assistito da chierichetto al funerale di un morto ammazzato. Era tradizione che venisse il vescovo a celebrare messa, ad inveire contro caino e a confortare i familiari dell’ucciso, la mamma, la moglie, i figli. A bara scoperta e corpo esposto, la mamma convocò i figli superstiti e chiese di giurare sul corpo del fratello e di fronte al vescovo vendetta. Ricordo la faccia di monsignore e ricordo il terrore freddo che corse lungo la mia schiena. Lo raccontai a mia mamma e la mia carriera di chierichetto si troncò lì. Ricordo un’altra scena. Festa di paese, i giovanotti rientrati dalla campagna, sbarbati di fresco e con i vestiti profumati di stenditoio. Le magliette di filo di scozia a pelle, di due colori: o nere o amaranto. Gli altri erano banditi, troppo femminili. I pantaloni di velluto liscio e le scarpe fatte a mano tirate a lucido. A casa di uno di questi, che volle offrire da bere il vino di proprietà, si rideva e si scherzava finché uno della compagnia, il più balente ( meglio, che tale si riteneva più degli altri) sfila dalla tasca un ferro, forse lo incomodava troppo nella tasca, stando seduto al tavolo di cucina. Lucente e oliato, pesante lo appoggiò sul quel tavolo, in mezzo ai bicchieri e alle bottiglie. La mamma, padrona di casa vide bene di prenderlo in consegna dicendo:”Questa la custodisco io. Te la ridarò domani.”. Si rise e si scherzò come se nulla fosse successo. L’indomani si presentò alla porta di quella donna un bambino, decenne o forse undicenne: “ha detto mamma di restituirmi quella cosa”.
Altra storiella edificante: scaramucce tra bambini a scuola, (scuola media inferiore). Dalle parole alle parole grosse, dalle parole grosse agli spintoni, dagli spintoni alla mano che corre veloce alla tasca dei pantaloni e dalla tasca spunta un ferro. Il professore di applicazioni tecniche assiste alla scena e con abilità da sceriffo disarma il bambino e “sequestra” il ferro. L’indomani il cowboy si deve presentare accompagnato dalla mamma in presidenza e così è stato. Il preside, il professore, il prete (insegnante di religione e parroco) organizzano il comitato festeggiamenti: predica laica e religiosa, shampoo al bambino e poche ma ferme parole per la mamma mortificata e dolente. La mamma promette che a casa sarebbe stati presi severi provvedimenti da parte del padre; nel congedarsi dice al preside: “Si, va bene, però ora mi restituisca la pistola sequestrata.”
Ancora. Emigro. Dopo anni ritorno in paese per andare a salutare le mia anziane zie. Esco per strada e un gruppo di ragazzotti scherzavano tra loro. “dai, mostrami un dito da quell’angolo di strada .. dai che ti faccio vedere come sono diventato bravo ..”. Aveva una pistola in mano, una beretta, di quelle che portano i carabinieri. Voleva mostrare quanto fosse diventato bravo, preciso nello sparare, tirando da qualche decina di metri da lui contro il dito dell’amico se l’avesse sporto dal muro ad angolo.
E ancora una. Lungo la strada principale del mio paese ci sono molti bar, moltissimi, uno ogni 50 – 60 metri. Tutti fiorenti nel loro commercio di alcool, birra e vino per i maschietti e caramelle per le femminucce (è disdicevole che una donna si avvinazzi in pubblico). Una decina di avventori era seduta fuori, al fresco del pomeriggio, sulle sedie del bar. Consumavano ichnusa e chiacchiere, risate grasse e frasi di circostanza: “ma si è fatto molto male?”, “non si sa ma l’hanno portato in ospedale a nuoro”, “e in quanti erano?”, “no no, accoltellato .. per fortuna è ancora vivo” . A poca distanza una enorme chiazza di sangue faceva mostra di se sull’asfalto e la gente che passeggiava si fermava, faceva discretamente qualche domanda, “ma chi è il morto?” ” , “e il mortore?”, l’assassino. Si incuriosivano e si preoccupavano per quello che sembrava l’ennesimo fatto di sangue appena consumatosi in paese. Ma non era successo nulla, un buontempone aveva portato una busta di sangue di una pecora e l’aveva versato per strada di fronte al bar. Con gli amici se la rideva divertito.
