Scoperti nel 1974, esposti al pubblico fugacemente nel 2011, i Giganti di Mont’e Prama hanno vissuto un week end leggendario tra Cagliari e Cabras. Qualcosa di misterioso e potente ha colpito la fantasia dei sardi, accorsi in massa per ammirare queste statue risalenti a 2800 anni fa. Che cosa cerchiamo nei Giganti? Verso dove volgiamo lo sguardo una volta che saliamo sulle loro spalle? Cos’hanno da raccontarci questi blocchi di pietra calcarea scolpita finemente? E noi cosa vogliamo sentirci dire?
Nonostante gli sforzi degli allestitori, gli spazi del museo archeologico di Cagliari non sono apparsi all’altezza della situazione: non a caso i Giganti che fra qualche anno resteranno in città (giusto quattro statue su ventotto, perché il grosso della collezione tornerà a Cabras) saranno ospitati nelle più ampie sale del vecchio museo, in piazza Indipendenza, ora in fase di ristrutturazione. Gli spazi angusti della Cittadella non hanno esaltato la monumentalità delle opere, anche se bisogna riconoscere che è stato fatto il massimo per creare un percorso credibile all’interno delle sale occupate dalla collezione permanente.
Ai Giganti però ci si poteva avvicinare moltissimo tanto da poterli toccare con mano e guardarli negli occhi, riuscendo ad ammirare soprattutto la stupefacente modernità di alcuni particolari: non solo colossi dunque, ma anche opere d’arte.
La prima grande sorpresa è quindi questa: da sempre avevamo ammirato la monumentalità dei nuraghi ma non pensavamo che il popolo che li aveva costruiti avesse espresso nel corso della sua vicenda storica una sua forma d’arte così raffinata. Certo, il professor Lilliu studiò e ci raccontò la grande statuaria nuragica, ma un conto sono i libri un altro l’immaginario collettivo: e per i sardi i nuragici restano ancora un popolo misterioso, quasi primitivo. Forse la (ri)scoperta dei Giganti di Mont’e Prama muterà questa percezione, aprendo probabilmente ad un modo nuovo dei sardi di guardare al loro passato.
Non solo monumenti dunque ma opere d’arte capaci di emozionare a distanza di quasi tremila anni. Per questo, davanti ai Giganti, ho pensato che veramente la loro casa migliore, più degna, più adatta, sarebbe stata veramente il Betile progettato da Zaha Hadid.
In quel museo-opera d’arte, consacrato a “Museo dell’arte nuragica e contemporanea del Mediterraneo” che Renato Soru e la sua giunta volevano realizzare a Cagliari in riva al mare di Sant’Elia, i Giganti di Mont’e Prama sarebbero stati esaltati per quello che sono: magnifiche opere d’arte capaci di parlare all’uomo del terzo millennio, e di stabilire con lui un rapporto profondo. Se l’arte è un linguaggio che può mettere in contatto donne e uomini nati a distanza di millenni tra loro, statue del genere hanno bisogno di un contesto adeguato (cioè straordinario) per emergere in tutta la loro maestosità e potenza. Il Betile era quel contesto. L’intuizione era felice: e il risultato sarebbe stato semplicemente stupefacente.
Senza entrare nelle polemiche nate dalla decisione di dislocare la collezione tra Cagliari e Cabras, io penso che i Giganti non possano state chiusi in un museo qualunque. Il Betile non era un museo, ma un’opera d’arte vivente. Se negli anni in cui si ragionava sull’opportunità di realizzarlo i sardi avessero già conosciuto i Giganti, probabilmente la storia avrebbe preso un’altra piega. Ma otto anni fa, quando si iniziò a parlare della possibilità di realizzare a Cagliari un nuovo museo che contenesse le statue scoperte a Cabras, solo gli archeologi sapevano chi erano i Giganti di Mont’e Prama.
E così oggi a noi non resta che leggerci la fantacronaca di Maria Antonietta Mongiu “Inaugurazione a Cagliari del Betile di Zaha Hadid”.
@Thor & @Carletto,
nei vostri ultimi commenti si intravede purtroppo una certa superficialità o, forse, l’impossibilità di esercitare un senso critico nel valutare iniziative mirate a creare sviluppo.
L'”idea bruciata” e l'”uguale uguale” appaiono come valutazioni, proposte e fatte proprie, con estrema leggerezza e senza entrare nello specifico.
Che dire?
Esisteva per caso una competizione per realizzare il primo edificio di Zaha Hadid in riva al mediterraneo? (è così che Cagliari è stata bruciata da Reggio Calabria)
O i due progetti sono proprio la stessa cosa, “uguale uguale”?
È veramente triste vedere liquidata in due parole l’idea del Betile (che non è un “waterfront”), ma incarna, già, con il suo nome, un elemento di forte connotazione isolana e, sopratutto, esprimeva una funzione precisa, nuova, declinata in termini “nuovi” (un nuovo edificio per un nuovo museo).
