Cagliari 1945: dall’alto del colle di Tuvixeddu il signor Giuseppe Deiana fotografa le casermette di Is Mirrionis, destinate poi ad essere trasformate in ospedale (l’attuale Santissima Trinità). La zona, coltivata a vigne e frutteti, presto sarà interessata da un’imponente azione edilizia. Sullo sfondo il colle di San Michele. La foto è tratta dal sito della parrocchia di Sant’Eusebio.
Ogni occasione è buona per ragionare della città: a patto però che non si parli sempre e solamente dei lavori al Poetto o della movida alla Marina. Grazie a Mario Salis (caro amico e collaboratore di Cagliari Globalist) per questo suo bel contributo che ridà respiro storico a vicende collocate spesso (per non dire sempre) unicamente nel freddo contesto della cronaca.
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Cagliari, metà anni Cinquanta: un buco nero tra la piazza d’Armi e quella di San Michele. Dentro quel catino – un’area vasta di oggi – due toponimi Is Cornalias e Is Mirrionis, località indefinite, i confini segnati con i solchi dei cavalli ancora attaccati all’aratro, poco prima di essere cancellati dall’inevitabile espansione edilizia.
Si svuotavano i centri storici, si allargava la periferia. Il destino di quei posti era già scritto al plurale perché nel tempo sarebbero diventati tante altre cose, prima di assumere la fisionomia di quartieri autonomi. La toponomastica non sembrò assegnargli miglior sorte. Le strade prenderanno i nomi di località del bacino minerario occidentale: Monteponi, Montevecchio, Serbariu, Ingurtosu, Nebida, Buggerru, luoghi non proprio di villeggiatura, neppure dopo la dura fatica nelle viscere del Sulcis. Se nella città rappresentavano già zone di confine, niente di meglio che il nome di gloriose trincee della Grande Guerra: dei Razzi, delle Frasche o dei gloriosi e sanguinosi assalti al Monte Acuto, Santo e Sabotino.
Se i punti cardinali dal vecchio poligono di tiro piemontese dove arrivava solo il filobus della linea numero 5, erano un Tuvu Mannu non del tutto spianato, ed alle ardite strutture dell’Albergo dello Studente alto come un grattacielo, di fronte stavano solo le antenne della stazione radio della Marina Militare di San Michele che svettavano sull’omonimo castello. Si potevano ammirare i Diavoli Rossi della pattuglia acrobatica nazionale quando ci passavano in mezzo, al massimo si poteva immaginare Pirri più distaccata, tranne che per la festa fuori porta de Santa Maria Crara.
Infatti, saranno le chiese a delineare la sua mappa: Sant’Eusebio prima in un garage delle case INA CASA, quelle del piano Fanfani. Rimaneva San Michele ancora una chiesa di campagna prima di diventare Medaglia Miracolosa che già si dava da fare Padre Abo col suo affollato oratorio. Saint Tropez che non sta nella Costa Azzurra ma poco più giù di via Cadello, come il mitico bar. Poi verranno San Pietro e Paolo, Beato Massimiliano Kolbe che già esistevano i Saveriani. Mulinu Becciu, attraverso un sentiero stretto dove i ragazzini facevano il bagno nei vasconi per l’irrigazione dei campi.
Ma prima dei quartieri le strade, somiglianti ad autentiche contrade: via Quirra, via Seruci, Via Podgora, Is Maglias anche se si voleva indicare via Emilia, le palestre di pugilato. Via Timavo non sarà mai citata nel Gazzettino Sardo e per tanto tempo ancora nei TG ma chi passava da quelle parti si trovava di fronte una corte dei miracoli a cielo aperto, da far impallidire la proverbiale Ausonia dell’ippodromo del Poetto, demolita subito per l’imbarazzo di una città che rinasceva anche se oggi non regge alla vergogna dell’ex Ospedale Marino o di quel che resta.
