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Appello al presidente Solinas: “Riapra gli hospice ai familiari dei pazienti terminali”

L’hospice di Oristano (foto LinkOristano)

Al blog è arrivata questa lettera: “Salve, le scrivo perché le istituzioni non stanno affrontando la situazione degli hospice. Ad oggi gli hospice sardi sono blindati nonostante il Dpcm del Governo e l’Istituto Superiore di Sanità prevedano delle deroghe nei casi di fine vita. L’ATS ha però sospeso con circolare tutte le visite. Tutela il diritto di accompagnamento alla nascita ma alla morte? I malati terminali non sono meritevoli. Altri hospice fuori Sardegna consentono le visite. È stata pure lanciata una petizione online. Questo è l’appello rivolto al Presidente Solinas”.

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Nessun “passaporto” per il fine vita

Caro Presidente Solinas,

chiediamo che ci ascolti vista la situazione di duplice emergenza che vivono oggi i pazienti degli hospice e le loro famiglie. Ad oggi gli hospice sono chiusi e i pazienti privati dell’affetto dei loro cari. L’unico contatto con l’esterno può essere una videochiamata laddove le condizioni cliniche lo consentano, altrimenti il buio totale.

Gli hospice non possono essere trattati alla stregua degli altri luoghi di cura; hanno una vocazione importante di accompagnamento alla morte. Rappresentano per il paziente la sua ultima casa. Una casa non scelta ma imposta dalla malattia dove nonostante tutto, si cerca di assaporare quegli ultimi istanti di vita rimasti.

Si arriva negli hospice per l’impossibilità di gestire la malattia da soli. La malattia ti spoglia anche della possibilità di morire in casa. L’unica consolazione che resta è che il proprio caro possa ritrovare negli hospice un prolungamento della vita familiare e un briciolo di quella dignità frantumata da anni di sofferenze sia fisiche e mentali. Oggi però questo conforto viene a mancare.

Si è “violata” la possibilità di vivere il fine vita con quel supporto insostituibile che è la famiglia. Si è agito con ordinanze, decreti, senza davvero interrogarsi su quale fosse la vera tutela non del malato, ma per il malato.

Una vita che si conclude da SOLI. Si viene privati della libertà di decidere del proprio fine vita in un momento dell’esistenza dove si preferirebbe rischiare quei pochi giorni rimasti pur di essere circondati dai propri cari.

La sofferenza esistenziale, la paura di essere abbandonati oggi sono voci inascoltate. In tutto questo dolore rimane un’unica certezza che i giorni passati non torneranno più indietro per chi sta lasciando la vita. Non ci sarà una seconda possibilità.

Non sentite il peso di questa responsabilità etica? È questa la strada più giusta da percorrere per il malato terminale? 

La ringrazio per l’attenzione 

Laura Loddo

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