[youtube http://youtu.be/CuQ-BYvTfi4]
Ma che bravi i creativi dell’Eni!
Caspita, che idea! C’è qualcuno contrario alla norma che punirebbe chi utilizza sacchetti per la spesa non ecocompatibili (cioè di volgare plastica)? Direi di no: l’ambiente soprattutto! Se poi la norma ha come conseguenza quella di stravolgere l’agricoltura sarda e contemporaneamente di “fare volare Matrica” (come titola oggi la sempreverde Nuova Sardegna) questo ovviamente non è un problema dei due legislatori, il capogruppo Pd in commissione ambiente del Senato Massimo Caleo e il suo collega Silvio Lai, segretario regionale del partito. Vuoi mettere gli interessi dell’agricoltura sarda davanti a quelli della chimica e dell’Eni? Direi proprio di no.
Se passa la norma (potrebbe rientrare nel decreto legge sulla competitività), Matrìca “può guardare con più serenità al suo sviluppo”, dice Caleo, “aprendo così un mercato di migliaia di tonnellate contro le centinaia attuali al prodotto della fabbrica di Porto Torres. I dirigenti di Matrìca calcolano che il mercato si amplierà da otto a dieci volte rispetto alla attuale produzione”.
Qui bisognerebbe farsi qualche domanda: per “attuale produzione” si intendono in senso stretto i 420 ettari già oggi coltivati a cardo, oppure i cinquemila previsti dal progetto per la produzione della materia prima in grado di generare la bioplastica, oppure i ventimila previsti a regime (fonte Il Sole 24 Ore) che diventano invece 15 mila (fonte Nuova Sardegna di oggi) “se si scegliesse di far funzionare anche la centrale energetica con olio biocompatibile”?
Di sicuro, a leggere le dichiarazioni di Caleo e Lai, le prospettive per la sedicente chimica verde sono così tante che a sentir loro praticamente mezza Sardegna potrebbe essere coltivata a cardo: e infatti il progetto è questo. Un progetto allucinante.
Eppure per l’agricoltura sarda il futuro dovrebbe (e potrebbe) essere un altro.
Proprio stamattina, fresco fresco della lettura della sempreverde gazzetta sassarese, apro la mail e mi ritrovo un comunicato stampa della Copagri, la confederazione che riunisce i produttori agricoli. Titolo: “La Regione assegni i terreni pubblici come fatto dal Governo per favorire l’ingresso dei giovani in agricoltura”. Cioè:
I giovani non disdegnano il lavoro agricolo, ma per far crescere il settore occorre favorire il loro ingresso sfruttando i tanti incentivi esistenti, non ultimo l’assegnazione dei terreni pubblici disposta dal Governo. Assegnazione dalla quale mancano a sorpresa i terreni sardi.
Incredibile, chi l’avrebbe mai detto? Il comunicato integrale è molto interessante:
Il Governo nazionale, con l’approvazione della recentissima legge 116 dello scorso 11 agosto, ha disposto interessanti agevolazioni per l’acquisto e per l’affitto di fondi rustici, mutui a tasso zero per gli investimenti, garanzia Ismea e abbattimento del costo della commissione di garanzia. Con decreto ministeriale pubblicato a fine luglio, sempre il Governo italiano ha disposto la dismissione, per vendita o affitto, del vasto patrimonio demaniale statale. Stupisce che in questi elenchi non vi sia traccia di terreni ubicati in Sardegna. È necessario che la Regione ne chiarisca le ragioni.
Saranno le stesse ragioni che si leggono oggi a pagina 14 della sempreverde Nuova Sardegna? Sarà che a qualcuno conviene lasciare l’agricoltura sarda nelle penose condizioni nelle quali si trova, alimentando al contempo l’illusione che la sedicente chimica verde possa salvare contemporaneamente operai e contadini e, ovviamente, ingrassare l’Eni?
La Copagri ha ragione, “i terreni agricoli devono essere lasciati all’agricoltura”: e non alla chimica, alle servitù militari, alle speculazioni edilizie, all’eolico e al fotovoltaico selvaggio.
Post scriputm
E ovviamente inutile pretendere dai politici nostrani, paladini della chimica verde, che all’Eni sia chiesto, prima di coltivare cardi a destra e a manca, di bonificare le aree pesantemente inquinate dalle produzioni chimiche…
Buongiorno, da tecnico agrario ho seguito da anni il tema e non mi sono opposto ad un progetto “integrato” col territorio.
