Si può combattere un fenomeno criminale se prima non se ne ha la percezione? Evidentemente no.
E dunque, prima ancora del dato sconcertante che vede Cagliari al primo posto in Italia per spaccio di droga, a me personalmente colpisce come oggi i giornali hanno trattato la notizia: assente in prima sull’Unione Sarda, giustamente evidenziata nella Nuova Sardegna (“È Cagliari la capitale dello spaccio”). Solo che il primo giornale si stampa e si vende prevalentemente a Cagliari, il secondo a Sassari: quindi evidentemente c’è qualcosa che non va.
Ma che a Cagliari da tempo stiano succedendo cose strane a me appare evidente, e non c’era bisogno del Report Criminalità del Sole 24 Ore per capirlo.
Quando nelle aree a maggiore densità commerciale spuntano in numero impressionante esercizi di ristorazione, esercizi che poi magari chiudono dopo qualche mese per poi riaprire immediatamente con altre insegne, tutto questo non si chiama movida: si chiama, molto spesso, riciclaggio. Che è quell’attività necessaria per ripulire i proventi del traffico e dello spaccio di droga.
Chi frequenta il centro storico cagliaritano questo fenomeno non può non averlo notato.
E che la ristorazione sia lo strumento principale per ripulire i soldi sporchi è purtroppo assodato da tempo. Leggete cosa scriveva appena lo scorso febbraio sul Sole 24 Ore Vincenzo Chierchia in un post dal titolo “Allarme Procura Milano su chef e ristoranti: rischio riciclaggio criminalità”:
“La ristorazione è un settore particolarmente attraente per la criminalità organizzata, perché la vivacità delle entrate e delle uscite permette di riciclare facilmente soldi, perché offre posti di lavoro e un’ottima copertura, perché consente anche ai protagonisti di allargare la loro rete di contatti con gli enti pubblici e le istituzioni. I locali creati diventano luoghi di riunioni, occasioni di crescita del network criminale. Purtroppo – secondo la ricostruzione della Dia di Milano – la maggior parte dei locali fanno capo a delle società di cui i titolari delle quote sono veri e propri prestanome apparentemente innocui. È quindi quasi sempre impossibile scoprire la vera identità del locale senza condurre un lavoro puramente investigativo”.
Ci sono zone di Cagliari dove la monocultura della ristorazione ha ormai spazzato via il tessuto commerciale precedente, causando una distorsione evidente che manco a Milano nella zona dei Navigli (che conosco bene) si registra.
Ora dopo la certificazione di questa emergenza a Cagliari, si aprirà un dibattito pubblico oppure amministrazione cittadina, stampa, magistratura, associazioni di categoria e opinione pubblica, continueranno a fare finta di nulla?
Perché la realtà ormai è sotto gli occhi di tutti: ma come sempre, solo per chi la vuole vedere.
Post scriptum
A poche ore dalla pubblicazione di questo post, iniziano a circolare in ambito giornalistico voci secondo cui Il Sole 24 Ore avrebbe clamorosamente sbagliato l’elaborazione dei dati, per cui Cagliari scenderebbe (in maniera certamente significativa) in alcune classifiche tematiche riguardanti la criminalità. Mentre attendiamo gli aggiornamenti, non possiamo comunque che prendere atto dell’atteggiamento della stampa di fronte alla notizia diffusa ieri (Cagliari prima in classifica per spaccio) e rilanciare l’attenzione sul tema del riciclaggio in città: come si “puliscono” da noi i proventi dei traffici illeciti? Il dibattito è aperto.
Lascio alcuni spunti su cui riflettere sperando di non disturbare.
La questione degli esercizi di ristorazione che a Cagliari aprono e chiudono meriterebbe un’analisi più approfondita. Le continue sovvenzioni (vedi Microcredito, Resto al Sud, etc.) mettono piccole quantità di denaro nelle mani di persone senza la minima idea di come funzioni un’attività o persone disoccupate con l’idea che fare un gelato o una pizza sia facilissimo e sia la ricetta per diventare ricchi. Le piccole quantità di denaro inoltre non sono sufficienti ad avviare un’attività degna di nota in termini di quantità, qualità e interesse per i clienti. Questo provoca quindi un grande numero di aperture seguite da inesorabili chiusure dopo pochi mesi nel momento in cui non si conosce nemmeno il significato di food-cost. In poche parole le spese si sommano e si arriva presto nel baratro. Molto spesso dietro queste attività non ci sono artisti del riciclaggio ma disperati o incompetenti.
