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“Chico Forti libero: il 2020 è l’anno giusto” di Pietro Porcella

Chico Forti e Pietro Porcella

È impossibile dire di no a Pietro Porcella. Soprattutto quando, con tutta la forza e l’energia che ha, combatte battaglie giuste: e quella per la liberazione di Chico Forti, l’italiano da vent’anni in carcere negli Usa, lo è. Della storia di Chico Forti si sono occupati in tanti, comprese Le Iene che dopo il loro speciale di un mese fa, stanno continuando a seguire il caso, ormai giunto ad un punto di svolta (ed ecco l’ultimo aggiornamento, di appena qualche giorno fa). La storia che Pietro ci racconta merita di essere ascoltata. E grazie a lui per avercela regalata.

***

A differenza di tutti gli altri personaggi famosi e non, che finora hanno parlato o operato per aiutare Chico Forti (dal giudice buonanima Ferdinando Imposimato a Red Ronnie, da Jovanotti a Roberta Bruzzone, da Fiorello a Le Iene, da “Chi l’ha visto?” a Rocco Siffredi, alle schiere di migliaia di persone sui social e nelle chat) sono l’unico, tra i suoi pubblici difensori che veramente lo conosceva profondamente e lo frequentava e lo sentiva e lo ospitava costantemente nel ventennio che precedette il suo trasferimento in Florida. 

Dalla fine degli anni ‘70 quando era un istruttore di vela tra Sardegna (d’estate) e le Canarie (d’inverno) a quando, come aspirante surfista professionista ha iniziato a girare il mondo non stop seguendo la nascita e l’esplosione della World Cup di windsurf (‘83-‘87).

Senza una lira, senza sponsor, inizialmente come “service man” di una delle marche più importanti (l’Hy Fly) ma con una carica coinvolgente e tanti piccoli scambi ed espedienti che mantenevano vivo il suo sogno fino a farlo partecipare (nel 1985) come primo italiano in gara. 

Chico era un vulcano di idee e simpatia. In quei primi due anni eravamo gli unici due italiani presenti in tutte le tappe del tour. Io come giornalista specializzato e lui come “meccanico” e amico degli atleti. Decine e centinaia di momenti goliardici nei cinque continenti che non dimenticheremo mai e che abbiamo rinvangato (con le lacrime agli occhi dalle risate) quando sono andato a ritrovarlo al carcere di Everglades un quarto di secolo dopo.

Il suo spirito gioviale lo poneva sempre al centro dell’attenzione, con grande empatia degli astanti internazionali. L’amicizia personale con la maggior parte di noi pionieri del windsurf è rimasta anche quando ha lasciato l’avventurosa carriera da atleta per dedicarsi (con grande successo) alla produzione televisiva e pubblicitaria.

Lasciamo da parte la simpatia e la conoscenza personale, perché questo che sta vivendo Chico dal 1998 in poi è un caso clamoroso di ingiustizia umana che va risolto al più presto. 

“Il caso Forti”: un italiano condannato all’ergastolo negli Stati Uniti, per un omicidio che non ha commesso, un italiano che da 20 anni marcisce in un carcere del sud della Florida, finalmente è giunto nelle case di tutti gli italiani grazie agli speciali delle Iene su Italia 1 e per la prima volta nelle case degli americani grazie allo speciale della Cbs sul programma d’inchieste “48 hours”. 

I servizi delle Iene e della Cbs, entrambi precisi e ficcanti dimostrano all’opinione pubblica le incongruenze di quel processo. Pongono il sospetto, per me la certezza, che Chico Forti sia stato incastrato da qualcuno che voleva “punirlo” per il documentario sulla morte del presunto assassino di Versace o scaricare su di lui l’interesse a far fuori Dale Pike e contemporaneamente mettere Chico fuorigioco con una accusa infamante non vera.

Come Chico stesso mi ha confermato, negli ultimi dieci minuti della visita di sei ore quando sono andato a trovarlo in carcere.

Dubbi, certezze, priorità.