Mi riferisco ad una piccola centrale da 4-6 MWh, ben lungi dunque dai 130 MWh previsti da ENI-Matrica. A chi si illude che siano arrivati dei benefattori dei sardi, ricordo che alla audizione pubblica di un anno fa a Sassari, ho posto 8 domande specifiche ai dirigenti di ENI-Matrica, su vari passaggi di questo progetto, ma non ci sono state risposte esaustive e complete. Ciò a conferma della vaghezza e della reale inconsistenza del progetto, chiaramente finalizzato a sfruttare gli incentivi previsti dalla normativa italiana (vedi CIP 6).
E’ chiaro come già sostenuto in interventi precedenti, che senza un SERIO e chiaro Programma energetico regionale, gli speculatori continueranno a presentarci come “fonti miracolose” le mega-centrali a combustione con “balle” di cardo spaziali.
P.S. Qualcuno ha chiesto agli agricoltori coinvolti quanto intascheranno dalla firma dei contratti di coltivazione e le rese ottenute? Per non parlare delle modalità di raccolta su terreni non certamente marginali.
Sempre iu Sardegna Soprattutto, una interessante riflessione di Pietro Ciarlo dal titolo “Il prezzo del cardo”: http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/4181
Provo a dare un contributo ai quesiti posti:
– quale pianificazione e programmazione si attua in Sardegna per il rilancio dell’agricoltura sostenibile?
La pianificazione e la programmazione di questo settore è strettamente collegata con la programmazione energetica: l’agricoltura sostenibile non è tra le priorità di questo governo regionale come del resto dei precedenti. Anzi tutto le potenzilaità di questo settore sono accodate alla produzione di MWh/e, la risposta è semplice gli investimenti in tal senso sono più importanti e corposi rispetto a quelli destinati alle poliche agricole, infatti per questi i profitti sono minori, almeno per le multinazionali che oggi sono quelle che mettono in campo i capitali. Il trend può essere invertito se vi è la volontà politica, ma non ci sembra; inoltre in tal modo la Sardegna avrebbe forti possibilità di successo per la sua autosufficienza e il governo centrale ci tiene a lasciarci in una condizione di suddittanza.
– le misure agro-ambientali finanziate con i fondi strutturali 2014-2020 sono sufficienti a garantire il ritorno dei giovani alla terra o sono l’ennesimo assistenzialismo alle grandi aziende?
Ovviamente non sono sufficienti e messi in tal modo sono l’ennesimo assenstenzilaismo, ma si deve sfondare questa porta..
– perchè il governo centrale esclude la Sardegna dai piani di dismissione e cartolarizzazione delle aree demaniali ai fini agricoli?
La Sardegna è l’eden del governo nazionale, tanto spazio, pochi abitanti, terra per potenziali sperimnetazioni spacciate come progresso, ci sfavorisce persino la stabilità tettonica dell’isola. Inoltre non ho contrallato nei particolari la proposta, ma da un’intervista rilasciata da Lupi in merito, non è una grande misura, servirà a spalancare ulteriormente territori oggi demaniali ad uso energetico, ricordo che i terreni sono vincolati a fini agricoli forse di dieci anni o venti anni, poi ci si può fare altro, si intravede la trappola..
– a quale piano energetico occorre riferirsi per valutare la sostenibilità dei costi ambientali?
al momento non abbiamo un piano energetico al quale riferici, tanto meno l’esistente piano in fase di VAS può definirsi sostenibile e non valuta i costi ambientali.
– quali misure ha adottato la Regione Sardegna per la piena applicazione del testo unico ambientale Dlgs 152/2006 e in particolare in materia di risarcimenti per i danni ambientali arrecati basandosi sulla valutazione economica dei servizi ecosistemici?
Il testo unico non è stato mai applicato in modo pieno e corretto, oltrettutto con le svariate modifche peggiorative apportate dal governo Renzi, nell’assoluto silenzio del governo regionale (i grandi assenti) non possiamo aspettarci niente di buono. Non abbiamo neanche un agenzia regionale ARPA, che possa garantire controlli ambientali in tempo reale. I servizi ecosistemici non sono ancora contemplati nelle valutazioni, nel momento in cui tali costi verranno inseriti molti degli attuali e previsti interventi non sarebbero economicamente sostenibili.
