In una scena illuminata da una luce vagamente caravaggesca, l’assessore Claudia Firino interviene a Neoneli. A seguire dalla sinistra Nicolò Migheli, l’umile tenutario con sguardo ispirato e Diego Corraine. Foto Lucida.
E meno male che doveva essere solo un intervento di saluto! Sabato scorso a Neoneli, in occasione dell’incontro organizzato dal Csu (Coordinamento pro su Sardu Uftziale), l’assessore regionale alla Pubblica istruzione Claudia Firino, piacevolmente comparsa a sorpresa tra le dolci colline del Barigadu, ha rivelato finalmente la linea della giunta Pigliaru sulla lingua sarda! Primo: proroga di un anno del piano triennale appena scaduto. Secondo: nuova indagine sociolinguistica. Terzo: tentativo politico di far inserire la lingua sarda nel nuovo statuto. Vi sembra poco?
Assolutamente no, ma la strategia complessiva mi pare chiara: la giunta prende tempo. Il che non è necessariamente negativo se sulla lingua sarda ci fosse comunque da parte di questo esecutivo e della maggioranza di centrosinistra e sovranista che lo sostiene un’idea di fondo chiara e condivisa. Che però non c’è. Quindi meglio prorogare il piano triennale appena scaduto e commissionare una nuova ricerca sociolinguistica (altri soldi alle università sarde…), in attesa della quale evidentemente sospendere ogni decisione cruciale.
Infatti la domanda è sorta spontanea: ma lo standard che fine fa? Punto di forza di una linea di politica linguistica che ormai da lungo tempo la Regione sta portando avanti e che resiste al cambiamento delle giunte e delle maggioranze, verrà confermato e il suo uso rilanciato oppure no? Direttamente sollecitata su questo, l’assessore non ha preferito rispondere, rimandando il confronto a settembre, quando verrà verrà istituito un tavolo con tutti i soggetti in campo: “Nessuno sarà escluso”, ha detto la Firino.
La risposta non è piaciuta al Csu che in un comunicato ha infatti dichiarato:
“A pregonta particulare subra sa chistione LSC no at respostu pedende galu tempus. Su CSU giùigat positivas sas initziativas si non sunt ispiradas dae sa punna de balangiare tempus pro non fàghere nudda. CSU in fines giuigat insufitziente sa positzione de s’assessora in contu de limba standard”.
Ma nei suoi venti minuti di intervento l’assessore ha fatto capire anche altro. Primo: gli sportelli linguistici non saranno aboliti ma avranno nuove competenze, per diventare soprattutto i terminali territoriali della politica linguistica, in particolar modo nei rapporti con le scuole. Agli operatori degli sportelli verrà dedicato un incontro specifico a settembre. Secondo: c’è una sproporzione tra gli investimenti riguardanti la lingua sarda a favore del settore della comunicazione e a discapito della scuola. Terzo: detto questo, l’obiettivo è quello di creare due canali interamente in lingua sarda, uno televisivo e uno radiofonico.
In linea di massima si tratta di idee interessanti, anche se non riesco a capire come possa coesistere la volontà di ridimensionare l’intervento nei media (nell’ultimo anno evidentemente sproporzionato per la decisione di Cappellacci di aiutare soprattutto Videolina) con l’idea di realizzare due canali tematici, i cui costi forse sfuggono ai nostri amministratori.
Anche dal punto di vista politico, l’interessante (e sacrosanta) dichiarazione riguardante l’inserimento della tutela della lingua sarda nello statuto sembra però tesa a prendere tempo. La Regione ha già in mano tutti gli strumenti per definire e perseguire una propria politica linguistica e non si può certo aspettare il nuovo statuto (che non è certo il primo dei pensieri di questa giunta e della maggioranza che la sostiene, come ho più volte scritto recentemente) per fare ulteriori passi in avanti.
