Il capannone della Fiera di Cagliari attrezzato per accogliere i profughi eritrei (foto Olliera)
“Emergenza migranti” strillava ieri in prima pagina l’Unione Sarda; salvo poi avvertirci oggi che “il sistema dei soccorsi ha funzionato alla perfezione”. “La battaglia dei migranti” titola invece stamattina, elevando a dibattito politico la lite tra comari che vede protagonisti assessori, consiglieri regionali, ex presidenti della Regione e parlamentari nostrani, tutti impegnati a replicare in sedicesimo il confronto (già di bassissimo livello) sui temi dell’accoglienza che infiamma il dibattito italiano.
“Emergenze” e “battaglie” sparate in prima pagina alimentano uno scontro che non c’è e attutiscono grandemente la portata delle dieci domande proposte dal quotidiano, improntate alla necessità di aprire un dibattito serio sull’arrivo dei profughi in Sardegna ed evidentemente ispirate alla riflessione postata due giorni fa su questo blog (“Migranti in Sardegna, la vera emergenza è quella della trasparenza che non c’è”, frutto a sua volta delle denunce pubbliche di don Ettore Cannavera e dell’Asce.
Ma a cosa serve provare ad impostare un ragionamento se i titoli in prima pagina spingono l’acceleratore sull’emotività, comunicando al grande pubblico dei lettori una realtà che non esiste? Misteri del giornalismo nostrano.
Non ci sono “emergenze” e non ci sono “battaglie” sui migranti, ma solo una situazione che deve essere affrontata con una strategia nuova. Perché con questo fenomeno dovremo fare i conti con grande probabilità non solo nei prossimi mesi ma negli anni a venire. E continuare a parlare ancora di “emergenza” non ha veramente alcun senso.
I migranti infatti continuano ad arrivare, che ci piaccia o no. La situazione rischia di sfuggire di mano, come avverte dalle colonne della Nuova Sardegna il presidente regionale dell’Anci Piersandro Scano? Sempre il quotidiano sassarese (nell’articolo dal titolo “Un trend crescente”) ci avverte che entro dicembre saranno seimila i profughi in Sardegna, a fronte dei 3883 accolti attualmente in una cinquantina di strutture. Passeremo dunque ad ospitare dal due al sei per cento tutti i i migranti arrivati via mare nel territorio italiano.
A fronte di questo aumento, dove sono le iniziative per l’integrazione?
Don Ettore Cannavera sull’Unione Sarda di oggi rilancia il dibattito e ci ricorda che quella dei profughi è una grande occasione di crescita umana che rischia di essere vanificata, perché “non è sufficiente tenerli in un albergo e dar loro da mangiare”. Per il sacerdote lo strumento principe deve essere quello dello Sprar (uno dei due servizi di Servizio Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati ha sede proprio presso la comunità La Collina).
L’indicazione è giusta ma non sembra essere condivisa dal governo italiano, posto che (come sempre ci avverte la Nuova di oggi) la percentuale di richieste non concesse di status di rifugiato oscilla tra il 90 e il 95 per cento!
Allora che si fa?
Piersandro Scano nel suo ragionamento richiama la necessità di un intervento dall’alto: “È necessaria e urgente, anzi improcrastinabile, una strategia europea” ma aggiunge: “il governo nazionale mi sembra inattivo. Soprattutto: scarsamente influente sulla scena internazionale”.
E quindi che si fa? Si attende la Merkel? Si spera in Renzi? Aspettiamo che l’Onu faccia cessare in conflitto in Libia?
Io ritengo che se l’arrivo dei migranti sarà strutturale, e se è vero (come è vero) che possono essere considerati una risorsa per l’economia isolana, la Regione Autonoma della Sardegna dovrebbe mettere in campo un progetto originale e innovativo di integrazione, capace di prescindere dalle risorse statali.
