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“Contro lo spopolamento e la catastrofe antropologica la soluzione è il ritorno alla terra”, di Silvano Tagliagambe

Giovani_Agricoltori

In un contributo ospitato su Sardegna e Libertà il 1° agosto (dal titolo “Per imparare a pensare e non sol a ripetere. Un nuovo paradigma per la cultura del lavoro”) invitavo a riflettere sulle conseguenze dello spopolamento delle zone interne della Sardegna e sull’esigenza, per la politica regionale, di adottare con urgenza adeguate contromisure. Scrivevo, in particolare:

È chiaro che se si prende in considerazione il solo fatto che sostenere un determinato processo (ad esempio il ritorno dei giovani all’agricoltura, o alla pastorizia e all’allevamento, per facilitarne l’ingresso nel mondo del lavoro) ha dei costi superiori ai ricavi che se ne possono trarre, è del tutto legittimo (anzi doveroso) far rientrare questo tipo di operazione sotto la voce ‘assistenzialismo’, e di conseguenza liquidarla come improponibile, in quanto contraria ai principi di un’economia sana ed efficiente. Ma se nel calcolo si fanno rientrare (come fa Eurofound con i Neet) i costi non solo sociali, ma anche economici dell’abbandono di intere e sempre più vaste porzioni di territorio, con il crescente rischio, nel caso della Sardegna, della riduzione dell’isola a una sorta di ciambella rigonfia solo nella fascia costiera e nelle poche aree urbane e vuota (pericolosamente per l’equilibrio interno e la tenuta del suo territorio e della sua organizzazione sociale) al centro e nelle zone interne, il discorso cambia e ciò che appariva, nell’ambito di un certo tipo di prospettiva economica, ‘assistenzialismo’, diventa sostegno, del tutto compatibile e corretto, allo sviluppo di un intero sistema”.

Mi fa ora piacere che un professionista autorevole e competente come Gianni Mura, che è stato presidente della sezione Sardegna dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, componente del Comitato regionale della programmazione, consulente, dal 1998 al 2000, dell’Assessore regionale della Programmazione ed è tuttora consulente di numerose amministrazioni pubbliche sui temi dell’urbanistica, della pianificazione territoriale e dello sviluppo locale intervenga sul medesimo argomento nel blog di Vito Biolchini con un articolo dal titolo “Spopolamento dei piccoli centri, serve una strategia: Pigliaru ce l’ha? Il caso Monteleone Roccadoria”.

Dopo aver consigliato ai lettori di programmare, al più presto, una visita a questo che è tra i più piccoli Comuni della Sardegna, dove vivono 125 persone, in gran parte vecchie, e avere descritto il fascino del luogo e del percorso per arrivarci l’autore entra subito nel vivo della questione:

“Il punto che voglio toccare è proprio questo e riguarda Monteleone Roccadoria, ma anche un numero rilevante di Comuni della Sardegna dell’interno con una popolazione di alcune centinaia di abitanti. Nei prossimi 20/50 anni questi paesi scompariranno silenziosamente senza però morire totalmente, continuando comunque ad esistere come entità residenziali, a cui sarà inevitabilmente necessario fornire acqua, elettricità, depurazione etc. finché ci sarà ancora qualche abitante.
I problemi che il processo di spopolamento dei paesi dell’interno della Sardegna pone non sono solo di natura insediativa, culturale e di presidio indispensabile del territorio, ma anche di natura economica, sia rispetto al territorio agrario che in relazione al valore e agli investimenti (pubblici e privati) che sono stati fatti e che si continueranno inevitabilmente a fare. Insomma, lo scenario tendenziale che oggi si intravede (la scomparsa sostanziale di circa cento Comuni della Sardegna entro questo secolo) sarebbe non solo una catastrofe antropologica, ma anche un disastro economico”.

Il rimedio suggerito è chiaro e in linea con la proposta avanzata anche da me:

“È necessario far crescere la popolazione di questi paesi in modo rilevante, fuori da un ordinario processo demografico interno ai paesi stessi. Per stare al caso di Monteleone Roccadoria, occorre che i 125 abitanti attuali diventino il doppio o il triplo in tempi non lunghi, realizzando quelle condizioni dimensionali perché il paese abbia quella vitalità minima capace di opporsi al suo declino prima e alla sua scomparsa poi. È evidente che una crescita demografica di questo livello non potrà mai avvenire per incremento demografico da saldo naturale, né per incremento migratorio di tipo tradizionale”.