Insomma, lo stallo politico è in atto e l’assessore Firino non ha certo tutte le responsabilità di questa situazione. Al di là delle parola di circostanza, il presidente Pigliaru non ha una particolare passione per il tema della lingua, anzi non lo ritiene strategico e soprattutto non crede che ci sia una correlazione tra l’alta dispersione scolastica che da lungo tempo caratterizza la nostra isola e il mancato insegnamento del sardo a scuola (tema caro a Roberto Bolognesi).
Il Pd sulla lingua ha posizioni differenti ma non mi sembra che ci punti in maniera decisa; tra i sovranisti, se Irs e il Partito dei Sardi si limitano a dichiarazioni di principio (come la stragrande maggioranza delle sigle indipendentiste e sovraniste, peraltro), i Rossomori ritengono che la politica linguistica perseguita finora (soprattutto negli ultimi anni) sia stata non solo sbagliata ma addirittura inesistente. Davanti ad un quadro simile, come non capire il motivo per cui l’assessore Firino provi a prendere tempo?
Certo, poi c’è l’esasperata conflittualità che fa il gioco della cattiva politica. In cuor mio continuo a ritenere che, pur tra le legittime e sostanziali differenze, le posizioni di Giuseppe Corongiu, Diego Corraine, Roberto Bolognesi, Paolo Zedda, Amos Cardia, Alexandra Porcu, Alessandro Mongili, Oreste Pili e di tutti gli altri militanti della lingua, rientrino tutte in uno stesso identico schieramento che io vedo opposto a quello di chi, più o meno apertamente, non crede invece nella lingua sarda.
È in un momento come questo, in cui l’amministrazione regionale cerca disperatamente di prendere tempo, che bisogna abbassare i toni trovare dei punti di sintesi che mettano la politica in un angolo.
Se Pigliaru ha deciso di prendere tempo, il movimento linguistico deve utilizzare questo tempo per raggiungere il massimo della coesione possibile su pochi punti condivisi e qualificanti (magari da presentare già al tavolo con la Regione il mese prossimo), in maniera da impedire che le divisioni (che pure esistono) siano utilizzate strumentalmente. Altrimenti il rischio è che alla fine i successi raggiunti in questi anni saranno spazzati via.
Sarebbe opportuno che il movimento linguistico facesse un salto di qualità, immaginando di porsi anche come soggetto politico in grado di dialogare con sigle e partiti che oggi sul tema della lingua non hanno da spendere nessuna elaborazione (se non in negativo). Ma per essere soggetto politico bisogno avere il coraggio di parlare con tutti e, se necessario, fare un passo indietro per farne fare tre in avanti a tutti gli altri.
In una situazione come questa, in cui lo stallo evidente assume le forme di un apparente dinamismo, servono coraggio e fantasia. Diego Corraine nel suo intervento ha ipotizzato la nascita di un nuovo movimento politico trasversale capace di mettere al centro la lingua sarda. E’ una buona idea, anche se il lavoro da fare è tanto. Bisogna innanzitutto “ricucire il mondo” (per usare il titolo della mostra dedicata a Maria Lai), soprattutto all’interno del movimento linguistico. E se c’è da lavorare in questo senso, io ci sono.