Cominciamo dalle certezze. Chico non ha mai ucciso quell’uomo e non è il mandante di quell’omicidio “oltre ogni ragionevole dubbio”. Non ne aveva alcun interesse. Semmai è il truffato da Anthony Pike che non aveva la piena proprietà di quell’Hotel Pike che cercava di vendergli e sul quale il figlio Dale voleva la sua parte. È una storia lunga. Riguardatevi i libri di Matassa e la Bruzzone, le inchieste della Cbs, delle Iene e di Rai 3 e capirete tutto.

Eppure per come è impostata la giustizia negli Usa è diventato impossibile riaprire o rifare quel processo. Neppure l’avvocato Tacopina, il lawyer per eccellenza a New York (consigliato da Carlo Dalla Vedova, l’avvocato di Amanda Knox e surfista puro), può riaprirlo anche se è stata dimostrata la sua innocenza.

Passiamo alle priorità.

Ora il destino di Chico è sul tavolo del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio e del sottosegretario Fraccaro che chiederanno ufficialmente la grazia al Governatore della Florida. Sperando mantengano la promessa e sperando che la ottengano in tempi brevi.

Tutti gli altri tentativi di sensibilizzazione del caso e di segnalazione degli errori fatti in quell’ingiusto processo del marzo 1998, che in tanti avevamo fatto in questi vent’anni, sono stati inutili e son finiti nel dimenticatoio.

Lo Stato della Florida non ha mai preso in considerazione la possibilità di riaprire il processo in mancanza di nuovi elementi probatori o senza l’ammissione di colpevolezza da parte di una terza persona e men che meno vuole riconoscere errori procedurali che comporterebbero rimborsi milionari. Chico, allo stesso tempo, aveva inizialmente scartato l’ipotesi di uno scambio “alla pari” tra prigionieri Usa/Italia che avrebbe significato una sua ammissione di colpa. 

Ora, esausto e consumato da vent’anni di carcere (ingiusto), è pronto ad accettare qualsiasi forma che lo faccia ritornare uomo libero. Libero e bello come lo vidi l’ultima volta fuori da quel carcere.

Gli ho riparlato tantissime volte telefonicamente, dopo il 1995, nella sua nuova vita da imprenditore negli Stati Uniti, produttore di successo per la Espn, genitore felice e marito per la seconda volta. 

Prima di andare a trovarlo in carcere qui in Florida con Roberto Fodde, eravamo stati l’ultima volta insieme nel novembre del 1993, in un romantico e fantastico tour nell’isola di Maui. Io ero a Maui da giornalista per l’Aloha Classic e lo aiutavo a suggerirgli le location mentre lui si trovava nell’isola hawaiana per girare le pubblicità della Merit.

Ci trovammo a Hookipa per poi andare insieme a cenare al Cafe’ Paradiso di Paia. Lì, tra una risata e l’altra, facemmo amicizia con due signori anziani vicini di tavolo. Ci invitarono ad andare nel loro ranch immerso nel verde a Hana, accanto a quello di George Harrison. Con Chico eravamo abituati alle avventure e decidemmo di andare al volo, tanto più che l’indomani mattina l’avrei potuto portare lì vicino alla meravigliosa cascata di A’le’lele dove poteva fare le foto e i filmati con Heather per la Merit. Servizio di successo che poi fece.

Scoprimmo che quel signore col grande capello da cowboy era John Denver, il cantante. Ci invitò a seguirlo nella sua villa ad Hana dove ci ospitò con tanto di spettacolo notturno di una nipotina che faceva l’hula dance sotto le stelle della località hawaiana più remota.

Quella notte sono stato testimone dello sbocciare di quella relazione che avrebbe cambiato la sua vita. La modella dello spot, Heather, sarebbe diventata sua futura moglie e futura madre dei suoi tre figli una volta trasferitisi a Miami e avviata la sua carriera di produttore per Espn col programma allora innovativo di sport estremi “Hang loose”. 

Credo di conoscere bene alcuni risvolti del carattere di Chico, delle sue doti di creativo e aspirante surfista sognatore, che poi, raggiunta la popolarità e il guadagno facile dopo la sua affermazione americana da produttore televisivo, possono averlo portato a offrire il fianco a chi era invidioso dei suoi successi o voleva vendicarsi con lui di chissà quali torti. 

