I duumviri Paci e Pigliaru
A leggere sulla stampa i nomi dei nuovi possibili assessori della giunta Pigliaru viene subito da rimpiangere quelli vecchi, e questo la dice lunga sul fatto che questa maggioranza di centrosinistra e sovranista che governa alla Regione non ha più niente da dire e da dare alla Sardegna.
Avendo platealmente legato da tempo le sue sorti a quelle di Renzi (cfr “Fedeltà a Renzi e tappeti rossi per le multinazionali: è questa l’idea di Pigliaru per la Sardegna?” del 30 agosto 2014, “Pigliaru crede nell’Italia di Renzi, io no” del 30 settembre 2015, e soprattutto “Trivelle e non solo: perché Pigliaru è il rappresentante dell’Italia in Sardegna (e non della Sardegna in Italia)” dell’11 aprile 2016), il presidente Pigliaru ora vaga in stato confusionale per le sale di viale Trento: c’è da capirlo. Ma a volere questo stato di cose è stato lui e solo lui.
Ora all’orizzonte c’è solo un lungo periodo di trascinamento, per un finale di legislatura più lungo di sempre, un “garbage time” infinito, per usare una terminologia cestistica (nell’Nba quando una squadra è sopra di trenta punti e la partita non ha più niente da dire, in campo entrano le riserve delle riserve, giusto per far passare il tempo in attesa che la gara finisca e far capire al pubblico la differenza tra un giocatore vero e un panchinaro senza speranza. E così siamo anche noi in Sardegna).
Tutto ciò non solo era prevedibile ma era anche stato previsto (cfr “Il referendum lo certifica: l’esperimento politico della giunta sarda di centrosinistra e sovranista è fallito” del 18 novembre 2016), perché non c’era certo bisogno del risultato referendario per capire la portata dell’inadeguatezza della giunta regionale.
Questo esecutivo ha da subito mostrato i suoi evidenti limiti, dati da una guida a due (perché sarebbe ora di smetterla di attribuire tutto al presidente Pigliaru e associare alla maggiori responsabilità anche l’assessore Paci, il loro è un vero e proprio duumvirato) poco in sintonia con i bisogni dei sardi e dalla scelta di assessori evidentemente non altezza e che dopo appena sei mesi sarebbero dovuti essere invitati a tornare alle loro precedenti mansioni (cfr “Un rimpasto non serve più: la giunta Pigliaru è tutta sbagliata e tutta da rifare” del 25 settembre 2014). E invece sono rimasti lì per due anni e mezzo.
Per questo fanno sorridere i toni che i Rossomori hanno assunto per uscire dalla maggioranza: strepiti e urla per coprire anche le loro evidenti responsabilità di aver accettato passivamente troppo a lungo questa situazione e non aver fatto nulla per rinsaldare un polo sovranista che avrebbe dovuto dialetticamente contrapporsi al Pd e alla sinistra governativa. Dopo due anni e mezzo i Rossomori dicono che “questa giunta non è stata all’altezza”: ma non lo è stata anche per i loro evidenti limiti e opportunismi (che li hanno portati poco mesi fa a sostenere a Cagliari la ricandidatura del sindaco Zedda, campione dell’ipocrisia referendaria).
In evidente difficoltà e nel tentativo di salvare se stesso, il duumvirato Pigliaru–Paci prova ora a liberarsi della “zavorra”, ma è chiaro che è troppo tardi. In condizioni normali bisognerebbe tornare subito alle urne ma c’è un motivo che a mio avviso spinge perché la legislatura non finisca subito e non si torni in tempi rapidissimi alle elezioni.
Alla Sardegna serve infatti disperatamente una nuova legge elettorale, in grado di dare più spazio alle donne e alle minoranze, e soprattutto di fotografare un quadro politico che nell’isola è quadripolare (centrodestra, centrosinistra, Cinquestelle e polo dell’autodeterminazione) e non bipolare come l’attuale legge prevede.
