Cosa fare davanti alla crisi di senso che sta travolgendo la nostra società e le nostre istituzioni? Forse la cosa migliore è condividere informazioni, punti di vista, riflessioni: per stimolare un dibattito che sappia offrirci una prospettiva, una speranza. L’intervento che vi propongo è firmato dal sociologo Salvatore Cubeddu, direttore della Fondazione Sardinia. Proprio nello spirito della condivisione, oltre che da questo blog, la riflessione di Cubeddu è on line sul sito Aladin, e presto anche us quello della Fondazione Sardinia e del portale Tramas de Amistade.
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Torno indietro di una decina di giorni, cercando tematiche da proporre in editoriali, come scrivessi sulla prima pagina di un giornale quotidiano.
Oggi è l’8 maggio, parlerei delle dighe da svuotare, se un terremoto fosse in vista. E titolerei: “Sono pazzi questi italiani”. Solo ieri l’aereo ha scaricato un’altra carrettata di mafiosi per le carceri appena aperte. La settimana scorsa è stata riportata da qualcuno dei media l’intenzione di mandarci scorie nucleari insieme a qualche nuova centrale. Appunto perché siamo ambiente non sismico. Non pensano mai a noi, perciò fanno delle cappellate. Meglio: quando ci pensano, è solo per fare i cavoli loro, assegnandoci i loro rifiuti, materiali o umani non importa. Che ci arrivano da ogni dove: carceri, industrie, impiegati pubblici, assicurazioni, persino la Chiesa con qualche suo vescovo.
Ma ieri è stato seppellito Giulio Andreotti e i grandi giornali hanno raccontato la brillantezza e le tenebre del personaggio. Vivente e lunga metafora sulle luci e sulle oscurità del potere. Nessuno si è chiesto come potesse fare quotidianamente la comunione uno che progettava delitti, persino sanguinosi, da affidare o gestire con la mafia.
Nel tanto dibattere di crisi della politica e dei compiti dei rappresentanti del popolo i commentatori insistono sul servizio alla comunità. Trascurano, però, o affettano pudore quando si tratti di entrare nel merito di uno dei connotati più specifici della politica, il potere, la faticosa e complessa battaglia per la sua conquista ed, una volta conquistato, la fatica per difenderlo e mantenerlo. E, quindi, il suo esercizio al fine, nel migliore dei casi, di fermare il malaffare attraverso le leggi e di offrire soluzioni ai problemi.
Eleonora d’Arborea, nella Carta de Logu, nel 1392, lo diceva così: “Raffrenare e contenere la prepotenza degli uomini iniqui e malvagi acciocché i buoni, i puri e coloro che non commettono il male possano vivere e stare sicuri tra gli iniqui…”. Eppure la conquista e il mantenimento del potere nelle pur sgangherate istituzioni sarde evidenza e spiega tante delle “cose impossibili” che non si riesce a risolvere: la libertà dell’insieme della classe politica sarda, l’unità dei movimenti sardisti ed indipendentisti, la difesa del patrimonio da destinare alla sovranità alimentare e al benessere paesaggistico, la valorizzazione in proprio delle nostre risorse…. E via elencando.
Con i monumenti aperti, la domenica 12 maggio, si conclude un ciclo di feste iniziato il 25 aprile. Feste civili e religiose, sarde e italiane, stanziali o in processione, a carattere istituzionale o a protagonismo di massa. Un formidabile concentrato di messaggi, potenziali fonti di valori per i feriali tempi della quotidianità.
La libertà conquistata con il sangue e la lotta (la Liberazione italiana e Sa Die), il sacrificio fino al martirio nella difesa degli ideali collettivi e personali (la Resistenza e S. Efisio), la conoscenza e la valorizzazione degli spazi vissuti da chi ci ha preceduto (Monumenti Aperti). Nessuna notizia o riflessione ex-post ci ha spiegato perché nessuno del governo regionale partecipasse al ricordo della Liberazione, perché Sa Die sia ritornata patrimonio della sola militanza culturale, perché ci si preoccupi che Sant’Efisio resti spettacolo per turisti invece che la celebrazione della speranza nella storia, anche di fronte e dopo una terribile peste.
Non si riflette. Il popolo sardo sembra allo sbando. Chi dirige e rappresenta le sue istituzione non sa, non vuole, non è interessato, al continuo farsi della storia della Sardegna. Così come i principali media quando raccontano la quotidianità della nostra vicenda: cronaca di sfigati (incidenti stradali, sul lavoro, inquinamenti, intemperie naturali, siccità, malattie di uomini e animali…) e/o di delinquenti (bombe contro gli amministratori, rapine in crescita, pubblica corruzione… e via politicizzando). Non esiste un fine, un tracciato, un popolo in cammino verso un dove. Sfruttati e/o abbandonati nella storia di altri.
Eppure abbiamo una natura speciale, qui non si danno terremoti. Una sensibilità per la cosa pubblica ha anticipato con i dieci referendum del 2012 delle decisioni istituzionali ancora da venire per lo Stato italiano. La coscienza di una nostra servitù derivata da quella dei partiti e del ceto politico si diffonde anche nelle località più lontane. I sei mesi che ci attendono rivelano capacità festive evidentemente espressioni di vitalità e di prospettiva. Non pochi tra i sardi amano la propria terra e stimano i propri concittadini. Noi tra essi.
Salvatore Cubeddu
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