Mi riferisco ad alcuni personaggi della polizia di Miami “smascherati” dal filmato “Il sorriso della medusa” sull’uccisione di Versace e del presunto assassino di Versace Cunanam, andato in onda tre mesi dopo in prime time su TF1 in Francia e Rai 3 in Italia. Filmato nel quale il buon Chico, con una interessantissima e ben prodotta inchiesta  giornalistica sulla morte del presunto assassino di Versace, metteva in luce alcuni fatti incongruenti che inchiodavano la polizia di Miami a delle responsabilità sfuggite ai più negli annunci ufficiali ai media.

Quella bella inchiesta aveva sferzato alcuni personaggi della polizia di Miami che penso avessero anche provato a trattare con lui prima di affossarlo. 

Per incastralo e vendicarsi a posteriori, hanno giocato sulla complicità di chi, facendo uccidere Dale Pike e sviando su Chico le accuse, poteva svincolarsi dai propri casini e contemporaneamente mettere fuori gioco un creditore come Chico. 

Mi riferisco a Thomas Knott, ex amico vicino di casa di Chico e, forse, Anthony Pike il padre di Dale, disturbato dalle inquisizioni e la richiesta di esser parte della vendita dell’Hotel da parte del figlio… O meglio ancora le due persone insieme.

Finora ho evitato di intervenire sulle inesattezze e le omissioni fatte da chi si è occupato seriamente o sporadicamente di Chico e del suo caso per liberarlo. Non volevo intralciare i tentativi, ahimè vani, di rifare il processo o la speranza di riaverlo tra noi come uomo libero, grazie alla concessione di una grazia o uno scambio di prigionieri.

Ora però, che siamo vicini al traguardo, credo sia utile far capire chi era Chico e come è possibile che sia stato incastrato pur non essendo né colpevole né complice.

Chico è un personaggio di incredibile forza e talento, buono d’animo, irriducibile, amante della natura, della vita e di chi sa amarla. Non era uno stinco di santo, né un campionissimo di windsurf come a volte ci vuol far credere chi lo difende a spada tratta senza conoscerlo ed è rimasto scosso dal suo caso di estrema ingiustizia. Non c’è bisogno di esagerare nel suo caso per affermare che merita giustizia e libertà.

Era un bravo e forte surfista e istruttore di windsurf che aveva vissuto da protagonista esterno alla nascita della World Cup dal 1983.Non era un campione ma ha avuto il suo momento di gloria prima di ritirarsi. L’unica gara che ha vinto, nell’estate del 1984, era una gara fuori calendario, una long distance massacrante di quattro ore. Era la traversata di Lake Tahoe in Nevada dove lo portai quando era mio ospite a San Francisco. Poi si era dedicato al catamarano con simile entusiasmo. 

Era ed è un ragazzo intelligentissimo, capace, determinato, multitalented, che amava il rischio, che amava lo scherzo, che amava la sfida. Il suo era un continuo “challenge” e per raggiungere i suoi traguardi a volte passava sopra tutto e tutti e non si accorgeva se avesse pestato i calli agli amici o agli insolenti.

Gli amici, come me, come detto lo hanno sempre perdonato e inneggiato, perché in fondo era un buono, un allegrone con sani principi che mai e poi mai, nei vent’anni che l’ho frequentato ha avuto uno scatto di violenza. Mai e poi mai, da come l’ho conosciuto io, è uno che potrebbe, non dico uccidere, ma neanche essere mandante o complice di una uccisione. 

Gli insolenti, in questo caso Knott, alcuni poliziotti corrotti di Miami e chi ha guidato il piano criminale compresa la sua accusa e condanna, gli hanno preparato una frittata dalla quale il sistema giudiziale americano non gli ha permesso di difendersi. 