Se qualcuno pensa che in questa isola ci possa essere un futuro gestendo “solamente” la decrescita, allora penso che avrà delle brutte sorprese (quando si troverà seduto ai bordi del baratro sociale).
Sono d’accordo che troppe iniziative di sviluppo sono state gestite malamente (con dispendio inutile di denaro pubblico) dalla nostra politica e dagli amministrativi dei diversi enti.
Ma proprio per questo è ancora più urgente trovare e attivare iniziative (e progetti) che creino, veramente, sviluppo.
Cambiare le procedure e le prassi della Politica e dell’Amministrazione Pubblica, questo è il vero obiettivo.
Non rinunciare, a priori, allo sviluppo.
Se non riusciamo a recuperare la capacità di gestire innovazione in termini coerenti e sostenibili, il nostro futuro sarà, purtroppo, un ritorno al passato.
Se per noi, i due progetti di Cagliari e Reggio Calabria sono “uguali, uguali”, allora dobbiamo renderci conto che, forse, è il caso di parlare d’altro.
Perché, purtroppo, con la superficialità, non si fa molta strada.
Salve Paolo,mi dispiace pensare che tu mi consideri superficiale o incapace di in positivo delle iniziative che secondo il tuo punto di vista possono creare sviluppo e di conseguenza occupazione.I commenti che ti sono apparsi leggeri perchè frutto di valutazioni personali(parlo per me)sono forse espressi in dimaniera impropria e ti danno un’idea conservatrice e retrograda del mio essere. Io vivo in piena consapevolezza la quotidianità e non sono nemico dello sviluppo ma combatto quello che ci ha imposto con grande dispendio di energie per vivere e furto di danaro pubblico la nostra classe politica tutta indistintamente,Soru compreso ,che si fà portavoce di un modernismo effimero visto il momento(sono un amante del bello anche io)con il futuristico betile ma porta avanti il progetto carbone sulcis e scorie da smaltire alla portovesme SRL.Sicuramente tu hai a che fare con la politica dei partiti,mentre io ne sono completamente fuori per ora…….in attesa di persone più oneste da appoggiare.La sostenibilità non può camminare di pari passo con lo sviluppo,che richiede sempre consumo del territorio e materie prime.Il futuro è nel consumare meno ,senza ritornare al passato visto come vivere restrittivo e stai tranquillo che ci sarà meno gente ai “bordi del baratro sociale”cosa già in atto oggi,grazie ai nostri politici & Company che hanno buttato tutto in iniziative di sviluppo senza futuro che sono servite ad arricchire loro,le multinazionali e a lasciarci una sardegna devastata dal loro operato.il nostro patrimonio,storico naturalistico è più importante del betile ed è tempo che i soldi vengano investiti in bene comune prima che tutto vada disperso dall’incuria.Cordiali saluti
Caro Thor,
dici che il futuro è consumare “meno”, e hai ragione, ma aggiungerei s questo meno anche “meglio”.
Hai anche ragione quando parli dei disastri prodotti dalla nostra classe politica, che ha dilapidato fortune su iniziative di sviluppo senza futuro o troppo coerenti con gli interessi dei capitali.
Ma queste giuste valutazioni non devono aprire ad una sorta di fondamentalismo dove si nega la possibilità di uno sviluppo sostenibile.
Ecco dai tuoi discorsi traspare, a volte, una valutazione che afferma, a priori, come “… la sostenibilità non può camminare di pari passo con lo sviluppo,che richiede sempre consumo del territorio e materie prime …”.
Nell’ambito di un processo che riesca a consumare “meno” e “meglio” territorio e materia, esisteranno iniziative che, pur consumando, producono “realmente” sviluppo, occupazione, cultura … queste iniziative devono essere portate avanti con coerenza e onestà.
La politica, gli amministratori, la società e i cittadini dovrebbero avere tutti una capacità critica che li aiuti a capire e scegliere (e condividere) questo tipo di progetti.
Nel “Betile” trovavo le caratteristiche di una sfida che valeva la pena di tentare.
Nel corso della mia vita professionale mi sono occupato ed interessato molto di beni culturali, dalla tutela alla valorizzazione e all’innovazione: Betile era un concept molto efficace e coerente che, tra l’altro, iniziava a trovare forme e concretezze di valore e qualità.
Chiudo con una notazione riferita ai miei rapporti con la politica dei partiti: non ho mai lavorato perchè avevo una tessera (perchè non ho mai avuto tessere) e, nell’ambito del mio lavoro, ho sempre detto cosa pensavo, pur andando anche contro i miei interessi.
Non ho rapporti con il potere e stranamente quando un amico arriva a ricoprire un ruolo politico di potere, smetto di frequentarlo.
Quindi come vedi non siamo molto lontani come idee e esperienze.
