Attilio Bolzoni durante l’incontro con gli studenti del corso di Scienze della Comunicazione dell’Università di Cagliari (foto Olliera)
Una giornata a parlare di mafia con Attilio Bolzoni, inviato del quotidiano “la Repubblica”. Ricordo come fosse ieri la sua toccante, emozionante, commovente cronaca da via Capaci, dove il povero Falcone era stato fatto saltare in aria dalla mafia insieme alla moglie e alla scorta. Un articolo straordinario che mi colpì tantissimo perché era allo stesso tempo emotivamente forte e giornalisticamente ineccepibile. Era il 1992, io avevo iniziato a scrivere da poco più di un anno e non avendo nessun maestro leggevo il più possibile per provare a comprendere le regole della scrittura giornalistica. Quel pezzo fu per me una rivelazione e allo stesso tempo un pietoso medicamento su una ferita che ancora sanguina (le stragi di Capaci e di via D’Amelio stanno alla mia generazione, quella dei ventenni di allora, come la bomba di piazza Fontana per i ragazzi del ’68).
Ieri per quella cronaca da Capaci ho avuto modo di ringraziare Bolzoni, protagonista a Cagliari di una serie di incontri nell’ambito della manifestazione “I cento passi verso il 21 marzo” organizzati da Libera Sardegna. Il giornalista è stato prima dagli studenti dell’Istituto Buccari, poi ha parlato per i giovani del corso di Scienze della Comunicazione, poi ancora al cinema Odissea dove ha presentato “Silencio”, un docufilm veramente straordinario (ripeto: straordinario) sui giornalisti messicani uccisi e su quelli calabresi intimiditi dalla criminalità organizzata.
Avendolo seguito negli ultimi due incontri (e al cinema Odissea anche altri interventi sono stati di estremo interesse) riassumo per punti ciò che ho capito della mafia e del giornalismo.
1 – Il giornalista deve fare i nomi, deve sempre fare i nomi e i cognomi dei potenti di cui sta parlando. E Bolzoni li fa, sempre. Altrimenti (e questo è ciò che ho capito) quella del giornalista non è una denuncia coraggiosa ma pettegolezzo, allusione, perfino velata minaccia, frutto di un inopportuno esercizio di potere. Di sicuro non è giornalismo.
2 – “Il giornalismo d’inchiesta non esiste, è una truffa che è stata inventata una decina di anni fa”. Amen.
3 – “Attenzione, oggi la mafia si serve delle parole d’ordine dell’antimafia, si traveste da antimafia per agire meglio e più in profondità nella società. La mafia non si combatte con gli slogan ma lo studio, la coerenza e il coraggio”. Penso alla Sardegna, dove a molte dichiarazioni dei politici di impegno in un qualunque ambito (penso ad esempio all’ambiente) seguono azioni uguali e contrarie. E l’opinione pubblica non batte ciglio.
4 – “Per la mafia la politica è ciò che per i pesci è l’acqua”. Ergo, se nelle carceri sarde arriveranno 400 detenuti in regime di 41 bis ciò non produrrà alcun effetto o danno se la politica sarda rinuncerà a rapportarsi ad essi.
5 – Letizia Battaglia è una grande fotografa siciliana che ha compiuto pochi giorni fa 80 anni (anche a Mediterradio l’abbiamo festeggiata, con una bella intervista del collega Salvatore Cusimano). Dice la fotografa a Bolzoni: “Come posso fotografare la mafia oggi? Dove la trovo? Una volta era più facile”. Risposta del giornalista: “Vai a Milano e fotografa il palazzo della Borsa, oppure fotografa la sede del consiglio regionale siciliano a Palermo”. Riflessione: non ha più senso provare ad individuare i mafiosi che si buttano in politica o i mafiosi che fanno impresa: oggi bisogna scoprire chi sono i politici che aiutano la mafia e gli imprenditori che, entrando in certi circuito, si fanno mafia. Anche in Sardegna. Il mafioso con la coppola non esiste più. Non è la mafia che si è fatta politica ma la politica che si è fatta mafia.
