Luigi Pintor
Come ho ricordato nel post “Pd e Massoneria a Cagliari: quali rapporti?”, Giorgio Melis era il vicedirettore della Nuova Sardegna quando nell’ottobre del 1993 il quotidiano pubblicò le liste degli appartenenti alla massoneria a Cagliari. Con questo articolo, Melis ricostruisce il contesto politico tutto interno alla sinistra in cui quella pubblicazione avvenne e ripercorre anche il tragitto politico di Enrico Montaldo, dal Pci al Manifesto di Pintor e Rossanda: fino alla massoneria.
***
Caro Vito,
visto che ricordi un momento di grande clamore della vita sarda nella quale ho avuto qualche parte professionale, completo la ricostruzione su Enrico Montaldo e la franc maconnerie in salsa nuragica. Con dettagli inediti, contestuali e successivi.
In quegli elenchi c’era davvero di tutto e di troppo. Inclusi ultracattolici alquanto baciapile, da comunione quotidiana come Giorgio Falconi, allora cerimoniere a Villa Devoto della Giunta Palomba: molto ridicolizzato e molto indignato per essere stato smascherato nella doppia appartenenza. Ma i casi clamorosi erano millanta. Fino a far stupire chi aveva sospettato il peggio ma si trovò scavalcato da una realtà più larga e inquietante. Ad esempio, l’imponente infiltrazione nel Consiglio regionale. Non solo dei numerosi politici. Soprattutto del personale, anche a livelli burocratici apicali, e dei molti fra i tanti giornalisti che vi lavoravano. Il tasso di grembiulini era imponente e allarmante.
Fu una grande rivincita per Emanuele Sanna, il leader ex Pci che da presidente dell’assemblea aveva più volte denunciato oscure interferenze non genericamente esoteriche ma virate in pesanti manipolazioni politiche all’ombra delle logge. Emanuele Sanna, prove alla mano, poté inchiodare molti personaggi solo sospettati, che l’avevano fortemente contrastato: senza chiare motivazioni ma per concrete contorte ragioni riconducibili agli interessi politico-economici di esponenti di diversi partiti e delle professioni, specie quella medica, dominante nella sanità privata ma condizionante anche nelle scelte della sanità pubblica.
Sanna non poté invece inchiodare un importante compagno di partito, già suo alleato e poi avversario implacabile, il quale da tempo andava sostenendo (ma non allo scoperto) che Emanuele fosse massone. Mi accadde di dover contestare per ruolo professionale – presenti vari esponenti del partito in un congresso regionale del Pci – le affermazioni fatte dall’interessato a due persone (confermate di fronte a testimoni e firmate in una breve dichiarazione) sulla presunta affiliazione di Sanna alla massoneria.
Nella redazione cagliaritana della Nuova, i due mi riferirono che l’autore dei boatos, in varie occasioni anche pubbliche, era stato Piersandro Scano. Ovvero un esponente di punta ed ex segretario regionale del Pci, poi eccellente assessore al Bilancio in Regione. Un personaggio di notevole spessore culturale e politico, allora leader di un gruppo interno molto influente. Oggi, da sindaco di Villamar (il suo paese) è stato eletto segretario dell’Anci sarda: è ben al di sopra di ogni altro sindaco sardo per qualità ed esperienza. Ma in quel rovente 1993 la lotta nel partito era a coltello, Scano contro Sanna e viceversa. E il primo – non so se perché malinformato e depistato o perché solo sospettando volle colpire l’avversario interno – andava dicendo che Sanna era massone. Finì per scoprirsi davanti ai due testimoni citati e glielo contestai a viso aperto: con sue repliche e ovvie negazioni generiche, tanto poco credibili quanto imbarazzate.
Ma veniamo al capitolo Montaldo. Il padre di Enrico, Paolo, era un notissimo geologo, docente universitario, fra i massimo esperti della mineralogia sarda. Personaggio estroverso con forte empatia. Però massone notorio, professo benché non del tutto confesso.
Il figlio maggiore, Enrico, ingegnere in ascesa professionale, era un fervido ma critico attivista del Pci. Quando il grande Luigi Pintor fu “esiliato” in Sardegna dal partito (in odore di eresia con Rossanda, Natoli, Magri e altri), Montaldo ne divenne forte sostenitore e lo seguì nella traumatica scissione del Manifesto. A Cagliari fu particolarmente dolorosa e drammatica. Il carisma di Luigi Pintor. Il rigore esplosivo delle sue denunce, senza compromessi o sconti per il partito. La sua inimitabile scrittura tagliente come un bisturi e trasparente come una lastra di ghiaccio (il Manifesto quotidiano avrebbe vissuto molto dei suoi editoriali, sempre di 45 righe, spesso straordinari). Insomma, la personalità di Pintor aveva conquistato molti esponenti di punta, parecchi dei più preparati giovani emergenti. Insofferenti dei residui di stalinismo e di osservanza sovietica presenti nel partito.
