Ottana
Stimato Vito Biolchini,
ti scrivo con l’intento dichiarato di partecipare al dibattito sul futuro della nostra Isola di Sardegna, del quale dibattito sei un assiduo animatore, sottoponendoti alcune mie riflessioni in merito e ponendoti infine alcune domande alle quali non ho trovato risposta.
La questione sarda può essere ben considerata immanente, o perlomeno avere un’origine che si perde in un passato remoto; di certo uno snodo cruciale dell’intera vicenda è rappresentato dall’approvazione dello Statuto speciale del 1948, contemporaneamente punto di arrivo del singolare processo risorgimentale dell’Isola, e avvio della attuale fase di elaborazione del concetto di autonomia, che ha portato tra le altre cose alla constatazione che proprio la parola autonomia non è più sufficiente a circoscriverne gli attuali confini.
Ai classici indipendentismo, separatismo, secessionismo, federalismo, a cui da tempo si era aggiunto lo specifico sardismo di Lussu, confluito in qualche modo nell’autonomismo statutario, si è aggiunto in ultimo il sovranismo, che contende al famoso sarchiapone la palma della descrizione più fantasiosa.
La mia riflessione si è svolta su alcuni punti.
Il primo è la presa d’atto dell’Art. 5 della Costituzione che sancisce l’unità e l’indivisibilità della Repubblica Italiana; a Costituzione invariata, soluzioni quali l’indipendenza o trasformazione in senso federale dell’autonomia non sono possibili, escludendo le soluzioni di forza. La Costituzione non è immutabile, ma occorre tenere nel giusto conto la lunghezza e la difficoltà di una modifica costituzionale.
Differente invece appare la via – sovranista – di completamento del processo autonomistico, che non necessita di modifiche costituzionali, anche se può auspicarne alcune di lieve entità, e vede nella riscrittura dello Statuto, ma soprattutto nella affermazione di una classe politica autenticamente sarda, i suoi punti cardine.
Il secondo punto su cui si è soffermata la mia riflessione è la distinzione tra il piano costituzionale e il piano politico, cioè tra la forma che deve assumere il governo dell’Isola e il modello di sviluppo che si intende perseguire.
Per dirla semplicemente, non sta scritto da nessuna parte che l’indipendentismo debba essere appannaggio della sinistra e il sovranismo debba essere di destra, o viceversa, per quanto poco possano valere le categorie di destra e sinistra. Potremmo ben trovarci tutti d’accordo sulla secessione dall’Italia ma avere idee sul modello di sviluppo da perseguire anche diametralmente opposte; dirsi favorevoli o contrari ad un assetto istituzionale dell’Isola in funzione della parte politica che se ne avvantaggerebbe sul breve periodo sarebbe veramente miope e autolesionista, ma non per questo impossibile.
E così arriviamo al terzo punto; qualunque scelta in merito al futuro assetto dell’Isola di Sardegna deve basarsi obbligatoriamente sulla volontà popolare, o, per dirla al contrario, nessuna vera riforma potrà essere portata a compimento se non ne saranno convinti i sardi nella loro qualificata maggioranza; anche se da posizione enormemente avanzata, è lo stesso problema che affronta in questi mesi la Catalogna.
Gli strumenti per la rilevazione della volontà popolare in verità abbonderebbero; dalla possibilità immediata, grazie alle piattaforme dedicate, di lanciare infinite raccolte di firme e petizioni sui temi in discussione, al più istituzionale strumento dei referendum consultivi, sino alle proposte di legge di iniziativa popolare, anche di modifica della Costituzione, sono tutti strumenti ed istituti democratici di partecipazione popolare disponibili e operativi.
Menzione speciale merita la Costituente Sarda, da eleggersi a suffragio universale su base proporzionale in modo completamente indipendente dalle altre Istituzioni locali e nazionali, sulla quale hai speso più volte la tua persona.
La domanda che mi pongo e che ti pongo non è quale soluzione sia migliore delle altre per il nuovo assetto dell’autogoverno dell’Isola, ma come si possa arrivare alla formazione di un maturo e consapevole orientamento maggioritario della volontà popolare, da trasformare, a quel punto con relativa facilità, in azioni concrete.
Quale sia il valore di una consultazione, quando non è sostenuta da una reale e pressante convinzione della popolazione, l’abbiamo visto in occasione di molti degli ultimi referendum: carta straccia.
Porre oggi la popolazione sarda di fronte ad una scheda dove si chiede di scegliere tra indipendenza, federalismo o autonomia potenziata, o di scegliere gli uomini che devono riscrivere lo Statuto, equivarrebbe a raccogliere pronostici sulla squadra che vincerà lo scudetto; un esercizio inutilmente costoso e costosamente dannoso.
