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“Università in Sardegna, troppe prudenze: perché la fusione è ineludibile”, di Franco Meloni

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Il treno veloce Cagliari-Sassari e viceversa (auspicabilmente esteso ad altre tratte, Olbia in primis) trainerà anche la realizzazione dell’Università della Sardegna. Unica Università o federazione tra i due atenei storici? Questo è da decidere. Allo stato risulta si propenda per la loro federazione, “al fine di salvaguardarne maggiormente la storia e la tradizione”, ma pur sempre sotto l’egida comune di Università della Sardegna.

Però la federazione deve essere vera, come avverte il competente Ministero, che nel documento di programmazione 2013-2015 del sistema universitario italiano delinea le caratteristiche dei

modelli federativi di università su base regionale o macroregionale… ferme restando l’autonomia scientifica e gestionale dei federati nel quadro delle risorse attribuite”. Precisamente devono prevedersi: “a) unico Consiglio di amministrazione con unico Presidente; b) unificazione e condivisione di servizi amministrativi, informatici, bibliotecari e tecnici di supporto alla didattica e alla ricerca”.

Siamo allora ben lontani dal debole patto federativo firmato dai due atenei alcuni anni fa. Nella pratica non si va ancora in tale direzione; assistiamo invece a un atteggiamento prudente e defatigatorio. E non ne sono prove contrarie l’intensificarsi tra gli atenei degli accordi di programmazione formativa e di collaborazione per la ricerca scientifica (peraltro sempre esistiti).

Tutte cose positive, ma, al contrario, perdura l’incapacità di gestione unitaria di importanti attività, come, ad esempio, i progetti di formazione professionale di grandi dimensioni (lo fu Itaca per il paesaggio), o il consorzio per l’Università telematica della Sardegna o i Centri di competenza tecnologica: iniziative fortemente incentivate dall’Unione Europea, dallo Stato e dalla Regione, sempre più ridotte a operazioni di piccolo cabotaggio.

Così non si potrà continuare perché l’unificazione (o la vera federazione) è ormai un fatto ineludibile, che la spending review governativa impone, anche attraverso progressive penalizzazioni nel trasferimento di risorse statali se non si procederà nella direzione indicata. Ma come peraltro imporrebbero criteri di razionalità nella gestione complessiva delle risorse – e non solo – nell’interesse della Sardegna.

Almeno così pensiamo in molti, in prevalenza fuori dall’accademia, nella quale invece prevalgono la conservazione di antichi privilegi e posizioni di potere, quando anche giustificati da nobili motivazioni.

Lo riconosciamo: il discorso è complesso e il percorso per arrivare all’obbiettivo dell’unica Università della Sardegna, in una delle possibili forme, non è facile, ma, appunto per questo, occorre agire da subito vincendo la paralizzante prudenza. Qualche segnale della volontà in tal senso arriva dall’esordiente Rettore dell’Università di Sassari, Massimo Carpinelli, che in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico ha parlato di

“un progetto capace di promuovere l’Università della Sardegna, che preservi le specificità dei due Atenei, la loro storia e la loro tradizione”, per questo appellandosi particolarmente alla Regione Sardegna “che deve dialogare con gli Atenei e i centri di ricerca [per] costruire un’unica struttura che possa far crescere la formazione, la scienza e la cultura nella nostra Regione”.

È già qualcosa, ma occorre andare rapidamente oltre le parole e passare ai fatti, prima che qualcun altro, anche in questa circostanza, decida per la Sardegna.

La Regione, chiamata giustamente in causa, deve intervenire per favorire questo processo di unificazione/federazione, smettendo di fare solo la parte di bancomat che trasferisce risorse alle Università sarde.

E poi, occorre che il dibattito si allarghi, cogliendo anche l’occasione dell’ormai imminente elezione del Rettore dell’Università di Cagliari, perché, come ripetiamo spesso: l’Università è troppo importante per essere lasciata nelle mani dei soli professori, come la guerra in quelle dei generali.

Franco Meloni

 