Ovviamente ci sarebbe tanto da dire ma giusto per dare anche delle risposte e/o spunti per altre riflessioni.
🙁 hai ragione, hanno tutto l’interesse a far si che rimaniamo in condizioni di sudditanza, che continuamo a svenderci per 2 posti di lavoro mentre multinazionali continuano a fare porci e sporchi comodi e ci bruciano il futuro. Di questo passo, prima o poi non ci rimarrà più nulla, di questo siamo consapevoli?
Pingback: Come ti affosso l’agricoltura sarda per favorire l’Eni (e la chiamavano “chimica verde”…): gli ultimi sviluppi, di Vito Biolchini | Fondazione Sardinia
Il dibattito sulla chimica verde fa un ulteriore passo in avanti grazie a questo post pubblicato da Sardegna Soprattutto a firma Tore Corveddu e dal titolo “Matrica: a chi fa bene regalare il territorio sardo?”
http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/4167
“La Copagri dice che “i terreni agricoli devono essere lasciati all’agricoltura”: e non alla chimica, alle servitù militari, alle speculazioni edilizie, all’eolico e al fotovoltaico selvaggio.”
Siamo sicuri che la Copagri abbia davvero detto cosi? Perché, insieme a Coldiretti, Cia e Confagricoltura, hanno firmato un accordo con Matrica per promuovere tra i propri associati, la coltivazione del fantomatico cardo e mettere le terre a produrre kilowattore sovvenzionati. Ha ragione Tore Corveddu, i calcoli sono strampalati e solo la Nuova Sardegna come al solito succube e ammirativa, ne parla a bocca aperta. Se ne apprendono sempre di nuove, che in realtà sono vecchie e sono sempre le stesse balle e specialmente sempre gli stessi pochi ettari di cardo tutti signorilmente allevati come nei college inglesi. Vedremo poi in aperta campagna, come si comporteranno..E il dibattito non puo’ essere cardo si o cardo no, con acqua o senza acqua, anche se ormai ci sono rumors sempre più insistenti sul fatto che Matrica abbia comandato all’Università di Agraria di Sassari di ricercare, questa volta, nei campi sperimentali di Ottava, il girasole. Sperano, sia la volta buona, perché sul cardo le stime pubblicate furono di 10 tonnellate per ettaro, i dati sui semini invece, non sono mai pervenuti. Infatti, sempre i rumors, dicono che l’ideatore del cardo sia stato messo all’angolo e che una nuova intelligentissima agronoma sia pronta a stupirci, questa volta con il girasole. Il punto é che con cardo, colza o girasole noi la chimica verde non la vogliamo. La troppa chimica sconvolge il cervello di persone per altro apparentemente normali, che si tratti di sindacalisti, sindaci e amministratori oltre che, e si capisce, quello dei padroni del vapore o meglio delle emissioni, Lai, Caleo e CNR docet. Il contadino, l’agricoltore, l’allevatore, il pastore, ma anche chi in campagna ci fa o vuol farci un agriturismo, una fattoria didattica e a volte tutte queste cose insieme o semplicemente viverci o solo passeggiarci perché fa bene alla salute ma anche all’intelligenza del cuore e della mente, tutta questa gente, cioè la maggior parte di noi, sa che le cose non stanno, e non vuole che stiano, come dice l’ENI. Il coltivatore, l’allevatore conosce e cura le sue piante e i suoi animali per così dire una a una. Ci vuole cuore e intelligenza, esperienza, memoria, coscienza dei limiti nostri e del pianeta in cui viviamo. Ci vuole considerazione e rispetto per le zolle e per le acque e per l’aria e per chi ci vive e ne vive. È un lavoro umile e esaltante che procede riconoscendo le diversità e tentando di farle agire insieme. Per dirla semplicemente, noi non abbiamo bisogno di metterci a fare chimica, noi dobbiamo giusto inventare una nuova relazione tra la città e la campagna. Come solo si può immaginare di metterci tutti al cardo o al girasole? Sarebbe agricoltura questa? Sarebbe campagna questa? Sarebbe vita? Non la auguriamo a Catia Bastioli e neanche a Scarpa e ancora meno a Pigliaru a cui sicuramente farebbe un gran bene, e neppure al più ottuso dei sindacalisti industrialisti ormai attaccati come zecche ai peli del Cane a 6 zampe. Anche loro devono mangiare, e si può capire, ma non esageriamo! E che non esagerino neanche le associazioni di categoria nel loro double bind contro la Saras ad Arborea e mano nella mano con l’Eni a Porto Torres, a tutto c’é un limite.
