Lo striscione del Presidio di piazzale Trento di fronte alla sede centrale della Banca di Credito Sardo, a Cagliari
Oltre che su questo blog, questo articolo viene pubblicato anche sui siti Fondazione Sardinia, Aladinpensiero.it, Tramas de Amistade, Madrigopolis, SardegnaSoprattutto, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSedda.
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I lavoratori di Sardegna Uno sono ormai in sciopero da oltre cinquanta giorni. A differenza di tante altre mobilitazioni che costellano il nostro disastrato scenario economico e sociale, la loro non fa notizia se non nella misura in cui si rende platealmente evidente.
Da qualche giorno è on line il sito “Chi vuole spegnere l’informazione?”, ideato dal fotografo Nico Massa che ha ritratto i giornalisti e operatori dell’emittente con un cerotto in bocca: “C’è qualcuno che disprezza i giornalisti liberi”, recita una didascalia.
C’è qualcosa che rende indigesta la coraggiosa protesta di una redazione che chiede il pagamento di sei mensilità arretrate e che contesta i tredici licenziamenti (su 27 dipendenti in organico) disposti dalla proprietà. Non solo perché parlare di libertà di stampa vuol dire parlare di tutte le libertà (e questo potrebbe essere per alcuni rischioso) ma anche perché l’informazione isolana sarebbe costretta a mettere in discussione se stessa e le regole che la governano: troppo pericoloso.
Ma c’è anche un altro elemento che costringe la vertenza Sardegna Uno ad essere una notizia “a metà”: la presenza di un imprenditore che, secondo i lavoratori, avrebbe contribuito a provocare la situazione di crisi dell’emittente: stiamo parlando di Giorgio Mazzella, attuale presidente della Banca di Credito Sardo.
Da qualche mese Mazzella ha ceduto la tv e formalmente l’editore di Sardegna Uno non è più lui: suscita però più di un interrogativo il fatto che il passaggio delle quote della società sia costato ai nuovi proprietari appena 4000 euro.
Sardegna Uno ha sempre avuto un ruolo importante nel panorama informativo regionale e proprio l’acquisto da parte di Mazzella aveva fatto sperare in un rilancio dell’emittente: è avvenuto esattamente il contrario.
Gli anni della sua gestione sono stati contrassegnati da scelte editoriali discutibili (ricordo solamente l’episodio che segnò la chiusura del programma di Giacomo Mameli, avvenuta perché l’editore, in una puntata dedicata al precariato, aveva “chiesto” al giornalista di non ospitare l’allora segretario regionale della Cgil Gianpaolo Diana) e da rapporti con la redazione certamente non improntati al rispetto del ruolo dei giornalisti e della loro professionalità e deontologia.
Per questo potremmo dire che la crisi economica poi sopraggiunta è stata come una febbre capace di mettere a rischio la vita di un soggetto già fortemente malato: l’esistenza di Sardegna Uno è oggi appesa ad un filo.
Eppure di Mazzella non parla nessuno. Tutte le redazioni hanno espresso solidarietà ai colleghi, ma le testate (soprattutto quelle con le spalle più larghe, come l’Unione Sarda e la Nuova Sardegna) si sono finora ben guardate dallo scrivere una bella inchiesta sull’imprenditore e sul suo ruolo nella crisi dell’emittente. Questa vicenda non meriterebbe forse di essere approfondita? Perché non raccontare in che modo Mazzella ha gestito la testata? E poi, chi è Mazzella? In quali ambiti economici opera? Perché è stato nominato presidente del secondo istituto di credito isolano? E quali risultati sta ottenendo?
I due quotidiani tacciono, come se quella di Sardegna Uno fosse una vertenza minore. Oppure ci sono argomenti che non possono essere trattati, personalità che devono stare lontano dai riflettori della critica pubblica? Ma non è forse “di ciò che non si può parlare che si deve parlare”?
La storia di Sardegna Uno è emblematica della situazione dell’informazione in Sardegna, ormai in caduta libera. A rischio non ci sono solo i posti di lavoro di tanti professionisti ma la capacità dell’isola di raccontare se stessa, di riflettere su se stessa, di prendere coscienza della sua collocazione attuale nella storia e nel mondo attraverso una pratica (quella del giornalismo) che consente di riportare ad unità tutte le storie e tutte le vicende che la quotidianità fa emergere. È vero, grazie ad internet oggi circolano molte più informazioni: ma “l’informazione” è un’altra cosa.
