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Si fa in fretta a fare il collegamento: mentre la Banca Popolare dell’Emilia Romagna va completando la sua definitiva presa di possesso delle banche sarde (Banco di Sardegna e Banca di Sassari), ora una cooperativa emiliana andrà a scavare il monumento più vissuto della storia dei sardi, i giganti di Mont’e Prama: la scoperta archeologica dell’area mediterranea più importante negli ultimi cinquant’anni, nel cuore della civiltà occidentale.
Aggiungiamoci il cedimento della giunta Pigliaru agli italo-cinesi di Narbolia nel fotovoltaico, il consenso del tribunale italiano in Sardegna alle esigenze dei militari (italiani) in barba a Pigliaru: avremo così una normale settimana di servitù della Sardegna agli organismi dello stato italiano. (Una parentesi: non è però da considerare un torto fatto ai sardi la scelta di Matera rispetto a Cagliari. Dei limiti dell’amministrazione di questa nostra città nel campo culturale sarà bene iniziare a porci le domande che urgono da tempo, a costo di affermare delle verità non proprio piacevoli).
Siamo da mesi (anni?) in costante mobilitazione anti/servitù: militare (Capo Frasca, e via elencando); industriale (Matrìca e gli emuli di Macchiareddu, Porto Vesme, Chilivani e per la chimica verde); energetica (i precedenti, più le incursioni fotovoltaiche promosse e protette dai ministeri romani); territoriale (l’acquisto in corso dei terreni agricoli delle pianure con l’appoggio della Coldiretti); bancaria e culturale (i giganti “romagnoli”, non a caso promossi dalla sinistra in entrambi i casi).
C’è la generazione dei post-sessantenni, ormai quasi tutta pensionata, che continua nei modelli comportamentali della sua militanza giovanile e si sposta di qua e di là per l’Isola, accompagnata da non molti giovani volenterosi, senza che la difesa dei diritti dell’oggi diventi una sicura conquista per il domani.
Ma: come ci si muove allorché un provvisorio armistizio sui poligoni concesso al presidente Pigliaru diventa decisione a favore dei militari da parte del tribunale della stessa Repubblica? È possibile andare avanti senza che le nostre conquiste vengano difese da nostre leggi, ad iniziare da quella fondamentale dello Statuto-costituzione della Sardegna?
Dobbiamo approvare una legge dove si dica che sui beni archeologici della Sardegna decidono i sardi, che le terre sarde non si vendono perché sono un bene identitario destinato a restare disponibili per noi, che all’Eni non si concede alcuna fiducia finché non risana le terre che già ha rovinato, che le banche devono ritornare a essere gestite da e per la Sardegna, che l’energia la produciamo noi e per i nostri interessi. Con tutto il resto che si scrive nelle costituzioni dei popoli.
Il Consiglio regionale, nella sessione estiva dedicata alle riforme istituzionali, ha invece deciso di rimandare tutto. In realtà non ha deciso niente in maniera chiara. Quello che è successo va interpretato. Alla sarda. Perché da noi si parla ancora soprattutto con il silenzio o “in suspu”, direbbero i barbaricini.
Il Partito Democratico “in Sardegna” (non esistono i “democratici sardi”) attenderà le decisioni di Renzi dopo l’approvazione in parlamento delle riforme istituzionali. Allora dovremo adeguarci alle decisioni assunte a Roma. Perché qui la dirigenza del Partito Democratico tende a rappresentare (ed a rappresentarsi in) Roma e non mostra di avere una propria idea del futuro dell’Isola. Se l’avesse, si metterebbe all’opera per formalizzare un proprio progetto sul nostro futuro in un testo a valore costituzionale che, ad iniziare dallo Stato italiano, tutti dovrebbero rispettare.
Questa settimana di ordinaria servitù è stata preceduta da tante altre, e ad essa ne seguiranno sempre di nuove, finché… Finché non ci lasceremo guidare come servi?
P.S. Cosa c’entra tutto questo con la nuova Carta di sovranità argomentata recentemente da Franciscu Sedda, segretario del Partito dei Sardi? C’entra. Ha a che vedere con la questione di fondo: se esistano per i sovranisti/indipendentisti dei punti programmatici irrinunciabili e se il nuovo statuto sia tra di essi. Dovremo tornare su questo punto.
Salvatore Cubeddu
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