Via Is Mirrionis la raggiungevano gli universitari della FUCI portando beni di conforto là dove bambini seminudi razzolavano insieme ad ingorde galline. E dire che a pochi passi prima che la caserma di artiglieria diventasse ospedaletto, aveva suonato l’orchestra di Glenn Miller di Moonlight Sereneade e con la sua voce già inconfondibile di “Eri piccola così” lo stesso Fred Buscaglione. Dopo l’INAPLI e più di recente l’Agenzia Regionale del Lavoro. Poi quando si dice: il destino!
In via Flumentepido alle elementari di Santu Perdixeddu, murata per non essere occupata dai senza tetto di oggi, i bambini comprarono la bandiera tricolore per la scuola dove le maestrine siciliane ed i colleghi calabresi prima dell’inizio delle lezioni facevano cantare l’inno di Mameli e quello di Garibaldi dove si scopron le tombe per gli eroi martiri, senza dimenticare il Va’ Pensiero. Il suo vasto seminterrato ospitava il refettorio che in poco tempo diventava cinematografo per le simpatiche canaglie, Stanlio e Ollio e Gianni e Pinotto. La biblioteca era silenziosa per andare a copiare le ricerche, sorvegliata da supplenti de Sa Duchessa, intenti anche loro senza fiatare a preparare esami.
Sezioni di partito, dove si fermò Enrico Berlinguer, popolate da attivisti appassionati fecero dimenticare d’inverno il fango nelle strade, insieme all’altro paio di scarpe per raggiungere appena presentabili il capolinea del tram di piazza San Michele, non immaginando che presto sarebbe diventata la città nuova.
Problemi molti, disagio sociale anche, e senza giri di parole, delinquenza: come gli interventi dei questurini dal Commissariato del vicino cinema Astoria a bordo del capiente pulmino FIAT 1100 103 Savio della Celere, che si riempiva subito di passeggeri abituali. Poi la droga, un’altra brutta storia, che sembra non finire mai.
Di mattina presto in sella a nugoli di Lambrette e Vespe maestranze verso il porto, operai comunali, meccanici, manovali, commessi di via Manno fino a via Garibaldi, tutti orgogliosi dei figli che studiavano e sudavano nei campi polverosi di calcio in parrocchia. Lì nasceranno le prime mosse per una scuola popolare. Perfino un prete operaio, un altro che promuoverà dei campi di lavoro e lui stesso andrà missionario in Kenya. Perché da quelle parti il cuore non ha mai smesso di battere.
Tante speranze, sacrifici ma anche sogni che si realizzano. Diventeranno insegnanti, impiegati dello Stato, professionisti, operai specializzati, docenti universitari, perfino giornalisti. Non sapendo mai se il coraggio è partire o restare, pochi vi abitano ancora ma nessuno ha dimenticato quel quartiere al plurale, come la solidarietà verso chi non ce l’ha fatta o si è perso.
Timavo è un fiume definito affascinante, reso misterioso per i suoi fenomeni carsici, sorprendente in profondità come in superficie. Un po’ come la vita di tutti i giorni con le sue angosce ed i suoi drammi che mettono a dura prova la speranza. In una società interconnessa il digitale ha soppiantato l’arte tipografica, anelito romantico ed eroico della libertà come quella dell’informazione. Tuttavia sopravvivono gli stereotipi, una sorta di abuso delle banalità come quelle dei luoghi comuni su un quartiere e le sue persone. La stereotipia era un processo tipografico di ristampa, impiegato per la riedizione delle storie che lasciano il segno.
Forse mancano lettori nuovi, però dal video alla pagina il tempo deve essere quello giusto.
È la bellezza della stampa!
Mario Salis
salve qualcuno conosce il significato di is cornalias
Quanti ricordi. La foto, scattata dal Sig. Giuseppe Deiana, coglie in primo piano la casa dove io ho abitato nel 1960 all’età di 6 anni. E’ quella di via Monte santo. Si notano due porte vicine e due finestre, una alla destra e una alla sinistra. La mia modestissima casa era quella della porta e della finestra a destra.