Come? Cogliendo tutte le opportunità che emergono dai processi in atto. Ad esempio il crescente “ritorno alla terra” dei giovani, sempre più orientati ad abbandonare le professioni “cittadine” e a puntare sul verde e sull’ambiente, iniziando dai banchi di scuola. Lo attesta l’aumento record degli iscritti negli istituti agrari, che nel nostro paese registrano un più 12 per cento, uniformemente distribuito in tutti gli indirizzi legati ad ambiente, alimentazione e turismo secondo i dati dello studio presentato alla prima Summer School sul made in Italy, promossa da Coldiretti Giovani Impresa in collaborazione con l’Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare, con laureati provenienti da tutte le università italiane seguiti da esperti del sistema agroalimentare, professori, imprenditori, magistrati e manager.

Nel nuovo anno scolastico 2014/2015 si sono iscritti al primo anno degli istituti tecnici e professionali della scuola secondaria di secondo grado, statali e paritarie, 264.541 giovani e tra questi il 24% ha optato per l’agricoltura, l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera, che complessivamente hanno registrato 63.719 nuovi iscritti contro i 60.017 dello scorso anno. Un boom quello delle scuole tecniche di agraria, agroalimentare e agroindustria che trascina anche le scuole professionali per i servizi per l’agricoltura e lo sviluppo rurale (+ 8%) e quelli che si indirizzano verso l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera (+ 5%).

Numeri che, evidenzia la Coldiretti, “testimoniano una vera rivoluzione culturale, confermata anche dai risultati di un sondaggio svolto con Ixé, secondo il quale il 54% dei giovani oggi preferirebbe gestire un agriturismo piuttosto che lavorare in una multinazionale (21%) o fare l’impiegato in banca (13%). Inoltre, secondo il rapporto, il 50% degli italiani ritiene che cuoco e agricoltore siano le professioni con la maggiore possibilità di lavoro mentre solo l’11% ritiene che l’operaio possa avere sbocchi occupazionali.

Queste scelte scolastiche e questi orientamenti riflettono un mondo che cambia, ragazzi diventati adulti all’ombra della crisi che, decisi a evitare di andare all’estero per trovare un lavoro e a non lasciare la regione in cui sono cresciuti, prendono atto del fatto che in questi anni difficili l’agroalimentare sembra essere il settore capace di una maggior tenuta, come attesta il fatto che i diplomati degli istituti agrari e i laureati in agraria hanno trovato e continuano a trovare lavoro. In particolare oggi un laureato in questo settore riesce a inserirsi in tempi ragionevolmente brevi nel mondo del lavoro nel 95% dei casi, a fronte del 25% attuale dei laureati in giurisprudenza.

Il problema è che la media del reddito in Italia è decisamente inferiore rispetto a Francia, Germania e Spagna, come ha sottolineato il ministro delle politiche agricole Maurizio Martina in un dibattito organizzato a Padova alla festa del Partito Democratico: “Siamo sotto del 25% in alcuni casi. E nonostante i buoni segnali di ingresso dei giovani e l’interesse rinnovato siamo sotto anche nel tasso di imprenditorialità under 35. Da noi siamo al 5%, mentre la media europea è dell’8 %”.

È qui che s’inserisce la questione della premialità e degli incentivi a sostegno dell’imprenditorialità giovanile del settore, sulla quale attiravo l’attenzione nel mio intervento del 1° agosto, e che ha indotto qualcuno a tacciarmi di paladino dell’assistenzialismo e ad annoverarmi tra gli intellettuali che, dopo aver assistito a decenni di sperpero di denaro pubblico, insistono nella medesima direzione. Non vedere l’importanza e l’urgenza del problema al quale mi riferivo significa non solo rischiare di vanificare e sprecare l’attenzione nuova al mondo agricolo che si riscontra da parte dei giovani, ma non rendersi conto di tutti i costi dello spopolamento, così efficacemente esemplificati da Gianni Mura analizzando il caso di Monteleone Roccadoria, che configurano, come detto, un disastro economico, oltre che una catastrofe antropologica.