La sardegna di dentro è anche questo: storie di ordinaria violenza, un sistema educativo inesistente, padri assenti da casa e madri deboli, conniventi o, peggio, complici. Una scuola travolta da regole non scritte ma chiarissime e armi, armi, tantissime armi. La mia prima pistola a tamburo io l’ho vista che avevo otto anni, un mio coetaneo diceva che l’aveva trovata in campagna. E’ più probabile che l’avesse rubata dalla credenza di casa.
sono d’accordo con Biolchini.
“Lo confesso, da tempo non leggo più i giornali italiani e quindi non so come le grandi testate hanno trattato la tragedia di Orune. Non mi stupirei se qualcuno avesse ecceduto in semplificazioni o stereotipi…”: puoi stare tranquillo, dopo la notizia iniziale la maggior parte dei media italiani stanno ignorando il fatto. Forse l’omicidio di un ragazzo in Barbagia da parte di un’altro ragazzo è considerato normale dai ‘continentali’, forse una violenza così brutale è vista come cosa quotidiana in Sardegna, un po’ come noi ignoriamo gli omicidi di mafia e camorra perché tanto è roba loro. Però passiamo mesi ad ascoltare le intercettazioni del muratore di Brembate o ci soffermiamo sull’identikit dello stupratore di Roma. Un minorenne che spara a un quasi coetaneo in faccia non è per niente normale, non è violenza da sbrigare a casa nostra e non è neanche il male che succede ovunque nel mondo. Hai ragione, Vito, quando inviti le persone a parlare e raccontare senza far finta che tutto questo non esista, e spero che davvero i ragazzi di Orune, di Nule e di tutta la Sardegna ti ascoltino.
Vito,
i giornali italiani, nel trattare la tragedia di Orune, probabilmente hanno ecceduto in semplificazioni o stereotipi, proprio come ha fatto L’Espresso nella didascalia della foto che introduce questo articolo: Sedilo, geograficamente parlando, non è in Barbagia, e al 99% quella foto è stata scattata in occasione dell’Ardia di S. Costantino.
Quest’ultima, per alcuni sarà pure una manifestazione cruenta (per gli animali), ma al suo interno i fucilieri ricoprono esclusivamente il ruolo di di accompagnare i cavalieri dal paese al santuario dove si scioglierà il voto al santo guerriero; correggere, in caso ce ne sia bisogno, la traiettoria del cavallo per impedirgli di avvicinarsi troppo alla gente durante la corsa; riaccompagnare i cavalieri dal santuario al centro abitato alla fine dell’ Ardia.
Il tutto, ovviamente, con fucili caricati a salve.
Hai ragione: se la Sardegna di dentro non inizierà a raccontarsi, qualcuno nel frattempo lo farà per lei, probabilmente distorcendo la realtà proprio come successo nella didascalia della foto.
Con tanta stima.
Enrico, penso che il titolo alla foto sia stato dato dall’autore e non dal giornale. Inoltre nella foto io vedo anche altro: un adulto che aiuta un bambino a sparare, probabilmente per la prima volta. Ed è con questo significato che l’ho scelta.
Nel mio paese le persone hanno sempre imarato a sparare da piccole. Vanno a caccia con i padri, con i nonni e viene insegnato loro come si spara. Nessuno sembra vederci pericoli di nessun genere, anzi lo vedono come un responsabilizzarli. Una persona che conosco mi disse che non smontava e non nascondeva nemmeno la pistola d’ordinanza a casa perché i bambini dovevano vederla come qualcosa da non toccare, che serviva al babbo per lavoro. E io, considerando che allora le porte delle case venivano lasciate aperte, gli feci notare che anche gli amici dei figli, i quali frequentavano la casa, avrebbero potuto toccare l’arma anche solo per curiosità, e molte persone, me compresa, avrebbero potuto aprofittare della cosa e prenderla e portarla via. Monica (sa mala, quella di BC)
Lungi da qualsiasi intento polemico Vito…http://www.unionesarda.it/articolo/cronaca/2015/06/28/sedilo_polvere_da_sparo_e_polenta_i_fucilieri_si_preparano_per_l-68-424319.html, con stima e simpatia.