Ci sono tornato da poco e di quella casa non c’è più nulla. E’ rimasto lo spiazzo incolto che già allora si vedeva nello spazio dietro la casa fino al muro di confine con l’attuale ospedale, allora le casermette.
Ho conosciuto le casermette abitate dalle famiglie poverissime, ho visto le povere coperte e le lenzuola rattoppate appese ai fili che separavano gli spazi dei cameroni tra una famiglia e l’altra. Ero piccolo e per me era tutto normale..
Grazie Giuseppe Deiana per avermi restituito un pezzo prezioso della mia infanzia.
Grazie Mario Salis
ma inzandu su “Mirrioni” ita est? Un vigilatore? Un guardiano? Aiò is istoricus…. Is etimologus aiò… secondo me, Simone, prima di tutto devi risolvere questa cosa: “ita fiant is mirrionis”… comunque molti auguri per il documentario.
Salve a tutti. Mia madre ha vissuto all’angolo tra via Monte Santo e via Montenero sino all’inizio degli anni ’80. In questo momento sono alla ricerca di fotografie e video che ci parlino del passato di Tuvumannu. Sto lavorando a un progetto di documentario nel quale intendo aiutare mia madre a raccontarsi, e in parallelo raccontare anche questa zona di Cagliari.
Ho abitato in via Monte Santo nelle case che si vedono in primissimo piano nella foro nel 1960.
Ho foto di quando ero bambino prese di fronte alla porta di casa.
Raccolgo sul web foto che ritraggono il posto, compresa una serie di foto aeree commissionate dal comune.
Gianfranco: sono nato e cresciuto dietro l’ospedale e ho visto il quartiere allargarsi senza avere il tempo di rendermene conto, ricordo quanto era bello scendere dalla collina con i carrucci assemblati con cuscinetti a sfera ricuperati dalle officine, e che dire dei cardi selvatici erano tempi molto brutti ma ci divertivamo con poco
Salve Gianfranco. Anche mia madre ha vissuto là dietro, l’ultima casa in cui ha vissuto in zona è quella in via Monte Nero, angolo via Montesanto. Lei è del ’60, ci ha vissuto sino a circa il 1983.
Gianfranco Sono nato e cresciuto dietro lo stabile che era la casa delle suore (in prazza) e ne sono orgoglioso per i ricordi che mi porto dietro, a voi congratulazioni per quanto scrivete di questo quartiere.
Ciao Gianfranco, ho vissuto nella casa in primissimo piano nella foto di Giuseppe Deiana nel 1960.
Vivo da sempre nel quartiere, i miei nonni vi costruirono la loro casa nei primi anni ’50, quando ancora il territorio circostante era fatto di vigne e campi. Io sono arrivato 20 anni dopo ma in tempo per fare lunghe passeggiate con mio nonno a raccogliere bietole e funghi nella zona di via is maglias, via bligny e via castelli. Nella discesa di via monte Sabotino ci si lanciava con i “carrelli” fatti di legno e vecchi cuscinetti in ferro usati come ruote. Negli anni tanto è cambiato, oggi quel quartiere di periferia è parte integrante della città. Non è un quartiere ricco, ma vario e particolare, a volte piacevole
All’interno del primo lotto di palazzine dell’INA CASA, lotto interamente delimitato da muri e recinzioni che va da via Is Mirrionis angolo via dei Falletti a via Is Cornalias e da questa ritorna su in via Is Mirrionis di fronte al l’attuale Pronto Soccorso. In questo primo lotto era compreso un Asilo per i bambini, poi divenuto nel tempo Centro di aggregazione sociale, poi rifugio di senza tetto, ora rudere in decadimento e senza finalità specifiche. In questo “isolato” c’erano le panchine in cemento con tettoie per l’ombra, circondate da giardinetti con siepi e fiori ed alberi di pino. La prima parrocchia di San Pietro e Paolo è nata al piano terra della seconda palazzina che si affaccia in via Is