Gli studi milanesi della gloriosa Radio Popolare
“La Sardegna non esiste” è il titolo del reportage incentrato sull’analisi di un possibile nuovo modello di sviluppo per l’isola e che ho realizzato per Radio Popolare, la storica emittente milanese presente un po’ in tutt’Italia (ma non in Sardegna, ahinoi) con il suo network. Il reportage dura 15 minuti ed è andato in onda venerdì scorso nell’ambito della trasmissione della mattina Radiosveglia. Oggi il reportage è a disposizione sul sito della radio per chiunque se lo fosse perso e lo volesse ascoltare (scarica il podcast).
Per analizzare il fallimento del modello di sviluppo industrialista e prefigurare al contempo una nuova possibile opportunità per la Sardegna, ho intervistato il sociologo Nicolò Migheli, lo scrittore ed antropologo Bachisio Bandinu, il sociologo Alessandro Mongili, l’imprenditore Tommaso Lussu (è il nipote di Emilio, la sua storia vi stupirà) e il sindaco di Arborea Manuela Pintus.
Il reportage è stato realizzato per un pubblico non sardo e quindi come dire, l’ho presa un po’ alla lontana per far capire che il problema dell’isola non sta a mio avviso, politicamente parlando, nella chiusura delle grandi fabbriche della chimica di base o della metallurgia pesante, ma nell’assenza di un modello di sviluppo alternativo, basato su uno sfruttamento sostenibile delle risorse.
Alle voci degli intervistati ho alternato brani di musicisti e gruppi sardi, come Dusty Kid, Ratapignata e Su Maistu.
I ringraziamenti: grazie innanzitutto al direttore di Radio Popolare Michele Migone per avermi proposto di realizzare il reportage, e alla caporedattrice Lorenza Ghidini per averne seguito la realizzazione. Un grazie speciale va a Sergio Benoni per avermi consentito di registrare il reportage negli studi di Radio X (di cui è direttore) e a mio fratello Claudio Biolchini, tecnico di grande competenza ed esperienza, che ha seguito le fasi di montaggio.
Grazie a tutti.
E grazie ovviamente a voi che lo vorrete ascoltare.
Caro Vito, complimenti per il reportage. Presa coscienza della situazione attuale occorre riflettere sul modello di sviluppo specificamente sardo. Concordo col richiamo di F. Siddi al pensiero di Cassano. La storia ci indica che i modelli di sviluppo importati non hanno funzionato e non funzionano. Quindi, il modello su cui riflettere non è detto che sia in tutto o in parte quello del mercato. In ogni caso, citando Bandinu, una nuova visione è possibile solo ripartendo dalla consapevolezza. E qui entriamo in un campo ancora più delicato e fragile, quello personale e culturale. Che implica anche una serena messa in discussione di miti e ideologie, anche di ciò che chiamiamo identità, del nostro modo di essere su questa isola.
Buongiorno Biolchini,
grazie per l’ottimo servizio, molto stimolante per le prospettive che apre e per come guardare al nostro passato.
In fondo, chi ci ha imposto la petrolchimica? Nessuno. Tuttavia, guarda i giornali degli anni ’60, dove si parlava di “questione sarda”, una terra in pieno sottosviluppo per la quale lo Stato, se tale era, doveva fare qualcosa e risollevare la sua popolazione portando finalmente quel benessere al quale tutti gli italiani avevano oramai diritto.
Potevamo anche rifiutare tutti quegli stipendi di impiegati e salari di centinaia di operai poi trasformati in centinaia di casse integrazioni per anni e anni, (vuol dire persone pagate con le mie tasse per “non” andare a lavorare e che ovviamente potevano impiegare il tempo comunque proficuamente: vigna, orto, uliveto, casetta in costruzione, etc etc.).
Poi cosa facevamo per dare da mangiare a tutti? Facevamo emigrare un altro milione di sardi a Milano o in Germania?
Ci ha fatto comodo quel clientelismo per avere il posticino in fabbrica, i caschetti battuti per terra a Roma per avere la cassa integrazione straordinaria o in deroga, le nostre pensioncine di invalidità (ci campa mezza provincia di Oristano a quanto pare) e le nostre indennità di accompagnamento.
Tanto pagava lo Stato con le tasse pagate da tutti i lavoratori.
Il problema si pone nel 21° secolo, perchè i lavoratori stanno scomparendo e il gettito fiscale scende e l’Unione Europea ci pone dei vincoli di efficienza.
Come la costruisci ora una nuova base economica sulla quale sostentare 1 milione e mezzo di sardi ?
Turismo, ricerca scientifica e tecnologica, enogastronomia di qualità, artigianato di qualità, etc etc.
Noi sardi siamo liberi di mettere i nostri soldi e la nostra intraprendenza dove vogliamo, non ci sono scuse, oppure possiamo prenderci in giro che oggi non ci sono imprenditori nel tessile perchè 50 anni fa è stato fatto uno stabilimento petrolchimico a Porto Torres.
Almeno siamo sinceri, se non c’è sviluppo è perchè non ne abbiamo voglia, in fondo il sistema economico montato 50 anni fa è ancora comodo e rischiare di proprio finisci anche sul lastrico, meglio sbattere i caschetti per terra.
