Domani, giovedì 24 ottobre, la Cgil sarda, il sindacato a cui sono iscritto da quarant’anni, organizza a Pula una riunione che sarà conclusa dal neo segretario generale Maurizio Landini, al quale porgo il mio più caloroso benvenuto in terra sarda.
Ho conosciuto direttamente diversi segretari generali della Cgil a cominciare da Luciano Lama che chiuse la Marcia per il Lavoro quando dirigevo i braccianti a Cagliari. E poi via via Antonio Pizzinato, Bruno Trentin, Sergio Cofferati. La Cgil è stata per me come per tanti militanti della mia generazione una grande scuola politica e di vita. Ognuno di questi dirigenti ha contribuito alla mia formazione ma quello che più ha lasciato il segno sia sul piano sindacale che su quello politico, istituzionale e intellettuale è senza dubbio Bruno Trentin. Quando parlava o scriveva non mi sono mai chiesto se apparteneva alla destra o alla sinistra del Partito Comunista, perché quando parlava si capiva che il duro ripensamento critico e la ricerca creativa appartenevano a tutti coloro che vogliono uscire dai luoghi comuni, dalle pigrizie.
E con questo spirito, contenuto e stile che scrivo questo post: perché mi aspetto che domani a Pula Landini metta i piedi nel piatto e porti la Cgil sarda fuori dalle secche del passato e la spinga a guardare al futuro dei sardi e della Sardegna, cambiando la lineae il paradigma dell’attuale modello di sviluppo e seppellendo definitivamente la fase dell’Autonomia e quel modello di sviluppo energetico, industriale, agroalimentare e turistico, per imboccare decisamente il modello sostenibilenon solo etico in tema di futuro del lavoro e di progresso tecnologico, proprio come recentissimamente a Ferrara, in occasione del Festival di Internazionale, lo stesso Landini ha sostenuto:
“Quello che la classe politica dovrebbe capire è che questo cambiamento investirà per forza di cose una dimensione sociale molto ampia. Bisogna quindi cercare di trovare risposte organiche al problema, se si vuole vedere come tale; più automazione infatti non si traduce necessariamente meno lavoro, ma si traduce in un ulteriore cambiamento delle attività della classe lavoratrice. Non dobbiamo avere paura del progresso”.
Ecco il punto: in Sardegna classe politica di governo e di opposizione, dirigenza sindacale e imprenditoriale, stentano a guardare le opportunità che il futuro già presenta e quelle che si rischia di perdere se si continua a difendere questo passato industriale.
Un conto è l’imperativo di non lasciare nessuno indietro e salvaguardare l’insieme della forza lavoro, altra cosa e rimandare sine die scelte anche dolorose sul piano industriale che non hanno ragione di essere perseguite, sia sul piano industriale che su quello occupazionale ed economico.
Carbone, metano e alluminio hanno segnato una stagione culturale, industriale e politica che va archiviata senza se e senza ma. Il confronto con il Governo, a Roma come a Cagliari, va fatto e serve ma va imposto partendo dall’idea di un nuovo modello socio-economico e di sviluppo che sia sostenibile: dalle produzioni agricole, zootecniche e ittiche a totale ciclo biologico, alla produzione di energia con l’uso del sole, del vento, delle maree, alla predisposizione di un moderno sistema integrato di offerta turistica di qualità che abbia il suo baricentro nella valorizzazione e tutela dei beni culturali, ambientali e la biodiversità dei quali la Sardegna è portatrice, alla riconversione e sviluppo di un moderno sistema industriale circolare e agroindustriale, e per finire con la costruzione di un sistema di insediamento della ricerca scientifica e tecnologica dedicata alle nuove frontiere (telecomunicazioni, genomica, climatologia, ricerca e sperimentazione in agricoltura, ecc).
Le risorse ci sono sia sul piano nazionale che su quello europeo, cosi come dagli investitori privati.
Consiglio a chi ancora non l’ha fatto di leggere il Rapporto 2019 Save the Children e guardare com’è messa la Sardegna oggi nei confronti del tempo dei bambini domani.
Dalla Sardegna può e deve partire una nuova stagione di lotte e di idee, come del resto la storia insegna. Idee capaci, al contempo, di imporre e rafforzare il nuovo a Roma e aprire la stagione per una nuova qualità dello sviluppo del Mezzogiorno e riproporre in chiave moderna e sostenibile la questione meridionale.
Insomma caro Landini, la Sardegna, l’Italia e l’Europa hanno estremo bisogno di futuro: ma non di uno qualsiasi. Serve un futuro che garantisca oggi e domani ai nostri figli e ai nostri nipoti di avere la certezza di un futuro, cosi come sino alla nostra generazione bene o male abbiamo avuto.
Buon lavoro, compagne e compagni della Cgil.
Pierluigi Marotto
Se non sai dove andare e con quali mezzi, ti
sei già perso prima di uscire.
Marotto, lo devi dire a Pirotto!!