La lingua batte dove il dente duole e i sardi sono spesso soggetti a mal di denti.
È bene dunque proporre contributi per una elaborazione della questione linguistica sotto i più diversi aspetti e nella sua più ricca complessità, evitando polemiche distruttive e rigidi fondamentalismi. Proponiamo un aspetto particolare, nella prospettiva di altri interventi che approfondiscano i molteplici argomenti.
Si è posta la domanda: quale lingua insegnare nelle scuole? Ci sono molte proposte e ciascuna ha una propria validità, si tratta di confrontarle e cercare una soluzione, la più convincente possibile.
Una prima proposta può essere questa. In ogni paese si insegna la lingua della comunità perché è quella più naturale e familiare. Bisogna ricordare che il carattere fondamentale di una lingua non è il significato, ma il significante, cioè l’immagine acustica (impropriamente il suono) che ciascun parlante introietta all’interno della propria famiglia e della comunità. Questa condivisione profonda facilita e promuove l’adesione anche di chi non la parla e persino di chi è diffidente, perché viene avvertita come lingua della scuola impropria, diffusa nell’ambiente e dentro una semiotica generale.
Nello stesso tempo dell’insegnamento e dell’apprendimento della varietà locale, si pone fortemente, in adiacenza, l’insegnamento e l’apprendimento della lingua nazionale sarda, cioè di uno standard che raccolga la maggiore adesione e convinzione possibile: una unificazione grafica per una scrittura comune. L’obiettivo è quello di traghettare, nel tempo e con la crescita di un’identità nazionale sarda, le parlate locali verso un’unica lingua nazionale.
L’accostamento simultaneo tra specificità locale e standard deve essere comunicante e unificante. Si crea una familiarità che addomestica le differenze e che promuove il cammino verso un’identità linguistica nazionale: obiettivo fondamentale per il presente e per il futuro della lingua sarda, attraverso cui produrre testi e comunicare con il mondo.
L’affetto vissuto nella parlata locale, trapassa gradualmente (e sempre nella libertà di poterla parlare) nel modello standard, motivato come lingua nazionale dei sardi, capace di unità e coscienza civica. La questione della lingua non è personale o di gruppo, è invece una questione politica che riguarda la nazione sarda.
Un’altra proposta è quella di insegnare direttamente la lingua standard in tutte le scuole sarde, per esempio la LSC (Limba Sarda Comuna) oppure sa Limba de Mesania o ancora uno standard da definire che sia ancor più condiviso. È una tesi difendibile ed anche più economicamente realizzabile, ma nasconde un pericolo purtroppo già ben evidente: la conflittualità, il rifiuto, perché, a ragione o a torto, può essere vista come una lingua fredda, estranea e imposta.
In verità questa è stata la strada con cui si sono formate tutte le lingue nazionali, ma oggi non esiste un potere politico-militare-giuridico che possa imporre, garantire e realizzare di fatto tale progetto. Il rischio è quello di una conflittualità sempre più esasperata che blocca o comunque rende impervio il cammino della limba.
Una terza proposta è la consacrazione divisoria delle due varietà principali, campidanese e logudorese. Unificazione grafica di ciascuna e insegnamento nelle scuole di un logudorese nordista e di un campidanese sudista. Si tratta di una proposta che risolve, almeno in parte, una conflittualità atavica e che può trovare consensi, ma elude la questione politica della lingua, come idioma del popolo sardo, come unica lingua nazionale. Inoltre non sarà facile accettare lo standard logudorese o lo standard campidanese da parte di molte comunità.
Si può fare un esempio: se nella scuola di Bitti o di Orgosolo, si impone il logudorese standard, verrà accettato con difficoltà perché avvertito come lingua differente e perché non trova nella comunità paesana una dimensione diffusa e condivisa, parlata e ascoltata.
La diversità di opinioni risponde alla complessità della questione linguistica dove intervengono affetti e ragioni personali, di gruppo, di comunità paesane e territoriali, con parlate magari di minime differenze che si sono consolidate in forme identitarie chiuse ed esclusive.
In verità la questione della lingua è politica, riguarda la nazione sarda che va ben oltre il campanilismo di paesi e di zone. Purtroppo anche la conflittualità degli esperti non ha aiutato un’elaborazione capace di promuovere proposte unificanti.
Così i problemi legati alla lingua hanno dato il pretesto a coloro che sono contrari alla valorizzazione del sardo per riaffermare la loro contrapposizione. E invece la ricchezza di tesi differenti apre il campo ad elaborazioni più valide e illuminanti, da tradurre in precise scelte politiche.
Non esiste una proposta di standard che accontenti tutti. Perciò occorre una valutazione serena e ragionata e poi una normativa decisa: certo è importante avere la condivisione di molti, ma soprattutto è necessaria una scelta che sia capace di valorizzare sa limba attribuendole la pari dignità dell’italiano e quindi introducendola nelle scuole e in tutte le sedi deputate.