A presto
Basta sostituire il nome della città e la capitale culturale è bella che pronta per ospitare il progetto di massa.Alla fine IL FINE è più soldi dai progetti che dalla loro realizzazione.Grazie carletto
E’ un idea ormai bruciata, lo stanno già facendo a Reggio Calabria, uguale uguale…
http://europaconcorsi.com/projects/25044-Regium-Waterfront
Per essere un pesce d’aprile è uscito troppo presto e se ne parlava in ambiente CRS4 quando hanno fatti i rilievi dei giganti. Poi è uscito l’articolo di Pubusa, che non si interessa di archeologia.
http://pasuco.blogspot.it/2014/03/giganti-dargilla.html
La storia del fil di ferro è una michiata mentre l’ipotesi che siano fatti di un impasto gesso/calcare circola da tempo.
Qualcuno ne sa qualcosa?
Leggendo nella nuova ,l’articolo sul betile capisco ora che hai fatto da apri pista alla riesumazione.
E secondo te io riesco ad influenzare la Nuova Sardegna?? 🙂
Mi riferivo al fatto che è un progetto che non è mai stato mollato,la nuova da voce ai compagnucci ed ora con pigliaru se ne riparla. Tu avevi anticipato,tutto qui.Ciao
Caro Vito, come ti ho detto a voce qualche giorno fa, con l’avvento dei giganti abbiamo avuto la stessa suggestione (e così anche M.A. Mongiu). Ecco la notizia della mia interrogazione al Sindaco, dove ripercorro anche tutto l’iter burocratico che ha portato a (NON) realizzare il Betile e le “imbarazzanti” motivazioni di diniego all’epoca addotte da chi, peraltro, parlava (a sproposito) di capitale del mediterraneo.
A mio parere nulla è precluso, semprechè ci sia la volontà politica.
http://www.castedduonline.it/cagliari/zonapoetto-santelia/14119/cagliari-torna-l-idea-del-betile-un-museo-aperto-ai-concerti-rock.html
http://www.sardegnaoggi.it/Politica/2014-03-27/24823/Cagliari_idea_Betile_Al_posto_dellarena_SantElia.html
Prendendo spunto da ciò che scrive barbaricina, noto la solita avversione nei confronti di Cagliari-matrigna e accentratrice. Certo, se prima erano i musei di Cagliari o Sassari a raccogliere ed esporre tutte i reperti rinvenuti nei vari scavi di tutta l’isola, oggi ogni ancora romana, ogni anfora, ogni moneta ha diritto ad un proprio museo. Abbiamo migliaia di nuraghi, pozzi sacri, menhir, domus de janas, rovine di antichissime città, ma se si escludono pochi casi, sapete dire quanti visitatori annui possono vantare questi siti? Creare molti musei, senza una loro peculiarità, non solo ha un costo per la collettività, ma porta alla creazione di centinaia di posti di lavoro fittizi e improduttivi. Da noi,dire che la cultura deve produrre profitti equivale a bestemmiare, certo noi non abbiamo il Louvre o gli Uffizi, ma un’eccessiva dispersione nel territorio di musei-sale espositive potrebbe ottenere risultati contrari a quelli sperati. Sarebbe più opportuno collegare il bene esposto, in pochi luoghi ben organizzati, con le aree archeologiche nei vari territori. Tornando ai nostri giganti, capisco che Cabras li abbia rivendicati, e li abbia ottenuti, sono altresì convinto che dopo un periodo di curiosità, il centro lagunare tornerà a essere famoso quasi esclusivamente per la bottarga e i muggini.
creare un museo di quelle dimensioni a cagliari pone una domanda: come riempirlo? forse rubacchiando il materiale dai paesi dell’interno che in questi anni hanno investito in scavi e ricerche? perché continuare a concentrare tutto, anche l’archeologia a cagliari, che ha già tanto? vogliamo che tutta la sardegna si trasferisca a cagliari?
Essendo di Nuoro, sento in modo particolare le tue domande, perché esprimono una problematica molto reale, legata al rischio che la Sardegna diventi un pò troppo “cagliaricentrica”.
È ovvio che il rischio sarebbe esistito anche per il Betile, se fosse stato gestito nelle forme che per decenni hanno “riempito” i musei principali di Cagliari e Sassari, svuotando il territorio di testimonianze eccezionali.
Credo che, invece, nelle scelte della giunta Soru esistesse una visione maggiormente equilibrata delle dinamiche culturali della Sardegna (e, al di là delle critiche che si possono fare a Soru, è giusto riconoscere la bontà di una serie di scelte attivate).
Contestualmente con il Betile, infatti, nacque anche l’idea del Museo dell’Identità sarda (oggi in fase di realizzazione) da realizzare in quell’interessantissimo esempio di archeologia industriale che è il Mulino Gallisay a Nuoro, situato a 50 metri dalla Casa Deledda e affacciato sul paesaggio del Monte Ortobene.
Ma l’idea del Betile era creare un nuovo formidabile attrattore nello scenario culturale europeo, in grado di mettere la nostra povera isola al centro di flussi di turismo culturale importanti.
Una scelta illuminata perché in questo particolare scenario siamo praticamente assenti (si pensi a quanto poco vale, in termini di arrivi, la nostra isola, oltre tutto originati in maggior parte dalle attrattive “balneari”).
