I Giganti: una bambina di sette anni li vede così
Domenica al museo a rivedere i Giganti. All’ingresso una allegra ressa, oggi non si paga. Andiamo dritti anziché a destra e piombiamo subito nelle sale dedicate alla civiltà nuragica. E. è incuriosita dal modellino del nuraghe, poi da quelle statuine di bronzo messe tutte in fila. Diciamo la verità: gli allestimenti iniziano a sentire il peso degli anni. Nel 1993, quando il museo fu trasferito qui alla Cittadella dei Musei dalla precedente sede di piazza Indipendenza, tutto sembrava più moderno; oggi invece l’impressione che i reperti siano ammassati l’uno sull’altro aumenta ad ogni visita. Ci vorrebbero spazi più ampi, più luce, più pannelli esemplificativi. Il Museo Nazionale Archeologico di Cagliari restituisce invece un senso di claustrofobia, eccezion fatta per la meravigliosa ricostruzione del tophet (“il cimitero dei bambini”, “Non ne avevo mai visto uno” dice quasi scusandosi E., giunta alla soglia dei sette anni).
Ed eccoli, i Giganti: sempre belli ed enigmatici. Gli giro attorno, poi li fisso: non avevo mai notato la bocca stilizzata. Foto ricordo.
Proseguiamo. La parte dedicata a Cagliari mi piace sempre tanto. E. prova a decifrare un cippo funerario poi si ferma: “Ma in che lingua è scritto?”, “È latino”. Leggiamo insieme la traduzione. Poi mi prende l’IPhone e inizia a scattare foto a tutto ciò che vede. Le figurine votive in terracotta per lei sono “angioletti”. Le tante mani ritrovate sul fondo dello stagno di Santa Gilla la divertono. La statua di Bes la fa ridere, mentre le teste di marmo dei nobili romani la impressionano.
Ecco di nuovo i Giganti, gli altri. Qui la ressa è notevole cerchiamo di farci spazio fra i tanti visitatori. Un bronzetto ci spiega in che modo il pugilatore di pietra teneva lo scudo sopra la testa, ma T. non può non notare che gli antichi nuragici avevano le gambe corte (“Guarda il bronzetto: uguali”).
Osserviamo i particolari delle decorazioni, cerchiamo di immaginarci come le statue fossero collocate e in che contesto, la ricostruzione digitale fatta dal Crs4 è bella ma un po’ sacrificata. La visita volge al termine e in un attimo siamo di nuovo all’ingresso.
Nell’atrio è stato ricavato lo spazio per un piccolo shop. E. estorce senza fatica un libro di fiabe sarde e due matite, le testoline dei giganti sono in vendita a sei euro e a venti euro quelle più grandi, un po’ cari i segnalibro ad un euro l’uno. In un angolo ci sono i libri dedicati all’archeologia e alla storia della Sardegna.
Usciamo e mi chiedo: chi ha paura dei Giganti di Monte Prama? Questa mostra e i recenti ritrovamenti stanno suscitando uno straordinario interesse che però sembra aver colto impreparati gli studiosi, e sui giornali si legge anche di un certo fastidio davanti ai curiosi che vanno a visitare il cantiere: “una seccatura” dice la Nuova Sardegna di sabato. E invece no: quei “seccatori” sono una risorsa straordinaria che andrebbe sfruttata. Come? Organizzando già da ora visite guidate negli scavi, aprendo un sito dedicato ai Giganti in più lingue, favorendo il flusso di visitatori da Cagliari a Cabras, aprendo un profilo facebook ufficiale (ora ne esiste uno in cui si legge “Siamo i Giganti di Monti Prama. Ci promuoviamo da soli visto che il Comune di Cabras se ne frega di noi. Parliamo solo col plurale maiestatis”), distribuendo delle piccole guide dedicate nei due musei, mettendo perfino una copia di un Gigante all’aeroporto di Cagliari.
E poi coinvolgendo i bambini. Basterebbe mettere un po’ di fogli e di matite nella sala del museo e chiedere loro di fare i ritratti dei Giganti in cambio di piccolo ricordo, per poi magari esporre i disegni.
