Spettacolo

“Ne Il sol dell’avvenire Moretti se la canta e ce le suona. Ma il cinema è altrove” di Sante Maurizi

“Il dibattito, no!” dice il protagonista di “Io sono un autarchico”, film di esordio di Nanni Moretti. Ed eccolo, invece, il dibattito. Dal mio post “Il Sol dell’avvenire di Moretti mette la sinistra italiana davanti alla sua indicibile vergogna” è scaturita questa riflessione del regista e intellettuale sassarese Sante Maurizi, che ringrazio per la sua generosità. Ancora parliamo pubblicamente di cinema: chi lo avrebbe mai detto?

Capita di sentire una barzelletta già conosciuta. Ma è nuova per gli altri che ascoltano, la situazione è gradevole, chi la racconta è un amico: anche tu dici che no, non la sai. Il vago sorriso che imposti da quel punto in poi è un misto di condiscendenza, affetto e carità amicale. Tanto la barzelletta finisce subito, gli altri ridono, tu annuisci ebete e si passa ad altro. È così che si sta, frivolmente, in società.

Il nuovo film di Nanni Moretti è un po’ così. La società è quella dei morettiani (non so e non m’interessa cosa pensino de “Il sol dell’avvenire” quelli che detestano il regista). Noi del club conosciamo a memoria battute e nevrosi dell’uomo, delle sue opere e di quella che a un certo punto si è iniziata a chiamare sinistra (mezzo secolo fa non era così: c’erano “le” sinistre, dentro e fuori dal parlamento, le ultime molto più divertenti). Conosco bene: con Moretti ci sono cresciuto, la catarsi ha lavorato in me sin dai tempi di “Ecce Bombo”. Era la stessa funzione che aveva Gaber. Gratitudine eterna.

Orson Welles diceva di Fellini che era un artista sopraffino con molto poco da dire. È ciò per cui si può amare Fellini alla pazzia, ma è innegabile che dopo “E la nave va” (girato quando aveva 63 anni) fece tre bruttissimi film. Moretti compie 70 anni ad agosto. La curva di Gauss serve a spiegare molte cose, creatività compresa. L’unica sequenza che ho davvero amato del “Sol dell’avvenire” è quella del regista (“alla seconda”) che palleggia a lungo, e poi siede sfiancato su una panchina. Una delle doti meno esaltate della carriera di Moretti: la sincerità, fino allo scorticamento.

Ciò che fa venire il fiatone a me è riassumibile nella frase “ce la balliamo e ce la cantiamo”. Non c’è nel film, ma èil film, e in tutto quello che ci sta girando attorno. Al punto di leggere in prima pagina l’articolo sulla pellicola di un noto giornalista-musicologo che nel film interpreta se stesso.

Dunque il film nel film e un altro film nel film, e la sinistra e il Pci e Ungheria 1956 e Trotsky. E.

Nel frattempo questo scorcio di stagione cinematografica ci propone lo sciagurato film berlingueriano di Veltroni, e un film di un esordiente di 41 anni (!) su ragazzini, figli di militanti del Pci negli anni ’90, che ricreano un campo scout sul modello dei “pionieri” comunisti degli anni ’50. Dimostrando che il problema non sono solo gli ultra-sessantenni, ma anche quelli che hanno disperata necessità di accreditarsi presso di loro. Tutti con la testa all’indietro (e non come l’angelo di Benjamin, ma come vittime di patologia osteoarticolare).

Alla conferenza-stampa de “La stanza del figlio” nel 2001 a Cannes (ci vinse poi la Palma d’Oro) fecero a Moretti una domanda su Bertinotti, colpevole allora di aver fatto naufragare il governo Prodi e di aver spalancato le porte a Berlusconi. Moretti fu, come sempre, geniale: “Da questo mio film si sarà capito – disse più o meno – che non mi interessano più le macchiette”. “La stanza del figlio” pareva segnasse definitivamente l’addio a Michele Apicella e al suo alter ego Nanni Moretti. Poi arrivò un film brutto ma militante (“Il caimano”), uno bellissimo (“Habemus papam”), uno sofferto e debole (“Mia madre”) e uno brutto brutto (“Tre piani”, il primo – non a caso – con una sceneggiatura non originale, tratta da un romanzo). Ora ho timore (non è un giudizio, è umana preoccupazione) che la macchietta sia proprio lui, Moretti.

Gentile Vito, apprezzabile la sua tenacia nel ricondurre questo film alla politica. L’autorizzazione, con Moretti di mezzo, è implicita. Ma le chiederei, la prossima volta, di portare con me le due pivelle in pizzeria (con nostre rispettive partner, s’intende) e parlare solo di cinema. Finalmente.

Sante Maurizi

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2 Comments

  1. Sante Maurizi says:

    Grazie Anna

  2. Trovo questa analisi perfetta.
    Ho l’impressione che questo ultimo film di Moretti sia piaciuto soprattutto a chi Moretti prima non lo conosceva, oppure non lo apprezzava, o non lo capiva, e l’analogia della barzelletta che si conosce già è una sintesi perfetta.
    Moretti con questo ultimo lavoro è diventato innocuo, didascalico, si è ridotto effettivamente a una macchietta di sé stesso e non fa più né ridere né piangere, non sorprende, non spiazza, non fa riflettere, purtroppo, ma solo sbadigliare ripetutamente, con citazioni e auto-citazioni scontate e un po’ imbolsite, come la sua stessa recitazione, del resto, che è diventata pesante e soporifera. E dico tutto ciò con enorme dispiacere.
    L’unica cosa degna di nota è Margherita Buy, che riesce a risultare quasi sempre dignitosa anche in un film che di dignitoso ha abbastanza poco.

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