Le ricette liberali, trite e ritrite, che molti (troppi) continuano a considerare la panacea di tutti i mali sono in grado di evitare (e come?) questo spaventoso scenario che incombe come una minacciosa spada di Damocle sulla politica regionale? Ricordiamo, a beneficio degli immemori, che, secondo il racconto di Cicerone, Damocle era un grande adulatore, che non perdeva occasione di ricordare a Dionigi I il Vecchio, tiranno di Siracusa nel IV secolo a.C., quanto fosse fortunato a esercitare il potere che gli derivava dal suo ruolo e quanto fosse saggio e avveduto nell’esercizio della sua funzione: “il migliore dei tiranni possibili” per mutuare, ante litteram, la feroce descrizione che Voltaire fornisce di Candide, allo scopo di confutare l’ingenuo ottimismo di matrice leibniziana.

Quale sia la morale della storia non c’è bisogno di rammentarlo: l’esile crine di cavallo che sostiene la spada e che rischia di spezzarsi da un momento all’altro è una metafora costruita per indurre a non dimenticare i pericoli che si addensano sopra la testa sia di coloro che trascurano per troppo tempo i segnali, magari inizialmente deboli e poi via via più forti e precisi, che provengono dal sistema che governano, sia dei loro incauti laudatores.

Silvano Tagliagambe

 

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9 Comments

  1. Bidu stimau,
    no ti inchietis cun Filipu, at nau mali cosa chi, narada beni e pigada beni, podit essi de interessu. Est a nai, po su chi apu cumprèndiu e chi pensu deu, ca sa mellus polìtica sana, sa prus polìtica forti, est s’esempru personali. Tagliagambe, ca at fatu su professori, dd’at a depi sciri, ca sa mellus didàtica est s’esempru personali. In su fatu, a cambiai logu de bivi est traballosu, ca a dolu mannu est su logu de traballu a cumandai. Incapas a chini est pensionau, cumenti mi parit chi siat Tagliagambe, podit essi prus fàtzili a cambiai logu de bivi, ca sa pensioni arribat tanti a Casteddu e tanti a Biddanoa Mont”e Lioni, tanti a Casteddu e tanti a Sèneghe, a Baràdili e aici nendi. Forsis Filipu boliat nai custu: “Fustei chi podit, poita no cumintzat a donai s’esempru bonu?”.
    Custu balit fintzas po totu is arratzistas (Tagliagambe no est de custus) chi bivint in Casteddu e funt sempru narendi ca sa mellus Sardìnnia est sa de monti, sa de is biddas, sa de inguni e sa de inguddanis. Arribant a nai ca Casteddu no est una tzitadi sarda (intèndiu cun is origas mias, de unu chi si creit studiau mannu, in privau ti potzu fai su nòmini de issu e de is testimòngius chi nci fiant). E insandus, giai chi a custus Casteddu ddus grisat aici meda, poita no si ndi torrant a bidda insoru? Un’arrespusta iat a podi essi sa de unu stampaxinu schetu (ti potzu fai su nòmini de custu puru) chi, arròsciu de custas chistionis, iat nau: “Pensant in logudoresu ma po papai ge ddis praxit a papai in campidanesu puru!”.
    In prus, no si pensais ca sa sderruta antropològica chi narais nàsciat fintzas de su fatu chi est morendisì sa lìngua sarda? E insandus Tagliagambe, ca forsis est in pensioni e tenit su tempus de imparai totu is lìnguas chi bolit, poita no fait un’apretu de imparai, chistionai e scriri in sardu? De sinunca at a parri unu – cumenti narat, mali, Filipu – totu teoria e nudda fatus.

    • Ma no caro Amos, la coerenza che va chiesta ad un intellettuale è nei ragionamenti perché quello è il suo mestiere, pretendere che Tagliagambe vada a fare l’agricoltore era e resta una stupidaggine, così come lo è chiedere ad un cagliaritano che è preoccupato per il futuro delle zone interne e il rischio di spopolamento di trasferirsi in una bidda. Qui stiamo parlando di politica, non di comportamenti individuali che lascerebbero il tempo che trovano. La sfida è far restare nei paesi chi è nato o vive lì, non deportare un quartiere cagliaritano a Roccadoria Monteleone, non è di questo che stiamo parlando. Piuttosto rimango stupito di come non ci colga la novità: l’accademia e l’intellettualità urbana cagliaritana non hanno difficoltà a fare ragionamenti innovativi sullo sviluppo delle aree rurali che fino all’altro giorno erano totalmente impensabili.