I leader degli scissionisti con Pintor erano Salvatore Chessa (morto in un incidente nel 1974), Nuto Pilurzu l’avvocato che non scansava una causa in difesa dei lavoratori, Cenzo Defraia, Marco Ligas e molti altri. Enrico Montaldo venne espulso dal Pci per posizioni non ortodosse e di slancio seguì Pintor, col quale aveva creato anche un rapporto personale importante. Al punto di chiamare il suo primo figlio Giaime. Il nome dell’amatissimo fratello di Pintor, saltato su una mina nel 1943 mentre attraversava le linee tedesche per unirsi alla Resistenza a sud di Roma. Astro nascente e già prestigioso della letteratura italiana, benché giovanissimo. Un’altra normale combinazione: anche il primogenito di Luigi si chiamava Giaime (morto ancor giovane a Trieste, curato dal grande Basaglia), come lo zio scomparso. Come dire, un doppio legame speciale che Enrico Montaldo volle creare con Pintor attraverso il figlio.
A questo punto va ricordato che anche nel Pci Enrico Montaldo, in quanto figlio di un noto e importante massone, aveva dovuto insieme a un fratello, dichiarare formalmente ed energicamente, richiesto dal partito, di non essere iscritto ad alcuna loggia. Figurarsi quando passò al Manifesto, con Pintor “comunista apocalittico” che da Montaldo pretese quasi un giuramento laico di essere estraneo alla massoneria. Questo accadeva alla fine dei tumultuosi anni Sessanta.
Figurarsi la sorpresa di tutti e l’enorme indignazione di Pintor quando nel 1993 venne documentato che Montaldo aveva mentito a tutti ma specialmente all’uomo politico intransigente col quale cercato uno speciale legame anche personale. A questo aspetto umano e politico dedicai un breve commento sulla Nuova (“Da Pintor a Corona, il comunista ribelle col grembiule”) sottolineando la grevità dell’agire di Montaldo verso il suo leader osannato. Il quale Pintor l’amarezza e l’indignazione contro l’infido seguace non l’ha mai smaltita, fino agli ultimi giorni. Venne a Cagliari nel 2002 per presentare il suo ultimo libro, straziato dalla fulminea morte della figlia Barbara dopo quella – anni prima – del primogenito Giaime.
Alla fine della serata organizzai un’improvvisata cenetta con la seconda moglie Isabella, il rappresentante della Bollati Boringhieri e alcuni dei suoi migliori amici cagliaritani nella trattoria “Dr. Ampex” in via San Giacomo. Una bella serata, portai a Pintor delle stampe del Poetto anni trenta che lui amava e citava con rimpianto e dolore. Salutandoci, a tarda notte, all’imbocco di Terrapieno, Luigi mi abbracciò e per poco non svenni dall’emozione: nessuno immaginava gesti simili nella severità del suo carattere.
Ma la serata si era aperta nel segno del malumore. Parlando con Anna Maria Pisano, vedova di Salvatore Chessa e rimasta legatissima a Luigi dopo la morte del marito, Pintor in piedi e alquanto alterato tornò sulla storia di Enrico Montaldo massone. Ancora gli bruciava, direi esclusivamente o soprattutto sul versante umano. Disse ad Annamaria: “Diglielo, diglielo da parte mia, che è un pezzo di… Non perché era massone e ce lo ha sempre negato. Diglielo che lo disprezzo per aver coinvolto, quasi offeso mio fratello e me, chiamando Giaime suo figlio. Che bisogno c’era – si sfogava Pintor – di questa sconcezza, di tirare in ballo il nome di mio fratello? Non so perché, forse per rendere insospettabile d’essere comunista e massone, con quella scelta non richiesta di rafforzare umanamente la stima che mi mostrava. Tutto, tutto avrei potuto forse capire. Non di aver accostato il nome di mio fratello, mentendo a me e ai compagni sulla sua appartenenza alla massoneria. Diglielo, Anna Maria, diglielo che è stato e resta un pezzo di…”.
Fine di una storia, non determinante ma significativa anche per i valori e disvalori di un altro tempo rispetto a quello sbandato che viviamo. La vita è naturalmente continuata, dimentica (non in tutti) di quell’episodio.