Dopotutto, non sono a nostro carico gli oltre tre miliardi all’anno per la spesa sanitaria? E allora perché non immaginare di finanziare con qualche milione di euro percorsi di accoglienza e di integrazione, studiati ad hoc per le nostre comunità?
Così siamo solo una piccola pedina in uno scacchiere internazionale e possiamo soltanto subire scelte prese altrove.
Aspettare le decisioni di Merkel e Renzi non ha molto senso. Se invece provassimo a governare la Sardegna come se fosse uno stato potremmo trarre giovamento da questa vicenda. Oggi i migranti non vogliono restare nella nostra isola e la loro sorte è affidata ai prefetti. Non dobbiamo avere paura di immaginare in futuro in cui i migranti vorranno venire proprio da noi piuttosto che essere portati altrove. È a questo obiettivo che la politica e la società sarde devono tendere. Senza perdere tempo in “emergenze” e in “battaglie” che non esistono.
La Regione si ritagli un ruolo di primo piano, non abbia paura di osare. Faccia un investimento sui migranti: altrimenti si troverà a governare sempre e solo polemiche.
Post scriptum
Io sono per la circolazione delle idee e di questo post potete prendere quello che volete. Basta però che citate la fonte e che evitate di appropriarvi di ragionamenti che costano tempo, studio e fatica a chi li elabora. Il dibattito si alimenta nel rispetto e nel riconoscimento dell’apporto di tutti. Per cui se qualche mio ragionamento vi convince e lo volete usare nel dibattito pubblico, fatelo pure: ma citate la fonte. Perché tra persone serie si fa così.
Luigi Manconi in un suo testo recente intitolato “Accogliamoli tutti” riporta, tra altre proposte e riflessioni l’ipotesi di una riconquista delle terre abbandonate, della ricostituzione di una società e di un’economie sfibrate, della rinascita di comunità obsolescenti attraverso l’immigrazione. E’ già accaduto in altre società. E se non lo facciamo noi avverrà lo stesso. E’ evidente. Se Talana – è solo un esempio tra centinaia che possono essere fatti – arresterà il processo di svuotamento e “sparizione” sarà perché qualche giovane la ripopolerà e ne rimescolerà i cromosomi.
Rimane incomprensibile l’idea propagandata da alcuni di un “popolo sardo forte e fiero” che però è contemporaneamente deboluccio e non può integrare che due gatti.
Ho letto tra i commenti al post che “l’immigrato è una risorsa in due casi: quando arriva con capitali propri per investire e/o ha un know how di formazione da dispensare nel territorio. Oppure quando si integra nel tessuto economico del territorio”.Se l’immigrato si chiama Al Thani va bene, se si chiama Amazon va ancora meglio e se ha dosi giuste di know how va meglio.
Don Cannavera vi potrà spiegare come sia più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago piuttosto che un immigrato investitore (nuova figura ibrida della sociologia) arrivi con capitali propri a “dispensare know how”.
Ci deve essere una fila di dispensatori di know how che vogliono venire in Sardegna. D’altronde abbiamo una bella tradizione di dispensatori. Basta un’occhiata alla storia lontana e recente per rivedere un esercito di dispensatori di know how e ricchezza.
Il fatto è che carità pelosa o carità vera, razzismo o no, un flusso epocale di esseri umani preme alle frontiere ed è perfettamente inutile fortificarle. Quanto agli organizzatori dei flussi migratori, dotati di una visione idraulica dello spostamento degli uomini, beh, non ce li ricorderemo neppure.
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Finalmente un bell’articolo. Nel programma di Sardegna Possibile delle ultime regionali era uno dei punti forti: favorire l’integrazione degli immigrati per rilanciare le attività produttive sarde bisognose di manodopera e impedire la chiusura di ospedali e scuole per carenza di numeri. Senza contare il fatto che con i contributi dei migranti forse potrò avere una pensione. A proposito, integrazione non significa essere d’accordo su tutto, o peggio, annullare una cultura a favore di un’altra. E neanche amarsi incondizionatamente. Significa semplicemente venirsi incontro nel rispetto delle proprie peculiarità.