Allora torna la domanda: come si costruisce un dibattito che abbia come risultato la formazione di una precisa volontà popolare? Quali sono le precondizioni per aprire il dibattito? Sono già presenti o devono in tutto o in parte essere ancora realizzate?
Una di queste condizioni è, come già detto, lo Statuto speciale del 1948; per quanto modesto nella portata, datato in quanto ad elaborazione e ampiamente inapplicato, anzi forse proprio in quanto parzialmente inapplicato, rappresenta un sicuro punto di partenza ed un fertile terreno per lo sviluppo di un dibattito proficuo.
Altra condizione favorevole è il venir meno dell’assetto politico tradizionale comunemente indicato come prima repubblica, i cui legami con la fase costituente e i cui vincoli derivanti dalla politica dei blocchi impedivano qualsiasi sbocco del dibattito; oggi fa sorridere, ma in una Sardegna indipendente, in assenza di una Unione Europea di là da venire, la sola presenza di frange di movimenti rivoluzionari di matrice comunista, e qualche punto di guadagno del Partito Comunista Sardo, avrebbe creato una crisi sul modello del missili a Cuba. Oggi, diciamolo francamente, il valore strategico della più grande portaerei del Mediterraneo è enormemente diminuito, come attesta la generale smobilitazione di alcune basi aeree.
Una ulteriore condizione a contorno favorevole è rappresentata dalla crescita, in termini di risultati raggiunti o di consensi raccolti, delle principali istanze in senso lato autonomiste presenti oggi in Europa, non ultimo il caso Catalogna, imposto all’attenzione internazionale, e in qualche modo anche il vistoso successo della Lega di Salvini, che alla faccia di tutta la cura estetica che ha fatto, rimane sempre la Lega per l’indipendenza della Padania.
A differenza di queste citate, andrebbero invece create almeno altre due circostanze propedeutiche alla costruzione del necessario dibattito e sono quelle da me indicate nella mia riflessione iniziale.
La diffusione in ampi strati della popolazione della conoscenza delle differenti opzioni di fondo a disposizione per la riforma delle Istituzioni Sarde e dei relativi strumenti democratici per perseguirle e della consapevolezza che l’assetto istituzionale è precedente e propedeutico all’adozione di un modello di sviluppo della Sardegna, e quindi che la scelta del primo va fatta in precedenza e indipendentemente dalla scelta del secondo.
Ti ringrazio anticipatamente per l’attenzione che vorrai riservare a questa mia riflessione.
Giorgio Ledda
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Gentile Giorgio,
grazie per l’intervento molto articolato, che mette in evidenza alcuni aspetti cruciali del dibattito politico in Sardegna. Provo a riassumere sinteticamente le questioni da te poste.
L’attuale costituzione repubblicana è un limite alle aspirazioni della Sardegna di autogovernarsi? Io penso di no. Sia perché il principio di autodeterminazione precede naturalmente il dettato di ogni carta costituzionale (“Il principio di autodeterminazione non è secessione, non è leghista e non è contro la Costituzione” aveva scritto su questo blog Pierluigi Marotto tre anni fa), sia perché (come fai notare tu giustamente) un conto è il piano costituzionale, un altro quello politico.
E qui veniamo al punto: “Potremmo ben trovarci tutti d’accordo sulla secessione dall’Italia ma avere idee sul modello di sviluppo da perseguire anche diametralmente opposte”, dici tu. “È la sostenibilità e non l’indipendentismo il concetto chiave per una nuova proposta politica in Sardegna” rispondo io.
Che conseguentemente ti dico che non sono d’accordo con la tua tesi finale, secondo cui prima i sardi devono scegliere quale assetto istituzionale vogliono (immagino inteso rispetto alla relazione con lo Stato italiano) e poi solo dopo ragionare sul loro modello di sviluppo.
Secondo me invece le cose stanno in maniera diametralmente opposta: costruiamo il nostro rapporto con lo Stato italiano sulla base del modello di sviluppo che vogliamo, ben sapendo (ma questo è il mio parere) che l’autonomismo si è esaurito e che oggi la nostra carta di specialità va aggiornata in senso sovranista (cioè ambendo a gestire direttamente più poteri possibili).
Anche perché la tua posizione porta dritta dritta dentro la trappola dentro la quale secondo me rischia di cadere il Progetto Autodeterminatzione, le cui basi teoriche mi sembrano ambigue e fragili. Sono indipendentisti oppure no? Cioè, il modello istituzionale che propongono precede ed è esso stesso un nuovo modello di sviluppo oppure no? Quando dicono “mai con i partiti italiani” (il cuore della loro recente proposta elettorale) stanno di fatto ponendo una precondizone tutta indipendentista che è essa stessa programma politico. Ma io penso invece che come ho detto in precedenza, oggi l’indipendentismo non è all’ordine del giorno: non lo è non perché sia da escludere a priori (ci mancherebbe altro), ma perché osservando i rapporti di forza all’interno della società sarda, esso è al momento solo una opzione teorica e nulla più (mi interessa di più costruire la consapevolezza della nazione sarda, un obiettivo che non stride con la nostra attuale permanenza nello Stato italiano).
