Vi propongo la traccia del mio intervento di ieri nel corso della presentazione dell’associazione Sardegna Sostenibile e Sovrana. Nella foto di P. Fusciani, una scena dello spettacolo “In su chelu siat” di LucidoSottile (da sinistra, Margherita Delitala, Felice Montervino e Emanuele Masillo).
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Non è casuale che il primo tema di cui trattiamo oggi è la cultura.
Tutti gli schieramenti politico parlano di cultura ma in maniera superficiale, residuale o strumentale.
Noi invece vorremmo che la cultura fosse posta al centro della questione politica sarda.
Questo cosa significa?
Significa mettere più cultura in ogni ambito e quindi più competenza (con più chiarezza negli obiettivi da perseguire e negli strumenti che vogliamo utilizzare per perseguire quegli obiettivi), e più competenza anche nella cultura con le specifiche politiche che hanno bisogno di concretezza.
Se vogliamo mettere la cultura al centro dell’azione politica ci dobbiamo chiedere perché invece oggi la politica cerca di espellere la cultura dal suo orizzonte.
Perché ci sono state due fratture, due strappi che dobbiamo ricucire.
Il primo strappo attiene a quel modello di sviluppo economico che noi oggi rifiutiamo, quello nato dagli anni della Rinascita, frutto di una politica che si è detta Autonomistica. Quel modello economico è stato favorito da una cultura che è stata dannosa quanto le ciminiere.
Questa è la frattura: oggi tutti in Sardegna si dicono questo modello di sviluppo non lo mettono in relazione al modello culturale corrispondente.
Quindi non c’è nuovo modello di sviluppo per la Sardegna se non c’è una nuova prospettiva culturale per la Sardegna.
Quale è dunque questa prospettiva? Cosa ci è stato tolto e cosa ci è stato imposto? Qual è l’equivalente culturale delle specificità della nostra economia che sono state messe da parte per favorire la petrolchimica? La lingua: la lingua sarda.
Bisogna avere il coraggio di dire che se si vuole un nuovo modello di sviluppo economico (che passa attraverso la valorizzazione di ciò che noi siamo e che abbiamo, tutte cose che non vi sto a ripetere perché le dicono tutti), bisogna avere il coraggio di dire che la necessaria premessa di questo nuovo modello è una cultura basata finalmente sul bilinguismo.
Allora in questo modo la lingua sarda diventa qualcosa che oggi ancora non è, cioè un fattore di cambiamento anche economico della Sardegna, perché crea il migliore contesto possibile nel quale noi possiamo esprimere compiutamente ciò che siamo e che vogliamo diventare.
Non possiamo pensare che la Sardegna cambi soltanto per effetto di opere pubbliche, ci sono infrastrutture materiali e infrastrutture immateriali, e la lingua è la più importante infrastruttura immateriale che abbiamo. E siamo fortunati ad averla.
Una nuova cultura basata sul bilinguismo che sia cultura di governo di una nuova classe dirigente. Invece oggi tutti che dicono di volere un nuovo modello di sviluppo, lo vogliono portare avanti con la cultura ormai sorpassata dell’autonomismo, quella secondo cui la Sardegna va bene se l’Italia va bene, che basta essere un vagone attaccato alla locomotiva italiana per uscire dalla crisi.
Ma chi guida la locomotiva: Renzi, Civati, Cuperlo? Qual è la loro idea di Sardegna? Non c’è, non esiste, non può esistere.
Nuovo modello di sviluppo vuol dire nuovo protagonismo responsabile e coerente, non gregarismo che vede la classe politica cambiare a seconda delle convenienze. Il sovranismo ha una base culturale, che parte da un principio di competenza e di responsabilità. La politica sarda deve trovare in se stessa la forza e le competenze per tirare fuori la Sardegna dalla crisi.
E il bilinguismo è un fattore fondamentale in questo processo di consapevolezza. Se diciamo no allo sviluppo economico non più sostenibile, dobbiamo dire no anche al monolinguismo italiano che di quel modello di sviluppo è precondizione necessaria.