Le scelte innovative fatte dagli elettori a livello regionale ben testimoniano l’immobilismo che la società sarda ha scelto.
Se fai degli interventi o degli articoli altrove posta il link, è sempre un piacere leggerti.
Bravo Vito. ti leggo sempre anche se commento poco e spesso per farti i complimenti come in questo caso. Ma per il resto ahimè ho davvero poche parole e molta stanchezza. Ti dico sempre che ti scrivo qualcosa, sto aspettando una bella storia da raccontare. A si biri e un imprassu mannu.
Ottimo Reportage l’ho ascoltato con grande piacere.
Quello che ahimè traspare è che prima c’era un grande investimento ed un piano, adesso non c’è nulla… il messaggio che passa è “la Sardegna è in svendita” se volete potete comprarla per due soldi…
Vito. Ti ho ascoltato in viva voce di Radio Popolare. A tratti e nonostante tutto il tempo che è trascorso, mi hai fatto tornare in mente il celebre e indimenticabile Viaggio in Italia di Guido Piovene. Bravo!
Bellissima analisi, la consapevolezza di cui parla Bandinu è fondamentale
Nulla e’ cambiato: trent’anni fa i miei coetanei ventenni volevano lasciare la Sardegna perché “qui non c’è nulla”. Nel 2016 in tanti lasciano la Sardegna perché non c’è nulla. Eppure a Luglio e Agosto le navi italiane viaggiano a pieno carico: affitti in nero, acquisti presso GDO e spiagge affollate di italiani arrabbiati per avere speso 5 euro/die per stare un giorno intero nella paradisiaca Chia. Politici ciechi ma soprattutto impreparati e presuntuosi, senza cultura marinara, che non si rendono conto di stare su un’isola enorme, piazzata al centro del Mediterraneo, con centinaia di chilometri di coste con approdi, spiagge, fondali da documentario, che potrebbe fare lavorare anche qualche piccolo imprenditore locale. Sardi che amano essere portati a visitare la propria terra da milanesi o romani.
Effettivamente hanno ragione Migheli, Mongili, Lussu: una sorta di asservimento mentale, quasi una sindrome di Stoccolma, per gente che conosce bene Piazza di Spagna ma non ha mai visto Tuvixeddu…
Interessante reportage, indubbiamente. Seguo sempre le sue iniziative, i suoi articoli e approfondimenti, sempre molto acuti e precisi. Per quanto riguarda il reportage in questione ritengo di segnalare l’impostazione mentale pressoché generale del sardo verso la propria condizione e/o situazione; ovvero le “colpe” sono sempre di altri e mai le nostre e infine gli errori del passato devono necessariamente inficiare il futuro. Mai un’autocritica, mai una responsabilità diretta. Il famoso “modello di sviluppo” da seguire dovremmo trovarlo insieme, classi dirigenti (e quindi non solo la politica, troppo facile) e popolazione. Ma non abbiamo la forza o forse l’interesse a farlo. Tanto quando le cose vanno male si rimedia un sussidio o un intervento straordinario per tirare a campare…E’ necessario far capire che un’economia solida deve essere strutturata su più settori produttivi, da quello agricolo/agroalimentare, turistico, industriale e a maggior ragione da noi da quello artigianale. Inutile parlare sempre e comunque di agricoltura come unica via d’uscita. Resta un’utopia che non porterà certamente ad un economia florida e dinamica in mancanza di sviluppo di altri settori produttivi. Resta il problema di fondo di una regione con mentalità e gestione di stampo tipicamente “meridionale”; la cultura del lavoro. Perché vedo totalmente inutile vedere aumentare il numero di laureati quando questi si scannano per un posto da vigile urbano….e non mi si venga a dire “lo fanno perchè non si trova altro”; perché gran parte di quelle persone “l’altro” non lo hanno nemmeno cercato e non pensano minimamente a crearselo…
L’assistenzialismo ha creato molti più disastri della grande industria, al quale peraltro è legato. In merito a questa vorrei dire che sebbene non esista una controprova non immagino in che condizioni saremmo ora se non fossero state impiantate sull’isola. Forse saremmo meno inquinati, ma non escludo che nell’isola le condizioni socio-economiche sarebbero decisamente peggiori. Ricordiamo, perché si tende a dimenticare, che in quell’epoca l’isola di fatto usciva dal medioevo e quell’iniezione di salari industriali sporchi ha fatto uscire moltissima gente dalla miseria consentendo di far laureare i propri figli.
Grande reportage, complimenti. Puntuale e necessario. Lo farei ascoltare ai nostri politici, imprenditori e sindacalisti ( e intellettuali e giornalisti e operatori culturali e artisti) quattro volte al giorno e obbligarli a esprimersi sull’argomento “quale nuovo modello di sviluppo per la Sardegna”. Suggerisco la lettura del libro IL PENSIERO MERIDIANO, veramente chiarificante e lungimirante, del sociologo Franco Cassano, in cui si esprime lucidamente come non si possono esportare modelli di sviluppo che hanno un senso in nord europa o nel nord Italia, nel sud del mondo e nei paesi del mediterraneo. A quando un convegno aperto e responsabile sull’argomento? Speriamo presto.
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