Senza organi di informazione sani, la Sardegna regredisce paurosamente. L’Unione Sarda e la Nuova Sardegna stanno progressivamente perdendo la loro identità di quotidiani regionali, l’impegno della Rai è quantitativamente inadeguato, l’emittenza televisiva e radiofonica conosce una crisi senza precedenti, le testate on line stentano a decollare.
Come si è potuti arrivare a questo punto? Responsabilità diffuse: i giornalisti hanno perso la capacità di lottare e ragionare come una categoria unita, gli imprenditori non hanno mai visto nel settore editoriale la possibilità di fare business e contemporaneamente contribuire alla crescita della società sarda. La politica invece ha lasciato che la situazione degenerasse, impedendo che il pluralismo fosse un obiettivo possibile e non una parola vuota da pronunciare mentre concretamente forze politiche di ogni schieramento lavoravano per rafforzare l’oligopolio dell’informazione.
La Sardegna attende da tempo un nuovo statuto di autonomia. Saremmo capaci di andare oltre il dettato dell’articolo 21 della Costituzione italiana che si limita a riconoscere che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” e finalmente affermare solennemente che i sardi hanno il diritto ad essere informati da un sistema di testate plurale e libero da ingerenze politiche ed economiche?
Quella di Sardegna Uno è la battaglia decisiva per l’informazione nell’isola: se si perde, ricostruire dalle macerie sarà difficilissimo.
Post scriptum
Domenica 16 marzo, a partire dalle 22.30 ai Sette Vizi, presso la Mem in via Mameli a Cagliari, è in programma la “Festa della stampa solidale”: musica, spettacolo, poesia e soprattutto solidarietà a favore dei lavoratori di Sardegna Uno. Siamo tutti invitati.
Un giorno, se potrai, racconta la storia di Sardegna Quotidiano, scomparso nel silenzio più totale alla fine dell’anno scorso. A proposito di stampa libera (?).
Signor Biolchini, siamo sicuri che Lei esercita un informazione libera? Visto che non pubblica i commenti che a Lei non piacciono? Non lo trovo corretto. Il contenuto dei commenti e’ dunque sezionato, controllato, e se piace bene, se invece disturba a qualcuno o viene detta una verita’ scomoda o una supposizione forse troppo pesante, ma pur semrpe e’ un parere di un libero cittadino, viene censurato. Avendo sempre pensato che Lei fosse uno dei pochi a Cagliari a fare un informazione vera e libera, volta al confronto, devo ricredermi. Almeno mi dia una risposta, proprio su questo blog.
La ringrazio.
Questo blog contiene 35 Mila commenti. Non pubblico quelli offensivi o che rischiano di tradursi in querele per diffamazione. Per il resto, pensi quello che vuole.
Gentile Signor Biolchini, non volevo certamente irritarLa, se pensa che il mio post (quello non pubblicato) fosse offensivo verso qualcuno, o ci fosse un rischio di querela, non potrei fare altro che ringraziarLa per non averlo pubblicato. Deve capire signor Biolchini che spesso i cittadini scrivono senza troppi pensieri, proprio perche’ ci reputiamo liberi di dire cio’ che pensiamo, senza tener conto se dentro quel pensiero scritto ci sia un offesa o un ingiuria pesante, e fatichiamo quindi a valutare se fosse meglio tenercelo per noi stessi o pure no. Ma Lei e’ un giornalista, e quando scrive lo fa con maggiore cognizione e certamente pensa a quello che scrive, e alle eventuali e/o ipotetiche conseguenze. Noi cittadini non del mestiere purtroppo no. Dunque se anche avessi minimamente toccato la sensibilita’ di qualcuno, o la Sua, sappia che le mie scuse sono d’obbligo. Devo ritirare cio’ che ho precedentemente scritto e continuo a pensare oltre che a fare informazione libera, Lei salva anche i suoi followers da eventuali querele.
Grazie ancora per lo spazio dedicato e a tal punto per non aver pubblicato il mio post precedente!
🙂 Ad oggi i commenti arrivati a questo blog sono 43.043, di cui 42.709 approvati. Diciamo che l’esame di censura non lo passo!
Si in effetti no, bocciato in censura 🙂 la ringrazio Signor Biolchini. a presto
Chi ha paura di Mazzella? Vada, caro Biolchini, ai consigli comunali di Tortolì e vedrà gente che ha paura e uno che comanda. E’ un feudo, come ai tempi di Angioy. Non siamo pronti per un paese moderno e neppure novecentesco. Siamo pronti per dire, proclamare che siamo indipendenti e coraggiosi, però abbiamo condizioni come quelle dell’Ogliastra che ancora vivono in un regime feudale. C’è perfino un castello dove vive il padrone, con tanto di mura da scalare. O no?