A me permangono tanti dubbi. Le domande che Le Iene o la Cbs non gli hanno mai fatto e che gli vorrei fare io quando potrò finalmente riabbracciarlo e riparlargli da uomo libero sono:

  • Cosa vi siete detti con Thomas Knott e col tuo avvocato che seguiva la compravendita dell’Hotel Pike nell’ultima telefonata che vi siete fatti prima che tu andassi a prendere Dale Pike in aeroporto a Miami?
  • Che ruolo e che responsabilità ha avuto il poliziotto Gary Schiaffo in tutta questa vicenda?
  • Com’è che Thomas Knott, il principale imputato ad averti “fregato” sviando verso di te accuse e colpe, sia potuto “fuggire” impunito in Germania un giorno dopo l’interrogatorio e sia tuttora irrintracciabile? Di che tipo di protezione gode e perché?
  • Aveva secondo te patteggiato la “fuga” dagli States con quella parte di Miami Police che ti voleva “punire” per il filmato accusatore sulla morte di Versace?
  • Dale, che tu incontravi per la prima volta, ti aveva detto che anziché dormire da te andava a una festa da amici e lo avresti incontrato il giorno dopo? Chi erano quegli amici da cui doveva andare? Glieli aveva consigliati il padre o Thomas Knott ?
  •  Tu sapevi o sospettavi che dopo che avresti lasciato Dale al Rusty Pelican qualcuno poteva fargli del male o farlo sparire ?
  • Perché nessuno ha mai interrogato o messo alle strette quell’altro poliziotto che quando ti ha  interrogato dopo le 7 di sera, senza registrazioni o avvocati, ti ha detto “Ah tu sei quello che ci ha sputtanato con il servizio sul caso Versace? Questi non li rivedrai mai più” e ti ha strappato in faccia la foto della tua famiglia e i tuoi figli?
  • È vero, che tu sappia, che c’era un asse superiore mafioso-criminale che controllava alcuni personaggi della polizia di Miami e che aveva architettato la morte di Versace e del suo (presunto) assassino?  

Questi dubbi forse permarranno e neanche Chico sarà in grado di rispondere da uomo libero. Magari lo farà in un libro best seller sulla sua vita. Lo spero. Essendo Chico un buon scrittore e oratore potrà con quello recuperare qualcosina rispetto al rimborso che gli spetterebbe per l’ingiusta e prolungata carcerazione.

Ora che l’atteggiamento del nostro Governo è orientato a liberarlo è importante che lo facciano subito, nel 2020. Come dice Chico a cui piace la Settimana Enigmistica, 20+20= 40 (in inglese “fourty” che si legge Forti). Liberatelo adesso nel 2020 quando Chico sarà ancora col cervello sano e il fisico efficiente.

Non si era mai arrivati così vicino alla possibilità di toglierlo fuori da quello squallido carcere americano nel quale è chiuso dal 2000. Con una grazia richiesta al Governatore della Florida sarebbe la via più breve per restituirlo alla vita. In alternativa, farlo tornare in Italia, con scambio prigionieri, per finire di scontare la sua ingiusta pena a Trento nello Stato italiano e ottenere poi subito la grazia dal nostro Presidente Mattarella per stare vicino alla mamma e agli amici. 

Chico lo merita, lo merita ampiamente e con gli interessi. Ha pagato troppo, troppo più rispetto alle possibili colpe delle quali è accusato con la sola colpa di una bugia detta, attanagliato dalla paura, negli interrogatori inquinati susseguitisi all’omicidio. 

Mattarella, Di Maio, Fraccaro fategli avere la grazia, poi ne riparleremo. Ne riparleremo con lui presente da uomo libero. Magari coi piedi in acqua su di una tavola a vela. La sede più giusta sarebbe a Mondello, a fine maggio 2020 al World Festival on the beach. E vi spiego perché.

Mondello, la spiaggia di Palermo è stata la culla del windsurf spettacolo, dove, per primi in Europa, alle competizioni sportive in spiaggia venivano abbinati i concerti e gli spettacoli notturni con personaggi televisivi come Belli, Samantha De Grenet, Alessia Marcuzzi che ci accompagnavano e si alternavano nello speakeraggio.  

Chico ha una tavola a vela che lo aspetta là, nella sede dell’Albaria, offerta come nel maggio del 1993 dal Direttore dell’Albaria Vincenzo Baglione, che diede a Chico le prime lezioni di ospitalità e sport management o si mangerà una brioche-gelato al Baretto col giudice palermitano Lorenzo Matassa che Chico conobbe in quella sede e che poi, dieci anni più tardi, ricostruì le più veritiere fasi del Caso Forti nel suo libro di successo e avviò con la buonanima di Imposimato la richiesta di giustizia per Chico.

