Da oltre 90 giorni i lavoratori di Sardegna 1 Tv sono in sciopero. Protestano contro il mancato pagamento di cinque mensilità, dei contributi TFR e contro l’avvio della procedura di riduzione del personale, partita lo scorso 1° febbraio. Procedura che prevede il licenziamento di 13 dei 27 dipendenti.
Adesso attendono la riunione convocata dal settore lavoro/servizio mobilità della Provincia di Cagliari per il 23 aprile prossimo. L’incontro deve tentare di trovare delle soluzioni per evitare i licenziamenti. Dopodiché, se anche questo passaggio dovesse chiudersi senza accordo, l’azienda potrà licenziare.
Gli appelli alla politica e la mobilitazione dei lavoratori hanno prodotto tanta solidarietà, ma nessun atto concreto.
In Consiglio regionale sono state presentate due mozioni sulla vertenza Sardegna 1 Tv, ma per ora non sono all’ordine del giorno dell’assemblea di via Roma.
Intanto, per aggiungere argomenti alla vertenza, l’azienda ha comunicato in via unilaterale e arbitraria la decisione di non applicare più il contratto collettivo nazionale dei giornalisti. Un altro diritto acquisito viene messo in discussione dalla proprietà.
Con questo comunicato i lavoratori intendono evitare possibili strumentalizzazioni e annunciano che da questo momento in poi le esigenze individuali prevarranno sulle strategie di gruppo. Il fronte non si è rotto, ma dopo tre mesi senza risposte e sei mesi e mezzo di mobilitazione, alcuni colleghi hanno deciso per ragioni insindacabili di rientrare a lavoro.
La protesta, comunque, prosegue: chi vuole dimezzare Sardegna 1 Tv ci riuscirà, ma noi continuiamo a non essere d’accordo e a farvelo sapere.
Il fiduciario di redazione e le organizzazioni sindacali RSU
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Il comunicato stampa non ha bisogno di essere commentato. La vicenda di Sardegna 1 Tv si avvia ad un finale già scritto: “tanta solidarietà, ma nessun atto concreto” è il passaggio più duro.
Lo dico da tempo, e lo ridico ora: l’informazione in Sardegna sta collassando nel silenzio generale. È come se tutti fossero diventati grillini, graniticamente convinti che l’informazione è completamente, totalmente e irrimediabilmente corrotta, inaffidabile, non meritevole di alcun aiuto pubblico (in risorse, servizi o benefici fiscali) concesso dallo Stato alle imprese che funzionano o di importanza strategica per la crescita della società.
I segnali che arrivano ogni giorno che passa sono sempre più terribili.
Due giorni fa è stato presentato il rapporto della Fieg (la federazione degli editori) su “La stampa in Italia 2011-2013” che dice tante cose, ma in sintesi (come spiega questo l’articolo pubblicato da Datamediahub) certifica soprattutto questo:
1 – Nell’ultimo biennio le 51 società editrici di giornali quotidiani hanno tagliato costi per 220 milioni di euro ma hanno visto contestualmente crollare i loro ricavi di 564 milioni di euro. Ergo: non basta tagliare i costi per sconfiggere la crisi.
2 – Il peso dell’on line pasa dal 3.9 al 6.4 per cento, con un incremento dei ricavi del digitale che cresce del 30 per cento: il crollo totale dei ricavi delle imprese editoriali è però del 20 per cento. Il 93,6% dei ricavi deriva ancora dal cartaceo. Ergo: al momento (e con questa organizzazione del lavoro, aggiungo io) internet non basta a compensare le perdite. Anche perché…
3 – Il binomio vendite-pubblicità è un modello di business che non funziona più: nell’ultimo biennio gli investimenti pubblicitari sono crollati del 39 per cento.
Come uscire da questa crisi? Prima parliamo della Sardegna.
Come vanno i nostri due quotidiani, L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna? Maluccio, e questa non è per niente una buona notizia perché se “tirano” le grandi imprese editoriali ne hanno un beneficio anche le piccole.
In questo grafico di Human Higway si possono agilmente verificare le vendite dei quotidiani italiani tra gennaio 2013 e febbraio 2014.
Come tutti i giornali italiani, sia l’Unione che La Nuova continuano a perdere copie. Il quotidiano di Cagliari a febbraio 2014 ha venduto in media 48.856 copie: erano 52.966 dodici mesi prima. Idem il quotidiano di Sassari: 42.599 a febbraio 2014, a fronte delle 45.422 di febbraio 2013.
I dati delle vendite digitali sono in crescita (molto meglio l’Unione della Nuova, con ottomila abbonamenti digitali – moltissimi in abbinata col cartaceo – pari al 15.8 per cento delle vendite totali) ma purtroppo non sono ancora numeri in grado di fare la differenza.
Inoltre, come si evince chiaramente da questa mappa interattiva, l’Unione e la Nuova sono diventati ormai due giornali locali e non più regionali: quindi hanno ristretto sensibilmente il loro mercato.
E i giornalisti? Oggi mi ha chiamato una collega, inferocita perché nel prossimo contratto dei giornalisti potrebbe essere previsto che i collaboratori dei quotidiani possano essere pagati al massimo 25 euro per articolo sul nazionale e 15 per le cronache locali. Tasse e spese comprese, ovviamente. In pratica, se un collaboratore scrivesse tutti i giorni un pezzo sull’Unione o sula Nuova (tutti i santi giorni), alla fine si metterebbe in tasca 5475 euro lordi. Cioè 456 euro (sempre lordi) al mese. Non servono parole, direi.
E quindi che si fa? Io so quello che voglio fare io.
Per tanti anni ho sperato che mi assumesse un giornale, oggi vista la situazione non lo augurerei neanche al mio peggior nemico. Bisogna fare altro, cavalcare l’onda digitale, immaginare un nuovo tipo di professionista capace di affrontare le sfide del nuovo giornalismo. Insomma, bisogna buttarsi. Da soli ovviamente non si va da nessuna parte. E io infatti mi sto organizzando. Giovani di belle speranze che avete voglia di mettervi alla prova, preparatevi perché presto vi chiederò di uscire allo scoperto!
Your New York correspondent is ready to rum…unu pagu in casteddaio and a little bit in english, a giru po su mundu or deep down at madreterra.
In Consiglio regionale la discussione sulle caserme di polizia tagliate e le accise viene calendarizzata prima delle mozioni su Sardegna 1 (presentate da SEL e da UDC). Alla faccia delle priorità
Se Atene piange, Sparta non ride. D’altronde la Sardegna si trova in grave emergenza economica da lungo tempo, quindi anche l’editoria fa i conti con il disagio diffuso.
Non servono grandi slanci per abbinare la chiusura di tante imprese e la grave crisi di quelle attive con la riduzione del numero e della consistenza degli inserzionisti. Se aggiungiamo la disaffezione causata anche dalla marcata parzialità che ha caratterizzato i due principali gruppi mediatici locali non stupisce la china presa dal comparto.
All’estinzione dei dinosauri seguì un prodigioso sviluppo dei mammiferi. E mi sembra di capire che uno scoiattolo si stia già dando da fare…