Mirrionis subito dopo le prime scalette che da via Is Mirrionis portano all’interno dell’isolato. La chiesa ricavata da una casermetta è nata negli anni successivi al 1958 quando io, allora avevo sei anni, facevo il chierichetto a servire messa alla mattina presto, con il parroco, ricordo don Alba e don Podda con vespa al seguito, officiata rigorosamente in latino. Pure era stato realizzato un campetto di calcio con sottofondo in pietra e fascine per il drenaggio dell’acqua. Si svolgevano campionati di quartiere e a capodanno diventava un riparo per le poche auto che si sottraevano al lancio di vecchi oggetti che l’ultima notte dell’anno volavano dalle finestre dei piani alti …
Egregio Ignazio Perra la chiesa di cui parli era Sant’Eusebio e non santi Pietro e Paolo che fu fondata molti anni dopo nei locali delle caserme dove è attualmente distinti saluti
Esiste già via Fabrizio De Andrè ma chissà perché si trova a Pirri, in una zona oltretutto un po’ nascosta, dalle parti di Baraccamanna
sono nato nel corso vittorio emanuele(su brugu) dove ho vissuto sino all’età di sette anni, poi mi sono trasferito nel quatiere popolare di via is cornalias nelle nuove case dello I.A.C.P.Nell’anno 1958,e da li cominciai a crescere molto velocemente,grandi spedizioni esplorative nel colle san michele,altre nel quartiere is mirrionis,seminario,tuvisceddu,san michele,pirri, san tropez ecc.La mia infanzia e adolescienza trascorsa in un lampo, ma con tanti ricordi indelebili.
Che bell’articolo, per chi come me non ha la minima idea di cosa fosse Cagliari e cosa sia ora.
Amo i quartieri popolari, grazie a loro si tramandano le storie, le vite e la memoria di una città.
Rivedo, in questo bell’articolo, il ragazzo innamorato del suo quartiere, che si affacciava timidamente al mondo del giornalismo, dalle pagine di “Orientamenti” e che mi onoro di avere conosciuto e ( purtroppo ) troppo poco frequentato. Grazie Mario, da uno dei ragazzi della Saletta di Gianni Sanna.
Mi sono trasferita in Via Is Maglias (parte finale, fronte Piazza S. Michele) da circa sette anni e vivo benissimo. Il quartiere è vivace, le persone gentili ed i servizi sono tanti (trasporti, farmacia, scuole ecc…). Lo spaccio in Via Timavo era noto a tutti, tanto da diventare una sorta di “barzelletta” a causa della vicinanza con la caserma della Polizia, ma per il resto non mi sembra che delinquenza e criminalità siano superiori ad altri quartieri e, soprattutto, ad altre realtà dell’hinterland come Quartu e Monserrato…
Fantastici ricordi, danno giustizia a una zona della città tanto discussa quanto sconosciuta da chi forse non la vuole conoscere davvero.
Una curiosità; il cinema Astoria e il Commissariato di S.Avendrace dove erano ubicati?
L’astoria oggi è un condominio che mantiene in alto nella facciata il nome originale. Nella via a sinistra salendo in via sabotino. Tra l’altro è diventato cinema porno solo negli anni 80, prima era un cinema normale
Grazie della risposta. Mi è stato detto che nei pressi c’è un bar che mantiene il nome “Astoria”, evidentemente dai tempi in cui era attivo il cinema.
Lì vicino era (ora non saprei) ubicato anche un forno teatro di una tragedia.
La vicenda è stata riportata da Gianni Pesce nel suo libro “Giusto e ingiusto”, dove si parla di un ragazzo, garzone del forno posto sotto il commissariato, che perse la vita a causa dello scoppio di un incendio in un secondo forno vicino pochi metri.
Il titolare dei due esercizi, scrive Pesce, ha continuato a dare lo stipendio del ragazzo alla famiglia, che unicamente su quell’entrata campava, anche dopo la tragedia.