      • Bidu stimau,
        no seus di acòrdiu, bolit nai ca teneus una bidea diferenti a pitzus de ita depant fai is studiaus orgànicus a una crassi e/o a una natzioni, sempri chi Tagliagambe e is atrus bollant essi de custus, cosa chi a custu puntu mancu mi parit sigura.
        Po s’atru, deu no apu mai scritu ca Tagliagambe depat fai su messaju, scriu sceti, diferentementi de su chi pensas tui, ca “il personale è politico”, ca “la somma di comportamenti individuali sono politica” e ca “a lasciare il tempo che trovano” funt pròpiu is arrexonamentus chena de atzionis, mancai s’arrexonamentu siat de sa prus coerèntzia dialètica de su mundu.
        Tenis arrexoni a nai ca est una noa chi imoi is studiaus siant chistionendindi, ma a mei mi spèddiant pagu, ca una noa prus manna ancoras iat’essi a biri fatus e no arrexonus sceti. Mi spèddiat pagu, puru ca – e pedrona chi potzu parri presumiu – deu custus bellus arrexonamentus ddus faemu (e difatis seu abarrau a bivi in sa bidda innui seu nàsciu) giai bint’annus a oi in sa Facurtadi de Scèntzias Polìticas e giai totus mi pigànt po macu, po nai pagu.
        In prus no apu cumprèndiu una cosa. Tui naras: “La sfida è far restare nei paesi chi è nato o vive lì”. Giuanni Mura narat: “È evidente che una crescita demografica di questo livello non potrà mai avvenire per incremento demografico da saldo naturale”. E insandus?

      • La risposta al quesito è politica. Vuoi la mia risposta? Immigrati. Ne parla da tempo anche il preside di agraria a Sassari, Giovanni Pulina. Questo post è interessantissimo: http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/4365
        Immigrati e politiche vere per favorire il lavoro qualificato nel settore agricolo.

  2. filippo says:

    troppo facile dire che e’ una stupidaggine…era una battuta…
    Piuttosto l’appeal che ha avuto l’articolo non mi e’ sembrato proprio altissimo…L’hai capito o no che ci siamo stufati delle continue analisi di mostruosi intellettuali che non fanno altro che aggiungere depressione nel gia depresso deserto sardo? Servirebbe sentire/vedere esempi di concreto attaccamento alla propria terra…Deu su marroni du sciu pigai e du pigu…De tamatasa e patatasa non di tengiu abbisonzu…Ho insegnato ai miei bambini che crescono in terra non al supermercato…Voi?

    • Sinceramente, io nel mio blog scrivo e pubblico quello che mi pare. Se poi non vuoi le analisi degli intellettuali su facebook trovi quello che cerchi.
      Saluti.

  3. Caro Silvano, vengo indirettamente chiamato in causa per la tua posizione. Non ti ritengo uno sperperatore di denaro pubblico. Semplicemente mi interrogo sul senso pratico delle proposte. Ho risposto ad agosto nel seguente articolo: http://www.sanatzione.eu/2014/08/tagliagambe-chiarisce-larticolo-del-1-agosto-ed-ecco-una-mia-replica/ Non troverai mie repliche nel sito di Paolo Maninchedda perché ha preso il vizio di censurare le opinioni altrui.
    Penso anche che chi ha opinioni diverse debba collaborare alla ricerca di soluzioni ad un problema tanto complesso. Contesto l’idea che esistano “ricette liberali trite e ritrite”. Quali sono? Mi si possono fare esempi? Tasse e costo dell’energia non accennano a calare. Credo esista un problema opposto: troppo Stato, troppa Regione. Sappiamo anche tutti che il denaro pubblico versato su questo settore non finisce mai materialmente a chi lavora ma ai figlioli di qualche funzionario, che la campagna la vedono solo nelle cartoline. Come ho scritto nell’ultimo pezzo, forse bisognerebbe concentrarsi sui fattori strutturali: tasse, burocrazia, perfezionamento infrastrutturale, e abbandonare l’idea che i soldi dei contribuenti contribuiscano a creare ricchezza o arrestare il processo di desertificazione sociale del territorio. C’è uno studio che sostiene la validità degli incentivi nel nostro territorio? Se si con quali risultati?

    Giusto ieri il giornalista Francesco Giorgioni ha realizzato una intervista a Felice Floris del MPS, in mezzo, assieme a risposte che non mi convincono, ci sono però anche soluzioni interessanti su cui credo dovremmo tutti riflettere: http://www.sanatzione.eu/2014/09/le-proposte-del-movimento-pastori-sardi-intervista-a-felice-floris/

    Con stima, Adriano

  4. filippo says:

    provo a fare un ragionamento:
    “…si tagliagambe no andada a marrare su spopolamentu cumintzada cun issu?”

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