La tragedia di Silì lascia senza parole. Ma se c’è una cosa che si può dire davanti alla notizia di una ragazzina di tredici anni uccisa dalla madre è questa: non parliamo di “follia”, non parliamo di “tragedia inspiegabile”: perché si chiama “salute mentale” e in Sardegna è allo sbando più totale da anni.
Se la sanità va male la salute mentale da noi va peggio, con servizi inesistenti e spesso non all’altezza dei bisogni dei cittadini. Pochi centri aperti con orari d’ufficio (incredibile, come se la sofferenza si dovesse manifestare per forza dalle 8 alle 14 e mai il fine settimana) e quindi con una conseguente ospedalizzazione (unica soluzione davanti ad ogni tipo di disagio) che devasta ancora di più le persone e le loro famiglie.
Le famiglie: avete mai parlato con loro? Sapete qual è la vita di chi ha un parente sofferente mentale? Lasciati nella solitudine più assoluta, piegati dallo stigma, con poche risposte da parte degli operatori che fanno quello che possono, ma possono poco. Perché nel grande dibattito sulla sanità nessuno parla mai di salute mentale.
E neanche la cronaca ci riporta mai alla realtà. Oggi parliamo di Silì ma appena sette mesi fa un detenuto è stato ucciso a Bancali da un ragazzo di 28 anni che, appena entrato in cella, lo ha aggredito con uno sgabello. Quel ragazzo non doveva finire in carcere perché era un sofferente mentale grave e la famiglia, anche prima dell’arresto, come ha spiegato la madre, aveva chiesto alle autorità sanitarie di fare qualcosa per quel suo figlio. Quel ragazzo doveva essere (come si dice) “preso in carico” da qualcuno: ma questo non è avvenuto.
La tragedia ci Silì ci lascia senza parole. Ma se pure vogliamo parlarne (e dovremmo), allora affrontiamo il problema del miserevole stato della salute mentale nella nostra isola. Sollecitiamo risposte alla politica, dalla classe medica, interpelliamo le famiglie, cerchiamo di capire se i servizi sono all’altezza e come possono essere potenziati. Questo è l’unico argomento di cui è lecito parlare davanti ad una madre che uccide la figlia.
Parliamo della salute mentale in Sardegna.
Non lasciamo che questa ennesima tragedia passi invano.
È agghiacciante quanto accaduto e continuerà ad accadere visto il miserevole stato in cui versa il nostro SSN.Se ci fosse un solo motivo valido per difendere la sanità pubblica,ce ne sono milioni,la salute mentale sarebbe questo.Nell’ottica delle privatizzazioni a tutti costi,che pare essere l’unica soluzione per i nostri pigri e non disinteressati decisori politici,quale privato si farà mai carico dei sofferenti mentali soprattutto se poveri o emarginati? Intanto le destre nella loro misera e semplicistica visione autoritaria strizzano sempre l’occhio alla riapertura di manicomi sotto mentite spoglie.Poveri noi poveri tempi duri ci attendono…
Esattamente,
da anni come Mèigos abbiamo denunciato gli squilibri nati dall’accentramento dei concorsi di medicina e scuole di specializzazione che oggi si riflettono sui servizi dell’isola. Chiusa la scuola di specializzazione di Psichiatria a Sassari, annullate per anni le borse di formazione in Psichiatria e Neuropsichiatria, oggi gli specialisti mancano nei Serd, nei CSM, ma anche nei reparti ospedalieri.
I colleghi rimasti senza ricambio e personale, sono sovraccarichi di pazienti e dei gruppi familiari che in loro confidano come riferimento.. Il resto delle richieste, nelle condizioni peggiori di cronicità e riacutizzazione, ricade sui medici di medicina generale, di continuità assistenziale, 118 e pronto soccorso con sovraccarico ulteriore dei servizi di assistenza primaria ed urgenza.
La soluzione c’è e deve essere affrontata in commissione stato-regione, la Sardegna deve smettere di raccontarsi di avere un numero eccessivo di medici
in base alla media italiana (che ha una media tra le più basse in Europa) e deve necessariamente riprendere a programmare il proprio turn-over di professionisti, in base alle sue esigenze.
A poco servono appelli all’abolizione del numero chiuso, alla richiesta di una deroga per il numero di iscritti, se il concorso rimarrà statale e il numero di medici e specialisti in Sardegna lo deciderà la sorte.
Un disastro, ma ciò che è ancor più grave il silenzio della così detta area progressista che dovrebbe essere l alternativa