Che la lingua sia una questione politica non pare un dettato condiviso dalla proposta di bilancio 2015 che investe ben poco sulla lingua, a cui la giunta di centrodestra aveva attribuito circa quattro milioni di euro.
Una proposta lodevole è la riforma della Legge 26/97 con le possibili ricadute favorevoli all’insegnamento e apprendimento del sardo nelle scuole, con investimenti finanziari da definire. Una sorpresa davvero incredibile è la cancellazione de Sa Die de sa Sardigna, festa nazionale dei sardi, approvata con legge regionale. Una rimozione che la dice lunga sulla volontà politica di indebolire la coscienza identitaria dei sardi oscurandone i caratteri fondamentali di lingua, cultura e storia.
Non ci sono dubbi che le componenti sovraniste che fanno parte dell’alleanza di governo faranno di lingua e cultura gli obiettivi fondanti e decisivi della loro presenza nella coalizione. O no?
Bachisio Bandinu
Intantu mi faghet pensare chi gasi totus sos cummentsrios sunt iscritos in italianu. Si no incuminzamus a impreare su sardu pro nde faeddare cheret narrere chi no bi creimos. Sa proposta de Bachis Bandinu diat andare bene ( est cussu chi faghent in Friuli inue b’at unu istandard atzetadu in tames b’epant medas variantes e si potant bidere duas variedades prus mannas :1 de du pianu e 1 de sos monte. Sa variedade de su logu est dae incuminzu posta afaca a s’istandard ). Custa ipotesi pero no tenet contu de realidades comente Tatari o Casteddu inue afaca a su tataresu bi sunt medas variedades de sardu . In custa realidades si diat devere impreare s’istandard sceti.
i miei complimenti per l’articolo, purtroppo i commenti che seguono le belle righe da lei scritte le dicono chi sono i sardi con cui abbiamo a che fare, centu concas sena berrita, che usano il tempo libero per mettere in atto (per iscritto in realtà) politiche disfattiste, pettegole, incoerenti e illogiche. si danno la zappa sui piedi da soli e la cosa non li turba più di tanto in quanto tutto questo popolo di apprendisti linguisti ha una vita bella piena tutta in italiano, la lingua sarda è una nostalgia che li coglie all’improvviso e li spinge a pontificare, criticare e maledire ma mai a parlarla che, lei lo sa meglio di me, di un politica repressiva sono figli e degni successori.
Abarrara viva:)
Ma poitta no sa cristionara scetti senza si screbbeddai meda? Tocca scetti cabai in prazza ‘e bidda e da cristionai scetti. Cussu che bessiri bessiri e intantu sa lingua anatra via
Anarrara viva;)
Abarrara:D
da una folaga all´altra. ognuno si spara la sua. deu mi seu arrosciu de custas tontesas.
Dhoi at unu maistu chi chircat in dònnia manera de fairi cumprendi sa bellesa de una limba iscritta chi totugantos nois podeus manigiare pro chi totugantos is Sardos si cumprendant a pare. E ita seus abetende a dha manigiai? Gratzias Mario Puddu. Unu casteddaju chi bolit iscriri feti in Sardu
Buon giorno,
tutto bello però ancora mi sfugge il perchè in tutti i modi si cerchi di spacciare per “Limba” un insieme di dialetti. Oltremodo si vorrebbe vedere al primo posto il dialetto barbaricino. Bene chiamarla “Limba” ma nos sarebbe più logico dare maggior risalto al campidanese? Questi se non altro rappresenta la “Limba” del maggior numero di persone facenti parte della comunità isolana.
Un Casteddaio.
“Bisogna ricordare che il carattere fondamentale di una lingua non è il significato, ma il significante, cioè l’immagine acustica (impropriamente il suono) che ciascun parlante introietta all’interno della propria famiglia e della comunità.” Se si parte da queste stupidaggini si parte male. Purtroppo per l’articolista, noi comunichiamo per trasmettere significati. Persino significati confusi. Siccome non possiamo trasmetterli con il puro pensiero o telepaticamente, abbiamo bisogno di un supporto materiale. I lezione, I anno. Impropriamente il suono? Il suono è suono e noi emettiamo suoni, purtroppo, e non immagini acustiche. Lingua della scuola impropria? La lingua è parlata da persone entro una comunità, da quando esiste l’umanità. Questa stessa comunità può anche usare anche due o più lingue.