6 – “I magistrati non sono tutti come Falcone e Borsellino”. Riflessione: in Sardegna non ho mai visto un organo di stampa mettere democraticamente in discussione l’azione di un magistrato.
7 – In “Silencio” un giovane giornalista messicano spiega come possono esser fatte fuori le voci libere: “O le si uccide, o le si corrompe, oppure si fa in modo che il giornalista diventi più importante di ciò che dice, in maniera che sembri che stia combattendo una battaglia privata contro qualcuno”. E così lo si isola. E a quel punto colpirlo è più semplice.
8 – In Messico alcuni giornalisti di diverse testate, per proteggersi dalle intimidazioni del potere (che ammazza gli operatori dell’informazione in misura maggiore rispetto a quanto fanno i narcotrafficanti) hanno costituito un gruppo, il “gruppo alfa”. “Condividiamo le informazioni e le divulghiamo tutti assieme, così colpirci è più difficile”. Ogni giornalista non può lavorare da solo, per fare bene il suo lavoro ha bisogno di una redazione che lo sostenga, di un editore coraggioso e di colleghi solidali.
9 – Pino Tilocca da sindaco di Burgos ha subìto cinque attentati e in uno di questi il padre è morto, ucciso da una carica esplosiva collocata a ridosso della sua abitazione. Ieri ha portato la sua riflessione (molto profonda e articolata) sul tema della mafia in Sardegna. “Non c’è la mafia in Sardegna? Parliamone. Anche da noi, nei nostri paesi il territorio viene controllato dai criminali, lo sappiamo. Nelle indagini sull’omicidio di mio padre è emerso inoltre che erano coinvolte persone di sei paesi diversi. Una rete di complicità dunque esiste”. Riflessione: noi sardi probabilmente siamo mafiosi ma non lo sappiamo. Capiremo di esserlo quando troveremo la parola adatta per riassumere il fenomeno di questa criminalità di cui sappiamo scorgere e raccontare solo singole parti.
10 – La giornalista dell’Unione Sarda Maria Francesca Chiappe ha ricordato come la procura di Cagliari abbia da qualche tempo lanciato l’allarme infiltrazioni della criminalità orgnizzata nel business delle energie rinnovabili in Sardegna. Riflessione: per realizzare un inutile campo di pannelli fotovoltaici o di pale eoliche servono amministratori locali compiacenti, funzionari regionali compiacenti, consiglieri regionali compiacenti, giornalisti compiacenti, banche compiacenti e forse anche assessori regionali compiacenti e perfino magistrati compiacenti. Una persona da sola non ce la fa a realizzare un impianto di rinnovabili, serve un’organizzazione complessa e molto efficiente.
Siamo sicuri che in Sardegna non ci sia la mafia?
Nel Largo Carlo Felice i compagni del Presidio di Piazzale Trento (appena sfrattato, a loro vada tutta la mia solidarietà) hanno voluto esporre, a severo monito per l’opinione pubblica casteddaia, il motto di questo blog. “Ma qui c’è un errore” ha esclamato l’inviato, implacabile, “l’apostrofo non ci vuole!”. La foto documenta il momento in cui il giornalista appone la sua sacrosanta quanto spietata correzione.
Ciao
Volevo sapere anche io come si può reperire il documentario
Sul punto 2
Quando sento parlare di giornalismo d’inchiesta non mi viene in mente niente di negativo: mi viene in mente semplicemente un lavoro di investigazione, approfondito, accurato, anche lungo, che serva a raccontare una storia nel modo più soddisfacente possibile (soddisfacente dal punto di vista professionale giornalistico e anche dal punto di vista del lettore che si informa). Visto che ci sono giornalisti che prendono la penna per scrivere cose false, oppure per scrivere ridicoli pettegolezzi “a guisa di guitti di terz’ordine”, allora può anche star bene un modo per distinguere chi fa un tipo di lavoro e chi non lo fa.
Sul punto 6
Non ho capito cosa significa mettere in discussione democraticamente l’azione di un magistrato.