Questo secondo me si dovrebbe fare, e non pensare di portarli in tournée chissà dove.
Se devo essere sincero non ho capito bene il senso dell’intervento di Sandro Roggio sempre sabato scorso sulla Nuova (“Riflettori su Mont’e Prama. Se la scoperta diventa show”) che chiede che ci siano “pochi cedimenti al marketing” che “tende divorare ogni prodotto culturale”. Io in realtà marketing applicato ai Giganti finora ne ho visto veramente poco, direi proprio nulla. La notorietà di cui godono questi reperti è già straordinaria e può essere sfruttata senza che questo porti necessariamente a fenomeni distorsivi e inaccettabili sul modello della trasmissione Voyager. L’impressione è che si stia perdendo una “gigantesca” occasione.
Gli studiosi devono poter lavorare serenamente ma fortune come questa, di avere decine e decine di persone ogni giorno sugli scavi che regalano reperti eccezionali, capitano veramente di rado e non possono essere gettate al vento. A meno che non si voglia replicare un modello perdente e sorpassato, slegato dalla realtà e ignaro delle migliori esperienze internazionali in tema di valorizzazione di beni culturali. Se è così, chiedo scusa.
Però i Giganti hanno bisogno di comunicare col mondo. Facciamoli parlare.
Foto ricordo
Buongiorno a tutti.
Provo a dire la mia in questa riflessione collettiva, prendendo spunto dalle parole di Vito Biolchini.
Parlo in qualità di cittadino, di archeologo e di autore dei testi delle due mostre dedicate alle statue (niente affatto gigantesche…) rinvenute a Mon’te Prama.
Per dire questo.
Considero le statue di Mont’e Prama espressione di quel fenomeno che l’egittologo Jan Assmann ha battezzato ‘memoria culturale’: la “trasmissione del senso del passato, ossia il patrimonio di sapere fondativo dell’identità di un gruppo, che viene oggettivato in dispositivi di memoria o in forme o pratiche simbo-liche”.
Le statue sono questo, per me: espressione della memoria culturale della Sardegna contemporanea.
e dico contemporanea perché mi trovo pienamente d’accordo con Benedetto Croce quando afferma che “«Storia non contemporanea», «storia passata», sarebbe invece quella che trova già innanzi a sé una storia formata, e che nasce perciò come critica di essa storia, non importa se antica di millenni o remota di un’ora appena. Senonché, considerando più da vicino, anche questa storia già formata, che si dice o si vorrebbe dire «storia non contemporanea» o «passata», se è davvero storia, se cioè ha un senso e non suona come discorso a vuoto, è contemporanea, e non differisce punto dall’altra”
Siamo certi che lo scopo principale per cui si lavora alla ‘costruzione’ della nostra memoria identitaria collettiva sia – debba essere – quello di ‘venderla’?
Senza escludere la possibilità di trarre vantaggio economico dal bene archeologico, credo che sarebbe opportuno chiedersi se questa debba essere la sua corretta finalità principale.
Discutiamone, senza preclusioni.
Te li hanno pagati i diritti per il titolo? 🙂
http://www.videolina.it/video/servizi/72727/chi-ha-paura-dei-giganti-se-ne-parla-oggi-su-dimmi-la-verita.html
Scusatemi quasi tutti anonimi, ma perché siete tutti mascherati a parlare di queste cose? Con sigle alfanumeriche da agenti segreti. È nientemeno…per parlare di archeologia. Cosa vi spaventa? Boh. Così in altri siti. Da qualche giorno regna la confusione nello scavo Mpr e nessuno spiega, mascherine care. Vera hai ragione tu. Occasione per sparate identitarie è quello di cui non vuoi parlare. Sfruttamento per tornaconto privato, sì proprio questo mi pare in questi giorni tutti contro tutti. Dibattito a faccia aperta no?
Est bellu su de ligi custu…
http://www.repubblica.it/cultura/2014/10/13/news/museo_cabras_due_giganti_mont_e_prama-97995647/?rss
e chi ddu sciit… mancai a calincunu dd’acucat de torrai a scriri is primu pàginas de is lìburus de stòria?
