Il direttore artistico de Il crogiuolo Mario Faticoni invia al blog questo ricordo “sardo” del regista Mario Missiroli, scomparso nei giorni scorsi. Mi sembra uno spunto interessante per chi voglia riprendere a ragionare riguardo l’organizzazione culturale (e, in maniera più specifica, teatrale) nella nostra isola.
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Risale al lontano 1970 un contatto Sardegna-teatro italiano che riguarda il regista Mario Missiroli scomparso nei giorni scorsi a ottant’anni. Mario Faticoni, a nome di Teatro Sardegna, che allora usava la sottodenominazione Cit, Centro d’Iniziativa Teatrale, l’aveva invitato per una tavola rotonda dal titolo Proposte per la creazione di una società teatrale in Sardegna.
Il Cit, sorto l’anno prima e reduce da un stroncatura a cinque colonne a Omobono e gli incendiari firmata da Fabio Maria Crivelli, critico, direttore dell’Unione Sarda e presidente del Festival della Prosa che aveva inserito Omobono nel cartellone del Massimo, era appena riparato in una cantina di Castello a elaborare quel lutto e a cercare di riprendere il cammino (ben ripreso, se oggi quel nucleo, depurato di mancanze e abbandoni, è approdato all’attuale Teatro Stabile). Nel dicembre aveva allestito Fando e Lis di Arrabal ed aveva ufficializzato la nascita del Teatro Cantina di via Genovesi 20. Il Festival della Prosa stava elaborando un progetto trasformistico di Teatro Stabile e occorreva verificarne la validità.
Alla tavola rotonda coordinata da Dino Sanna, con le presenze di Anton Francesco Branca, Armando Congiu, Antonio Cossu e Lino Girau, Missiroli prese la parola dopo Ferdinando Virdia, critico teatrale, e Luciano Codignola, docente di teatro a Urbino.
A conclusione di quanto detto dai colleghi circa la piaga storica dell’accentramento amministrativo e della mancanza di sollecitazione dell’urgenza espressiva di base, la via indicata da Mario Missiroli per arrivare a un teatro non dal produttore al consumatore, ma un teatro che esprima realmente una società e i suoi problemi, è quella dello smantellamento delle attuali strutture legislative che lo regolano e lo sovvenzionano.
Senza la creazione di un circuito di “sale aperte”, dove per fare teatro nessun gruppo debba pagare un affitto, e senza una detassazione sui biglietti d’ingresso, ad esempio, qualsiasi nuovo esperimento verrebbe a trovarsi o nell’impossibilità di agire o nella stessa situazione fallimentare, da un punto di vista espressivo culturale, dei teatri stabili.
La formula dei teatri stabili d’altronde, ha fatto il suo tempo. Da elemento di rottura, da ipotesi di teatro “socialista”, è passato a rappresentare un fenomeno di burocraticismo e di puro centro di potere.
“Ora, se è vero che in Sardegna c’è poco teatro, non è detto che questa sia una condizione del tutto negativa. Proprio qui c’è la possibilità di tener conto delle esperienze negative sperimentate in altre regioni e prendere in considerazione altre forme di teatro, in particolare quella che si sta rivelando la più interessante e diffusa: la compagnia autogestita, autonoma e diretta dagli artefici effettivi del lavoro teatrale. Le compagnie autogestite non vogliono servire presuntuosamente intere regioni, né si pongono come “leaders” di una cultura o di intere città. Ciascuna fa il suo discorso, affronta a modo suo la realtà. Si muove in modo più agile e più umano e può facilmente scambiare i propri spettacoli con altre compagnie simili. È in definitiva, ferma restando la necessità di cambiare la legislazione, lo strumento che oggi offre migliore affidamento”.
Ricavo questi dati dal resoconto giornalistico che ne feci in quel giugno su Il giornale d’Italia, pagina di Cagliari, poi rifluita nel mio Tumulti quotidiani (Tema editore).
Non è ardito pensare che nel teatro italiano, dopo quella giornata cagliaritana, Missiroli abbia visto inverarsi in parte quei principi solo negli anni ’70, gli anni delle cooperative e dei gruppi di ricerca, ed abbia masticato delusione e solitudine al sopraggiungere dei successivi anni ’80, gli anni del riflusso, del disimpegno, dell’effimero cittadino, a cominciare dalle estati romane per finire a quelle di periferia.
Andrea Dosio, regista del Godot de Il crogiuolo, che gli fu assistente agli Stabili di Torino e L’Aquila, lo ricorda come uno dei grandi registi italiani del dopoguerra, enorme poeta, capace di far emergere l’oscuro, il nero dell’essere umano, “uno Strehler cinico”, intellettuale di sinistra ma disincantato circa la natura dell’uomo. E grande bevitore di Ballantine, di cui in camerino non poteva mancare una copiosa riserva.
Mario Faticoni
Grazie, Mario per avermi ricordato io giovanissimo il grande Missiroli, e grazie Vito per fare informazione, senza nulla chiedere in cambio.
E poi quel grande signore del teatro italiano diventò direttore dello Stabile di Torino, carica che mantenne per parecchi anni. I rapporti con la Sardegna teatrale ripresero negli anni novanta, per opera dell’allora direttore artistico Paolo Bonacelli, con la regia di uno degli spettacoli più fortunati del Teatro di Sardegna “La mandragola” di Niccolò Machiavelli. Provammo nel teatro della base militare di Quirra, che fu inaugurato in quell’occasione nel febbraio 1996, e a quel debutto seguirono una serie incredibile di repliche che, a partire dalla Sardegna per il Circuito Teatrale Regionale Sardo, impegnarono tre stagioni teatrali della Compagnia, con una visibilità che poté contare su teatri prestigiosi come il Quirino a Roma, La Pergola a Firenze, il Ponchielli a Cremona, il Mercadante a Napoli, il Duse a Bologna, il Biondo a Palermo, il Carcano a Milano, il Valli a Catania, etc. etc. Nella seconda stagione rischiammo di vincere il biglietto d’oro! Alcuni progetti che dovevano ancora coinvolgere Missiroli non si concretizzarono perché Ernesto Calindri aveva annunciato gli stessi titoli prima di noi , e dovemmo cambiare rotta. Ritornammo a lavorare con Missiroli nel 2004 con Victor, di Vitrac( poi ripreso nel 2005), e mi piace ricordare che proprio la locandina di questo spettacolo porta per la prima volta la dicitura ” Teatro Stabile della Sardegna”, inaugurando così una nuova dimensione per la Compagnia. Io posso dire che Missiroli è stato uno degli uomini di teatro più intelligenti che abbia conosciuto: arguto, ironico, caustico , con una cultura profondissima non esibita, ma spontaneamente affiorante nei suoi discorsi, nella sintesi fulminante con cui dava indicazioni agli attori, che capivano subito( e gliene erano grati), nella chiarezza delle sue intenzioni di regia che rendeva le giornate di prova brevi ed estremamente interessanti e piacevoli. Mi dispiace moltissimo per la sua scomparsa. Penso di essere stata fortunata ad averlo conosciuto nel lavoro, e penso ai molti attori di teatro che avrebbero tratto giovamento dalla sua apertura mentale.