Oppure, con Chico libero, vorrei rincontrarmi questa prossima estate a Chia, dove Chico venne a seguirci e lavorare per il primo Chia Classic a fine agosto del 1990. Oppure a Nora dove a “Chico Forti libero” dopo la sua condanna dedicai la penultima edizione  del Chia Classic nel 2012 con l’appoggio dell’attuale sindaca di Assemini (Sabrina Licheri) o a Stintino dove lo conobbi nel 1979 “rubandogli” la tavola per farmi un giretto prima della sua prova al campionato italiano, o a Porto Rotondo  o in uno dei nostri angoli sardi dove ci incontravamo ad ogni occasione possibile e immaginabile per gare o lezioni di surf, decine e decine di volte tra l’’80 e il ’90. E se saremo in Sardegna, per l’occasione vorrei ci fossero i suoi due angeli custodi sardi, cagliaritani, Roberto Fodde e Emanuela Corda.

Roberto Fodde, mio coetaneo cresciuto a Cagliari a fianco a noi in zona Amsicora e poi ritrovato e divenuto caro amico sin dai nostri primi anni milanesi (82-86), lo misi in contatto con Baglione e Matassa quando il caso Forti esplose segretamente e inopinatamente negli anni 2000 e i due siciliani andarono a trovarlo nel carcere di Miami per capire cosa fosse successo e come aiutarlo. Roberto Fodde, trasferitosi a Miami una decina di anni prima, fece da Cicerone a Matassa e Baglione e da quel momento, conosciuto Chico, diventò il suo primo vero amico, andando a visitarlo settimanalmente e ad aiutarlo in tutte le maniere: psicologicamente, economicamente, moralmente, giuridicamente. 

Senza l’aiuto costante e dedicato, da vero sardo, di Roberto Fodde, Chico non sarebbe mai riuscito a sopravvivere alle ingiustizie e lo squallore della situazione nella quale si era ritrovato. Si sarebbe magari ammazzato in carcere dalla disperazione. Questo è un dato di fatto sicuro che Chico ha già confermato e Roberto sarà la prima persona che Chico ringrazierà quando uscirà da quel carcere per andare a riabbracciare la mamma, lo zio Gianni e Wilma.

La seconda persona, cagliaritana, che sta aiutando Chico a ritornare un uomo libero dopo vent’anni è la deputata Emanuela Manu Corda. È lei che sta strattonando Di Maio e Fraccaro, ottenendo una dichiarazione- promessa in diretta in una interrogazione alla Camera, per far domandare la grazia allo Stato della Florida e comunque la promessa di occuparsi fino all’ultimo che Chico esca fuori da quel carcere. A differenza di tutti i precedenti Ministri degli Esteri (a parte Terzi) che si erano presi o avevano detto di prendersi in carico il caso Forti senza alcun risultato. Vediamo se ce la faranno e quando.

Sì, sento che questa è la volta buona. Voglio rincontrare Chico e rifare almeno una volta una bolina o un lasco in surf con lui o inscenare il nostro solito “teatrino” a terra. Da uomini liberi, amanti dello sport e della natura. Soprattutto amanti della vita, quella che gli è stata tolta ingiustamente e che è ora che gli venga ridata.

Pietro Porcella

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4 Comments

  1. danilo says:

    Questa è l’america, o meglio, gli u.s.a. !!! Baserebbe leggersi ed analizzare il caso Leonard Peltier per capire. Se adesso il caso è nelle mani dei ns politici, dovrebbero prendere di petto la situazione e NON CHIEDRE LA GRAZIA, MA PRETENDERLA !!!!! L’Italia è uno stato sovrano come lo sono loro, ALMENO CREDO, quindi i rapporti devono essere alla pari non da loro colonia !!!!! In più avremmo anche la merce da mettere sul piatto della bilancia per ottenere giustizia per Chico Forti: LE BASI USA IN ITALIA. RIVEDERE I PATTI CHE LE RIGUARDANO ED EVENTUALMENTE SCIOGLIERLI E FORMARE NUOVE ALLEANZE POLITICO-MILITARI, ma forse è chiedere troppo a questa classe dirigente !!!

  2. Fawzia Maria Di Lorenzo says:

    Giustizia per Chico!!!

  3. claudio giusti says:

    le solite quattro fesserie con qualche assurda novità

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