senza avere sufficienti competenze (sono perito agrario) per confrontarmi con i tanti contributi postati, condivisibili per gli aspetti tecnici, economici ed etici, e non volendolo neppure fare per non alimentare quello che già si intravede negli ultimi commenti, mi rifaccio alla questione stimolata da Vito:
– quale pianificazione e programmazione si attua in Sardegna per il rilancio dell’agricoltura sostenibile?
– le misure agro-ambientali finanziate con i fondi strutturali 2014-2020 sono sufficienti a garantire il ritorno dei giovani alla terra o sono l’ennesimo assistenzialismo alle grandi aziende?
– perchè il governo centrale esclude la Sardegna dai piani di dismissione e cartolarizzazione delle aree demaniali ai fini agricoli?
– a quale piano energetico occorre riferirsi per valutare la sostenibilità dei costi ambientali?
– quali misure ha adottato la Regione Sardegna per la piena applicazione del testo unico ambientale Dlgs 152/2006 e in particolare in materia di risarcimenti per i danni ambientali arrecati basandosi sulla valutazione economica dei servizi ecosistemici?
Mi fermo qui solamente per non rivedere il pranzo.
A proposito di agricoltura, prosegue il dibattito: http://www.sanatzione.eu/2014/08/tagliagambe-chiarisce-larticolo-del-1-agosto-ed-ecco-una-mia-replica/
Ma con le decine di migliaia di ettari abbandonati, spesso in zone fertili, con le altreettante migliaia di ettari destinati ai giochi di guerra, il problema sarebbe quello dei 5-10 mila ettari destinati al cardo per matrica? Si vuole far nascere un caso Matrica e non ci sono argomenti validi, controlliamo piuttosto le emissioni delle varie centrali a carbone o della stessa Sarlux -Saras. Non si vuole il metano, non si vuole l’eolico o il solare, le biomasse idem, cari sardi decidetevi!
Bene Robespierre la sua cultura illuministica non può esimerla da una attenta analisi su basi scientifiche. Incominciamo dalle emissioni.
Nonostante la combustione di “biomasse” vegetali evochi emissioni “pulite”, il principale problema ambientale creato dalle centrali alimentate a biomasse è l’emissione di particolato sottile e ultrasottile, con dimensioni inferiori a 1 micron (PM < 1). Addirittura alcuni recenti studi dimostrano che si verifica una minore emissione di polveri fini da impianti a olio combustibile, rispetto a quelle prodotte da caldaie a biomassa. I fattori d’emissione al momento disponibili concordano, pertanto, con il fatto che, a parità d’energia prodotta, sia con impianti domestici che industriali, combustibili fossili quali l’olio combustibile, ma ancor più il metano e il gas naturale, hanno un impatto sull’ambiente nettamente inferiore a quello prodotto dalla combustione di biomasse, anche quando si adottano le migliori tecnologie oggi disponibili per la combustione e il trattamento fumi; ciò nonostante non si misurano le frazioni più nocive, ma solo il PM10; per quanto riguarda le emissioni di diossine e di furani solo nella caldaia a biomassa, nelle previsioni vengono dichiarate ai limiti di legge, anche se l’incertezza sulle quantità e qualità delle biomasse di combustione e quindi sulle conseguenti emissioni, rende questi dati poco attendibili. Nei controlli ai camini non vengono menzionati quelli del particolato PM2,5, il PM<1, né il particolato UF e le nano particelle, né tanto meno le sostanze tossiche e cancerogene quali benzene, formaldeide, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) presenti nelle emissioni da combustioni da biomassa.
