Siete curiosi di leggere la classifica completa? La trovate su Prima Comunicazione
Partendo dall’editoriale del direttore di Metro Giampaolo Roidi (“Grazie Metro, sei un giornale gigantesco”) verrebbe da dire “avanti un altro”.
I boia Mercato, Pubblicità, Crisi, (poca) Innovazione hanno fatto un’altra vittima. Quando i conti non tornano i primi che saltano sono i direttori dei giornali, poi tocca ai giornalisti e ai poligrafici. Insomma, l’editore procede a mettere in atto ogni azione che riporti l’impresa editoriale in carreggiata con i conti.
Nel mentre che si compiono questi passaggi, i lettori continuano ad allontanarsi e a informarsi altrove e cambiare direttore non vuol dire cambiare le sorti del prodotto editoriale.
Anzi a volte farlo può essere solo un atto per assolvere se stessi.
Un giornale è un prodotto complesso, sviluppato in team, che per essere puntuale con i lettori richiede davvero tanto sacrificio. Lo dico per esperienza avendo lavorato all’Unione Sarda (come responsabile della infrastruttura di telecomunicazioni) a fianco di direttori quali Mario Sechi e Roberto Casu. Allora bisogna chiederci se, lo dico in generale, cambiare direttore è la mossa giusta per risollevare le sorti di un progetto editoriale colpito a morte dalla mancanza di ricavi pubblicitari e, aggiungo, dalla mancanza di ricerca.
Si, uso la parola “ricerca” proprio per mettere in evidenza che senza quella vocazione a sperimentare i nuovi giornalisti, nuove metriche di comunicazione e interazioni con i lettori ad un certo punto succederà che si creerà una distanza incolmabile con i lettori che segnerà il punto di non ritorno. E allora la pubblicità come l’abbiamo conosciuta non tornerà più.
Così muore un prodotto editoriale ma non finisce il giornalismo che è innato in ognuno di noi. Il lettore e il giornalista che compie un atto di giornalismo alla fine sono la stessa persona. L’uno ha bisogno dell’altro e oggi sempre più le posizioni si scambiano creando un ecosistema che cresce e fa sì che le notizie diventino un fatto vero, vicino a noi.
È questa spinta che ha fatto sì che nascessero i giornali iperlocali collegati a territori circoscritti. In Sardegna sono tanti e siccome sono gestiti da redazioni davvero piccole sono costretti a guardare i fatti che li circondano con occhio locale.
Queste redazioni locali e online oggi, grazie alla nuova legge sull’editoria (L. 26 ottobre 2016, n. 198), non sono più anonimi soggetti editoriali ma entrano a pieno titolo nel teatro dell’informazione. È stata dura ma c’è l’abbiamo fatta. Ora si tratta di vigilare affinché non venga meno l’impegno del Governo per mettere in atto gli strumenti necessari per l’avvio. La Regione Sardegna ha già creduto in questo modello e sostenuto le piccole realtà editoriali online. Ora tocca agli editori e direttori di testata impostare il percorso di innovazione continua del loro lavoro.
Si parte dagli uomini e si prosegue con le tecnologie.
Bisogna studiare e approfondire le dinamiche della comunicazione giornalistica web e social perché rimanere bravi giornalisti è difficile e il tesserino non certifica la qualità del lavoro offerto ai lettori, ovvero a te stesso se sei giornalista.
Sandro Usai
Spero che funzioni perchè il successo come il fallimento delle iniziative editoriali sul web sono all’ordine del giorno.
Il fatto quotidiano funziona, Pubblico Giornale invece ha chiuso dopo 100 giorni.
I giornalisti che fine fanno?
Anche Biolchini ha scritto in passato che in effetti era diverso quando alle spalle il giornalista aveva il Corriere della Sera, apriva bocca con il sostegno di un editore, di una testata.
Oggi il giornalista “blogger” se parla o chiede troppo si becca una querela milionaria ed è “solo” ad affrontarla.
Segnalo questo articolo apparso giusto oggi.
http://www.engage.it/media/news-3-0-rilancia-lettera43-e-raggiunge-per-la-prima-volta-il-break-even/89874
Redazioni snelle (ma i giornali online-only dovrebbero essere molti di più rispetto ad ora), zero costi di carta e colori.