è vero…ta bregungia
ma all’aeroporto c’è già un moai……..
per i motivi che hai citato (esposizione sconclusionata, vetusta) ma anche per la scottante attualità (..speriamo che ci siano ulteriori rinvenimenti) penso che sia necessario riunire i reperti, ripensando alla loro esposizione in nuovi più moderni e più funzionali spazi, rendendola appetibile; tipo, un museo della civiltà nuragica.
Se dicessi Betile?
suona come una parolaccia?
Seguo questo blog e stimo Vito Biolchini. Se scrive che non ha capito una mia opinione, mi preoccupo e vado a vedere, per correre ai ripari – per quanto possibile. Mi sento sempre debitore verso chi mi legge.
Eccolo il punto nel mio articolo su La Nuova Sardegna, l’affermazione a proposito del frastuono attorno al cantiere di MPr e l’auspicio che il lavoro degli archeologi possa proseguire “in un clima più adatto alla ricerca. Senza superbe chiusure.Ma con pochi cedimenti al marketing che tende divorare ogni prodotto culturale…”
Il marketing ossia la ricerca dei modi per collocare con il massimo profitto i prodotti nel mercato non è il demonio ma badarci è cosa buona (credo che qualche cedimento sia inevitabile). Anche per i giganti che nessuno vuole mettere a tacere (almeno non io).
La mia affermazione non è supportata da un esempio e questo è sempre a scapito della chiarezza.
Guarda caso l’esempio lo fornisce Vito Biolchini il quale sfrutta un cedimento al marketing: il trasferimento dei giganti a Cagliari per cui Biolchini li ammira lì e non va a Cabras. Le compagini di opere d’arte – accomunate da stessa storia – non si disperdono neppure per la comodità del pubblico pagante. E si espongono nei luoghi ai quali appartengono, lo dicono gli studiosi e le leggi. Altrimenti la pala di Giorgione sarebbe a Venezia e non a Castelfranco o la Madonna di Piero della Francesca a Firenze e non a Monterchi. Tutto andrebbe dove sono più intensi i flussi turistici.
Altri esempi? A proposito del rapporto tra beni culturali e marketing – a Cagliari appunto. Non è stato piegato agli interessi del mercato l’anfiteatro romano ora “legnaia”? E Tuvixeddu? Non ha rischiato di finire compresso tra palazzi e diventare un parco condominiale?
Boh, non so se mi sono spiegato – ci vorrebbe più tempo – ma se serve gli esempi non mancano. Saluti e grazie dell’attenzione.
per sapere e approfondire
http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getarticle&id=113438
Caro Biolchini,
a parte l’immagine poetica e l’uso distorto della parola ‘gigante’, le statue non parlano. Soprattutto se provengono da una protostoria priva di fonti. Bisogna invece farle parlare e qui iniziano i problemi. C’è chi cerca di farle parlare nel senso della ricostruzione di un contesto storico-archeologico. C’è chi le usa come clava per rivendicazioni identitarie. C’è poi una terza opzione particolarmente antipatica: chi cerca di sfruttarle per tornaconto privato e di questa non vorrei parlare.
Nei posti normali la seconda opzione è sconosciuta, in Sardegna rischia di portare alla distruzione di un patrimonio enorme che è prima di tutto culturale.
Ti racconto un aneddoto: ho visitato sia l’Archeologico di Cagliari che il Civico di Cabras (per inciso, sempre in beata solitudine perché dopo il battage giornalistico dell’esposizione l’interesse è calato fin quasi a scomparire per entrambi i musei). A Cabras, ho avuto una delle esperienze più bizzarre della mia vita: una guida che dedica i primi minuti della presentazione alla precisazione che non c’è mai stata alcuna intenzione di nascondere le statue! A mia precisa domanda, la guida ha precisato che la decisione di definire per prima cosa l’aspetto della cosiddetta ‘sparizione delle statue’ è stata una scelta obbligata a causa della distorsione della narrazione riguardante il ritrovamento e il successivo restauro delle statue. Avendo visitato non pochi musei in giro per il mondo, è l’unica volta che mi è capitata una cosa del genere.