Non danno più titoli nobiliari.
Salvatore Satta, nel Giorno del Giudizio, ricorda in un incipit memorabile che “ogni bifolco in Sardegna ha due cognomi”.
M i signori riconosciuti non hanno bisogno della farsa dei due cognomi, i veri padroni del feudo oppongono al mondo un solo nome. Gliene basta uno solo.
E’ l’isola non cambierà mai. E’ fatta così, ha bisogno di re locali che hanno capito bene come funziona.
Non ci saranno moti antifeudali. Va bene così.
Buongiorno Vito,
condivido il tuo invito ad approfondire l’argomento.
Sull’argomento ti segnalo un “quelli che” rivisitato, dedicato al nostro. Il sito/blog è appena nato con l’intento di offrire un piccolo contributo al dibattito:
citizenkane.wordpress.com
un saluto
Grazie, ma il blog è vuoto…
Ps
attenzione ai commenti che lasciate, occhio al rischio querela…
Socusa vito,fuori tema completamente,ma siccome lo striscione mi sembra fatto dalla stessa mano di quello apparso ieri al bastione sui morti da inquinamento,chi è il gruppo che li mette o sono anonimi?
Il PRESIDIO DI PIAZZALE TRENTO, cioè un gruppo di militanti per lo più con notevoli esperienze di lotte sociali.
Ti ringrazio scomunigau,hanno un sito?Magari a volte potrei partecipare alle loro manifestazioni
Scusate la stupidità ma pensavo che presidio piazzale Trento fosse la zona pubblicata in foto.Deu seu scomunigau
Li puoi trovare la mattina dei giorni feriali in Piazzale Trento (c’è un tendone ed un box)
Grazie ci passerò
@Zanata&Biolchini
Premessa: Mazzella mi è tutt’altro che simpatico. Tanto per chiarire.
Poi: abbiate pazienza, entrambi, ma c’è qualcosa che non va nella logica di ciò che dite. E una delle cose che dite mi piace pochissimo.
1 “Mazzella fa ciò che gli pare”, significa che un imprenditore, se non viola le leggi, ha il diritto di fare ciò che gli pare. Può piacere o meno, ma nel nostro sistema è così. In una televisione come in una fabbrica di birra. E a me non piace, ma è irrilevante.
2 I lavoratori difendono il proprio posto di lavoro? Certo, è così. Esattamente come i lavoratori di una fabbrica di birra.
3 Difendono la libertà di stampa? No! Neppure per idea. Ciò sarebbe stato se, ad esempio, avessero scioperato perché qualcuno è stato licenziato per non aver voluto scrivere qualcosa che riteneva opportuno non scrivere. O per non aver voluto evitare di scrivere qualcosa che riteneva opportuno scrivere. I lavoratori di S1 difendono, lecitamente, il posto di lavoro. E spero che ce la facciano.
4 Una fabbrica di birra sarebbe diversa da un’azienda editoriale?? E in cosa, se è lecito domandarlo? E non è una domanda oziosa. E’ il punto della discussione. Per questo ho ricordato a Vito che “è di parte”. E che essere di parte ed essere intellettualmente onesti sono due cose diverse. Solo che voi siete del mestiere e per questo vedete ciò che capita dal vostro punto di vista. E in una lotta per il posto di lavoro ci vedete la lotta per la difesa della libertà di stampa. Questo significa essere di parte.
5 Il punto 4 è quello che mi piace pochissimo. Che quando c’è di mezzo l’informazione, chi fa informazione tratta l’argomento da un punto di vista partigiano. E non credo si possa evitare. Però si può farglielo notare. Cosa che sto facendo.
6 Ha preso contributi pubblici?? E allora? Se sono a fondo perduto sono dell’azienda, punto. Se ha violato qualche legge si denuncia. Se glieli ha dati Cappellacci non si vota Cappellacci. Questo con la vertenza non c’entra nulla. I lavoratori non possono appellarsi al fatto che Mazzella ha preso soldi pubblici. Non li ha presi per tenerli al lavoro, questo è il punto. Non c’è un contratto che lo dice.
7 Dite che un imprenditore “serio” avrebbe cercato altre fette di mercato? Può anche essere, ma non sposta il problema. L’azienda è di Mazzella e ne fa ciò che vuole. Questo è il punto vero.