Una gestione oculata, avrebbe permesso di veicolare parte dei flussi nel resto dell’Isola, sfruttando le possibilità legate alla bellezza dei territori nella primavera e nell’autunno e valorizzando le diverse testimonianze culturali isolane.
Caro T’hor,
i temi che lei propone spaziano dalle problematiche legate alla “decrescita” alla gestione criminale dei processi di trasformazione del territorio, senza dimenticara la tutela degli equilibri ambientali.
L’idea, anzi il sogno del Betile, descriveva un processo incernierato su un concorso di idee internazionale, orientato, proprio per tale scelta, ad individuare un’architettura di qualità.
Scegliere un progetto sulla base all’analisi (visiva, estetica, funzionale e dei costi) di quello che sarà il futuro edificio, non è la stessa cosa che affidare l’esecuzione di un progetto in base alla valutazione di curricula, di un’offerta economica sul costo del servizio di progettazione e di una misera relazione tecn ica sulle future scelte progettuali (l’attuale prassi utilizzata dalle amministrazioni nella maggiorparte dei casi, oggi).
Si sceglie il meglio (se i concorrenti sono di chiara bravura) e se la giuria è qualificata, l’ambiente non verrà assolutamente compromesso, anzi.
Sono fermamente convinto che una bella architettura non ha mai rovinato un paesaggio o, per essere chiari, qualcuno pensa che la cupola del Brunelleschi, a Firenze, non abbia “impatti” sulla valle dell’Arno?
Ma impatto può e deve avere anche un significato positivo e non credo che si possa contestare la pertinenza dell’esempio fatto.
Ma la scelta di partire dal concorso di idee, tutela maggiormente, anche, dai rischi di una gestione criminale del processo di costruzione.
Per tanti motivi, legati alla trasparenza e all’evidenza degli obiettivi da raggiungere, ma anche dal coinvolgimento di professionisti esemplari. Pensi solo agli attacchi che ha gestito il buon Renzo Piano per realizzare l’Auditorium della Musica a Roma.
Il Consiglio nazionale dei Lavori Pubblici (oscuro organismo presieduto anche da uno degli autori del disastro de La Maddalena) chiese la bellezza di 120.000 disegni esecutivi, per cercare di ostacolare le idee e la qualità del progetto di Piano. L'”archistar” li ha prodotti e il risultato è sotto gli occhi di tutti.
O qualcuno vuole lamentarsi della bravura professionale e dei risultati ottenuti, qualificando (arricchendo) quella che viene definita “la città eterna”?
Rimane il discorso della decrescita.
Lei ha molte ragioni, quando si parla di interventi di carattere maggiormente ordinario e di funzioni limitatamente specialistiche (che possono essere risolte efficacemente anche trasformando il patrimonio architettonico esistente abbandonato e riutilizzandolo).
Il Betile era invece un intervento unico nel suo genere, con un “concept” preciso e mirato, con finalità di grande e positivo impatto nella sua dimensione culturale, turistica ed economica.
Cagliari sarebbe stata oggi, nel panorama italiano, una grande capitale della cultura, in grado di arricchire enormemente l’immagine turistica dell’intera Sardegna, riuscendo ad attivare gli stessi meccanismi avviati dalle realizzazione del Guggenheim Museum di Bilbao.
Per questo, andava fatto.
Per non averlo fatto, siamo stati, purtroppo dei grandissimi, mi si passi il termine aulico, coglioni.
Concordo con le in quanto esprime dei concetti molto chiari e legati a come dovrebbe apparire una città moderna,con aspirazioni turistiche,posizionata nel centro del mediterraneo.Purtroppo non sempre i progetti sono qualificati come quello zaha o il Guggenheim di bilbao e sicuramente il betile avrebbe avuto come dice lei un impatto positivo nella sua dimensione,culturale turistica ed economica.ma la paura delle cattedrali incompiute ci fà un pò paura.Conosciamo bene la nostra classe politica,quelli che pagano per progetti che mai si realizzeranno,che distruggono il poetto,quelli che comandano insomma,sono pronti a gestire le normali vocazioni e i doveri di una “città turistica “come CAGLIARI.Noi che chiudiamo i negozi o i musei con la città piena di croceristi,che ci lamentiamo della movida,che vogliamo arrivare con le macchine in castello!che facciamo parcheggio davanti a via Roma……….Come potrebbe essere “mantenuto” il betile se abbiamo difficoltà a tenere in piedi e funzionante quello che abbiamo.Quante volte abbiamo percorso centinaia di chilometri per vedere un museo,un nuraghe o delle cose ancora più importanti e abbiamo trovato chiuso,o perso la strada perchè priva di segnaletica.Il turismo culturale,ambientale,archeologico,enogastronomico viaggia su altri binari e con altre teste alla guida delle città.In europa,e i nostri turisti oggi sono per la maggior parte europei,tutto è a portata del visitatore,dalla mattina alla sera senza pausa pranzo,anzi ti danno pure da mangiare nei posti che visiti.I nostri governatori parlano ancora di carbone,biomasse,scorie da smaltire e industrie di veleni.Non me ne voglia ma è meglio che il sogno sia rimasto nel cassetto.Saluti
Sembra che siamo obbligati a giocare in difesa (… una vita da terzino … direbbe qualcuno), ma anche per questo rimarremo subalterni.