In conclusione su una cosa concordo con te: non sarà un’occasione gigantesca, ma la stiamo perdendo. Avviene perché le statue, da patrimonio culturale, sono diventate altro. Se diventano altro credo sia impossibile anche una loro collocazione all’interno di un circuito più ampio di quello strettamente culturale. Ad esempio turistico.
Mi scuserai se definisco ingenua la strada suggerita da te: i fogli da colorare per i bambini sono la conclusione di un percorso molto più complesso e riguardano prima di tutto un recupero culturale che ancora non si vede e rischia di non vedersi. I fogli di carta di cui parli hanno senso se utili a spiegare ai bambini la necessità di definire il passato in chiave prima di tutto culturale, di condivisione dell’amore per un patrimonio comune. In caso contrario restano un gioco sterile. E fammi anche dire che coloro che urlano contro le ‘Soprintendenze serve di Roma che deformano la storia Sarda per sminuirla nascondendo i Giganti’ sono proprio espressione di una subalternità culturale neocoloniale di cui dovremmo liberarci. Ed è la causa della probabile perdita dell’occasione di cui parliamo.
Nel merito, infine, di alcune tue affermazioni, vorrei invitarti a visitare il cantiere di M. Prama. Aperto al pubblico fin dall’inizio degli scavi. Ciò per renderti conto del fatto che le ’visite guidate’ sono inutili in fase di scavo (e alla fine del cantiere resta solo un buco per terra!). Una fruizione pubblica di massa dei siti di scavo ha senso nel caso di aree monumentali, come ad esempio la vicina Tharros. Perdono interesse nel caso di siti come M.Prama.
E a proposito di occasioni perse, lasciami segnalare una piccola associazione che si chiama Tocoele (www.tocoele.it). Un esempio unico di partecipazione dal basso e locale alla protezione del patrimonio comune. Se i giornali parlassero di queste realtà se ne gioverebbero anche le statue di M. Prama.
Per stemperare ed essere ironici si potrebbe dire che la stampa non ne parla perché c’è un complotto contro le cose serie, che convengono poco un po’ a tutti, salvo che alla corretta conservazione del nostro patrimonio.
Cosa ci fanno a Cagliari i Giganti di Cabras? Saresti dovuto andare nel Sinis a vederli, dove sono stati ritrovati. E magari ti saresti potuto fermare a mangiare un boccone in riva al mare. E basta con la questione che nel capoluogo esiste già un flusso turistico intenso e bla bla bla…
Caro Vito, tua figlia, guardando i giganti e il bronzetto ha capito a prima vista che sono uguali, il secondo sembra un souvenir del primo.
La grande paura, degli studiosi e degli archieologi, e’ proprio questa, dichiarare al mondo che i Giganti non sono fenici come ci vogliono far credere ma parte fondamentale della civilta’ nuragica, civilta’ che per molti e’ un grosso problema in quanto affermano, non si sa sulla base di quali teorie, che gli antichi sardi, i nuragici, non sapessero scrivere, non sapessero navigare, non sapessero far nulla se non trarre insegnamento dai fenici.
Dovrebbero retrodatare la data della loro creazione di parecchi secoli e probabilmete riscrivere intere parti della storia che ci hanno fatto studiare e ammettere di aver preso delle grosse cantonate
Certo, però cominciamo col non storpiare i toponimi ;-P Monti Prama.
Il museo archeologico è in pessimo stato. Alcuni dettagli sono agghiaccianti. Sembra un manuale di museografia degli orrori. L’allestimento è obsoleto e chi ci lavora sembra aver perso amore per il proprio ruolo. C’è da dire che è tra i musei più visitati della Sardegna, un pessimo biglietto di presetazione!
Marketing… già, in Sardegna, questo sconosciuto.
Non sappiamo vendere nemmeno ciò che naturalmente dovrebbe essere commercializzato, figuriamoci la cultura, perché se non è gratis che cultura è?