Non voglio entrare oggi nello specifico delle politiche linguistiche portate avanti in questi anni, ci sono luci ed ombre. Ma attenti alle polemiche strumentali: intanto condividiamo l’obiettivo finale, che è il bilinguismo. Perché se non si condivide questo obiettivo, la discussione si trasforma solo in polemica.
Secondo strappo da ricucire: quello tra la sinistra, lo schieramento progressista e il mondo della cultura. Noi non capiamo la crisi della sinistra se non capiamo la crisi profondissima che si è aperta tra cultura e politica, l’abisso quasi incolmabile, l’estraneità che c’è oggi tra chi produce cultura e la politica.
Se non recuperiamo gli intellettuali e la cultura, la Sardegna non cambia, non si salva. E diciamoci chiaramente che le distanze tra questi due mondi aumentano ogni volta che la sinistra va al potere.
La politica oggi non capisce la cultura, e la politica di sinistra capisce la cultura meno delle altre forze politiche.
Se la sinistra quando va al potere mortifica gli operatori culturali e gli intellettuali, quale cambiamento ci può essere?
Io voglio dare la mia personale solidarietà ai lavoratori del Teatro Lirico di Cagliari, non solo per tutta la vicenda assurda legata alla nomina del nuovo soprintendente, ma soprattutto perché il presidente della loro fondazione si è permesso di dire che i lavoratori veri erano quelli con caschetto giallo, non loro, coristi o professori d’orchestra.
A questo è arrivata la sinistra.
A non riconoscere la ricchezza rappresentata dalle associazioni che costituiscono la spina dorsale della nostra offerta culturale. Associazioni a cui vanno le briciole: a Cagliari circa 400 mila euro per una novantina di associazioni. Vi sembrano molti? Ma lo sapete che rifare sessanta metri di miro in via San Saturnino costerà 350 mila euro? Questi sono i parametri di riferimento.
Se viene meno questo rapporto stretto tra politica e cultura è chiaro che ogni politica culturale in tempi di crisi è fragile. Perché ogni euro speso oggi per la cultura agli occhi delle persone nomali sembra un euro buttato.
Eppure questa è l’epoca storica dell’intangibile, dell’immateriale, della creatività che si diffonde in tutti gli ambiti della società, l’immateriale che crea economia, e noi questa creatività dobbiamo sostenerla veramente.
Creatività che produce ricchezza: ma se questa creatività viene mortificata dalla politica che ha espulso la cultura dal suo orizzonte, che non sa giustificare davanti agli occhi dei cittadini gli investimenti in cultura, dove andiamo? Dove andiamo con una politica di sinistra che non sa difendere gli investimenti in cultura mentre sa giustificare benissimo i 20 milioni all’anno buttati con la Carbosulcis?
Non solo poche risorse oggi ma gestite anche male: è questo che sta affossando la cultura. E con la crisi che sarà sempre più dura serviranno competenza e coraggio, idee chiare, perché si possa salvare il salvabile. Nel prossimo bilancio della Regione al momento per lo spettacolo ci sono zero euro. Bisognerà intervenire per salvare la quantità ma soprattutto per salvaguardare la qualità delle produzione.
La politica si allontana dalla cultura e la mortifica con politiche di settore sbagliate e dannose.
Partiamo dal teatro. Sapete quali sono le nostre nuove cattedrali nel deserto? Sono quei teatri enormi costruiti con i fondi europei e che ora restano chiusi o sottoutilizzati, perché la mancanza di programmazione ha portato alla nascita di mostri.
Mogoro, Monastir, Paulilatino, Dorgali, Quartu hanno spazi belli che resteranno inutilizzabili perché i comuni non hanno pensato che un teatro da300- 500 posti ha bisogno di risorse perché sia un teatro vivo. Ecco quali sono i drammi dell’incompetenza: i teatri inutili perché i comuni non avevano messo in conto che una volta finiti bisognava anche saperli gestire.