8 Voi sapete come fare “seriamente” l’editore?? Fatelo. Costituite una società/cooperativa e fate il vostro giornale/TV/sitoweb.
9 Non lo fate? Allora sono solo critiche prive di contenuto. Esattamente le stesse che si vedono ogni giorno sui giornali quando un’azienda chiude e i sindacati accusano l’imprenditore di non saper fare il proprio mestiere. Magari è pure vero, ma sono solo chiacchiere.
In conclusione: Mazzella a me piace meno che a voi. Solo che a me non piace il sistema che permette ai Mazzella di fare esattamente ciò che vogliono. Sistema che attualmente è troppo sbilanciato. A favore di Mazzella&Co. S1 è solo uno dei mille esempi che abbiamo nel giardino di casa.
Siccome in Italia l’editoria non sta in piedi se non si copre il disavanzo, allora l’editoria non è libera. Questo è il punto vero. Infatti c’è un solo quotidiano che vive del proprio lavoro e non esercita il diritto di ricevere contributi pubblici. Se anche i lavoratori di S1 l’avessero vinta, non vincerebbe la libertà di stampa. Però sarei felicissimo per loro.
@Vito: hai ragione. “la libertà di stampa è di chi possiede un organo di stampa”. Mazzella ha la libertà di stampa. I suoi dipendenti no. Ma questo con la vertenza S1 non c’entra niente.
Vito,
tu “sei” di parte. Lo insegnano il primo giorno in qualunque corso di giornalismo.
Probabilmente vuoi dire una cosa diversa: che scrivi ciò che pensi e non ciò che potrebbe farti comodo. Ma questa non è mancanza di partigianeria, è onestà intellettuale. Un’altra cosa.
E siccome l’onestà intellettuale è indimostrabile, meglio non prenderla in considerazione. Perché fonte di litigio.
Tutto questo detto proprio in relazione al merito del post.
Sardegna1 non chiude perché Mazzella è cattivo e non tollera la libera informazione. Chiude perché, dato lo stato attuale dell’economia, ci sono troppe televisioni per un mercato così piccolo come il nostro. Come osserva correttamente Porcella.
E proprio tu lo confermi argomentando sulla web-TV.
Insomma: quanti giornalisti può nutrire una comunità in crisi di un milione e mezzo di persone?
E non è che se ne parli poco. Se ne parla quanto delle altre aziende in crisi. Solo quando c’è qualcuno che salta dalla finestra o si incatena a un traliccio.
Ciò detto, piacerebbe anche a me un’inchiesta su Mazzella. Ma anche su Soru, per dire. E su un sacco di altri. Ma il giornalismo d’inchiesta in Sardegna è praticamente morto. Altro che Mazzella.
Infine due cose.
La prima sulla qualità generale del giornalismo in Italia. Che è, in parte, alla radice anche dello stato di crisi di Sardegna1.
“Il giornalismo scadente italiano ha allevato un lettorato di bassissime pretese.”
http://www.wittgenstein.it/2014/02/13/cinque-cose-sul-delirio-di-questi-giorni/
La seconda.
Che i giornalisti di Sardegna1 siano bravi o meno. Che la colpa sia di Mazzella o di chiunque altro.
Spiace che altre persone si aggiungano all’esercito di disoccupati, precari, inoccupati – sardi e non – che vivono nell’incertezza. Al netto dei nostri cazzeggi, c’è altra gente che deve inventarsi un modo per dare da mangiare ai figli.
Amico, tu confondi la causa con l’effetto. C’è chi la crisi la combatte e chi la cavalca per avere una posizione di dominio assoluto sulla forza lavoro.
Vito,
se anche fosse così, allora non parlare di S1 come del simbolo di chissà cosa. C’è un imprenditore che fa ciò che vuole in casa propria. In una televisione come in una fabbrica di birra. Non è un attentato alla libertà di stampa. Piuttosto alla dignità dei lavoratori. E questo si vede e se ne parla ogni santo giorno. Mazzella o no.
Un imprenditore fa ciò che vuole in casa propria?? Una televisione è come una fabbrica di birra????
Sardegna Uno è il simbolo della lotta di lavoratori che con coraggio e dignità difendono il loro posto di lavoro e le loro prerogative professionali. Cioè la libertà di stampa.