Riguardo la conversione di zone della città alla sola ristorazione: se fosse controllata in termini di regole di gestione, orari, ordine e anche cura dell’offerta (dal design del locale alla qualità dell’offerta) non sarebbe un male. Penso ad esempio a piazza del Carmine che, senza attività di ristorazione, si spegne ad una certa ora e diventa un territorio anche triste (Questo non significa che dovrebbe essere trasformata in una discoteca all’aperto).
Piazza Garibaldi invece (sebbene ricordi che durante una trasmissione radiofonica lei non fosse proprio d’accordo con il sistema di riqualificazione) pur con attività rivedibili in termini di gestione e accoglienza (intendo dire che i Navigli sono molto più eleganti perchè le persone hanno più senso estetico – forse) hanno creato una piazza vivibile sia per chi vuole passeggiare con un bimbo, per un anziano che ha voglia di godersi il centro, per il giovane che vuole bere un drink e chiacchierare o un turista che cerca servizi.
La ristorazione o la movida in generale, non sono certo l’unico business con cui lavare i proventi; magari non consideri attività, meno visibili e meno patinate, che sono molto più adatte.
Concordo. Le lavatrici siciliane sembrerebbero lavorare per i panni sporchi degli operai edili. Un amico mi ha segnalato una insolita concentrazione di ditte dell’agrigentino nelle ultime aggiudicazioni di opere pubbliche in tutta la Sardegna. Anche in questo tipo di imprese vale ciò che ha scritto Chierchia.
Ho visto più pusher in una sera a Ponte Milvio che in 37 anni a Cagliari. Suvvia, non scherziamo…
http://www.lastampa.it/2018/10/23/italia/un-errore-di-calcolo-trasforma-cagliari-in-una-provincia-violenta-ecco-perch-non-cos-QpvBZhI7JFdI2J9oWA3hvM/pagina.html
La fonte di questo articolo è una nota della Prefettura di Cagliari che ad un certo punto recita così:
“Sebbene debba quindi essere nuovamente calcolato l’indice di delittuosità generale, così come quello dei singoli reati considerati, si deve sottolineare che risulta invece confermato il dato relativo all’incremento registrato in tema di delitti legati alle sostanze stupefacenti”.
Quindi la mia analisi non fa una grinza perché si basa su dati che non sono stati smentiti ma anzi confermati.
Secondo l’analisi della Prefettura “può indicare certamente la rilevanza del fenomeno in questa realtà territoriale, ma anche il grandissimo impegno e lo sforzo profuso in ambito locale nell’azione di prevenzione, di contrasto e di repressione. Ad un presidio costante del territorio, specie delle zone cittadine ritenute maggiormente a rischio”
Quindi sono stati scoperti più colpevoli. E questo, in mancanza di una suddivisione certa del tipo di reato, ascritto alla generica categoria di “delitti legati alle sostanze stupefacenti”, non può essere totalmente imputato all’attività di spaccio ma anche, stante i continui sequestri delle piantagioni, all’attività di coltivazione. Insomma, ci stiamo trasformando in produttori, ma da li a dire che ci sia una relazione diretta tra questi reati e la movida/ristorazione, mi sembra ce ne passi.
Lo spaccio non si può combattere senza un cambiamento di mentalita’. Finché ci sarà il proibizionismo lo spaccio sarà nella nostra civiltà. Bisogna legalizzare tutte le droghe(pesanti e leggere). Ovviamente questo non lo può fare il sindaco,ci vuole un governo che inverti la rotta. Le periferie ormai sono distrutte, le persone che ci vivono si sentono dei cittadini di livello inferiore. Non possiamo lamentarci del degrado se non ci poniamo tante domande evitando di rispondere con la solita risposta, ” spacciatore cattivone, drogati cattivoni”. Il proibizionismo ha fallito in tutto il mondo ricordiamocelo.