Le cose che dici sono chiaramente fondate, ma questa rassegnazione è sconsolante.
Mi dispiace.
Ricambio i saluti
Io non sono rassegnato,bisogna sempre lottare se si vuole cambiare.Sentite le ultime notizie,penso che sarebbe ancora più saggio,investire a monti prama,perchè se è vero quello che hanno rilevato,l’impatto, sarebbe sicuramente maggiore del betile della zaha……di nuovo,ciao
La famosa archistar si diverte a prendere per il culo tutti propinando a mezzo mondo le sue stavaganze di cemento. Vito Biolchini, rifletti bene e studia TUTTI i progetti della Hadid. Ci ero cascato anch’io, mi ero fatto ingannare da quel design alieno, ottimo appunto per un film di fantascienza, al massimo collocabile in metropoli ultramoderne che hanno cancellato ogni traccia e peculiarità della loro storia. Ma a Cagliari? E’ questo il modo di sprovincializzarsi? Può anche rodere dare ragione a chi ne ha bocciato la realizzazione, ma sono certo si sia trattato di una decisione giusta. Se vogliamo buttare soldi pubblici diamoli a qualche architetto di maggior talento estetico e pratico, non regaliamoli a quella specie di designer dell’inutile.
Ci sono tante di quelle strutture della regione abbandonate alla loro sorte che potrebbero essere ristrutturate e valorizzate per ospitare un esercito di “guerrieri”cosa continuiamo a spingere per costruire nuovi ed impattanti strutture,magari in zone integre dal punto di vista ambientale.Quando inizieremo a fagocitare meno territorio e pensare alla decrescita,non intesa come su fammini,ma come futuro sostenibile.Guardate il sito sardegna abbandonata(se non sbaglio) e ditemi se è il caso di continuare a costruire in paesi oramai fantasma
Concordo le Ex Servitù Militari aspettano solamente una classe dirigente che si faccia carico della loro valorizzazione, giusto per fare un esempio Monte urpinu Cala Mosca Sant’Avendrace…..ecc.. https://www.regione.sardegna.it/documenti/1_26_20061113125813.pdf
Il problema Paolo che la nostra classe politica e dirigente è troppo presa dagli interessi personali e ancora troppo lontano dal capire il concetto di decrescita
@GD-centopercento
“Questa Zaha Hadid non mi piace, non mi piace perché non la capisco”.
Sarebbe stato più onesto, dal punto di vista intellettuale, che lei avesse detto così.
Invece ha anche il coraggio di lanciarsi in un’abborracciata filippica retrogrado-conservatrice, da cui emerge chiaramente come l’incapacità di confrontarsi con l’innovazione si nasconda sempre dietro la necessità di tutelare la storia e le tradizioni e di ritrovare il buon senso pratico legato alle consuetudini.
Scusi Paolo,zaha è un architetto ,il progetto se mi posso permettere potrebbe anche essere futuristico e piacere, in un altro contesto però e in altri tempi.Io penso,anche a torto che siamo impauriti quando sentiamo parlare di mega progetti perchè il più delle volte rimangono delle grandi incompiute che servono ad arricchire le cricche del malaffare e a devastare l’ambiente ed il paesaggio sardo ad un punto di criticità.
Caro Vito, perché ho l’impressione che le tue siano le lacrime del coccodrillo?
Boh, non saprei. Dimmelo tu.
……………solo gli archeologi conoscevano i giganti di monti prama.Certo che hai un bel concetto dei sardi.