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In realtà il problema è molto più complesso e Matrica ne fa parte, insieme ai temi e critcità citati nel post. In effetti l’analisi riportata pone le questioni in modo irrazionale e superficiale, mentre vi è la possibilità di sciogliere le criticità in funzione di una prospettiva di sostenibilità per la Sardegna e per i sardi, e non solo. Dall’elencazione riportata notiamo subito che la regione non ha uno strumento di programmazione in campo energetico e ambientale che sia commisurato alle pretese delle varie multinazionali, che ad ampio raggio propongono progetti poco sostenibili, che sfruttano sia le fonti energetiche rinnovabili (in apparenza) che quelle fossili senza alcuna distinzione o criterio che sia accettabile. I cittadini sono favorevoli alle fonti rinnovabili che siano indirizzate all’autoconsumo, che siano posizionate in siti idonei e non in quelli più convenienti alle società proponenti semplicemente perchè hanno un minor valore economico (ma hanno un alto valore ecosistemico!), quindi ben vengano il solare (fotovoltaico nelle coperture e in tutte le superfici oggi impermiabilizzate, lo stesso dicasi per il mini-csp per l’autoconsumo delle PMI), e l’eolico (micro-eolico negli edifici e il mini-eolico per l’autoconsumo anche delle PMI), l’utilizzo della geotermia di superficie per la climatizzazione degli edifici o condomini, l’uso delle fonti idroelettriche con gli invasi attualmente esistenti. Oggi si sta giocando un’altra partita su questo territorio che si traduce in ricerche per idrocarburi e per geotermia profonda (entrambe con con molti rischi annessi, non risolti neanche dai proponenti), sottrazioni di suoli fertili per solare termodinamico a concentrazione (impianti ibridi che devono utlizzare anche combustibili fossili), per campi fotovoltaici, campi eolici sproporzionati con torri alte fino a 180 m e per concludere il pullulare di impainti di biogas e biomasse, che necessariamente hanno bisogno di altra materia prima oltre ai soli scarti vegetali che gli dovrebbero essere destinati, insomma ci troviamo in uno stato di disordine programmatico e pianificatorio che non lascia intravedere niente di buono. Il vantaggio delle soluzioni proposte dalle iniziative speculative è che sono semplici da accogliere per non porsi troppi problemi, mentre i concetti di sostenibilità richiedono un necessario sforzo conoscitivo, e di organizzazione di pensieri e idee per confrontarsi con realtà complesse.
I sardi sono decisi e hanno idee chiare, sono meno chiare quelle di coloro che ieri e oggi continuano a decidere senza una visione a lungo termine.
Brava!Hai detto benissimo, manca un piano energetico regionale basato sul reale fabbisogno dell’isola che deve essere il punto di riferimento per le scelte energetiche future
Scusate l’ingresso a gamba tesa… L’assenza di una politica energetica regionale mi spaventa quanto la sua presenza se le scelte saranno fatte da politici incompetenti o schiavi delle logiche dello sviluppo “industriale” come quelli che conosciamo e che abbiamo. L’unica politica che potrebbe salvare il territorio dovrebbe andare in senso diametralmente opposto alle concessioni per grandi impianti. Vietandoli espressamente oltre un certo numero di kw e in certe zone. In modo da rendere impossibile qualsiasi speculazione. Premetto anche che non mi convincono per nulla i fautori della chimica verde e di tutte le cosiddette energie alternative prodotte in mega impianti ad alto impatto che sono ben diversi dalle micro-produzioni giustamente citate da Laura. Mi pare che sia chiaro che TUTTE le forme di produzione massiva hanno rischi e controindicazioni altrettanto pesanti rispetto a quelle tradizionali. Quello che voglio però chiedere, a tutti voi, e’ anche che senso avrebbe produrre (in modo alternativo o tradizionale) molta più energia di quella che quest’isola consuma o sarà in grado di consumare se poi, sul costo della stessa energia, a causa del monopolio di fatto e anche a causa dei vincoli europei sugli aiuti di stato. Quindi non ci sarebbe nessun beneficio per gli usi quotidiani di tutti, anche perché non ci sono nemmeno le infrastrutture di trasporto (SaCoI ecc.) necessarie per vendere gli esuberi. Tutto il turbinio di concessioni Matrica in testa diventa solo uno specchietto per allodole per produrre non energia ma certificati verdi pagati con denaro pubblico e incentivi sotto varie forme che i privati si rivenderanno poi sul mercato.
