Bocciato
La bocciatura da parte dell’Ufficio Regionale del Referendum del quesito che avrebbe dovuto portare i sardi ad esprimersi il prossimo mese di ottobre sul principio di insularità da inserire all’interno della Costituzione è certamente clamorosa: nessuno la aveva messa minimamente in conto, soprattutto dopo la poderosa campagna di sensibilizzazione che aveva portato addirittura alla raccolta di ben 92 mila firme (ne sarebbero bastate appena diecimila) a sostegno della richiesta.
Al netto delle polemiche e delle valutazioni che possono essere date, bisogna chiedersi intanto perché il referendum è stato giudicato inammissibile. I motivi (ecco la deliberazione ufficiale) sono essenzialmente due.
Il primo: per l’Ufficio, il quesito avrebbe portato i sardi a produrre con il loro voto un atto di indirizzo politico e non un semplice parere, così come previsto dalla legge che istituisce l’istituto del referendum regionale.
Il parametro da tenere in considerazione è fornito in via esclusiva dal tipo di referendum descritto nella legge e, nel caso, quest’ultima non ha genericamente previsto la possibilità̀ di indire una consultazione popolare purchessia, ma ha ammesso soltanto il referendum che abbia a oggetto “un parere”, che non può̀ certo essere confuso con un atto d’indirizzo.
Il secondo motivo però è se vogliamo politicamente più pregnante. Sintetizzando, secondo l’Ufficio Regionale del Referendum le questioni che riguardano la nostra insularità non possono essere disciplinate da “fonti di rango inferiore” al nostro Statuto di Autonomia e il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (richiamato nel testo del referendum proposto dal Comitato) lo è.
Per i giuristi dell’Ufficio del Referendum tutte le modifiche eventualmente richieste
non trovano la loro sede naturale nemmeno nella Costituzione che, come precisato, sotto tale profilo, rinvia proprio agli Statuti speciali.
Il referendum sull’insularità effettivamente buttava la palla in avanti (se non proprio in tribuna), spostando da Cagliari a Roma e a Bruxelles (e dallo Statuto alla Costituzione) il luogo deputato al cambiamento normativo.
Così non è: con questa decisione, lo Statuto di Autonomia torna ad essere centrale. Questa deliberazione parla chiaro: è lo Statuto che va cambiato, non la Costituzione. È lo Statuto che deve far proprie le ragioni dell’insularità. E lo Statuto lo può cambiare semplicemente il Consiglio regionale.
Con questa bocciatura (contrastata, controversa, contestata, forse anche contraddittoria), l’Ufficio del Referendum ci restituisce quindi una realtà che in tanti hanno finto di non vedere: per cambiare la Sardegna bisogna innanzitutto cambiare il nostro Statuto di Autonomia, e questo lo possono fare da subito non gli italiani o gli europei, ma molto più semplicemente i sardi. Tutti noi: attraverso il nostro Consiglio regionale, in forza dello Statuto vigente; in cooperazione con un’assemblea costituente, in presenza di un accordo tra le forze consiliari e sociali, se si volesse offrire al popolo sardo l’occasione di imprimere quel colpo d’ala necessario per ri-cominciare.
In ogni caso è al Consiglio regionale e alle forze politiche in esse attive che rimane il compito irrisolto da quarant’anni: quello di approvare un nuovo Statuto (come gli approfondimenti compiuti negli anni scorsi dalla Fondazione Sardinia hanno chiaramente dimostrato).
È lo Statuto di Autonomia la vera Costituzione da modificare. Subito, senza tante perdite di tempo o scorciatoie. Basta volerlo.
A questo punto, dopo questa clamorosa bocciatura, le forze politiche di centrodestra e di centrosinistra che hanno raccolto le firme per il referendum sull’insularità sono pronte a farlo e a rendere questo tema centrale in vista delle prossime elezioni regionali?
Il tempo delle scorciatoie è finito.
“all’autogoverno dell’isola, unico presupposto reale per una rinascita economica e sociale”
ma ita bollit nai, ita kere narrere “autogoverno” per spiegarlo a mammai…. uno stato indipendente? uno stato federale in uno stato federale? uno stato confederato a un altro stato? una regione autonoma con poteri abbastanza ampi (più ampi di adesso)?
no teneus nimmancu unu canali de tele aundi si kistionit scetti imperendi is linguas sardas… e questo è un diritto che la costituzione dello stato di cui facciamo parte attualmente ci darebbe anche forse….
teneus gana de fai sa cordula a sa musca? Ki no est claru su ki apu iscritu in “politikesu” si podit nai in d’unu fueddu sceti: INDIPENDENTZIA
Comenti est sa chistioni, chi «è lo Statuto che va cambiato, non la Costituzione. È lo Statuto che deve far proprie le ragioni dell’insularità. E lo Statuto lo può cambiare semplicemente il Consiglio regionale.»??? Ma ita seus, brullendi?