La tragedia fu’ nei primi anni 70 esattamente in via Monte sabotino il forno sta’ ancora li nella parte bassa della via
il Commissariato stava al primo piano di un palazzo circa dieci metri dal panificio che ancora oggi c’è nella parte bassa di via san michele,angolo via col di lana in questa via c’era un bar di un seuese era un ritrovo dei poliziotti e del temuto commissario Pesce
Pesce nei suoi racconti parla anche di quel bar (il bar di Cadinu), zona “neutrale” in cui si trovavano a consumare fianco a fianco poliziotti e delinquenti, e in cui si svolgevano epiche partite a biliardino tra Pesce e i suoi colleghi.
Il bar è quello che tuttora si chiama Astoria?
Se ho ben capito l’edificio che al piano superiore ospitava il commissariato, che Pesce già all’epoca definiva “fatiscente”, è un caseggiato basso in via Hermada, ora abbandonato (o che ha tutta l’aria di esserlo).
Come al solito Mario Salis, conciso e preciso in questo caso (forse troppo conciso) si legge sempre con grande interesse anche per il suo incalzante e piacevole modo di scrivere. La mia prima abitazione, dopo sposato, é stata proprio in via Redipuglia una specie di confine tra i quartieri di Is Mirrionis e S. Avendrace. Lì é nato l primo dei miei tre figli, battezzato proprio da P. Abbo nella chiesetta che sorgeva dove ora é il chiosco di giornali di p.zza S. Michele. Un breve filmato in b /n, girato da un carissimo amico, rimane a testimoniare l’evento.
Viale Fabrizio De Andrè – Ieri sera ho visto il film “Faber in Sardegna” e ho cominciato a pensare a quale strada o piazza di Cagliari si possa intitolare a uno dei più grandi artisti del novecento, che ha amato la Sardegna e la sua gente. Certamente Faber meriterebbe una delle strade più importanti della città, come il viale Europa, oppure viale Diaz, oppure viale Regina Elena … Ma lui avrebbe scelto sicuramente la via Is Mirrionis, o qualche altra strada più umile di quel quartiere. E’ un pensiero che mi ha accompagntao anche oggi durante una passeggiata in bici per le vie di Cagliari. Poi, sembra fatto apposta, ho trovato questo bellissimo articolo che mi dà l’opportunità di proporre la mia idea: via Is Mirrionis potrebbe diventare viale Fabrizio De Andrè? Che dite?
Sono un fan di Fabrizio de Andrè e approvo che Cagliari gli dedichi una strada, in segno di riconoscenza per quanto Fabrizio ha amato la Sardegna, ma dissento dalla proposta di Gianuario. Via Is Mirrionis rimanga con il suo nome, che a me è caro come credo alla stragrande maggioranza degli abitanti del quartiere. Da cagliaritano ho due fondamentali appartenenze rionali: Stampace (dove sono nato e ho vissuto fino all’adolescenza) e Is Mirrionis (dove ho vissuto tredici anni con la mia famiglia, fino a quando mi sono sposato e dove abitano tuttora tre mie fratelli con rispettive famiglie ln tre zone diverse del grande quartiere). Approfitto ora dell’occasione per ricordare il significato che della denominazione Is Mirrionis dette l’illustre studioso canonico Giovanni Spano nella sua Guida di Cagliari (1861) facendola risalire a “due grossi monoliti” detti appunto Mirrionis, che anticamente pare stessero nella parte alta dell’attuale via. Dice lo Spano che “il Vidali [credo fosse uno storico] pretendeva che questi monoliti, come la rupe del Castello, fossero residui del terremoto accaduto nella morte del Salvatore! Si chiamarono Mirrionis da mirai (guardare) perché sono posti in sito che sembrano far uffizio di vedette”. Che bel racconto fantasioso e suggestivo che mi fa ancor più apprezzare il nome del mio quartiere e della grande strada che lo attraversa!
Non conoscevo il significato di Is Mirrionis, grazie per per la risposta e soprattutto per questa spiegazione… Per Faber troveremo un’altra strada per Faber 🙂