L’unica soluzione è fermarli prima che sia troppo tardi. Per incentivare in qualsiasi modo la micro produzione casalinga ai fini del consumo civile. In questo modo gran parte della produzione tradizionale esistente, esempio quella idroelettrica (che se i politici regionali non fossero succubi di scelte politiche romane in futuro potrebbe anche diventare di proprietà della regione) sarebbe destinabile alle poche industrie che realmente investirebbero e produrrebbero. Nessuna nuova centrale, nessuna nuova concessione del suolo o del sottosuolo, nessuna compravendita di certificati verdi sulla pelle dei sardi. Una sardegna energy production free.
Come si possono fermare se l’attuale Giunta è a favore di questi progetti?
Bella domanda, se i politici non hanno le palle, o la forza delle istituzioni si schiera sempre e solo con il Capitale, restano ben poche strade…
Qualcuno, che non sono io che odio la violenza, ti potrebbe consigliare meglio. Il mondo e’ pieno di esempi dove l’arroganza del potere delle multinazionali e’ superiore a tutto e si può anche pensare sia lecito, se non si possono fermare con la legge, agire per rendere diseconomico un investimento o una speculazione. Si può ritardare e dissuadere. Purtroppo sono forme di lotta che prevedono l’uso della forza, come in Corsica. O come si faceva anche da noi vent’anni fa…
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/03/16/sardegna-in-lotta-torna-la-dinamite.html
Dubito pero’ che ai sardi di oggi, la cui partecipazione alle cose si risolve in un like su Facebook, interessino.
a quello ci ho pensato anche io…odio la distruzione e la violenza,ma sono anche stanca di questi continui soprusi
“Se si coltivasse ogni anno tutta la superficie coltivabile, sulla stessa azienda, potrebbero coesistere l’allevamento, con produttività aumentata, e qualche pezzo di Matrica in più, sia con cardi, sia con altre possibili colture alternative”
Ipotizziamo che si voglia fare allevamento e colture alternative nel rispetto dell’ambiente, ad esempio colture biologiche certificabili, non credo che l’opzione proposta da Matrica sia perseguibile perché per ottenere una produttività spinta si deve far uso di fertilizzanti e di acqua anche per i cardi. Ancora perché mai la coltura alternativa dovrebbe essere un prodotto energivoro invece che a destinazione alimentare. Ricordiamo che la Sardegna importa più dell’80% dei prodotti alimentari per il suo fabbisogno, questo trend va invertito non alimentato. Risulta anche eticamente scorretto bruciare risorse poco rinnovabili, quali l’acqua, e impoverire i suoli per alimentare una centrale che andrà produrre dei beni superflui non necessari. Ancora come scritto da Davide, il calcolo va fatto solo sui suoli coltivabili, non sull’estensione dell’isola. Ma aggiungiamo che mentre si discute di Matrica in Sardegna al contempo si vogliono sottrarre altri 900 ha di suoli fertili e produttivi con le proposte in corso delle centrali termodinamiche solari a concentrazione, per fare un esempio. Quindi l’analisi non può essere fatta pensando che in Sardegna voglia speculare solo Matrica, sono in tanti a voler sottrarre la risorsa più preziosa che molti non hanno più, lo spazio e i vasti territori ancora programmabili secondo le più idonee vocazioni.
Grazie Laura, mi sembra che tu abbia dato ottimi spunti di riflessione.
Laura, premettendo che sono uno specialista del settore agro-zootecnico, estremamente sensibile alle affermazioni che hai fatto, ed in questa direzione sto cercando di dare l mio contributo, voglio essere estremamente realista. Intanto, rispondendo a te ed a Vito, preciso che il cardo consigliato da Matrica, Cynara Cardunculus, var. Altilis, ha ciclo autunno-vernino, come l’orzo, il grano, l’avena, le fave, il pisello, che, tutti dovrebbero sapere, non sono colture irrigue. E’ chiaro che , se in periodi siccitosi, avendone la possibilità, si intervenisse con un’irrigazione di soccorso, qualsiasi pianta non rifiuterebbe e se ne avvantaggiarebbe! Se, al momento, ci sono terreni incolti, per qualsiasi motivo, chi ha convenienza, può aderire ad un piano. Qualora si riuscisse ad aumentare, anche con un’azione politica incisiva ed incentivante, le nostre produzioni alimentari destinate al consumo umano, vegetali od animali, niente vieterebbe di rivedere i piani colturali.
