Ieri sera all’Hotel Regina Margherita di Cagliari si è tenuta una conferenza stampa del leader della Lega Matteo Salvini e del nostro presidente Christian Solinas. Dopo oltre mezz’ora di autocelebrazione, è stato dato spazio ai giornalisti. Un microfono aperto, nessuna limitazione. Cioè, mi spiego meglio: chiunque dei giornalisti presenti avrebbe potuto alzarsi, andare al microfono e segnare a porta vuota. Si poteva sbagliare un rigore o segnare in rovesciata come Gigi Riva il 18 gennaio del 1970 contro il Vicenza (ve la ricordate?). E invece nessun Rombo di Tuono del giornalismo: a quanto mi dicono, solo pochissime e prudentissime domande, e così si è lasciato che il potere e la politica se la cantassero e se la suonassero.
Eppure, sempre ieri l’Ordine dei Giornalisti della Sardegna e l’Associazione della Stampa Sarda hanno diffuso questo comunicato:
“L’ingresso della Sardegna in zona bianca è un passo importante verso la riconquista della normalità. È tempo che tornino alla loro fisiologia democratica anche i rapporti fra chi esercita il potere in nome dei cittadini e chi fa domande per conto dell’opinione pubblica. Nei mesi scorsi il presidente della Regione si è concesso parsimoniosamente ai giornalisti, spesso attraverso ‘punti stampa’ da remoto con quesiti filtrati e selezionati. Ora comunica tramite interviste autoprodotte. I giornalisti hanno il diritto e il dovere di chiedere conto a chi ha il potere di come lo esercita. Evitare il confronto con la stampa non annulla le domande, lascia semplicemente i cittadini senza risposte”.
Che tempismo, verrebbe da dire.
Cari giornalisti, ieri (come dice il comunicato) avreste potuto “chiedere conto a chi ha il potere” ma non lo avete fatto. Perché?
Ieri in campo c’erano professionisti muniti di operatore e telecamerona (un po’ come Messi e Ronaldo) e poi c’erano i pischelli della Primavera, armati solo dei loro cellulari. Maradona diceva: “I rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli”. Ieri nessuno ha avuto il coraggio di presentarsi sul dischetto, ma so per certo che tra i pischelli della Primavera qualcuno il rigore lo avrebbe tirato volentieri se solo fosse stato in squadra. Infatti, ho come l’impressione che il giornalismo sardo sia diviso in due: da una parte chi potrebbe e non fa, e dall’altra chi vorrebbe e non può.
Uno di questi pischelli mi ha raccontato che una volta il suo editore lo ha obbligato a rimuovere un post ironico dal suo profilo Facebook privato perché prendeva in giro un nostro attuale assessore, e la politica della sua testata al momento era quella di “Non pestare i piedi alla giunta”. E lui lo ha fatto, e mentre lo raccontava si mortificava per aver dovuto cedere.
Vi ricordate di Massimo Troisi in “Non ci resta che piangere”, quando il frate gli ricorda che deve morire, e lui gli risponde “Mo me lo segno”? Ecco, segnatevelo. Se il giornalismo sardo non vuole morire deve prendersi cura delle nuove generazioni. E se i colleghi esperti non hanno più voglia di tirare i rigori, perché da dove sono tanto nessuno li sposta, facciamo in modo che quelli che invece scalpitano per tirarli non siano ricattabili.
Io ormai sono un Vecchio Giornalista, ma quanto mi mancano i gol di Gigi Riva.
Caro Vito, la tua categoria purtroppo sta declinando sempre di più. Per pavidità, asservimento, interesse. Prendiamo per esempio la commovente intervista pubblicata sull’Unione a Cossu, scampato fortunatamente a un grave incidente. E tanti bocca in lupo a lui di cuore.
Tuttavia pensi che mancasse una domanda, giornalisticamente parlando?
Non credo nella paura e nel ricatto. C’è solo adesione prona. Chi non ha pagato il prezzo del suo dissenso? Lo abbiamo pagato a caro prezzo quotidianamente. Rischiando il lavoro, la fedina penale per le denunce, qualcuno ha pagato con la vita, perchè giovani giornalisti e vecchi giormnalisti abbiano il culo al caldo. Si divertono, ammirano personaggi come Salvini,
non facciamone degli eroi
Est torradu a impromítere miràculos, (santu) Matteu, ca at fintzas irmentigadu sos chi at fatu a sos pastores.
E nois sempre ammammalucados.
Ho riscontrato il problema che descrivi anche durante conferenze di settore. E’ come se non fosse previsto alcun dibattito; se il contraddittorio andasse evitato ad ogni costo. Conferenze con presentazioni di “professoroni” in cui nessuno ascolta quello che dicono gli altri: si va solo a far presenza, perché fa brutto non partecipare; autoreferenziali al massimo. Ricerca o – come nel caso che descrivi – democrazia non vanno avanti perché tutto sommato a tutti sta bene un sistema che si auto-riproduce ad oltranza. Chi può esporsi non lo fa perché la poltrona tutto sommato è comoda; chi non ha la poltrona non si espone perché teme che se lo fa la poltrona gli venga negata per sempre.