Qualche giorno fa, nel post “La giunta Pigliaru fa esplodere la crisi nei Rossomori e Sel! Sovranisti, e se ripartissimo dalla lingua sarda?“ ho espresso il timore che la nuova giunta regionale, presieduta da Francesco Pigliaru, possa ignorare il tema del bilinguismo. Il filosofo della scienza Silvano Tagliagambe con questo suo intervento rilancia la questione e sollecita in maniera diretta la neo assessore alla pubblica istruzione, Claudia Firino.
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Non so quale sia l’orientamento del nuovo assessore della Pubblica Istruzione Claudia Firino sulla questione del bilinguismo. C’è solo da augurarsi che non la ignori e che non ricalchi l’approccio puramente propagandistico e strumentale del suo predecessore.
Per tenersi lontani dai soliti vizi della politica, che tende a valutare i problemi da affrontare con il solo metro del consenso elettorale che può venire dalle soluzioni adottate, e non in termini di reale efficacia per estirpare mali congeniti, è necessario partire da dati ben conosciuti e spesso sbandierati, senza che ne siano però seguite proposte concrete di intervento.
Si tratta del record assoluto in Italia di giovani sardi che abbandonano precocemente gli studi che porta al 32,6% il dato relativo alla popolazione tra i 18 e i 24 anni, con titolo inferiore al diploma di scuola secondaria superiore, che non partecipa a ulteriore istruzione e formazione, contro il 22,1% dell’Italia e il 15,2% dell’UE.
Questi dati mostrano che la Sardegna si ritrova ancora oggi con una percentuale di abbandono scolastico doppia rispetto alla media europea e addirittura tripla rispetto a quella stabilita come obiettivo negli accordi di Lisbona. L’indicatore percentuale di studenti con scarse capacità di comprensione della lettura, riferito all’aggregato “Isole”, evidenzia che il 36% circa degli studenti isolani non risulta in grado di comprendere nemmeno testi che presentano un livello di difficoltà tutt’altro che arduo.
È una percentuale estremamente elevata. In termini assoluti costituisce un campanello d’allarme che sarebbe irresponsabile ignorare: se raffrontata al 10,9% del Nord-Est del Paese e al 20% circa del Centro essa segnala che in Sardegna esiste, in modo assai marcato, un deficit specifico di educazione linguistica che nell’ultimo quinquennio, quello contrassegnato da una politica che ha usato in modo sgangherato e con interventi spot improvvisati il sardo come bandiera propagandistica, è addirittura peggiorato.
Compete allora alla nuova Giunta regionale porsi in modo serio e rigoroso il problema dando seguito effettivo alla centralità che, in campagna elettorale, il presidente Pigliaru ha riconosciuto alla questione dell’istruzione, riferendosi spesso al dato della dispersione scolastica come emergenza sociale da affrontare con la massima decisione e tempestività, dato che stiamo parlando di giovani ai quali è attualmente negato un futuro.
Una delle ipotesi in campo per spiegare perché la Sardegna abbia il poco invidiabile record dei fallimenti scolastici è quella che pone in relazione questa emergenza con la questione linguistica. Particolarmente interessante, da questo punto di vista, è l’analisi proposta da Roberto Bolognesi nel suo recente libro Le identità linguistiche dei sardi (Condaghes 2013).
L’idea che viene avanzata è che le difficoltà dei bambini e ragazzi sardi a usare in modo corretto l’italiano siano dovute a quelle che Cristina Lavinio già nel suo intervento al convegno “Scuola e bilinguismo in Sardegna”, tenutosi a Cagliari nel 1991, chiamava le “forme più evidenti e meno accettabili di incrocio (o interferenza) tra due diversi sistemi linguistici, che infarciscono le produzioni linguistiche degli alunni”, denunciando il fatto che la scuola, anziché intervenire accuratamente e con un metodo adeguato su di esse, “si limita a bollarle come errori, a rifiutarle drasticamente”, addebitandone “la responsabilità, all’ingrosso, al dialetto (così immediatamente indicato in una luce negativa)”, senza intervenire “in modo rispettoso della necessità di non condannare in quanto ‘inferiori’ le parlate locali […] e della necessità, insieme, di realizzare un obiettivo democratico fondamentale: consentire a tutti di padroneggiare nel modo migliore anche l’italiano”.
