La politica vive di slogan e di parole magiche: l’ultima è “insularità”. Perché solo da poco la nostra classe governante ha evidentemente scoperto che la Sardegna è un’isola e che ovunque ti giri poi alla fine trovi sempre il mare. Tutto ciò ovviamente provoca delle diseconomie che secondo la vulgata dominante sono alla base del nostro sottosviluppo. Per superarlo è necessario dunque che qualcuno riconosca, incredibile dictu, il fatto che siamo un’isola e che di conseguenza metta mano al portafoglio per compensare ciò che la geografia matrigna ci ha tolto.
“Insularità, primo sì ai sardi” titola allora oggi in prima pagina l’Unione Sarda, dando notizia di una risoluzione votata dal parlamento europeo che riconosce a Sardegna e Sicilia la “condizione di insularità”. “Un voto storico” afferma il primo firmatario, Salvatore Cicu di Forza Italia. “Da questa risoluzione potrebbero arrivare politiche diverse, soprattutto per quanto riguarda i trasporti”, assicura.
Il presidente della Regione Pigliaru ha scritto all’onorevole Cicu, complimentandosi per il risultato ottenuto e prefigurando un percorso comune a favore della battaglia per l’insularità.
Che si tratti di una battaglia di retroguardia è meglio non dirlo per non soffocare gli entusiasmi diffusi nei due schieramenti.
L’insularità si staglia infatti come l’ultimo bastione dell’autonomismo, un tentativo disperato dei sardi di chiedere sulla base di elementi legati ad una economia che spazza via tutto ciò che è numericamente inconsistente o non omologabile, ciò di cui dovrebbero aver diritto in virtù della loro specificità culturale.
Quello di insularità è un concetto nuovo, proposto inizialmente dai sindacati, che consente ai sardi di continuare a sbandierare la loro diversità senza però mettere in discussione il sistema stesso che quella diversità invece continuamente mortifica.
Il concetto di insularità rappresenta quindi il tentativo estremo delle forze che hanno dissipato la spinta autonomista (peraltro ormai conclusa) di contrastare il concetto di sovranità, secondo cui non è il mercato a dare o togliere diritti ma la nostra specifica condizione culturale e storica, e che gli stessi diritti sono agiti dai sardi e non concessi loro da qualcun altro.
Con quale forza politica la Sardegna può opporsi allo smantellamento dei servizi (dai trasporti all’energia, dall’istruzione alla pubblica amministrazione), operato dallo stato italiano in nome dei costi standard (che peraltro piacciono tanto a Pigliaru e Paci)? Con l’esile concetto di insularità?
La battaglia per l’insularità non darà alcuna risposta concreta se non sarà affiancata anche da una battaglia per la sovranità, con un nuovo statuto di cui la Sardegna ha assolutamente bisogno. Perché solo il concetto di sovranità offre una chiave di interpretazione corretta di ciò che sta avvenendo oggi in Sardegna e indica quale può essere la strada da seguire in futuro.
Puntando solo sull’insularità, centrodestra e centrosinistra continuano invece ad accettare la subalternità ad un modello ingiusto per definizione e accentuano i limiti della nostra autonomia che nacque peraltro col piede sbagliato.
Perché nel 1947 si affermò un autonomismo nettamente economicistico? Perché non si volle o non si poté prospettare un’autonomia speciale culturalmente motivata, non circoscritta alla arretratezza economica?
Queste domande se le poneva non un intellettuale dell’area indipendentista ma Maria Rosa Cardia, nel suo saggio dal titolo “L’opposizione al centralismo nella costruzione dell’Autonomia”, pubblicato nel volume “La Sardegna nel regime fascista” (a cura di Maria Luisa Plaisant, Cuec, 2000).
“Lo statuto sardo non è imperniato sulla tutela e sullo sviluppo del proprio patrimonio di cultura, delle radici etno-storiche dell’autonomia, che pure furono alla base del riconoscimento della specialità nella carta costituzionale”, continua la Cardia.
Ecco, da qui la Sardegna dovrebbe ripartire: da un nuovo statuto che metta al centro la cultura specifica dei sardi.
Pigliaru invece punta sul riconoscimento tutto economico dell’insularità da parte di Unione Europea e stato italiano. Peccato però che per ogni emergenza che si affronta, ce n’è subito un’altra che se ne apre: lo schema di gioco che questa amministrazione regionale sta adottando è evidentemente sbagliato.
Ma se si continua a confondere la storia con la geografia il risultato non può che essere questo.
Splendido.Omai è uficiale :La Sardegna è Un’isola ! Proprio come la Corsica la quale però ha la fortuna di essere Francese.
Eh, prova a dirlo ai corsi che hanno la fortuna di essere francesi! 🙂
Mai sentito parlare di zona franca
Egregio Biolchini,
ma di cosa stiamo parlando ?
Il presidente Pigliaru si complimenta con il deputato Cicu per la ” la vittoria” ( sic ) ottenuta nella risoluzione che riconosce la nostra insularità. Caspità che passo avanti, una vera e propria rivoluzione ! Una votazione del parlamento Europeo, che notoriamente conta come il 2 di picche, rispetto alla commissione europea, che non cambia una virgola, rispetto al passato ed al futuro, sulla nostra condizione disagiata.