http://www.treccani.it/scuola/tesine/lingue_straniere/arcangeli.html
“L’italiano è la lingua della memoria, il còrso è la lingua del cuore, il francese la lingua del pane”; lo ha ricordato Marco Ferrari nel cappello a una intervista fatta diversi anni fa per «L’Unità» (5 luglio 1999) a Jacques Thiers, noto scrittore e saggista. è come dire che ogni lingua, proprio come ciascuno dei suoi parlanti, ha una sua identità, una sua personalità, una sua anima; insegnare o apprendere una lingua non è insegnare o apprendere semplicemente il modo di parlarla e di scriverla ma tentare invece di trasmettere o assimilare proprio quell’identità, quella personalità, quell’anima. Caso peraltro emblematico ed esemplare, la Corsica, dell’ideale connubio tra diverse realtà linguistiche che ha portato alla elaborazione della nozione di polinomia. “Una lingua polinomica”, ha osservato Thiers nel corso dell’intervista ricordata, “è quella in cui l’unità non procede dal consolidamento di una norma unica, ma dalla volontà dei parlanti di proclamarla unica tollerando le variazioni d[e]lla diversità dialettale e sociale”. Affermare l’unicità e l’irripetibilità di una lingua, se abbracciamo questa causa, non significa perciò discriminare le sue varietà interne, che possono discostarsi in misura più o meno rilevante dallo standard rappresentato dall’arbitraria selezione, storicamente determinatasi, di un certo numero di suoi tratti. L’anima si rivela composta di tante anime, tutte egualmente bisognose di riconoscimento, e l’insegnamento della varietà, subentrato alle vecchie prestazioni didattiche che impartivano una monoscopica sequenza di rigidissime regole, diventa occasione di apprendimento di una elementare grammatica della cooperazione: se chi insegna una lingua restituisce dignità alle sue tante anime interne, dando voce a ciascuna di esse, chi apprende ricambia con una maggiore disponibilità al dialogo; a confortarlo la ben riposta speranza che il trattamento riservato alle varietà interne alla lingua che sta imparando non sarà diverso da quello riservato a lui, che si convertirà facilmente nel rispetto per la sua identità di parlante. Quasi una prova preliminare d’integrazione, se caliamo tutto ciò nel plurilingue contesto europeo, per rendere meno problematico (o traumatico) il contatto tra culture e mentalità diverse.
Non esiste e non potrà esistere lo standard, sarebbe un omicidio dei vari rami della lingua a favore di cosa? Prediligiamo il campidanese a scapito del logudorese? E perché??? Tenerle tutte sembra brutto???
Caro Vito il sole nero del caravaggio è un filo di luce su sfondo scurissimo, quasi nero, e i personaggi dei suoi quadri erano umili personaggi del popolo illuminati da quella leggerissima lama di luce. Un genio della pittura.
Ciao Crabarrubia. Mi permetto di regalarti qualche minuto della mia dote più grande: essere prolisso. Prima di tutto una precisazione senza alcun intento polemico. La lingua campidanese e quella logudorese non esistono. La divisione è arbitraria e linguisticamente inesatta. La si trova ancora in molti testi perché storicamente sedimentata. Lo dimostra il fatto che alcune parlate inserite nel logudorese sono per molti esperti più vicine a quello che dovrebbe essere il campidanese e viceversa; che esiste la variante de mesania che unisce in modo equilibrato forme meridionali e settentrionali; che entrambe avrebbero bisogno di un proprio standard, discriminante per le proprie varianti interne. Una seria e rigorosa catalogazione del sardo non può essere volgarizzata in questa divisione, anche se purtroppo è entrata nel cultura popolare. Detto questo, vorrei invitarti a ragionare con me: avevo la tua opinione ma mi sono appassionato al tema, l’ho cambiata e più mi informo e più sono convinto della necessità di uno standard. Chiunque difenda la lingua sarda ha imparato e conosciuto una delle sue varietà e se ama il sardo, ne ama prima di tutto la varietà che conosce. Uno standard non uccide necessariamente le peculiarità di una lingua ma la può ordinare, rendendola utilizzabile in contesti formali. Questo dovrebbe essere il ruolo di una lingua standard. Il fatto che con l’italiano si sia imbastita una discriminazione dei dialetti, descritti come lingue buffe e volgari, non è colpa dello standard ma dell’ottusità di chi lo ha utilizzato. Chi propone uno standard per la lingua sarda non fa nulla di diverso rispetto a quanto fatto in tutto il mondo occidentale: dare una scrittura codificata e regole di grammatica. Chi lavora per lo standard contempla una totale libertà nella pronuncia