Io continuo a parlare di impianti di produzione di gas partendo dalla fermentazione, non dalla combustione(fissazione di Migaleddu) di biomasse. Questo processo, e se qualcuno vuole vederne l’applicazione pratica, mi contatti, non è assolutamente energivoro.
Devo aggiugere altro?
@Edmondo: sono geologa e mi occupo di suoli e acque e altro. Il punto da te posto sul cardo proposto da Matrica non modifica le considerazioni, infatti affinché queste colture intensive siano produttive in termini quantitativi ci sarà bisogno di acqua: un conto è dire che il cardo sopravvive con poca acqua, altro è voler ottenere da questa coltura sia la quantità di materia necessaria ad alimentare il fabbisogno energetico, sia quella per la produzione di plastiche: entrambe contengono catene lunghe di idrogeno, in breve, per produrre quantitativi di energia e plastica servono superiori quantitativi d’acqua; perciò quando affermi che il cardo non è coltura irrigua, concordo, ma sottolineo che lo diventa quando le produzioni non sono lasciate ai ritmi naturali, come sarà nel caso in oggetto. In genere le nostre estati, tranne qualche eccezione, sono siccitose, e spesso anche il resto dell’anno. Introduco la possibile obiezione che anche le colture per il settore agro-alimentare necessitano di acqua: la differenza si sostanzia nel fine che si persegue, in considerazione del fatto che la Sardegna versa in uno stato di dipendenza alimentare, quindi le valutazioni su come impiegare i suoli e le colture sono fondamentali. Riguardo alla questione che i piani colturali possono essere modificati in base alle esigenze in riferimento all’uso di suoli e terreni per biomasse, tale elasticità non è possibile se si presuppone una programmazione e la fattibilità economico-sociale dei progetti che si propongono. Consideriamo il funzionamento a regime di Matrica (che non soddisferà il suo fabbisogno energetico con l’utilizzo di quegli ettari di terreni, poiché ci sono variabili non contemplate), e poniamo che si decida per qualsivoglia ragione che gli stessi debbano essere restituiti alla produzione di beni alimentari, caso da non escludere, che si fa, si spegne Matrica? Non credo, si brucerà altro (cosa del resto prevedibile anche al di fuori dell’ipotesi prospettata) che verrà anche importato con ricadute ambientali e socio-economiche sempre più pesanti. Di fatto queste programmazioni e pianificazioni vanno fatte a monte e dovrebbero essere rispettate se realmente fattibili. Inoltre in Sardegna non è solo Matrica a voler biomasse ad uso energivoro, quindi il quadro si complica sempre più.
Non discuto l’importanza degli impianti a fermentazione, ma di fatto non sono quelli che si stanno proponendo, mentre la gran parte è finalizzata alla combustione. Dobbiamo comunque riflettere seriamente sulla riconversione economico-sociale in atto o che si vorrebbe attuare a spese dell’ambiente e della salute. In questo quadro non possiamo analizzare i vari interventi al momento proposti se non in una visione d’insieme per rilevare che la Sardegna la si vuole trasformare in un’isola vocata alla produzione energetica, piattaforma ideale per varie sperimentazioni che vengono presentate come volano di ripresa ma che in realtà nascondono molteplici insidie.
NON PERMETTIAMO UN SECONDO GRANDE INGANNO!!
P.S.
C’è troppa gente, chi ignorante in materia, chi in malefede, che continua ad affermare che non esiste la chimica verde, che tutti i processi, vedi Matrica, debbano finire con gli inceneritori, che nelle centrali a biogas, anche in quelle “a fermentazone della biomassa organica”, come dovrebbe essere Matrica, si utilizza più gasolio di quanto se ne userebbe in una centrale tradizionale a combustibile tradizionale, affermazione semplicemnte demenziale. Mi impegno a pubblicare, nel giro di qualche settimana, un bilancio energetico di un impianto di biogas con produzione di energia per fermentazione dela massa organica immessa nel digestore.
Fatto questo, cominceremo a discutere.
Gent.mo continua a parlare di un progetto che a questo punto credo non abbia neanche letto.Per la centrale Enipower di Matrica si parla di biomassa solida; . inoltre continua a trascurare qualche passaggio: 1) il quantitativo di biomassa necessaria per alimentare la potenza da installare dichiarata ; 2) la combustione di biomassa ( ma anche di biogas) non produce emissioni” verdi”; 3) la presenza di caldaie ausiliari e di una centrale alimentati da combustibili fossili; 4) la bonifica di un SIN è prioritaria a tutto.