Premessa: la situazione di Sardegna 1 è molto più complessa e articolata di quanto si possa credere. Tuttavia, perdonami, un’azienda editoriale non può essere paragonata a una fabbrica di birra. Detto questo, un imprenditore può fare ciò che vuole in casa propria, siamo d’accordo, ma soltanto quando risponde del proprio denaro. Nel caso di Sardegna 1 stiamo parlando di un imprenditore che è stato foraggiato abbondantemente con fondi pubblici. Oltre ai contributi previsti dalle leggi sul sostegno all’editoria (e non sono briciole) Sardegna 1, negli ultimi tre anni, ha ricevuto dalla Regione oltre un milione e 200 mila euro per pubblicità istituzionale e altri capitoli. Le cifre sono state rese pubbliche da Cappellacci nel novembre scorso davanti alla commissione competente in consiglio regionale. Negli ultimi due anni, i dipendenti si sono tagliati lo stipendio del 33 per cento consentendo all’azienda di risparmiare 800 mila euro. Sono conti della serva, ma forse rendono l’idea. Un imprenditore serio – crisi o non crisi – avrebbe cercato in questi anni di trovare nuove fette di mercato pubblicitario. Invece da ormai tre anni la struttura pubblicitaria di Sardegna 1 è costituita da un solo agente. Potrei continuare ma credo sia sufficiente a farsi una vaga idea di ciò che è avvenuto e sta avvenendo.
“La libertà di stampa è per chi ha un organo di stampa”…dicevi così più o meno Vito ? Bene, ho paura che la TV Sardegna 1 sia arrivata al capolinea come azienda, perché oramai non c’è sufficiente pubblicità nelle TV locali (a parte giusto Videolina) per farle sopravvivere.
Inutile prendersela solo con Mazzella. No c’è spina po sa gattu. Oramai noi giornalisti senza una casa madre con le spalle forti, possiamo fare solo gli editori di noi stessi sul web, come fai tu d’altronde. Sempre che riusciamo a pubblicare qualcosa che la gente legge o vede. Aldilà delle colpe di Mazzella e del giusto risarcimento che i nostri cari amici colleghi meritano, io penso che dovrebbero però pensare di organizzarsi in una piccola cooperativa e fare un sito es. sardegna1online.it o org o sukibolisi e fare una volta al giorno il loro TG, con le loro facce, riprendendosi con le loro telecamerine mentre presentano i fatti o intervistano i politici. Si, quei 5-6 bravi colleghi giornalisti che per anni hanno rappresentato l’azienda e l’hanno tenuta ad un alto livello di informazione. Lasciate agli avvocati i vostri diritti legali, e anziché continuare gli scioperi unitevi e fatte una nuova vostra testata online a costi quasi zero e a ricavi ripartiti. Gianni, Mario,Andrea, Stefano, Stefania, Giuseppe provateci, siete in tempo. Tu Vito cosa ne pensi ?
Non lo so. Una testata on line non è vero che non ha costi, proprio per niente. E i ricavi sono spesso modesti, a fronte anche di un buon prodotto e di un gran lavoro.
Chi disturberebbe il presidente di una banca che presta denaro a un mucchio di pmi sarde e a enti fra cui la RAS? Più facile che i politici gli srotolino la lingua a tipo tappeto rosso, a prescindere dal colore politico
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Da lettore/ascoltatore dei giornali e telegiornali, non posso non esprimere la mia solidarietà a tutti ( e sottolineo tutti, giornalisti e tecnici ) i lavoratori della TV Sardegna 1. Ciò premesso, non sono affatto d’accordo con coloro i quali auspicano un intervento della “mano” pubblica per la salvaguardia di questi posti di lavoro; o meglio ben venga la mano pubblica ma solo sottoforma di finanziamenti agevolati finalizzati al rilancio delle attività, e non elargizioni di danaro pubblico a fondo perduto. Nel corso dell’ultimo ventennio, se non di più, la politica, attraverso le elargizioni a pioggia a tutta l’editoria, si è impossessata dell’informazione rendendola servile ed addomesticata. E vero che esistono delle eccezioni, e questo blog che ci ospita possa essere citato come esempio, ma non si può certo affermare che Sardegna1 rientri fra queste. A mia memoria non mi pare che questa emitente abbia mai brillato per ascolti e mi pare di ricordare anche lo stato di crisi nel quale versava all’atto dell’arrivo del nuovo editore Mazzella, salutato come salvatore dall’intera comunità giornalistica sarda. E non è che allora l’imprenditore/banchiere in questione non fosse considerato una colomba, anzi!
Sottoscrivo lettera per lettera, virgola per virgola, punto per punto l’articolo di Vito.
Grazie Vito. Se mi consenti, copio e incollo anche sul mio sito.
