Mentre al Senato si parla di riforma del lavoro, in Sardegna succedono cose così. Questa lettera è un perfetto spaccato della crisi che sta investendo la nostra regione. Tutta la mia solidarietà ai lavoratori Akhela (e questa era la loro poesia in sardo per difendere il loro posto di lavoro).
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Ciao Vito,
sono una delle tante dipendenti di Akhela, che si trovano a vivere una situazione drammatica. La storia di Akhela è sconosciuta ai più: azienda di informatica del gruppo Saras, è arrivata ad avere 350 dipendenti e fior di commesse. Il bilancio era in perdita, ma la crescita del fatturato e la qualità dei clienti facevano ben sperare. Nel 2012 veniamo venduti (o forse sarebbe il caso di dire “regalati”) a Solgenia, che in quel momento stava spolpando OIS. Alle nostre forti preoccupazioni ci dissero che la vendita era un bene: Solgenia era una grande azienda e poi alcuni uomini Saras sarebbero rimasti nel consiglio d’amministrazione.
La realtà è stata ben diversa: cacciato l’amministratore delegato che ci aveva portato al successo, i clienti terrorizzati dal nome Solgenia, tanti colleghi fuggiti e a luglio la mazzata dei 49 licenziamenti collettivi sulla sede di Macchiareddu. Non licenziamento dei manager, che rimangono tutti al loro posto, ma di chi ha tirato la carretta per anni.
Abbiamo chiesto il contratto di solidarietà, per salvaguardare l’occupazione e il rilancio di un’azienda fondata sulle persone, ma non abbiamo avuto nessuna apertura perché l’obbiettivo proclamato era di ridurci fino a 90-100 persone. E Saras, che ha costruito la nostra azienda, che ha investito tanto su di noi, che ha persone in consiglio d’amministrazione, è rimasta a guardare avallando (di fatto) tutto ciò!
Ieri la vicenda più assurda. Dopo che 17 colleghi avevano ricevuto la lettera di licenziamento, siamo stati accolti in azienda dalle guardie giurate che spuntavano i nomi di chi poteva entrare e chi non poteva entrare. Quattro nostri dipendenti, davanti a noi attoniti, sono stati bloccati e portati in un gabbiotto dove un legale gli ha notificato il licenziamento in tronco. Sono stati quindi scortati da due guardie giurate (armate) in ufficio perché potessero portare via gli oggetti personali. Colleghi che sono stati in azienda sedici anni, con esperienza, professionalità e responsabilità notevoli sono stati trattati come dei ladri. Questo davanti a tutti noi.
Tu mi chiederai: ma perché mi scrivi? Siete una delle tante aziende in crisi, non fate notizia! Ti scrivo perché mi vergogno di questa classe imprenditoriale che non solo non è minimamente in grado di gestire un’azienda (da noi in due anni non sono stati in grado di fare neanche un piano industriale!), ma ha ormai perso qualsiasi briciolo di etica e di valori con persone che danno tutto se stesse nel proprio lavoro.
Mi vergogno di una classe politica che rimane inerte di fronte a questo macello (Akhela, Meridiana, Sardegna 1 e mille altre aziende), col presidente Pigliaru che sabato ci ha detto che rimaneva fiducioso sulla nostra vertenza (noi con le lettere di licenziamento in mano e lui era fiducioso!!!), un presidente bravissimo a scrivere editoriali, un po’ meno ad affrontare le difficoltà VERE dell’economia. Mi vergogno di un territorio che è sempre pronto a chinarsi al continentale di turno coi risultati che vediamo.
Ma scrivo anche per un altro motivo: perché finché non ti trovi dentro la situazione, finché la leggi sul giornale pensi sempre che a te non succederà perché tu sei un informatico e l’informatica è il lavoro del futuro. Eppoi forse le persone vengono licenziate giustamente.
E invece quando ti capita… allora apri gli occhi. Ecco, io ora sto aprendo gli occhi e vorrei dire ai tuoi lettori: apriamoli tutti, perché se non facciamo qualcosa veramente non so come andrà a finire in questa terra martoriata.
Grazie Vito per la tua solidarietà.
Francesca
Bisogna riunificare tutte le vertenze, chiamare dentro disoccupati e cassaintegrati, precari e lavoratori di ogni settore e fabbrica, ribadendo a gran voce che sarà sempre più necessario riappropriarsi dello sciopero, non inteso come diritto secondo la becera retorica borghese, ma in quanto arma nelle mani di tutti i lavoratori. I tempi sono ormai maturi: stiamo per conoscere giornate che avranno la valenza storica di decenni!
purtroppo anche in questi casi il sindacato è assente perchè tanto parla e alza la voce ma noi continuiamo a perdere il lavoro.
Quello che mi chiedo è se questa “procedura” sia legale o meno (sempre che “legalità” abbia ancora un senso oggi in Italia).