della scrittura nel rispetto amplissimo delle varietà di parlata esistenti. La LSC con libertà di pronuncia, ad esempio, ha una struttura che rispetta e contempla la stragrande maggioranza di varietà, integrandole nello standard e rendendo questo leggibile e comprensibile ad ogni sardofono. Cosa encomiabile visto che le più importanti lingue europee nascono dall’imposizione del dialetto di corte. Questo non esclude nel modo più assoluto, ma al contrario richiede, che ciascuno parli con il ‘suo’ sardo. Standard significa avere una lingua con una sua scrittura codificata che si basa su regole proprie: ogni lingua ha le sue regole di scrittura e il sardo non si può scrivere -come di fatto pretendono alcuni- con le regole dell’italiano. Il sardo ha una sua lunghissima storia letteraria e le norme di scrittura non possono nascere dal nulla ma – come per ogni lingua- devono essere legate a storia e letteratura presente. Tu dici ‘Tenerle tutte (le varianti ndr) sembra brutto?’. Io ti rispondo che nessuno discute cosa tenere e cosa buttare. Nessuno ha mai proposto di sostituire alle parlate locali lo standard. Qui non si deve buttare via nulla! Si discute una cosa diversa e nuova che si inserisce in uno spazio completamente vuoto. Si chiede l’utilizzo di uno strumento (lingua standard) per sviluppare comunicazioni istituzionali, per i media e per le scuole. Le parlate locali non posso evidentemente avere questo ruolo. Primo perche sono quasi tutte lingue orali e per loro natura hanno variazioni di pronunia anche interne allo stesso gruppo sociale, perche non tutte hanno una storia letteraria propria e sarebbe folle basarsi su criteri di scrittura fonetica. Secondo perché non possiamo stampare un libro di grammatica per ogni comune della Sardegna e neanche avere 377 canali TV e radiofonici o formare un insegnate per ogni paese. Senza regole, il sardo non può neanche essere insegnato a chi non lo conosce, senza rifrimenti grammaticali rimane un dialetto tramandato oralmente, destinato all’estinzione come tutte le lingue non standardizzate (lo dimostrano tutti i casi simili nel mondo). Ciò che si sta buttando oggi è il sardo nella sua totalità e -cosa ancora più importante- il bilinguismo. Il fatto è che oggi stiamo fallendo. II miei nonni -casteddai- parlavano senza alcun problema sia il sardo che l’italiano. Erano i tempi de ‘il sardo disturba l’apprendimento dell’italiano’ e mia madre è crescita parlando loro solo l’italiano: una involuzione! Anche se le idee discriminatorie degli anni ’50 non ci sono quasi più, il sardo si parla sempre meno. Il problema è come salvare il sardo; e dato che il sardo ‘ è ‘ le sue varianti: come salviamo la varietà del sardo? Si tratta di una scelta politica obbligata se si intende difendere il bilinguismo, se si ritiene di dover inserire la lingua nelle scuole e in ogni ambito pubblico, anche formale. Lo standard è una necessità. Una lingua di popolo, nel mondo di oggi ha necessità -soprattutto dopo decenni di disciminazione ed inversione linguistica- di essere veicolata in ogni ambito, di condividere idee: non può essere ne rievocativa e nenache folkloristica. Una lingua sarda ufficiale, come chiedono i suoi promotori, serve a dare ai sardofoni uno strumento da utilizzare in ogni cotesto pubblico in modo proprio. La tutela della sua varietà, Il rispetto della dignità di ogni differenza è parte del percorso collettivo che deve essere progettato e portato avanti nella scuola e nei media. Lingue normali che si usano ogni giorno, con le loro peculiarità locali che non devono scomparire -come invece accade oggi- ma essere aiutate e rafforzate dall’uso ufficiale dello standard, che restituisce dignità al sardo nel suo complesso, per farsi vive e degne di essere usate ad ogni età, con chiunque, in ogni luogo e ogni giorno. Esattamente quanto accade in ogni minoranza linguistica in Europa, dalla catalogna alle Fiandre o ai Paesi Baschi. Quello che si intende perseguire è un sentiero gia battuto, l’unico di successo. ps. complimenti per il nome
Ciao. Peccato che tu non hai capito che le parole ‘logudorese’ e ‘campidanese’ sono solo sinonimi (popolari) per ‘sardo settentrionale’ e ‘sardo meridionale’ delle quali ammetti che esistono. La ‘mesania’ è il punto di contatto tra queste due. Se lo vuoi chiamare ‘sardo centrale’, no problem. La LSC è troppo settentrionale. Semplice.
http://alexandrarrexinisarrexonus.wordpress.com/2014/08/27/la-mia-posizione-i-miei-dieci-comandamenti/
Parlo in sardo da adolescente, anzi cerco di parlarlo con chi mi parla in sardo, altrimenti parlo in italiano.