Invece nel resto del mondo c’è chi mercifica tutto: persino nella sperduta Mérida (piccola cittadina spagnola capoluogo dell’Estremadura) ci surclassa. Va bene, sto parlando di una piccola città che però replica in piccolo i fasti della Roma del periodo di Augusto (da cui il nome di colonia Augusta Emerita) con tanto di Tempio di Atena, Circo Massimo, Terme, Teatro e Anfiteatro intatti, intatti!!!
Eppure, nella tristezza di un’insieme di abitati veramente brutto (probabilmente perché sostanzialmente povera e figlia della ricostruzione dopo Franco), la città è piena di bazaar in cui sono in vendita ogni genere di replica: anfore e vasellame (in ceramica e terracotta), spade, armature, per non parlare dell’immenso patrimonio librario.
Cagliari, con le sue poche risorse, la batterebbe a mani basse ma non sia mai che si voglia competere con gli altri, meglio stare fuori dalla mischia e non sporcarsi di fango. Perché è certo che per emergere rispetto ad altre città dobbiamo dimenticarci quella purezza che ha fatto si che queste statue non avessero il risalto che meritavano (anche per la paura di dover riscrivere tomi e tomi su cui si basava una consolidata carriera accademica).
Adesso, come ben dici, si rischia di cadere nel fenomeno “Kazzenger” o peggio “Gombloddo-Sciiichimici” se questi ricercatori non impareranno a comunicare un po’ della loro scienza: ho avuto la fortuna di vederli tutti assieme, schierati nel centro di restauro di Li Punti e accompagnato nella visita da una ricercatrice che conduceva il restauro. Chi cavalca questa cosa per fini autonomistici dovrebbe gentilmente farsi da parte e cedere il megafono a queste persone che meglio conoscono l’argomento e magari lo possono impiegare per veicolare una divulgazione scientifica che è sempre più minoritaria ed elitaria.
PS: nel 1993 Mérida è pure divenuta Patrimonio dell’UNESCO. Puzzidda!!!
non posso fare a meno di rispondere alla tua domanda con un idiozia da terza media… ci credi ai giganti?
Per coinvolgere bene ed efficacemente i bambini, fargli nascere interesse e passione per il tema, li farei partecipare operativamente agli scavi: tra 10 – 15 anni l’intero patrimonio sepolto sarebbe a disposizione del turismo archeologico più esclusivo del Mediterraneo.
Chi ha paura dei giganti? ma non è paura.. si chiama invidia.. si chiama protezione autoreferenziale del proprio orticello… è il gioco del solo io, tutto mio… vado io, io io io io… in Sardegna di gente così? uff…a cascionis
Ma chi vuole che abbia paura dei Giganti? Anche e perfino a proposito dei Giganti ho sentito il solito lamento sardo. Non ne ammettono l’importanza, c’è una lobby archeologica che rema contro, il mondo è contro e noi siamo vittime anche se possediamo questi gioielli. Un popolo di vittime.
Non sarà che tutta l’incapacità è nostra, visto che sono stati ritrovati nel 1974 e se ne parla invece da pochissimi anni? Non sarà che sono assemblati sino a sfiorare il ridicolo con mezzo femore attaccato alla tibia e così via (certo che così sembrano più nani che giganti).
Il Codice Urbani, inoltre, prevede che restino dove sono stati trovati, come è logico e come avviene per esempio, per i Bronzi di Riace.
E il fatto che nei magazzini giaccia una grande quantità di reperti che dovrebbero essere esposti – ciclicamente qualcosa viene tirata fuori e poi conservata di nuovo come i vetri romani di Pill’e Matta- determina una visione monca delle cose e, dunque, del passato.
Non è solo una questione di economie ristrette.
Saluti
National Geographic, RAI, BBC, ecc ecc. Quando anche la documentaristica internazionale (da Stonehenge alle piramidi) diventerà occasione di marketing i Sardi avranno raggunto l’obiettivo. Ma siamo ancora lontani, non con nuraghi-pisciatoio, erbacce e improvvisazione politica.