Il magistrato agisce in quanto rappresentante dello Stato, quindi applica una norma. Allora o la norma è sbagliata (e non si può dare la colpa al magistrato) oppure ha agito colposamente per danneggiare qualcuno. Danneggiando qualcuno in modo colposo, lo ha fatto come rappresentante dello Stato. Quindi il danneggiato si rivarrà rivolgendosi allo Stato. Le conseguenze per il magistrato ci saranno ma in modo indiretto.
Questo punto mi ha fatto pensare alla responsabilità civile dei magistrati voluta dal governo renzi, ma prima di lui da berlusconi, ma prima di lui dalla P2. Tra l’altro come “modifica urgente”.
Sul punto 7
Cercare di screditare una voce libera, distorcendo la percezione delle argomentazioni in modo che sembri che stia combattendo una battaglia privata contro qualcuno.
E’ un metodo che piace molto anche qui da noi. Travaglio veniva sempre accusato di cavalcare una personale battaglia contro Berlusconi. Tu vieni accusato di cavalcare una battaglia personale contro il Sindaco, o contro l’amministrazione – non ricordo bene – tra l’altro con l’aggiuntina gratuita dell’interesse personale al guadagno, giusto per aggiungere un po’ di veleno sotterraneo che va sempre bene.
Sono serpenti, questi produttori di veleno, e i serpenti non fanno mai una bella vita.
Sul punto 9
Nei primi anni novanta mio padre subì un attentato intimidatorio. Misero una bomba sotto la macchina, la fecero esplodere quando eravamo tutti a casa a tavola per cena. Ho ricordi frammentati, ero piccolino, ancora alle elementari.
L’attentato coincideva con un suo impegno nel sociale, come semplice presidente di proloco di un paesino dell’Ogliastra.
In tanti pensavano che fosse il modo di iniziare una carriera politica, e poteva essere una carriera che avrebbe scavalcato quelle di molti altri, ma non era quella la sua intenzione. Alla fine si è visto che l’intenzione era di ambito culturale.
Se non la vogliamo chiamare mafia possiamo comunque definirne un tratto caratteristico.
Mi viene da dire (così, un po’ frettolosamente) che la criminalità ha origine sempre o dalla ricchezza esagerata, o dalla povertà esagerata.
Credo che l’episodio appena detto sia figlio di una povertà esagerata.
Invece nel punto dieci mi sembra si parli di ricchezza esagerata e di bramosia di ricchezza esagerata.
C’è bisogno di equilibrio.
Sai per caso se ci saranno altre proiezioni di Silencio? O il modo di recuperarlo insomma
In Sardegna no, per il resto mi informo.
La storia dei Tilocca è agghiacciante, e forse non adeguatamente rievocata nella narrazione pubblica. Contrariamente a quanto sostiene Pino Arlacchi in “Perchè non c’è la mafia in Sardegna. Storia di un’anarchia ordinata” il caso di Burgos ci ricorda che forme di associazione a delinquere in grado di soffocare piccole comunità esistono anche alle nostre latitudini.
Scrivi un bell’articolo e mi scivoli proprio sul titolo? In mancanza ti redazione te lo suggerisco io quello corretto:
“Mafia, Sardegna e giornalismo: dieci cose che ho imparato grazie ad Attilio Bolzoni”
Quando hai bisogno 🙂
Spassiariri Vito
Sì, è vero, anche “imparato” andava bene ma ho scelto “capito” perché da una cosa capita possono discendere più insegnamenti 🙂
Non sono certo di aver compreso il senso del punto 4…. sarebbe meglio quindi se la politica (acqua) ignorasse la presenza dei 400 detenuti (pesci) ?
Premesso che è stata la stessa politica a decidere (e, a suo tempo, a non opporsi) che i 400 pesci dovessero venire in Sardegna, il ragionamento è semplice: il mafioso, per essere tale, ha bisogno di relazionarsi con la politica. Se la politica non vuole relazionarsi con lui e i suoi affari, il mafioso ha difficoltà a fare il suo lavoro di mafioso (sulla servitù carceraria ho scritto in altri post).
Ok il concetto è chiaro, non capivo l’allusione sui rapporti tra la politica sarda e i 400 detenuti in 41 bis, perchè dubito (forse ingenuamente) che ce ne siano… mi preoccupano piu’ i mafiosi a piede libero..