Su «Statuto speciale per la Sardegna, vigente coordinato, aggiornato al 30 dicembre 2013»
(che a su primu etotu de su 26/02/1948 n. 3) est LEGGE COSTITUZIONALE E DHU PODIT CAMBIAI ISCETI SU PARLAMENTU DE SA REPUBBLICA ITALIANA (Camera + Senau).
Su Cuntzillu regionali podit fai su chi est iscritu in s’art. 54, custu:
«Per le modificazioni del presente Statuto si applica il procedimento stabilito dalla Costituzione per le leggi costituzionali. L’iniziativa di modificazione può essere esercitata anche dal Consiglio regionale o da almeno ventimila elettori».
Su chi narat «iniziativa» bollit narri chi, in fuedhus pòberus, su Cuntzillu regionali podit pregontai, pediri, proponni a su Parlamentu, ma NO APROVAT PROPRIU NUDHA, aprovat isceti sa pedidoria! E aici etotu is binti mila eletoris.
E si custu si boliat fai cun su Referendum po sa “insularità”, bociau giai coment’e proposta po… proponni/pediri/pregontai a su Parlamentu italianu unu «inserimento del principio di insularità in Costituzione» seus PUNTO E A CAPO!!! Sempri firmus pistendi àcua/abba e is 92.000 firmas arregortas po proponni unu referendum narant cantu is Sardus seus fendi bisus de procu in muntoni de fà, disígius sentz’e mancu isciri ita seus disigendi e cun chini teneus de fai, mancu genti circhendi isparau avatu de is cresuras aici DISTRATTI!
Si no apu cumpréndiu mali: a) ant arregortu 92.000 firmas po proponni unu referendum, e postu chi si potzat proponni e si fatzat puru e pighit mancai su 100% de is votus a favori, b) custu referendum iat a èssi isceti una proposta/pedidoria/pregadoria a su Parlamentu italianu po modificai sa Costituzioni de sa Repúbblica italiana in su sensu de dhui fai iscriri su “principio di insularità” (de sa Sardigna, assinuncas s’ísula Sicília dh’iat a tenni giai iscrita chentza mancu referendum). Morale della favola, campa cavallo che l’erba cresce. Cosas de ‘politica’ de Campacavallo.
E si chentza custa ‘rivoluzione/rivolta’ de is 92.000 firmas sa proposta de modificai sa Costitutzioni italiana dha fait su Cuntzillu regionali?
Iat a essi sempri una proposta/pedidoria/pregadoria de fai a su Parlamentu italianu (Camera + Senau). Morale della favola, campa cavallo che l’erba cresce. Cosas de ‘politica’ de Campacavallo (mancai sempri in carriera!).
Ma poneus chi totu custu burdellu portit su Parlamentu italianu a si firmai po cuatru morus bendaus gioghendi a mosca cieca. Si sa Repúbblica italiana no arrispetat cun sa Sardigna is leis sua etotu chi fait, ita si depeus aspetai chi fatzat candu dhui at iscritu in sa Costituzione custu principio dell’insularità?
O nosu no iscieus in cali tretu de su mundu portaus is peis e mancu su ciorbedhu.(E tocat a cunsiderai meda peus a chini est fendi custa cosa si iscít ita est fendi).
L’Ufficio regionale del referendum ha il grosso merito di aver eliminato l’ultima bufala prodotta dai sedicenti “riformatori”, con argomentazioni, meramente giuridiche, a mio parere più che convincenti. Viene così meno il tentativo, questo sì politico, di rilanciare ancora una volta l’autonomismo vittimista ed accattone che tanto danno ha portato alla Sardegna nell’arco di alcuni decenni e tanto profitto ha portato ai mediatori del colonialismo italiano. Siamo in un momento storico in cui il popolo sardo, che continua a perdere i suoi figli migliori, costretti ad emigrare per lavorare, sta finalmente prendendo coscienza del fatto che solo superando le divisioni tra sardi si potrà giungere, in tempi più brevi di quanto pensiamo, all’autogoverno dell’isola, unico presupposto reale per una rinascita economica e sociale.