Purtroppo abbiamo perso 40 anni di informazione relativa a queste opere d’arte, e un secolo intero per quanto riguarda tutta la civiltà nuragica, vabbè comunque, ora per recuperare ci si dovrebbe impegnare a diffondere il valore dei Giganti e della Civiltà nuragica prima di tutto a livello scolastico, non solo in Sardegna ma a livello nazionale, ma vi sembra normale che noi in Sardegna studiamo gli etruschi, e i toscani non studiano i Nuragici?? Tutti conosciamo i Bronzi di Riace senza sapere dove sono collocati, quindi prima di tutto occorre diffondere le singole opere a livello scolastico, affinche i giovani si facciano una prima idea sul discorso. Sul discorso del Betile poi, è stata un occasione persa, ma le statue le avrei collocate a Cabras, il Betile avrebbe portato ricchezza alla città anche senza di loro, anzi il Betile sarebbe stato la porta che introduceva a Cabras e al mondo dei siti sperduti dell’isola. Penso che è inutile girarci intorno, l’avete mai visto il risultato del Guggenheim di Bilbao?? guardate che prima questa città non se la cagava nessuno!!, oggi li c’è un giro d’affari incredibile, e soprattutto di cultura, e finiamola nel dire che lo spettacolo non serve, laddove non ci si arriva con la cultura, ci vuole una buona dose di spettacolo per far capire le cose più semplici a tutti. Es. L’isola di Pasqua in culo all’oceano pacifico, chi la conosceva prima che Kevin Costner ne facesse un film spettacolare?? Leggo che Qualcuno si preoccupa di un ora di macchina da Cagliari a Cabras!! Ho visto Milanesi e Sardi andare a vedere i Moai a casinu e pompu!! Quindi se a una parsona interessa una cosa fa anche 100 km a piedi se può. L’impero Romano non è stato forse glorificato attraverso i Colossal come Ben Hur?????, i turisti di ogni nazione quando entrano nel Colosseo sentono nel cuore lo streppitio degli zoccoli dei cavalli e le urla dei Gladiatori, sia perchè lo hanno letto e immaginato attraverso i libri di testo, ma perchè hanno impressa nella loro mente la faccia di Russell Crowe. “Avrò la mia vendetta in questa vita o nell’altraaaa!!”, cazz duro questo Romano cazz!!. Anche i film sono delle porte che introducono ad un qualcosa di più grande e complesso. Il Betile aveva ragione di esistere perchè legato in modo imprescindibile al territorio, e qualsiasi spesa occorresse avrebbe dato i suoi frutti in seguito. Non è il caso del Macro di Roma, costato 100 milioni di euro, e poi non ci entra nessuno, perchè è inutile, è una struttura che non dialoga e reinterpreta con la cultura del luogo. Con una buona gestione del Museo, fuso poi con L’arte Contemporanea si avevano i fondi per continuare gli scavi in vari siti dell’isola e si avevano i fondi per realizzare non solo il Museo famoso di Cabras, collegato a Tharros e alle tante meraviglie della zona ecc, ma ci sarebbero fondi per tutelare e collegare tra loro altri importanti, seppur più piccoli Musei in crisi del territorio, come quelli di Nivola e Maria Lai esempio, di artisti quindi legati in modo incredibile alla civiltà nuragica ma dal respiro internazionale. Qui in Sardegna poi ogni cosa è collegata ai Nuragici e ci sarebbe stata una esplosione di iniziative e un enorme giro d’affari, di tipo culturale che di tipo economico. I soldi vanno spesi per le grandi opere, non per grandi stipendi, quali quelli dei politici, Scusate il demagismo”.Ma intanto è importante che pian piano si sta parlando sempre più dei Nuragici e della nostra storia, sperando che tra 30 anni sia realtà consolidata e proficua di stipendi e di cultura aggiunta
Caro Vito,
dove e come rendere fruibile al pubblico una testimonianza del passato dipende dal senso che gli dai (alla testimonianza). Tu parli da uomo di spettacolo impegnato politicamente in un certo modo. E per questo hai l’opinione che hai espresso. Che non è né buona né cattiva. E’ la tua.
Peraltro ideologicamente tanto orientata da cadere in equivoci ingenui (alcuni te li hanno fatti notare). Ma anche veniali. Diciamo di “poco addetto ai lavori”.
Certo, se delle statue fai un elemento cosiddetto “identitario” allora il museo “dedicato” (e centralizzato=Cagliari) è d’obbligo. E questo pare siano diventati questi reperti.
Però c’è anche l’aspetto legato alla generazione di conoscenza (=cultura). Ovvero lo studio museale. Che è tutt’altro dall’esposizione al pubblico. Ti ricordo che un museo è prima di tutto luogo di studio. Solo in via secondaria di condivisione di parte delle collezioni al pubblico.
In questo senso, la frammentazione del reperto è sbagliata. Molto. E la collocazione naturale dovrebbe essere un museo ragionevolmente vicino al contesto del ritrovamento (=Cabras, meglio anche di Oristano). Luogo in cui creare una scuola legata allo studio dell’intera parabola pre/protostorica sarda fino all’ingresso nella storia. Dalle collezioni neolitiche di Cuccuru is Arrius al tardonuragico delle statue. Passando per l’immenso patrimonio del bronzo medio (= i nuraghi) e finendo con il periodo storico innescato dalla fondazione fenicia di Tharros (cioè, grossomodo, il periodo in cui si situano le statue).
E ribadisco un “museo”, non un’esposizione per turisti. E ribadisco cultura, non spettacolo.
Il Betile, se l’avessero fatto, avrebbe avuto molto più senso come luogo di studio del patrimonio fenicio-punico di Cagliari. Città che è arrivata quasi al medioevo parlando e scrivendo punico. Anche quando era romana (ed era retta da “sufeti”). Così mi sarebbe piaciuto moltissimo. Salvo abituarmi alle forme proposte da Zaha Hadid. Che mi perplimono ancora oggi.
Però pare che la cultura, in Sardegna, sia basata sulla stessa sostanza della politica (sarda). Il nullismo (variante sarda del nientalismo di Crozza).
Meglio lo spettacolo (fuinzionale al consenso). Soprattutto se sostenuto da corposi soldini pubblici.