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One Comment

  1. Su La Nuova Sardegna di oggi (4 febbraio) è pubblicato un intervento (che sotto si riporta) di Antonietta Mazzette, docente di Sociologia dell’Università di Sassari, sulla situazione di crisi del medesimo Ateneo. Mazzette invoca una “discussione all’interno degli Organi di governo e coinvolgendo la società locale, con il fine comune di trovare soluzioni condivise”. Tra queste soluzioni non si cita, neppure come elemento di discussione, l’unificazione/federazione dei due Atenei sardi, confermandosi al riguardo la contrarietà dell’accademia. Un’ulteriore ragione perché il dibattito si allarghi e si approfondisca senza reticenze.
    Saluti, Franco Meloni
    —————————–
    La Nuova Sardegna, mercoledì 4 febbraio 2015
    di ANTONIETTA MAZZETTE
    Università di Sassari in crisi, una svolta per sopravvivere
    L’Ateneo si avvicina alla soglia dei 10mila iscritti: sarebbero a rischio i finanziamenti dei corsi di laurea e dell’alta specializzazione.
    Evitare l’immobilismo.
    Riporto l’attenzione sull’Ateneo di Sassari e specificamente su due problemi: i precari e l’offerta formativa per il prossimo triennio. Per ciò che riguarda i primi, ancora oggi, non è chiaro l’orientamento di questa amministrazione. In nessuna sede formale se n’è parlato e i Dipartimenti potrebbero vedere ridotti drasticamente sia il numero di persone che svolgono funzioni amministrative sia quello dei docenti: per i primi il contratto si conclude a marzo, per i ricercatori nell’ottobre 2015. Lo stato del bilancio dell’Ateneo è critico ma, considerato che questo problema dovrebbe essere una priorità per tutti, si è ancora in tempo per avviare una verifica trasparente su come operare forme di risparmio e accantonamento di fondi a favore dei precari. Sono certa che, riqualificando la spesa, sarebbero molte le persone disposte a fare sacrifici per non perdere queste competenze. Per ciò che riguarda l’offerta formativa dell’Ateneo, da oltre tre anni un gruppo nutrito di docenti sottopone all’attenzione del Rettore e degli Organi di governo la necessità di analizzare criticamente tutta l’offerta formativa, a partire dai corsi che soffrono di gravi criticità, in termini di iscrizioni (ve ne sono alcuni che non hanno neppure 10 studenti), di rispetto dei requisiti di docenza, di qualità (vi sono corsi che si collocano stabilmente agli ultimi posti di ogni graduatoria), di spendibilità in termini di occupazione. In questo quadro, questi docenti hanno proposto l’istituzione di un corso di laurea che formi giovani nei settori delle nuove tecnologie dell’informazione. Si tratta, per il momento, dell’unica proposta di innovazione avanzata e, come tale, suscettibile di miglioramenti e integrazioni. Le argomentazioni di questi docenti sono state le seguenti. Avviare corsi innovativi, come quello in Ingegneria dell’Informazione, si traduce immediatamente in crescita del numero degli studenti: l’Ateneo di Sassari si sta avvicinando pericolosamente alla soglia dei 10mila iscritti, soglia che comporterebbe il passaggio da media a piccola università. Questo significherebbe automaticamente contrazione dei finanziamenti, dei corsi di laurea e dell’alta formazione. Inoltre, il sistema produttivo ed economico del Nord-Sardegna è carente di tutte quelle professionalità che rientrano nei settori dell’Ict. E ciò costituisce un ulteriore indebolimento dell’economia del territorio. E ancora, i settori dell’Ict sono considerati una priorità dall’Unione Europea e dal Miur, riconosciuta anche dalla Regione della Sardegna. Mi riferisco al documento Strategia di specializzazione intelligente della Sardegna, pubblicato nella scorsa estate. In questo documento i settori dell’Ict vengono classificati strategici per la programmazione 2014/2020 e, perciò, vengono considerati la priorità 1 perché l’Ict è una “fondamentale tecnologia abilitante per gli altri settori”. Ma tanto la riflessione complessiva quanto l’avvio di un nuovo corso sono stati bocciati, utilizzando due argomenti: l’Ateneo in questo momento non può che ripresentare la medesima offerta di corsi degli anni passati; vi sono (presunte) debolezze tecniche dell’unica proposta avanzata, anche se la verifica tecnica – è bene sottolinearlo – spetterebbe al Nucleo di Valutazione dell’Ateneo e agli enti ministeriali Cun e Anvur. Ormai rassegnati, questi docenti non ripresenteranno più (se non sollecitati da altri) le loro proposte. Che nesso c’è tra la questione dei precari e quella dell’offerta formativa? L’immobilismo per un verso, la non volontà di mettersi in discussione per un altro verso. Stare fermi e “non toccare niente con la speranza di salvarsi” può apparire rassicurante ma, metaforicamente parlando, è come se una nave costretta a navigare nel mare in burrasca venisse lasciata in balia delle onde. Con un solo esito: i membri dell’equipaggio cercherebbero di salvarsi, ognuno per sé, senza pensare ai compagni di viaggio. Rispetto a questo pericolo, a mio avviso c’è un solo percorso praticabile, quello di avviare rapidamente la discussione all’interno degli Organi di governo e coinvolgendo la società locale, con il fine comune di trovare soluzioni condivise.

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