Si. Parliamone serenamente. La questione linguistica sarda non esiste.
ringrazio prof. Bandinu per la riflessione costruttiva e stimolante…ha ragione nel ricordare i tagli operati dalla Giunta degli accademici e l’estinzione de sa die de sa Sardigna…… però…non vi sembra strano che l’ultima legge regionale approvata all’unanimità dal Consiglio per finanziare soprattutto le emittenti televisive in crisi (con alcuni milioni di euro di dotazione finanziaria) verta principalmente sul fatto che queste emittenti per essere sovvenzionate dovranno promuovere e veicolare progetti e contenuti sulla lingua e l’identità sarda…..? Conversione sulla via di Damasco…o pretesto giuridico ipocrita per non farsi cassare la legge dalla UE per aiuti di stato non consentiti…?
La priorità politica inerente la lingua, nonché la priorità della politica linguistica, sarebbe dovuta essere (ma dovrebbe esserla ancora) quella di favorire l’uso del sardo (limba/lingua): i politici e i linguisti che hanno partecipato istituzionalmente alle politiche linguistiche sono responsabili, con diversi gradi di responsabilità, delle occasioni sprecate durante gli ultimi vent’anni. L’approccio è stato poco politico e molto economicistico. Occorreva molta gradualità e meno narcisismo.
Con gradualità, seguendo un metodo simile a quello riproposto da Bandinu, oggi i Bittesi ”accetterebbero” il ”logudorese standard” quantomeno come lingua condivisa (dunque non estranea). La koinè è cosa in divenire e magari migliore di quel che potremmo pensare ora.
Satta (Salvatore), nella sua opera letteraria più nota, Il giorno del giudizio, ci descrive bene la progettazione inadeguata della casa del notaio Sebastiano Sanna Carboni da parte dell’ingegnere Gabriele Mannu. A me pare una metafora molto attuale che può esser bene adoperata in riferimento alla questione linguistica, sin dalla gestione politica Soru.
Ho letto con interesse l’articolo del prof. Bandinu, Concordo con la prima proposta: varietà locali insegnate nelle scuole fino alle medie, con un allargamento graduale a una forma standard.
Faccio solo una precisazione: la LSC non è uno standard della lingua, ma della grafia “per la lingua scritta dell’amministrazione regionale”. Purtroppo molti, volendo combattere contro la presunta imposizione di una standardizzazione ortografica, stanno uccidendo la lingua.
Oioioi…
1. Ciò che ci vuole è uno standard per tutti che elimina grafemi che nella letteratura sarda non sono mai stati usati. Ovviamente nessuno a San Vito scriverebbe il colpo di glottide e nessuno a Ittiri insisterebbe nel grafema per la laterale fricativa. Tutte le proposte di standard recenti hanno questo in comune e sono delle regole facilmente applicabili per tutti. I sardi questo lo sanno e non vedo nessun problema di avere uno standard con più forme. Per iniziare si potrebbe facilmente scrivere: cani e cane, ma non -hane- o -ca?i-… facilissimo.
2. Stranamente Bachisiu Bandinu menziona la LSC e la Limba di Mesania e dice che altro non c’è. Forse gli è sfuggito che la provincia di Cagliari ha accetato le Arregulas all’unanimità in consiglio.
3. Una doppia norma è assolutamente da prendere in considerazione perché non crea due lingue, ma due standard della stessa lingua. Infatti, se ci guardiamo intorno in facebook per esempio è già così. Chi scrive nel gruppo ‘scrieus in campidanesu’ usa un sardo molto chiaro meridionale… basta leggere… invece in altri gruppi si scrive una forma più settentrionale.
4. La lingua sarda standard sta nascendo sotto i nostri occhi… chi lo vuole vedere, lo vede, chi invece vuole continuare a parlare di ‘politica linguistica’ basandosi su un nazionalismo non esistente da parte della maggior parte dei parlanti… lo faccia, non arrivando da nessuna parte da oltre 15 anni.
5. La chiave in tutto questo discorso sono gli insegnanti che sono stati abbandonati, non formati bene e esclusi da ogni processo. mollati a fare FILS FOOLS e non so cosa per alla fine doversi cercare tutto il materiale didattico da soli.
Sarebbe stato semplice e se avessero iniziato come dico io e altri 15 anni fa, secondo me e altri, il sardo si sarebbe già unificato da solo e avremo già la lingua sarda scritta… o una forma molto vicina ad uno standard unificato fatto dal popolo sardo.
E non dimentichiamo che non tutti sono sardisti o indipendentisti o nazionalisti. In primis la questione della lingua sarda è culturale, non politica… la politica è solo una piccola parte in un processo di standardizzazione.
Chi ci vuol far credere altro, lo fa solo perché ha un interesse politico. Deu no ddu tengu.
Penzendudenci beni mi iat a parri ca po da biri imperada in donnia logu nc’iat a bolli ammesturu de tottus is artis e is fainas cun poesias, iscritus e canzonis ..iat a deppi nasci(o torrai a pesai) prima unu “sentimentu sardu comunu” ..