E poi, in un momento in cui si comprano i vibratori con i soldi pubblici, vuoi mettere un simbolo fallico come il betilo?
Io proporrei, inoltre, di smontare Tharros e rimontarlo al posto dell’ippodromo al Poetto e di dichiarare ufficialmente la zona dell’Oristanese zona di pesca consentita ai soli pescatori cagliaritani. (Ma i colonizzatori non erano gli italiani?)
Scherzi a parte, la soluzione c’è, nulla vieta di investire in un grande museo a Cabras, luogo in cui le statue sono state ritrovate.
Trovo il Betile un obrobrio come struttura nel contesto costiero cagliaritano e ancor più come esempio idea vecchia e stantia di museo.
L’aspetto artistico in questo meraviglioso esempio di cultura materiale che sono i Giganti di Monti Prama non può essere scisso dagli altri aspetti, se non con la conseguenza inevitabile di una deriva estetizzante. In altre parole, per apprezzarlo devi passare attraverso l’archeologia, altrimenti rimani lì a guardarti il gigante e a pensare:”ma com’è bello, che sguardo magnetico, com’è imponente e maestoso, che belle trecce lavorate finemente che ha…” Invece, anche per apprezzarlo appieno dal punto di vista artistico ti devi fare le domande che l’archeologia si fa, che non sono poi tanto diverse da quelle che si fa un giornalista, cioè: “Chi sono i Giganti di Monti Prama? Chi li ha fatti? Come li ha fatti? Quando? Dove? Perché?” I Giganti di Monti Prama sono un corpus unico in un contesto unico, attualmente diverso da tutti gli altri; per valorizzarli nella maniera appropriata li devi lasciare tutti insieme e quanto più vicini al contesto d’appartenenza. Questo è un concetto basilare dell’archeologia contemporanea e serve sia per gli studiosi (che devono continuare a studiare i reperti) che per i visitatori che vanno a vederli. Certo che i Giganti avrebbero bisogno di un museo tutto per loro, ma deve essere il museo funzionale a loro e non viceversa.
Vedo che c’è ancora qualcuno che li chiama giganti di Monti Prama, come dizione corretta vorrebbe e uso comune vorrebbero..
Chi ha avuto la brillante idea di correggerlo in Mont’è Prama? E perché?
forse per una questione puramente dialettale…d’altronde “prama” dovrebbe stare per palma e tradurre in monte palma dovrebbe suonare meno bene che monte delle palme…credo…
Si chiama Monti Prama, cioè Monte Palma. Hanno iniziato a cambiargli il nome i giornalisti con poca dimestichezza del sardo, pochi anni fa, quando i Giganti son tornati all’onore della cronaca perché erano in fase di restauro. E hanno fatto, probabilmente, lo stesso ragionamento tuo, cioè che Mont’e Prama volesse dire “Monte delle palme”. In realtà, se ci pensi bene, la forma Mont’e Prama significherebbe Monte di Palma. Questa lectio facilior si è poi diffusa sempre più, ed ora, anche in zona, molti hanno iniziato a chiamarlo Mont’e Prama o Monte Prama. Cosa vogliamo fare, cambiare il nome anche al vicino Monti Palla? O al Monti Corru Tundu? O al Montiferru? Anche questa è decontestualizzazione.
Sono d’accordo con Pissenti riguardo alla correttezza del toponimo Monti Prama, ma non credo che la causa dell’adattamento improprio e inopportuno al quale assistiamo siano i giornalisti.. Qualcuno, da qualche parte e da qualche tempo, ha deciso che quella debba essere la loro denominazione ufficiale. Che ci sia lo zampino di consulenti linguistici della Regione che si è attivata per il restauro? Fattostà che nei documenti ufficiali, anche della Soprintendenza si usa ormai in modo univoco quella forma. I giornalisti non hanno fatto altro che adeguarsi a questa forma ortografica, a diffonderla e usarla.
http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=590519
http://www.archeocaor.beniculturali.it/index.php?it/283/il-sistema-museale-per-monte-prama
Certo è che è più facile portarli via dal Sinis se si inizia a trasformarne l’identità a partire dal nome
Non hai tutti i torti… ( http://www.areamarinasinis.it/it/sinis-rev-1/storia-e-archeologia/il-sinis-di-cabras-dalla-preistoria-al-medioevo/la-necropoli-di-monti-prama/index.aspx?m=53&did=1825 )
L’ennesimo triste esempio di come le rivalità pretestuose portino solo sterilità e rimpianti.
Con tutto il rispetto per Cabras, io mi pongo una domanda: quanti turisti si sobbarcheranno 1 ora e mezzo di viaggio (più o meno) per andare a vederli ovvero mezza giornata di viaggio? Parlo della maggior parte dei turisti che in Sardegna rimangono una media di 4 giorni. Come mai neanche i bronzi di Riace…sono a Riace bensì a Reggio Calabria? Sono scettico sul trasferirli quasi tutti a Cabras. Magari poi mi sbaglio e la cittadina oristanese diventa tipo Stonehenge…! Però, nel Betile sarebbero stati ALLA GRANDE!