Dal 1991 a oggi è passato quasi un quarto di secolo durante il quale non si è avvertita l’esigenza di porsi la questione delle interferenze così limpidamente evidenziata e di sperimentare misure e interventi atti a estirparne gli effetti perversi. Ora Bolognesi ripropone il problema sottolineando come il diffuso rifiuto di far entrare la lingua sarda nelle aule scolastiche sia “limitato a quella porzione di essa che è più facilmente accessibile alla coscienza (il lessico), lasciando praticamente inalterata tutta quella porzione (la grammatica) di cui, secondo la definizione data da Noam Chomsky, abbiamo soltanto una conoscenza tacita. È come se il sistema linguistico finora negato (il sardo) si sia vendicato e continui a vendicarsi ‘inquinando’ il sistema linguistico egemone” (pp. 30-31) e rendendone pertanto arduo e complicato l’uso corretto.
Secondo questa ipotesi, dunque, nelle aule delle scuole primarie e secondarie della Sardegna non sarebbe presente in maniera diffusa l’italiano standard e corretto, ma una forma d’italiano che possiede ancora numerosi tratti provenienti dalla lingua sarda, quindi un ibrido linguistico condizionato da una struttura sintattica della frase mutuata dalle varietà del sardo, nelle quali essa si presenta in forma largamente omogenea e che ne costituisce un tratto esclusivo.
Bolognesi quantifica ed elenca 71 fenomeni sintattici assenti dall’italiano standard e di cui solo 9 non sono condivisi interamente da tutte le varietà del sardo e mostrano differenze più o meno grandi. Questa contaminazione fa sì che i sardi, pur essendo generalmente convinti di parlare un ottimo italiano, usino in realtà una varietà della lingua nazionale che mostra differenze notevoli rispetto a quella standard. “Il paradosso di questa situazione consiste nel fatto che se, dal punto di vista del lessico (delle parole usate), l’italiano regionale si può definire con buona approssimazione come una varietà dell’italiano, dal punto di vista delle strutture grammaticali (sintassi, morfologia, fonologia) esso è abbondantemente influenzato dalla grammatica del sardo, e le strutture grammaticali del sardo sono spesso molto diverse da quelle dell’italiano standard” (p. 64).
Si ha così una struttura sintattica anomala che dal punto di vista scolastico viene sanzionata come scorretta, sgrammaticata, senza però che si individuino le cause di questa deviazione rispetto alla lingua standard e di mettere in atto misure idonee a intervenire accuratamente su di essa. Ci si limita a non accettare e a stigmatizzare evitando di porsi, come sarebbe doveroso, il problema di cosa fare per rimediare e sanare questa anomalia.
Con il progetto Semid@s-“Scuola digitale in Sardegna”, di cui ero proponente e direttore scientifico, si era prospettata una soluzione concreta, che era quella di dotare le scuole, in tutti i loro ordini e livelli, dalla primaria agli istituti secondari superiori, di materiale didattico innovativo che oltre a essere prodotto in modo da poter utilizzare convenientemente gli apparati hardware introdotti (Lavagne Interattive Multimediali e accesso a Internet con rete a banda larga) fosse realizzato in tre lingue: italiano, inglese e sardo. L’idea era quella di far uscire quest’ultimo dalla situazione di clandestinità riconoscendogli pieno e pari diritto di cittadinanza all’interno del sistema scolastico regionale.
L’ipotesi di lavoro, pienamente accreditata dal libro di Bolognesi, è che in questo modo gli studenti avrebbero potuto agevolmente prendere coscienza delle strutture sintattiche dell’italiano e di quelle del sardo e delle loro differenze e assumere quella cognizione profonda derivante dall’uso diretto e dalla comparazione reciproca tra di esse. L’obiettivo dichiarato era quello di far entrare nelle aule il sardo per farne uscire l’italiano regionale favorendo così l’accesso alla lingua italiana standard, oltre che a quella inglese.
Se è l’italiano regionale, con l’ibridazione di cui è il prodotto, una delle cause non secondarie della scarsa propensione dei nostri alunni e studenti a un uso corretto della lingua italiana standard, la giusta ricetta per guarire questo male può consistere nel raggiungimento di un’adeguata consapevolezza dello scarto tra questi due sistemi linguistici a causa della presenza, come convitato di pietra, del sardo, fantasma nascosto in una marmorea statua sepolcrale. Trasformare questa presenza da invisibile e muta ma incombente, e perciò inquietante e imprevedibile negli effetti discorsivi che produce, in un invitato ufficiale ai programmi scolastici poteva costituire la giusta via per spezzare il circolo vizioso tra dispersione scolastica e questione linguistica.
Come sia andata a finire tutti ormai lo sanno: quello stesso presidente che ha omesso solo di trasformare il suo cognome da Cappellacci in Cappellacciu per ostentare in modo caricaturale la sua adesione ai valori e agli emblemi della nazione sarda e quell’ex assessore che ora proclama impudentemente di lasciare in eredità al suo successore la valorizzazione della lingua sarda come patrimonio immateriale di inestimabile valore della nostra Regione hanno bloccato la produzione di quei materiali in tre lingue, revocando il bando europeo regolarmente pubblicato e già scaduto, con la connivenza e la complicità dei funzionari regionali che l’avevano promulgato e che non hanno esitato a ritirarlo senza plausibili motivazioni.