Riusciranno questa giunta e questo consiglio così deboli a varare una legge così importante e impegnativa? I precedenti non sono rassicuranti. Anche nel 2004, negli ultimi mesi concitati della sciagurata legislatura iniziata con il tradimento di alcuni consiglieri del centrosinistra ai danni di Gianmario Selis e le presidenze di Mauro Pili, Mario Floris e Italo Masala, il consiglio provò a dotarsi di una nuova legge elettorale, in grado di superare quella imposta livello nazionale a tutte le regioni. Provò e non ci riuscì. E anche stavolta il fallimento è dietro l’angolo.
Allo stesso modo parlare adesso di revisione dello Statuto lascia il tempo che trova e rischia di allungare la vita politica di questa maggioranza fantamatica. Lo Statuto andava rinnovato due anni fa, come la Fondazione Sardinia aveva sollecitato, organizzando incontri e dibattiti e giungendo alla fondata conclusione che la strada più semplice non era quella che portava all’elezione di una assemblea costituente ma passava per il consiglio regionale.
Statuto e legge elettorale dovevano essere le priorità invece Pigliaru si è accontentato di srotolare i tappeti rossi a Renzi (cfr “Caro Pigliaru, non è questo patto che cambierà la storia della Sardegna ma un nuovo Statuto di sovranità e una nuova legge elettorale” del 29 luglio 2016).
Se non dovesse arrivare la nuova legge elettorale, è chiaro che si andrebbe al voto con quella vecchia che, così concepita, escluderebbe dal consiglio due schieramenti su quattro. Un disastro.
Sta di fatto che come Renzi con l’Italia, Pigliaru rischia di lasciare la Sardegna in una situazione se possibile ancora più confusa di quando l’ha trovata. E pensare che questa legislatura debba durare fino al 2019 significa solo, banalmente, non avere a cuore gli interessi dei sardi. Per cui, o la nuova legge elettorale arriva in tempi brevi (prima metà del 2017) oppure che si vada subito alle urne.
E a quel punto ognuno raccoglierà quello che ha seminato.
ma no, cosa leggo … i nostri illustri professori esperti di economia e di sviluppo hanno sbagliato la finanziaria 2016 …
L’unica salvezza per la Sardegna è chiedere di essere annessi alla Svizzera.
Tutto giusto ancora una volta. Io noto però che tra la gente (e parlo dei miei amici, colleghi, familiari, passanti in strada…) la politica regionale non interessa e questo mi porta a dire che si questa giunta è oltre gli sgoccioli, è proprio alla siccità, ma se chiudesse domani o nel 2019 alla gente non interesserebbe nulla. O meglio, non c’è nessuna pressione da parte dei cittadini, ne in positivo (a continuare con Pigliaru) ne in negativo (cambiamo tutto). Si è vero, c’è ogni tanto la protesta per i trasporti (ma solo se esce una news che Ryanair se ne va, come se fosse solo quello il problema) o sulle basi (quando c’è l’esercitazione di turno), ma per il resto è calma piatta. Si faccia un sondaggio in strada su quanti sanno che i Rossomori hanno lasciato la maggioranza. Si parla di Sardegna solo quando qualcuno dall’Italia viene e impone qualcosa, o fa una comparsata, o semplicemente ci nomina. Come se fossero solo quelle le occasioni in cui si decide (ripeto, nel bene e nel male) il futuro della Sardegna. Insomma, tutta questa premessa per dire che siamo in uno stallo accettato. Quindi posto che secondo me a livello di discorsi politici, la situazione sarebbe la stessa oggi o nel ’19, dalle urne i due poli a spuntarla sarebbero PD e M5S, ma non perchè essi proporranno il programma migliore, ma perchè la gente non sa cosa accade a livello regionale e traspongono la politica nazionale a quella isolana. La domanda che pongo a Vito quindi è se anche secondo lui saranno questi i poli che cita implicitamente (tra l’altro segnando l’avvento dei grillini in Sardegna).
Mentre una mia opinione sul futuro “Polo di autodeterminazione”, non sono forse i primi colpevoli di questa ignoranza diffusa nei suoi cittadini? Come si può finalmente sfondare se la politica si limita ad accusare gli invasori continentali? Secondo me, coalizioni a parte, primarie a parte, sigle identitarie a parte, questa è la domanda che devono porsi e provare a cambiare definitivamente le cose.