Questo ragionamento che impone prima la scelta del modello di sviluppo e poi quella dell’assetto istituzionale vale chiaramente per tutti, anche per i promotori del referendum sull’insularità, che rischiano di arroccarsi su posizioni meramente giuridiche.
Per questo quello sul modello di sviluppo è dunque a mio avviso l’unico dibattito serio possibile, per evitare di impelagare l’opinione pubblica in questioni paracostituzionali che noi coinvolgono realmente la società sarda.
“Come si costruisce un dibattito che abbia come risultato la formazione di una precisa volontà popolare?” chiedi tu. Secondo me affrontando i problemi per quello senza condizionamenti ideologici; poi stimolando la discussione aperta; e infine partendo politicamente dal basso, cioè dalle amministrazioni locali.
La strada è lunga.
Vito Biolchini
Bel quesito a cui io non so e non posso rispondere. Credo che dovrebbe valere ad ogni livello, particolarmente a livello regionale. Una programmazione regionale non può, o non dovrebbe essere interferita da ragioni superiori che non siano quelle della comunità dei sardi. Ciò non in virtù di un supposto diritto preminente ma in ragione di un’urgenza tutta interna.
In poche parole, il territorio soffre e la cura non può essere affidata ad un medico che non conosce le patologie che l’affliggono. Abbiamo già avuto modo di sperimentare.
Beh, ora lo sa: a Cagliari i Rossomori appoggiano la giunta italiana del sindaco Zedda.
E no, Vito, no cundivido in nudha cust’idea tua chi “vota sardu” est “messaggio […] indipendhentista”: si sos Sardos dipendhentistas no ndh’essint dae sos partidos italianos pro fàghere una politica e amministratzione chi rispondhet a sos bisonzos prus elementares e sempre prus graves de sos Sardos e de sa Sardigna, intantu sighint a èssere una de sas funes ‘demogràticas’ de s’impicu chi nos est bochindhe (collint sa fidúcia de sos Sardos pro che la brusiare in su Parlamentu italianu cun sa ‘politica’ de campacavallo che l’erba cresce) e si cundennant puru cun sas manos issoro etotu a èssere pistadores de abba (si no pro su torracontighedhu personale o de ‘butega’, ingabbiados in sos partidos italianos. Miseràbbile figura, zoghendhe cun su disisperu e disastru de una zente sempre fuindhe e torrente a desertu, e chentza mai pònnere seriamente sas chistiones a s’Itàlia fintzas ponindhe chi siant contràrios a s’indipendhéntzia.
O sos dipendhentistas ant ant cumpresu chi a pònnere seriamente sas chistiones prus graves nostras est a pònnere sa chistione de s’indipendhéntzia ca s’Itàlia no in cosas sérias nostras no b’intendhet?
Intantu s’Itàlia, meda semplicemente, no tenet tempus pro sa Sardigna (si no pro su chi de sempre est faghindhe e li andhat bene, a dolu mannu nostru). Ma comente pretenimus chi nos let in su sériu si primedotu nois no semus mancu zente séria?
Su “vota sardu” no est solu cosas de sos autodeterminatzionistas!
Ma ponimus chi “vota sardu” cherzat nàrrere automaticamente unu votu pro s’indipendhéntzia. Nois, pro pessare goi, che depimus istare in totu un’àteru pianeta de su sistema solare si no fora puru (e no tiat èssere una meraviza ca su chi distinghet nois Sardos est su èssere DISTRATTI: si sos Sardos no ischimus mancu chie semus e ne inue istamus e prus pagu cumprendhimus comente istamus, s’indipendhéntzia no est cue cue sa die chi, ponimus, unu movimentu de autodeterminatzione faghet piazza pulita de sos partidos italianos chi che zughimus fintzas in ossos che cancru in metàstasi dae tempórios. S’indipendhéntzia, sa sola política de sa responsabbilidade de sos Sardos, no est cosa de votatziones: bi cheret cusséntzia, mentalidade e cumportamentos, capatzidades, professionalidades, educatzione e formatzione, amministradores chi la faghent, totu su contràriu de s’allenamentu chi amus fatu e semus sighindhe a fàghere.