Vito,
Si puó essere favorevoli o contrari a iniziative sul territorio che, se realizzate nella loro massima potenzialitá, potrebbero influenzare le caratteristiche stesse del nostro territorio e societá.
Peró per analizzare piú razionalmente il caso specifico forse sarebbe utile considerare che il teritorio sardo é di circa 2,4 milioni di ettari.
Quindi, se si volesse fare una stima per eccesso, considerando il riferimento piú alto di 20mila ettari a regime (Sole 24ore) e moltiplicando per dieci, si ottengono valori ben lontani da quelli menzionati nell’articolo.
In attesa che tu ci possa fornire un piú preciso riferimento, si potrebbe considerare come valore limite, al picco di produzione ed al compimento delle massime aspettative, che il territorio coinvolto potrebbe forse raggiungere il 4%.
Quindi, pur parlando sempre di un impatto molto importante, e sempre considerato che il piano ENI é sicuramente orientato a creare benefici per gli azionisti, mi chiedo come il progetto non possa anche essere in qualche modo utile per l’isola, per lo meno con riguardo alla generazione del cosiddetto local content.
Naturalmente se poi gli amministratori pubblici sapessero negoziare come veri dirigenti d’azienda, si dovrebbe ottenere dal privato (ENI é ormai da considerare una azienda privata) l’assunzione delle proprie responsabilitá trovando una soluzione consona al problema delle aree da bonificare.
Infine, se si continua ad abbandonare la campagna, questa si riempirá di cardi comunque.
In attesa dei dati, faccio presente che il punto è un altro: si sta lasciando in abbandono l’agricoltura sarda per fare credere che il suo rilancio passi per la chimica verde. Questo è inaccettabile. E’ questo l’inganno.
Nello specifico, la campagna di cardi non si riempirà comunque perché quelli di cui ha bisogno Matrìca non crescono spontaneamente ma hanno bisogno di una quantità enorme di acqua per essere coltivati.
Chi ha detto che i cardi abbiano bisogno di una quantità enorme di acqua?
I cardi che servono a Matrìca non sono cardi normali, quelli che crescono spontaneamente!
E che cardi saranno mai, per avere necessità di un regime idrico completamente difforme da quelli spontanei?
Non è corretto, però, creare una proporzione tra gli ettari che eventualmente verranno occupati dal progetto Chimica (il verde, per cortesia, lasciamolo da parte: si tratta di locuzioni verbali per giornalini da ragazzi) e la superficie totale della Sardegna. Sarebbe invece corretto verificare quale sia la superficie coltivabile in Sardegna. Su 2,4 milioni di ettari, oltre la metà è coperta da superficie forestale (boschi e aree boscate). Poi ci sono gli ettari (quanti?) occupati da opere di urbanizzazione, infrastrutture, zone vincolate, montagne, e quant’altro. Dunque, l’incidenza di Matrica sulla superficie coltivabile nell’isola è molto rilevante. A mio parere, progetti di tale impatto non hanno alcuna giustificazione, nelle more di un moderno e adeguato Piano Energetico Regionale, di cui non si parla mai. Mi pare ovvio si tratti di manovre di pura speculazione, e bene ha scritto Vito nel suo articolo.
La Sat (Superficie agricola totale), secondo l’ultimo censimento Istat in agricoltura, è inferiore ad 1,5 milioni di ettari. http://www.lanuovaatlantide.info/2012/01/censimento-generale-dellagricoltura.html
Caro Vito, da sempre, sono un fanatico del concetto di “competenza”. Nessun personaggio pubblico o interlocutore con il pubblco, come i giornalisti della carta stampata o della TV, si dovrebbe peremettere di discutere di argomenti di cui non abbia una perfetta conoscenza. Per il momento, mi limito a considerare che, di norma, in una normale azienda zootecnica ovina, è ben difficile che venga coltivato più del 20-25% del terreno coltivabile totale. Se si coltivasse ogni anno tutta la superficie coltivabile, sulla stessa azienda, potrebbero coesistere l’allevamento, con produttività aumentata, e qualche pezzo di Matrica in più, sia con cardi, sia con altre possibili colture alternative.
C’è qualcuno in grado di contestare le mie affermazioni?