E’ un esercizio che mi piace fare, un po’ per sfoggiare questa cultura (la mia) un po’ perché spontaneamente le parole si articolano nella mia mente in sardo.
Nella mia famiglia di origine (media borghesia con 9 figli) non si parlava comunemente in sardo, fatta eccezione per alcune citazioni (massime, proverbi, detti) che mia madre utilizzava per sottolineare momenti importanti della vita familiare o della vita di ciascun componente.
Tuttavia, in questa epoca in cui le appartenenze etniche, i nazionalismi e gli integralismi stanno stravolgendo in maniera violenta comunità un tempo anche pacifiche, questo attaccamento viscerale alla conservazione di una lingua mi fa pensare: non mi sembra una maniera sana di coltivare le nostre vere radici.
Sembra che in Sardegna si stia creando una voluta contrapposizione tra chi propugna un certo tipo di appartenenza ed il resto del mondo a cui non riconoscerla.
Sembra ci sia la volontà da parte di chi (a suo giudizio) è stato poco considerato, di voler governare la gestione della lingua come predominio non per unire ma per dividere.
Quanto più l’Europa cerca di formare una coscienza ed una identità europea, tanto più alcune piccole comunità locali tentano di evidenziare le proprie specificità non per unirsi ma per distaccarsi.
Ma siamo davvero convinti che sia un approccio giusto?
Lo dico da punto di vista didattico, culturale e pedagogico.
Io credo che con riferimento a questi aspetti l’approccio dovrebbe essere avviato in maniera ammiccante, piacevole, direi gioiosa.
Sembra invece che la rivendicazione di una mancata affermazione della lingua sarda abbia assunto i connotati del ricatto, della rabbia, della esasperazione, della messa in ridicolo di chi non la pensa come “questi vati” sostenitori della lingua (madre?).
Da convinto Europeista mi permetta di parafrasare la sua frase: Quanto più l’Europa cerca di formare una coscienza ed una identità europea, tanto più deve valorizzare le piccole comunità locali tentando di evidenziare le proprie specificità non per distaccarsi ma per unirsi.
Questa frase e’ secondo me molto piu azzeccata. Si immagini solo una Sardegna che va in Europa con la sua specificita’ senza dover chiedere il permesso a un’altra nazione (ndr l’Italia). Tutto sarebbe molto piu lineare e conveniente per i Sardi, come popolo e come Stato.
E per non andare fuori tema…una nazione assume connotati di Stato quando si esprime con una sua propria lingua ufficiale. Quindi ben venga la LSC nei documenti ufficali purche’ si rispetti e si valorizzi ogni dialetto di ogni paese della Sardegna.
Pingback: La cavalcata delle walkirie | Bolognesu: in sardu
Alexandra, Pepe, Roberto, Alessandro, Oreste e tanti altri….conosco bene le vostre posizioni e le argomentazioni che vi dividono, avendo dato loro spazio in questi miei sette anni di gestione di Formaparis.