Su votu a sos partidos italianos (in custas votatziones cun s’illusione M5S coment’e chi ponindhe fintzas chi guvernent solu issos no siat un’àteru guvernu de s’Itàlia!) no est de seguru ca Autodeterminatzione/vota sardu nos at propostu de dichiarare s’indipendhéntzia su chimbe de martu 2018 binchindhe sas eletziones (e pro andhare a su Parlamentu italianu a sighire a pistare abba sos autodeterminatzionistas puru, a bortas chi siat paga sa chi sunt pistendhe sos àteros!)
A nois s’Itàlia noche at segadu sa conca, brusiadu sa cusséntzia e ammachiadu: tocat a nos pònnere sa conca nostra e sa cussèntzia chi nos cheret pro èssere semplicemente zente.
Se la sua posizione è quella di dar priorità al modello di sviluppo ed in subordine alL’assetto istituzionale, non comprendo come possa affermare che il Progetto Autodeterminatzione si fondi su basi teoriche ambigue e fragili.
L’intero programma, esposto per linee programmatiche, quindi da sviluppare e dettagliare, preconizza un modello di sviluppo alternativo a quello finora perseguito dalla politica regionale, eccessivamente subalterno ai desiderata di Roma. Da qui la necessità di svincolarsi dall’abbraccio sofficante dei partiti ‘nazionali’. Proprio perché questi perseguono una finalità che pone in secondo piano le necessità ed esigenze del territorio e della comunità dei sardi. Non perciò è lecito dedurne una chiara ed evidente precondizione indipendentista, anche qualora così fosse. La matrice indipendentista nn può ricavarla dal diniego rivolto ai partiti ‘nazionali’, tanto per intenderci.
Nel programma, fra l’altro, non son presenti evidenti ed espliciti rimandi ad un immediato assetto istituzionale in chiave indipendentista, proprio perché non è un tema attualmente all’ordine del giorno, proprio in ragione di una presa di coscienza del fatto che i tempi non son maturi ed i rapporti di forza lo renderebbero appunto un’opzione teorica e velleitaria.
Non comprendo quale possa essere, su tale tema, l’oggetto della critica..
V. Sechi
“La matrice indipendentista non può ricavarla dal diniego rivolto ai partiti ‘nazionali’”: ma solo se questo è visto come punto di arrivo e non di partenza, dico io. Questo diniego, ostinatamente alla base di ogni ragionamento politico di PA, è solo e solamente dei partiti indipendentisti, e di fatto li caratterizza.
Se il punto di partenza è “vota sardu”, il messaggio che viene mandato agli elettori è indipendentista. E aggiungo: se si candidano alcuni storici leader indipendentisti, il messaggio è indipendentista. Perché poi sorprendersi se il risultato alla fine è in linea con le modeste percentuali raggiunte sempre dagli indipendentisti?
La pregiudiziale nei confronti dei partiti ‘nazionali’ non può che essere un approdo ed anche il punto di partenza di ogni base programmatica che abbia come baricentro dell’azione politica l’esclusivo bene della Sardegna.
Approdo conseguente all’analisi critica della recente storia politica dell’isola, che ha visto una costante: l’appiattimento acritico delle politiche economiche, culturali, sociali ed anche strategiche alle necessità ed alle volontà dei governi centrali via via succedutisi negli anni. Da qui la precondizione di svolgere un programma che, al fine di non essere ‘inquinato’ da esigenze esogene ai particolari bisogni della comunità dei sardi, eviti qualsiasi e qualsivoglia coinvolgimento con partiti non di ispirazione esclusivamente sarda, poiché questi sarebbe, giustamente ed evidentemente, portatori di interessi transregionali. È dunque corretto che lo slogan intorno al quale imbastire una propaganda che renda palesi le ragioni di una politica che esuli da istanze esterne sia proprio ‘vota sardu’. Non perciò necessariamente indipendentista, potendosi, infatti, sviluppare un’azione a precipuo interesse dei sardi senza con ciò dover spingere oltremisura sull’acceleratore dell’indipendenza dell’isola. Il messaggio si traduce in indipendentismo smaccatamente dichiarato allorquando nel dettaglio del programma da presentare agli elettori dovesse esserci un evidente e chiaro richiamo a questa necessità. Cosa al momento assente, proprio perché chi anima quel progetto credo sia più che consapevole che spingere su questo argomento sarebbe porre un’ipoteca su condizioni oggettive al momento non mature e non presenti neLL’animo popolare.
Ma la pregiudiziale nei confronti dei partiti italiani vale solo in caso di elezioni politiche e regionali? Perché i Rossomori al comune di Cagliari fanno ancora parte dell’italianissimo centrosinistra, che sostiene l’ancor più italiano sindaco Zedda. E non mi sembra che vogliano uscire dalla maggioranza.