“La disponibilità impressionante di armi da fuoco” è il problema e la manifestazione stessa del problema. Che riguardi solo la Sardegna centrale, quindi il nuorese, per lo meno in questo caso, è un’ipotesi smentita dai protagonisti di questa vicenda. Se, come sembrerebbe, nell’omicidio sono coinvolti (o responsabili) dei ragazzini di Nule, nell’elenco “disponibilità impressionante di armi”, dobbiamo aggiungere anche alcune zone del sassarese. Per esperienza, potrei metterci anche alcune dell’Ogliastra… Certo, si fa fatica a raccontarsi fuori dagli stereotipi, senza il timore di guardare negli occhi Medusa – come tu dici. Ma poi domandarsi come sia possibile e, soprattutto, chi permetta che ci sia questa disponibilità impressionante di armi (anche tra i minorenni) sarebbe troppo banale? O non sarebbe, invece, un buon inizio per dare sostanza alla fatica di raccontarsi?
Si Monica, hai ragione. Io infatti non ho parlato di Barbagia ma di “Sardegna di dentro”. In ogni caso mi riferivo a quella zona individuata dagli studi della Mazzette che tocca anche zone del Sassarese, della Gallura, dell’ogliastra…
E’ la cosa più sensata che ho letto in questi giorni. Contro quello stupido ritornello che vorrebbe negare ogni specificità legata al territorio, per cui delle Barbagie e delle cosiddette zone interne ci teniamo solo quello che ci piace e buttiamo quello che non ci piace – questo delitto e la subcultura della balentia – come epifenomeno di un indifferenziato nichilismo moderno per cui certe cose “accadono a Milano come a Orune”.
Qualcuno dei miei racconti lo conosci già, fortunatamente il mio è un paese che sta cambiando, in meglio per fortuna, grazie alle persone della mia generazione e quelle successive. Quando ero ragazzina le risse per le feste erano la norma. Si cercavano apposta i ragazzi del paese viciniore per attaccare briga. E si picchiava e si veniva picchiati. A volte bastava lasciarsi sfuggire, mentre si era nel paese ostile, di essere originari del proprio per dover scappare a gambe levate, mentre si organizzava la caccia all’uomo. Essendo riconoscibili per l’accento particolare, noi oriundi non aprivamo bocca per paura. Ricordo un capodanno in cui noi cagliaritani negammo le nostre origini all’interno di una discoteca mentre un manipolo di persone dell’altro paese, ubriache, cercavano di individuare uno a uno i nostri compaesani per dar loro una lezione. Un mio coetaneo ogni tanto ricorda divertito di quella volta che rimase nascosto ore mentre lo cercavano brandendo un martello, fino a quando di sera non riconobbe l’auto di un amico e uscì dal suo nascondiglio per farsi riaccompagnare in paese. Ma anche noi cittadini nel nostro paese a volte non eravamo ben visti. A 15 anni venni ferita durante una sassaiola mentre passeggiavo con il mio gruppo. Alcuni nostri compaesani coetanei non sopportavano che le ragazzine avessero delle cotte nei confronti dei ragazzi “di fuori” sebbene oriundi e iniziarono a lanciare sassi in direzione nostra, con lanci tesi, per far male. Uno mi colpì sulla clavicola, lacerandomi la pelle. Tornai in piazza alla festa con la maglietta piena di sangue e quando mia madre mi chiese cosa fosse successo, scoppiai a piangere. Va da se, nessuna denuncia. Erano figli di “amici”, più d’uno orfano cui in nome del morto si perdonava qualunque cosa. I miei evitarono anche di ascoltare i suggerimenti di “vendetta” che più d’uno si sentì in dovere di fare “fosse stata mia figlia” “fosse stata mia sorella”etc. Io andai in giro esibendo la ferita scoperta per i restanti giorni di vacanza, rifiutandomi di coprirla perché si rendessero conto che se anziché me, che ero alta, avessero colpito la ragazzina al mio fianco, l’avrebbero presa in testa e la storia sarebbe potuta finire molto peggio.