Ripeto: in questo modo è chiaro che diventa difficile davanti agli occhi dei cittadini sostenere anche gli investimenti culturali buoni e giusti.
Il cinema dappertutto è fattore economico di sviluppo. La Regione ha fatto una legge che non serve, inutile.
Perché la sinistra fa cattive leggi quando si occupa di cultura? Perché non parte dall’analisi dell’esistente ma si pone solo l’obiettivo di spendere i soldi che sono a disposizione o di fare calare in Sardegna modelli presi altrove. Non agisce su in scala 1 a 1 perché non conosce il territorio, non conosce le realtà.
L’editoria in Sardegna sta collassando. Chiudono giornali, radio, le tv. E questa è una questione di sovranità. Chi deve raccontare quello che sta succedendo in Sardegna? Abbiamo la forza per farlo noi o deleghiamo il racconto della nostra quotidianità ad altri?
La legge 22 del 98 per l’editoria in Sardegna era una buona legge che non è mai stata applicata. Anzi, uno dei primi atti del governo Soru nel 2004 fu quello di svuotare la legge e di non finanziarla. Eppure ci sono ancora nella 22 parti molto innovative che potrebbero sostenere le imprese editoriali. Ma per la politica sarda anche, quella di sinistra, i problemi dell’editoria si risolvono avendo ottimi rapporti con gli editori.
Adesso parlano tutti di Sardegna Uno, ma i problemi di questa emittente sono noti da tempo: Perché non ne parla nessuno? Perché la politica dà solidarietà ai lavoratori ma non punta il dito su chi ha creato questo disastro? Chi è Mazzella, chi è che lo ha sostenuto in questi anni, chi lo ha voluto alla guida della Banca di Credito Sardo?
Oggi senza una politica seria di sostegno pubblico alle imprese editoriali, l’editoria muore, quindi muore la capacità dei sardi di riflettere su sé stessi, di capire chi sono e cosa vogliono.
L’editoria sarda è fatta di tante piccole imprese che raccontano le nostre comunità.
Anche in questo caso, la contraddizione è evidente: si vogliono portare avanti politiche per evitare lo spopolamento dei piccoli paesi ma poi quando si tratta di sostenere le piccole emittenti o le riviste che tengono unite le comunità, non ci sono risorse.
Anche qui, basta con i modelli calati dall’alto, analizziamo la nostra realtà, mettiamo i nostri bisogni davanti a qualunque cosa. Premiamo la qualità, perché il sostegno pubblico serve per aiutare le imprese culturali che funzionano a crescere bene, e non per cercare di salvare situazioni compromesse. Sardegna Uno andava salvata anni fa con l’applicazione della legge sull’editoria, è chiaro che adesso la situazione è difficile.
Ci sono tre proposte di legge che giacciono in consiglio per una nuova normativa sull’editoria in Sardegna, e non se ne farà nulla. Ma questa deve essere una priorità del prossimo consiglio regionale, perché senza informazione non c’è opinione pubblica, e senza opinione pubblica non c’è democrazia.
La cultura crea il contesto nuovo in cui vogliamo operare. Se noi manteniamo questa dipendenza culturale dai modelli italiani, che non sono né buoni né cattivi in sé ma che ci sono sostanzialmente estranei perché l’età dell’Autonomia è chiusa, è finita; se noi non siamo in grado di far nascere una nuova classe dirigente e politica consapevole della necessità che il nuovo modello di sviluppo per la Sardegna ha bisogno di un nuovo modello culturale basato sul bilinguismo e sulla conoscenza concreta della nostra realtà; se noi non partiamo dalla cultura, ogni altra azione politica, anche la più intelligente, alla lunga sarà vana, non servirà a niente.
Questo è il sovranismo: una cultura nuova, un cambiamento di contesto, perché altrimenti con queste regole, in questo gioco non vinceremo mai.