Ripropongo allora al nuovo assessore Claudia Firino la domanda di partenza: che cosa intende fare per venire a capo dei problemi di cui abbiamo parlato e cercare di favorire l’innalzamento della qualità complessiva del sistema scolastico regionale, arginandone la dispersione?
Silvano Tagliagambe
Spantu! Tagliagambe puru, chi connoscemu cumenti a epistemòlogu sceti, bolit su bilinguismu italianu-sardu, a su mancu aici parit de cumprendi. No ddu sciemu, aici cumenti no sciemu ca fessit dirigidori de custu progetu Semid@as. Aici cumenti ddu contat issu parit chi fessit una cosa bona, ma deu domandu:
1. giai chi pensat custas cosas, poita no at imparau su sardu e fatu letzioni in sardu candu fiat professori de s’Universidadi in Casteddu?
2. giai chi pensat custas cosas, poita no imparat su sardu e scrit is librus suus in sardu?
3. custu “materiale didattico innovativo in sardo” is editoris ddu iant’essi fatu po contu insoru (cumenti podint fai imoi e totu) o cun d-unu agiudu de dinai pùbricu?
4. chi est sa segundu, chini iat a essi fatu sa giuria po scioberai a calis traballus donai dinai e a calis nou?
5. sa giuria dda iant a essi fata genti de sa polìtica e de sa burocratzia sceti (assessoris, funtzionàrius e aici nendi), chi no at fatu mai un’annu de traballu in sardu in crassi cun is piciocheddus e no di cumprendit una cibudda, o puru genti de su traballu cumenti maistas e maistus chi scint sa cosa po dda bivi dònnia dii?
6. sa giuria iat a essi agiudau autoris e traballus de totu is bariedadis, duncas de is duas bariedadis literàrias stòricas (campidanesu e logudoresu) puru o de calincun’atra bariedadi sceti?
Labai ca su prus de sa chistioni est innoi, in custas ses domandas, is domandas chi fait calisisiat traballadori interessau a una sotziedadi giusta. Tagliagambe, scentziau chi at studiau e traballau po annus in Unioni Soviètica puru, ddu iat a depi sciri beni.
Ehhh…Amos, tui puru torrau a iscarraxai…
La grammatica contrastiva è un metodo superato in tutta Europa. nessuna minoranza linguistica lo usa. Si usa la grammatica contrastiva quando si vuole insegnare la lingua ufficiale attraverso il dialetto (che si vuole abbandonare). Il collegamento poi tra dispersione e lingua non è provato scientificamente. Si afferma, ma non ci sono dati concreti collegabili e falsificabili. E RIPETO QUESTO METODO IN EUROPA NON ESISTE.
Tutto vero, ma non nei dettagli: nella prima bozza di progetto deliberata Tagliagambe, di sua sponte, non inserì neanche una riga sul sardo. Dopo le proteste della conferenza della lingua di Alghero 2011 (quella in cui si contestò il rettore Mastino e i suoi professori per intenderci) su Comitad de sa limba sarda e il Movimento linguistico riuscirono a ottenere con grande fatica ciò che il professore presenta come una sua proposta. La responsabile regionale era la dottoressa Sollai . Poi Cappellacci e Milia cambiarono rotta e presero la sciagurata decisione di bruciare il progetto e regalarlo a Roma e alla Puglia. Tagliagambe da consulente speciale solo allora divenne nemico di Cappellacci. Bolognesi allora era schierato con il Movimento Linguistico, oggi è tornato sotto l’ombra protettrice delle accademie. Corongiu non credo c’entri molto con queste vicende, di sicuro all’epoca sosteneva le posizioni de su Comitadu e del Movimentu Linguìsticu. In ogni caso il progetto di Tagliagambe, corretto dal Movimentu, sarebbe stato una bomba (in positivo).
https://www.youtube.com/watch?v=h4_jfQGDQ0Q
D’accordo praticamente su tutto. Giustissime le critiche alla precedente Giunta, però va detto che scelte o dichiarazioni anche solo strumentali possono lasciare qualche minimo sedimento concreto (es. intestazioni bilingui degli atti della Regione). Ma, in effetti, qui la questione è la scuola, dunque le critiche sono più che fondate.
Si tratterebbe di un significativo utilizzo della didattica contrastiva nell’apprendimento linguistico, di cui è possibile prevedere risultati positivi, anche in ordine al contrasto dell’abbandono scolastico.
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