Se siete intenzionati a mettervi in gioco per il bene della lingua sarda (e questo è già un punto che vi accomuna 😉 ) sarebbe interessante che per un istante riusciste a non focalizzarvi su ciò che da anni portate avanti con convinzione, ma provaste a pensare se ci possa essere qualcosa di buono e che possa essere “salvato” nelle posizioni diametralmente opposte alle vostre. Credo che il primo passo per trovare una strada comune sia riconoscere degli aspetti positivi nelle altre idee, nonostante non si condividano comunque i loro progetti.
http://bolognesu.wordpress.com/2014/08/27/la-cavalcata-delle-walkirie/
Gentilissimo,
lungi da me categorizzarla e inserirla in gruppo in cui non si sente parte e, soprattutto, preciso che il senso del mio commento non è etichettarvi come appartenenti a una definita fazione, ma invitarvi a trovare dei punti in comune per il bene della lingua sarda, Non ho parlato di sole due posizioni, il mio è un discorso generale. Lei è stato chiamato in causa in quanto studioso della lingua sarda e, come tale, reputo che possa dare un valido contributo alla proposta di Vito. Tutto qui, 🙂
Va benissimo, ma allora mi sembra davvero strano non menzionare il fatto che io, con la mia proposta, cerco appunto di superare le due posizioni estremiste: quella che pretende di dividere il sardo in due e quella che pretende che esista un sardo da imporre agli altri. Tutto qui!
In fondo sarebbe tutto molto semplice: basterebbe trovare chi è d´accordo su un unico punto.
Vogliamo una scrittura unitaria per il sardo, visto che quello che lo suddivide in varietà sono le diverse pronunce, ma lasciando libere pronunce e scelte lessicali?
Chi ci sta bene.
Chi non ci sta non vuole la sopravvivenza del sardo e si autoesclude.
E si autosclude sia chi apertamente si dichiara a favore di due standard, sia chi nascostamente pensa che il sardo sia diviso in due: quello giusto e quello sbagliato.
Caro Vito, ti rispondo per amicizia e cortesia. Sono d’accordo con tutte le cose che hai scritto tranne l’analisi del presunto conflitto ‘interno’ al movimento linguistico e quindi la conseguente proposta di mediazione. Non ci sono le condizioni ideologiche, politiche e neppure, con alcuni, di agibilità ‘umana’ ( come dimostreranno i commenti ingiuriosi che seguiranno forse) per arrivare a una concordia. La visita dell’assessore a Neoneli ha impedito di approfondire il tema e te lo dico adesso. Fai lo stesso errore della Firino, e di altri settori benpensanti, leggendo lo scontro come personale o di egemonia. In realtà, al netto dei danni e del rispetto delle persone, che comunque non c’è stato, ci sono profonde fratture ideologiche e politiche non sanabili, nè componibili. Le fratture personali sono niente in confronto. Le posizioni in campo sono chiare: bisogna scegliere. Stare così nel mezzo è troppo comodo. Lo stesso vale per il governo regionale: bisogna scegliere, è irrealistico pensare che un tavolo o una commissione possa mettere insieme opzioni politiche e linguistiche così diverse. Non fare scelte perché c’è disaccordo è un alibi. Allora, non si farebbe nessuna scelta in nessun campo. L’annientamento non ci sarà; noi abbiamo le risorse per una resistenza propositiva e saremmo pronti al momento del cambio di scenario politico. Ognuno faccia la propria parte, se può. Noi abbiamo già cominciato. Al momento opportuno, forse, alla fine di questa stagione politica, ci confronteremo.
Vito anche io sono favorevole a un’alleanza di ferro fra chi è a favore del sardo. E, personalmente, non ho una posizione di principio ostile rispetto a nessuno, in quest’ambito. Ci mancherebbe. Come cittadino, sono per un processo di standardizzazione aperto, per un’unico sistema di scrittura, ma che si possa discutere apertamente, visto che tanta gente non lo condivide. Politicamente, credo che sia pericoloso proporre sistemi di scrittura differenziati per varianti o pseudo-tali. Sono assolutamente disposto ad accettare (per quello che vale la mia posizione personale), qualsiasi sistema di scrittura unitario se accettato dalla maggioranza degli operatori e degli utilizzatori. Anche se ho qualche preferenza personale, come tutti. Penso che l’unità di coloro che si battono per il sardo sia molto più importante di un sistema di scrittura eccellente o ideale. E colgo l’occasione per invitare tutti a fare passi indietro e a parlarsi. Di tutti è la responsabilità.