Per pro non pessare ca totu sos democraticos de su P.D. de tzentru ischerra politicu siant tzentralistas chergio ventomare sos democraticos chi sunt autonomistas e federalistas. Sunt custos sos reformistas populares chi cherent sa limba sarda reconnota in sas iscolas publicas iscrita cun sas regulas de sa Limba Sarda Comuna, una fiscalidade illebiada e su federalismu est a narrere s’autonomia prena pro sa Sardigna. In sas primargias de su P.D. ant botadu pro Rentzi e non nde cherent prus mancu s’intesa de ammentos de figuras tzentralistas comente sa de Enrico Berlinguer, e de sos eretzeris suos, e fintzas mescamente de tzertos cussigieris e politicos regionales, a bortas de verteri podatarios nos de biddas mannas, chi giughent galu custu modellu comente assemprue e chi in prus no ischirriant sa politica dae su sindigadu de sa Confederatzione Generale de su Traballu. A Rentzi omine de gabale e ministru primargiu venidore si depent pedire reformas autonomistas e defesa de sa limba.
Sunt sos figios de sa cultura tzentralista e sos sighidores issoro sardos chi non fueddant sa limba sarda e sunt propriu sos intelletuales de custa gasta chi creent de aere issos ebia sa veridade in butzaca e chi sunt sempere in contra de sa limba sarda istandarditzada. Ma su tempus est cambiende e sos chi sustenent sa limba sarda sunt semper de prus. Su sardu est una limba ischirriada dae s’italianu e cheret istudiada bene e comente di deppet fintzas in s’iscola publica. Cras sa classe dirigente venidora de Sardigna at a essere sardufueddante. Sa majoria de s’ischerra politica de sos partidos italianos no at galu cumprendidu custu. Ma b’at peri gente de su P.D., e non est paga, chi est de verteri federalista e automista chi nche bidet prus a dainnantis de sos cumpangios de partidu suos. Totus cuddos chi sunt in contra a su sardu cumentzent a timere su giuditziu de s’istoria. Parabenes e megius profetu pro custu traballu galanu.
Personalmente credo che la lingua sarda (quale che sia) sia per l’appunto solo un’altra lingua per esprimere le idee. E allo stato attuale non ne vedo molte all’orizzonte, sia nella vecchia che nella nuova ipotetica classe dirigente, qualunque lingua decida di parlare.
Augurios mannos
Vito, noi Sardi è ben noto che per le nostre carenze infrastrutturali, siamo cittadini di serie C. Non potendoci permettere alternative ai nostri obbligati spostamenti quotidiani, siamo costretti a percorrere tanti km e tante ore in macchina. Spesso alla radio mi capita di incrociare alla ricerca dei canali da sintonizzare Radio Press, mi dispiace che al di fuori della musica, l’emittente non possa trasmettere queste evoluzioni culturali e questo fermento che scuote il dibattito nella società Sarda, per una Sardegna Solidale e Sostenibile. Buon lavoro.
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Prima di tutto, voglio esprimere un sincero augurio per le future attività dell’associazione.
La missione insita nel nome è stimolante quanto affascinante, perchè riunisce tematiche fondamentali per il futuro.
Entrando nello specifico dell’intervento, condivido il valore strategico che riponi nella necessità di tradurre valori culturali nell’attività politica e, sopratutto, nella costruzione di un nuovo modello di sviluppo.
Non sono invece convinto che il bilinguismo abbia, nella realtà, la valenza strategica che descrivi.
Questo non significa che non sia conscio del ruolo importante che detiene come strumento di comunicazione e come elemento qualificante del nostro produrre inteso sia a livello materiale che immateriale.
Ma non ha quella valenza fondamentale che ho letto nel tuo intervento, perchè la sfida che ci aspetta ha un livello di complessità dove le leve da attivare (o riattivare) sono tante e tutte fondamentali. Focalizzare o dare priorità in forma così disequilibrate, è, alla lunga, estremamente rischioso.
Comunque, buon lavoro.