Sottolineo il passo “i giornalisti hanno perso la capacità di lottare e ragionare come una categoria unita”. Verissimo. L’autocritica, innanzitutto. Perché nel disastro del panorama editoriale sardo (ma direi anche italiano) le responsabilità dei giornalisti ci sono eccome, e rappresentano purtroppo una percentuale importante.
Ma ancora più gravi sono le responsabilità della politica, quasi completamente assente in questa vertenza. A parte qualche mozione e interrogazione – iniziative di singoli consiglieri regionali, deputati e senatori del PD, di SEL, del M5S e dei Rossomori – il resto è silenzio, alquanto imbarazzante, per non dire altro. E se non è silenzio è qualcosa di peggio. Come – tanto per dirne una – la delibera, firmata da Ugo Cappellacci 20 giorni prima del voto, con la quale la Giunta Regionale ha stanziato 268.000 euro a favore di Sardegna Uno TV per l’acquisto di filmati d’archivio da destinare alla Sardegna Digital Library. Decisamente un gran bel favore a un editore che, sprovvisto dei soldi per pagare gli stipendi, ora potrà utilizzare quei soldi per far fronte al costo di tredici licenziamenti.
Questo è quanto (non) ha fatto la politica in questi mesi. O, per meglio dire, quanto ha fatto la politica per l’editore di Sardegna 1, non certo per i lavoratori di Sardegna 1.
La domanda adesso è: che cosa farà o che cosa potrà fare Pigliaru?
Il neo presidente della Regione conosce bene la situazione. Aspettiamo che si insedi la Giunta. Sempre che non sia troppo tardi.
Ma, Pigliaru o non Pigliaru, Giunta o non Giunta, il nodo del problema, il cuore di questa vertenza resta sempre lo stesso, ben sintetizzato dalle domande di Vito: “Chi ha paura di Giorgio Mazzella? In quali ambiti economici opera? Perché è stato nominato presidente del secondo istituto di credito isolano? E quali risultati sta ottenendo?”.
Io aggiungo: quali intrecci e (mal)affari tra politica, economia, banche e (dis)informazione si stagliano sullo sfondo della vertenza Sardegna 1?
Sembrano domande retoriche. Ma non lo sono affatto.
Sottoscrivo tutto l’articolo, magari una bella indagine giornalistica la facciamo fare ai soliti giornalisti romani o milanesi, così ci mettiamo l’anima in pace e magari anche il portafoglio. Con affettuosa serenità delle nostre migliore penne ( come usavasi dire un tempo).
Al di là della pessima gestione Mazzella, il giornalismo Sardo in generale non naviga in buone acque, e la crisi generale dell’informazione è dovuta anche alla parzialità di una parte del nostro giornalismo, che ha abdicato dal ruolo di offrire il suo contributo all’opinione pubblica: io sono contrario a quanti propongono denaro pubblico per risolvere la situazione, perché quel denaro produce quel tipo di parzialità che impedisce all’informazione di contribuire allo sviluppo generale. Senza la critica politica non esiste spirito riformistico, e senza spirito riformistico non esiste sviluppo economico (quello che grazie agli sponsor garantirebbe un più robustezza sul mercato alla nostra editoria informativa). Ma si sa, il mondo reale non funziona così.
Non è il denaro pubblico che produce parzialità ma la malafede e la cattiva professionalità dei giornalisti e l’incapacità degli editori. Io vengo pagato dal servizio pubblico (sono un collaboratore della Rai), posso fare errori nel mio lavoro ma non posso essere accusato di parzialità (sfido chiunque a farlo). Le ricette liberiste non risolvono i problemi dell’informazione, casomai li accentuano.
Mi riferisco a chi sostiene l’utilità di dare denaro pubblico a editori privati, la parzializzazione si crea anche così e non aiuta sicuramente la qualità dell’informazione (che a quel punto dipende da chi eroga la moneta contante, come sai anche tu in Sardegna abbiamo avuto qualche esempio).
Per la RAI il discorso è più complesso, se il privato ha più mano libera il servizio pubblico dovrebbe essere vincolato da chi lo stipendia, cioè i cittadini. Ad esempio pur essendo pagata anche dai contribuenti Sardi non ha una programmazione in Sardo all’interno del suo ampio pacchetto televisivo in digitale (e sul terzo canale dell’informazione regionale). E quindi è un problema politico. Io sono per il modello radiotelevisivo del Quebec, ma quì è ancora un discorso impervio da affrontare.