Enrico Montaldo ha anche avuto guai seri con la giustizia, ne è uscito. Nel tempo ha rafforzato l’amicizia con Emanuele Sanna, l’anti-massoni, fino a progettargli una bella casa a Santa Margherita di Pula accanto alla sua villa. Ora la sortita del figlio Nicola in politica e l’intervista con l’accostamento alla massoneria, gettano una piccola luce sulla brutta storia lontana del padre con Luigi Pintor. L’uomo che non volle perdonargli non tanto la denegata appartenenza alla massoneria, ma la menzogna recidiva e l’improvvido accostamento al nome del fratello Giaime.
E lui, Enrico Montaldo, come giudica quella scelta pessima di tanti decenni fa e il giudizio sprezzante che Pintor ne ha dato fino all’ultimo? Non ha mai detto nulla, forse nessuno glielo ha chiesto. O forse il silenzio è l’unica scelta dignitosa per parole e atti indifendibili e inspiegabili.
Giorgio Melis
“Che storia di decadenza malinconica”, commenta un anonimo. In parte coglie nel vero. Ma sbaglia anche perché la storia è di permanente attualità: come ha ben sottolineato Vito Biolchini. Ha preso proprio e giustamente spunto dalla reviviscenza massonica. Si è manifestata moltissimo negli ultimi anni, prima e dopo le elezioni del 2009 in cui era impegnata allo spasimo contro Soru per Cappellacci. Insomma, i grembiuli al potere: in Regione e a ogni livello, allo scoperto. Perché da quella “storia di decadenza malinconica”, niente è cambiato se non in peggio. Neanche la massoneria è più quella di un tempo: pur non essendo mai stata un fiore all’occhiello per l’opacità del suo agire e i troppi coinvolgimento politico-affaristici.
Negli ultimi anni della sua vita, Armandino Corona – in rotta con i figli Ketty e Piergiorgio, che avevano cercato di interdirlo riuscendoci in parte – manifestava con chiunque lo avesse avvicinato disprezzo e insofferenza per la deriva della massoneria sarda e cagliaritana in particolare. Per gli arruolamenti a valanga, improbabili e maldestri, di personaggi in cerca di fortuna e soldi all’ombra delle logge. Certo, c’erano e ci sono ottime persone e professionisti prestigiosi nelle loro file. Ma resta un background sospetto e sgradevole di arrampicatori e arrivisti che scalano poltrone e ruoli politici in partiti trasformati in piccole e squallide massonerie pseudo-politiche, di bottega e a caccia di ogni brandello di potere.
Tutto si tiene, nel precipizio che ci inghiotte: malapolitica, malamassoneria, di tutto e di peggio nello sfascio di un’Italia allo sbando e della Sardegna disgregata e distrutta. Come mai in passato, negli ultimi cinque anni delle letali Giunte Cappellacci. Con la massoneria che ha spadroneggiato e imperversato in forme senza precedenti, a volto ormai scoperto. Ma ben coperto mediaticamente dal grande alleato, il gruppo Unione Sarda di Sergio Zuncheddu: coazionista della Giunta, dove ha sempre avuto diversi assessori direttamente espressi, qualcuno poi dirottato in enti di grande importanza come Sardegna Ricerche. Pour cause, Ketty Corona, la madre e la figlia di tutta la massoneria cagliaritana. Ora anche elevata giornalisticamente al rango di grande manager, forse perfino internazionale. Senza che nessuno dica una parola. Senza che le penne à la carte arrossiscano per l’impudica esaltazione, sprofondando nel ridicolo.
ps. Piersandro Scano, senza richiedere alcuna precisazione, mi ha privatamente scritto di non aver mai accusato Emanuele Sanna di affiliazione alla massoneria. E non di averlo mai creduto: “Era troppo intelligente per farlo”. Aggiunge: “Molti lo dicevano, facile attribuirlo credibilmente a me che avevo un forte, motivato dissenso politico con lui”. Prendo atto delle parole di Scano, senza nulla obbiettare. Confermando solo la ricostruzione che con onestà intellettuale ho fatto di quella vicenda. Naturalmente credendoci, altrimenti non avrei avuto ragione di scriverne. Con la possibile eventualità di aver magari sbagliato tutto.
Bellissimo articolo…. come si scrivevano un tempo….
Le debolezze dell’animo umano di chi vuol apparire più forte (e potente) di quanto in realtà non sia…….
Che storia di decadenza malinconica.