Come studioso, sono interessato a qualsiasi posizione si manifesti e trovo in generale questa scena interessantissima e ricca di spunti e di interrogativi. Ma questo è un altro discorso.
I mercenari della lingua sarda comuna all’attacco. Avanti all’arrembaggio dei soldi della regione.
Ecco, a proposito di “abbassare i toni”… 🙂
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Sintesi tra Corraine, Corongiu, Bolognesi, Mongili…
Cos’è?
Uno scherzo?
No, per me è l’unica strada al momento perseguibile per mettere in un angolo i partiti che governano ora alla Regione e smascherarne l’ipocrisia riguardo la lingua sarda. Meglio fare un piccolo avanti tutti assieme (e tutti d’accordo) che credere di poter vincere sbaragliando tutte le altre posizioni in campo per venire invece annientati.
L’annientamento è l’ipotesi più probabile. la cosiddetta “lite” è un buon motivo per non far nulla. Certo però che così stando le cose la tua proposta ha del fantascientifico. Però non mi meraviglio, ci sono abituato 😀
Nicolo.. ne abbiamo già parlato di persona. E hai capito come la vedo… qui non è niente fantascienza. Claudia Firino è interessata e capace… grazie a Dio che hanno messo lei! Se Pepe e Co… iniziano ad ascoltare le critiche e il movimento meridionale e se non capiscono che stiamo lavorando per la stessa cosa… certo… non andremo da nessuna parte… ed è fantascienza. Non per me. Io e credo che posso parlare per i miei amici Perdu, Amos, Massimo ed ora… non posso menzionare tutte le 200 persone che ci stanno sotto…. o facciamo gli scemi o altrimenti qualcuno dovrebbe ripensare il suo concetto di standard. PUNTO.
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Mi sono prestato a tenere un microfono come avrebbe fatto chiunque. L’ispirazione poi…
🙂 🙂
Un assessore che propone idee giuste va sempre applaudito. Ma applaudo anche il tuo appello all’unità e alla sintesi. Il tuo approdo Vito mi pare di capire sia vicino alla LSC. Il mio è dalla parte opposta. Di sicuro è necessario tenderci la mano e so bene che la tua quanto la mia sono già tese. Inzandus toccada a traballai po agattai una soluzioni chi non siada sa mellus po mei e tui ma chi siada sa mellus po is piccioccheddus sardus. A si biri.
No, il mio approdo è al momento verso una posizione la più condivisa possibile tra quelle in campo, per evitare che tutti assieme si venga spazzati via da una politica che vuole sfruttare le divisioni per non occuparsi di lingua sarda. Cerchiamo di fare sintesi. C’è da lavorare.
Ciao Vito. Bell’articolo. Io personalmente sono molto contenta della decisione di Claudia Firino di non aver dato una risposta immediata sullo standard. È una persona molto intelligente e infatti non “vuole escludere nessuno”.
Il movimento linguistico Bilinguismu Democraticu infatti non dovrebbe essere escluso in questo punto. Che piaccia o meno alla CSU. Noi siamo pronti a discutere su come muoversi per il bene della lingua sarda. So che le nostre critiche verso la CSU e la LSC sono molto pesanti, ma anche loro non scherzano quando parlano di noi “partzidoris”, “orientalisti”, “separatisti”.
Noi abbiamo l’obbiettivo di far crescere il bilinguismo. Almeno questo ci unisce con la CSU. Secondo noi però la LSC com’è ora, non va bene per il sardi meridionali. Questi sono i fatti. Sul resto, possiamo parlarne. Credo che Claudia Firino questo l’abbia capito benissimo… e per questo ho scritto l’articolo su lei nel mio blog. Stiamo lottando da oltre 13 anni, ognuno a modo suo.
Non vorrei entrare nella polemica dei pocos locos… ma con un pochino di buon senso gli LSC’isti o la CSU dovrà capire che non ci sono solo loro che lavorano per la lingua e che la promuovono.
Grazie e a presto,
Alexandra