“favorire l’integrazione degli immigrati […] e impedire la chiusura di ospedali e scuole per carenza di numeri.”
Cioè aumentare la spesa pubblica di ospedali e scuole per sostenere i nuovi costi sopravvenuti.
Sottolineo la parola “costi”, che ovviamente bisognerebbe pagare.
Ecco Vito un esempio di assistenzialismo (indiretto) con automatico incremento di spesa pubblica. La causale di questa idea sarebbe il mantenimento del servizio.
Da considerare inoltre che si potrebbe ridurre la spesa sanitaria tagliando fuori i parassiti politici da 3 miliardi di euro l’anno prima che le strutture…ma per adesso è fantascienza.
Scusa Alec, ho condiviso parte del programma di SP ma non mi ritrovo in certi passaggi. In Sardegna si sono creati dei poli contrapposti, quelli che temono l’immigrazione come il male assoluto e quelli che credono che l’immigrazione sia sempre e comunque un vantaggio (io sono figlio di emigrato in Germania ai tempi d’oro, ci sono pro e contro).
L’immigrazione non è un bene a prescindere, è anche un costo. Ogni caso è a sé. Esistono soglie limite e caratteristiche di un territorio che determinate comunità non possono permettersi (l’ha compreso anche uno dei popoli più ricchi della terra, quello svizzero). L’eccesso di ottimismo non farebbe un buon servizio ai sardi e neppure ai nuovi arrivati (che poi han già subito un costo a monte perché hanno dovuto lasciare la loro terra).
Sì, ma infatti stiamo parlando di 2500 persone. Duemilacinquecento.
2500 in Sardegna sono quasi la media di un dirigente sanitario in più (il rapporto in Sardegna è di 1 a 3023 abitanti, la media più alta dello Stato assieme ad altre 2 Regioni). E’ colpa della politica eh 🙂
Si parla di migranti come risorsa per la Sardegna e si chiede coraggio alla Regione nel fare questo investimento; non mi è chiaro di che tipo di risorsa si tratti, culturale, umana o in senso stretto, economica? La prego, la mia non vuole essere una polemica, è che proprio sono ignorante in materia.
Scusa Vito ma vedo buonismo in questa proposta: l’immigrazione è un valore, ma solo quando non è assistenziale. E i casi in cui ciò avviene non sono diffusi.
L’immigrato è una risorsa in due casi: quando arriva con capitali propri per investire e/o ha un know how di formazione da dispensare nel territorio. Oppure quando si integra nel tessuto economico del territorio (che è la vera anticamera per l’integrazione sociale, non l’opposto).
La Sardegna non ha le stesse capacità di assorbimento che hanno le manifatture venete o l’industria tedesca, da noi l’immigrato ha alte possibilità di: a) finire a spasso per strada; b) finire nelle mani dello schiavismo diffuso nel settore agricolo o edile; c) darsi al crimine.
Esattamente ciò che succedeva anche ai sardi o agli italiani all’epoca delle grandi emigrazioni, con la differenza che in epoca fordista si poteva trovare lavoro soprattutto in ambiti del lavoro dequalificati.
Se iniziamo a mettere soldi pubblici per integrare gli immigrati otterrai due cose: 1) nessuna integrazione e soldi buttati al vento (non si integra lavoro per i locali, figurarsi per chi dovrebbe anche imparare una lingua locale); 2) incremento degli episodi di razzismo, con gente che inevitabilmente dirà che i locali dovrebbero venire prima dei forestieri.
La Sardegna non può permettersi troppa accoglienza. Non perché non ci sia spazio o buoni sentimenti, ma perché abbiamo un’economia assistenziale che non è in grado di assorbire virtuosamente i nuovi arrivati.