Con tutto il rispetto caro Geppo un’ora e mezza di viaggio non mi pare mezza giornata e con tutto il rispetto sarebbe bello creare itinerari volti alla conoscenza della Sardegna nella sua interezza e non far si sempre e comunque che il turista si fermi nel sud della Sardegna o ancora meglio solo a Cagliari vista come centro del mondo. Cabras non è Stonhenge e visto che citi l’esempio la gente va Stonhenge per molte meno pietre rispetto a Cabras. L’unica differenza tra noi e loro è che loro applicano le conoscenze sul marketing turistico mentre noi stiamo ancora a litigare su un Betile che non esiste e non pensiamo a valorizzare il già esistente territorio sardo, se pur esso non sia concentrato a Cagliari.
I giganti non andavano spartiti con nessuno neanche per un giorno …..sono nate a Cabras e a Cabras devono tornare punto e basta !!!
Concordo Vito, segnalo sul tema Betile un mio pezzo del 2011 con Corda: http://www.sanatzione.eu/2011/05/cagliari-capitale-dal-betile-alla-green-economy-contro-il-finto-pragmatismo-politico/
Solo per precisione.12 pezzi dei Giganti -teste,busti,braccia,modelli di nuraghe- sono rimasti esposti per oltre 20 anni ,in un arco di 25, al museo di Cagliari,mentre il resto era custodito nei depositi. La RAI ha fatto un gran numero di servizi sia sul regionale che sui nazionali che nella rete Rai Mediterraneo e nel circuito dell’eurovisione . Seguite anche le esposizioni a Karlsruhe, Milano e Roma . Così come il rifiuto alle olimpiadi di Atene. Da quando , nel 2007 , fu avviato il restauro ne ha documentato regolarmente il procedere. Sino alla mostra complessiva , a restauro completato, a Li Punti . Documentate anche le proteste locali per impedire l’esposizione a Roma insieme con l’esercito di terracotta cinese . Sempre a restauro completato .
Condivido. Il Betile sarebbe stato utile a Cagliari, alla Sardegna, a noi. L’assenza di un grande spazio espositivo è una carenza dolorosa. Specie se si pensa che la massima istituzione sarda, la Regione, non può contare su un proprio museo per allestire, ospitare e promuovere l’arte. Compresi, e soprattutto, i Giganti. Per una perfetta contaminazione tra archeologia e arte contemporanea, che tanto deve alle prime espressioni artistiche degli “antichi”.
credo che il luogo ideale dove esporre i giganti di Mont’è Prama sia proprio Cabras. Sono elementi che hanno caratterizzato quell’aera geografica ed è giusto che ne tragga i giusti benefici. Qualsiasi altra collocazione risulterebbe de-contestualizzata.
Il Betile sarebbe stato un ottimo museo d’arte contemporanea.
Se i fregi del Partenone fossero rimasti ad Atene non sarebbero stati conservati così bene come a Londra.
Allora rinunciamo al museo egizio di Torino? Rispediamo i Mirò del Metropolitan a Madrid?
Un museo per definizione decontestualizza le opere al suo interno, come disse Cirese.
Già levando i Giganti da sottoterra li stai decontestualizzando, per cui ben venga uno spazio apposito dove possano essere osservati da tutti e che non sia difficile da raggiungere.
per brevità non mi addentro agli aspetti che caratterizzano la costruzione di una collezione museale (vedi il commento di Pissenti). Quanto al tuo riferimento circa le esposizioni londinesi delle sculture del Partenone e al museo egizio penso che noi non possiamo pensare di sapere se oggi quei manufatti sottratti (o rubati), ai rispettivi contesti sarebbero stati conservati in maniera adeguata, è certo che però quell’azione ha sottratto a quei popoli un determinato potenziale economico, intellettuale e culturale. Seguendo la tua logica dovremmo portare il colosseo, Pompei o i nuraghi a Londra o a Parigi oppure gli stessi Giganti di Mont’è Prama portati in qualche bellissimo museo danese o tedesco perché, secondo il tuo ragionamento, sarebbero meglio fruibili o maggiormente preservati. Credo che privare il visitatore di un viaggio fino a Cabras sia un danno morale e culturale perché viene castrato il Rituale fatto di gesti ed azioni, ansie e preparativi che poi trovano l’apice supremo nella contemplazione dei Giganti, giusto come accade quando anche tu poi decidi di andare a vedere la Gioconda a Parigi, la Nascita di Venere a Firenze o la Vocazione di San Matteo a Roma.
Come prima cosa senza girarci intorno: la Cagliari pensata dal 2004 al 2009 era di livello internazionale forse visionaria. Oggi, 10 anni dopo, avremmo ben altro che ancora i vuoti urbani. E progetti di Park o parking. Il Betile, mi permisi di polemizzare con la vecchia amministrazione affermando che era ridicolo impedirne la costruzione con motivazioni capziose: per cui ogni volta che si interveniva gli ricordavo che rovinava per loro rovinava lo skyline. Fosse quello