Mi fa impressione la mancanza di umanità in una fase così delicata, la mancanza del rispetto della dignità del lavoratore, è vergognoso. E’ vergognoso che la dirigenza non abbia neanche il coraggio di metterci la faccia. E’ vergognoso che un’azienda che fino a qualche anno fa era una delle mete più ambite per gli informatici sia stata lasciata morire grazie ai soliti giochetti delle cessioni aziendali che sicuramente portano benefici a qualcuno, ma non ai lavoratori.
Volevo segnalare anche la situazione paradossale che sta passando nel silenzio:GTT (ex Tinet – Tiscali International). Pare siano partite numerose lettere di licenziamento. Da quello che si sa l’azienda è sana ma i nuovi proprietari vogliono spostare la sede e tanti saluti a chi lavora li da anni.
Una possibile via di uscita potrebbe essere quella di prendere in seria considerazione la California, qua https://careers-mobileiron.icims.com/jobs/search?pr=0 potete trovare 6 pagine zeppe di posizioni da ricoprire in ambito informatico, immagino i vostri skill siano compatibili con quanto richiesto. Adriano
Da informatico vi esprimo la solidarietà più forte che ci sia. Conosco alcuni di voi, perché con loro ho studiato, mi sono diplomato e mi sono appassionato di informatica.
Vi dico di avere coraggio a rialzarvi e continuare a combattere per un lavoro migliore e soprattutto vi auguro di trovare imprenditori più capaci e che abbiamo più coraggio.
Vi capisco, perché in questo momento sono nella vostra stessa barca.
Mi sento di ringraziarti Francesca, per questo tuo atto di verità e di grande dignità.
Hai ragione: apriamo gli occhi, una volta per tutte.
Mi permetto di dare consiglio alle alte professionalità di Akela umiliate in questo modo. Fate massa critica e mettetevi in proprio fondando una società vostra nella quale diventate tutti soci e mettetevi nel mercato. Sono certo che verrete premiati.
Ormai esprimere solidarietà ai lavoratori di Akhela non basta più, servono azioni concrete. In passato, in altre aziende, si sono verificate situazioni simili. Azioni come queste, ovunque siano compiute, sembrano rispondere ad una strategia rivolta a calpestare la dignità del lavoratore per annichilirlo, isolarlo, insomma, indebolirlo ulteriormente.
Capisco cosa sta provando la ragazza che ha firmato questa lettera. Ne approfitto per raccontare una storiella ambientata in una zona imprecisata del globo terracqueo. Anni fa un giovane fu licenziato da un’azienda che si definiva democratica e, soprattutto, meritocratica. Come lui altre decine di persone che condividevano un contratto poco tutelante. Una settimana dopo era già un appestato e descritto agli altri come tale. A questo punto si potrebbero inserire dei dettagli circa l’isolamento di questo ragazzo ma le storie troppo dettagliate a volte diventano pericolose sia per lo scrittore che per il suo editore. In questo caso è sufficiente dire che iI peccato originale del giovane fu quello di essersi rivolto al sindacato e di aver chiesto la solidarietà dei colleghi durante le ultime settimane di lavoro. Gravissima colpa perchè l’azienda non considerava i lavoratori come collettivo ma bensì come singoli che non necessitavano di intermediari perchè tanto si era una “grande famiglia”.
Immaginiamo ora che questa società sia abbastanza nota al pubblico e che faccia ancora oggi quello che vuole. Licenzia oppure cerca di creare le condizioni per il licenziamento in tutte quelle persone che si sono impegnate “eccessivamente” con il sindacato. Nel frattempo entrano stagisti, rientrano ex dipendenti con contratti a termine ma che in precedenza avevano avuto contratti più stabili e così via. Inutile dire che per quei precedenti contratti usufruì di generose agevolazioni fiscali. Si narra che l’unico licenziato in possesso di un contratto a tempo indeterminato fu accompagnato con una certa fretta alla porta ancor prima dello scadere dell’orario di lavoro. Drammi della congiuntura economica sfavorevole giustificò l’azienda. Per completezza bisogna segnalare che qualche mese prima nella vita di questo ragazzo aveva fatto ingresso il sindacato.
Ovviamente questa è solo una storiella, frutto della fantasia, e che voleva essere solo un piccolo contributo alla comprensione del difficile momento lavorativo che stiamo vivendo oggi.
P.S: e se la fantomatica società della storiella godesse di amicizie importanti? sarebbe uno spunto interessante per una nuova storia ancora tutta da scrivere.
Francesca, non so cosa te ne farai della mia solidarietà impotente e non so come muovermi io che da tanto spigolo e non mieto -vado avanti giorno per giorno, neanche mese per mese. Quello che mi brucia come una umiliazione profonda è vedermi notificare il licenziamento in un gabbiotto, è vedermi accompagnata a ritirare le mie cose magari sotto gli occhi dei colleghi attoniti e impauriti da quella spada di Damocle che è il licenziamento. È già accaduto da altre parti in questi anni di m…Altro che articolo 18!!! Vi abbraccio, perdonatemi se non posso altro