Mi ha molto impressionato leggere sulla Nuova Sardegna di ieri che Tore Cherchi (presidente della Provincia del Sulcis Iglesiente, a lungo parlamentare nelle file del Pci-Pds, poi esponente del Pd) ritiene che “l’autonomia speciale è stata svuotata e svilita innanzitutto in Sardegna”. Secondo Cherchi, “la specialità è stata usata anche per costruire un sistema pubblico inefficiente e con costi di funzionamento più alti di almeno 400 milioni di euro per anno, rispetto al corrispondente medio delle regioni di diritto ordinario”.
Sarebbe interessante chiedere a Cherchi di argomentare meglio questa posizione che, nella sua semplicità, si presta a diverse interpretazioni. Per esempio, la dichiarazione si potrebbe configurare come una ammissione di responsabilità da parte di una classe dirigente di sinistra che si è sempre definita “autonomista” ma che poi in realtà per decenni ha perseguito politiche diverse da quelle dichiarate. In questo caso Cherchi sarebbe, paradossalmente, un reo confesso.
Oppure la sua dichiarazione potrebbe essere (e secondo me lo è) un attacco silenzioso alle ragioni della nostra specialità. Ma con quale obiettivo?
Che l’autonomia abbia funzionato male è sotto gli occhi di tutti. Ed è su questo che bisognerebbe interrogarsi, senza cedere alla tentazione (sbagliata, sbagliatissima) di fare raffronti con le ragioni a statuto ordinario, come invece Cherchi fa.
E come ha fatto sempre ieri l’inviato del Sole 24 Ore, Mariano Maugeri. Il senso complessivo che emerge dal pezzo “A Cagliari la spesa è senza fondo” è che l’autonomia speciale non serva a niente, e che sia anzi una valida copertura per giustificare soprattutto la voracità (e non la prevalente incapacità) delle nostre classi dirigenti. Come in Sicilia, aggiungo io, dove però la situazione è completamente diversa e dove una parte dell’opinione pubblica chiede che l’isola rinunci al suo status di regione a statuto speciale. Evidentemente se lo possono permettere (forse anche perché la rappresentanza politica in ambito nazionale della Sicilia è numericamente superiore a quella della Sardegna).
Questa interpretazione dell’autonomia sprecata piuttosto che negata fa una grande presa anche tra le persone di buonsenso ma rischia di essere usata al momento giusto contro di noi. Contro la Sardegna, contro le sue sacrosante ragioni di isola che per uscire dalla crisi ha bisogno non solo di usare meglio la sua autonomia ma di pretenderne anzi di più. Dall’Italia e dall’Europa (a cui, non caso, i nostri sindacalisti si sono rivolti da tempo per chiedere che anche formalmente il tema dell’insularità venga tenuta in debita considerazione nelle politiche di sviluppo).
Dovremmo difendere lo Statuto di autonomia con lo stesso coraggio con cui spesso difendiamo la Costituzione. Invece questo non accade, e gli esiti sono paradossali. La stessa Agenzia sarda delle Entrate (proposta dal Fiocco Verde e che tanti consensi sta suscitando tra le amministrazioni locali) discende in realtà proprio dalla carta autonomistica, “ma spesso qualcuno teme la reazione dello Stato”, mi ha spiegato poco tempo fa Franciscu Sedda, “come se noi sardi fossimo timorosi di esercitare quei diritti che lo Stato già ci riconosce”.
La frase di Tore Cherchi preoccupa, e anche molto. Perché non vorrei che, in tempo di montismo più o meno strisciante (perfino a sinistra), di spending review brandita anche contro i malati di Sla, il prezzo da pagare da parte delle nostre classi dirigenti di centrosinistra per essere assimilate e accettate dall’establishment nazionale sia quello di ripudiare le ragioni della specialità. Per un posto da sottosegretario, o più banalmente, solo per sedere ai tavoli che contano. Non sarebbe la prima volta che accadrebbe nella storia della nostra isola.
Invece le ragioni della specialità della restano intatte e chiedono al governo nazionale non risorse aggiuntive (perché i soldi ormai sono finiti) ma soprattutto politiche differenti.
Più autonomia, più specialità: solo così la Sardegna può uscire dalla crisi. E noi, stiamo selezionando la classe dirigente adatta per questo compito? Chi andrà in parlamento saprà opporsi agli ordini di partito se questi dovessero danneggiare gli interessi della Sardegna?
Scusate il mio pessimismo ma trovatemi un parlamentare sardo ,di qualsiasi credo politico, che,una volta arrivato allo scranno del governo italiano,non abbia fatto finta di non essere sardo e,di conseguenza,se ne sia fregato dei problemi drammatici della Sardegna.
Nanni Loi, Giovanni Battista Columbu
Prima di buttare l’acqua sporca c’è una cosa da fare: togliere il bambino dalla bacinella. Prima dell’indipendenza c’è da prendere il diritto contenuto nello statuto. Il Comitato Fiocco Verde ha dimostrato come si possa, e si deve, prima agire istituzionalmente, e fermamente, per prenderci ciò che ci spetta. Prima, in modo da eliminare quegli sbarramenti che ancora oggi impediscono di vedere oltre quel muro, di vedere cosa c’è dietro, lontano. La dimostrazione è in quello che il Fiocco ha fatto, stava li da oltre 60 anni e non veniva colto. Come è da cogliere, a saperlo capire e mettere in atto, l’acquisizione di tutti quei settori sociali, imprenditoriali e di sviluppo che ci consentiranno di spostare le asticelle del nostro essere fino a vedere quale panorama ci si prospetta. Solo allora potremo parlare con dati di fatto, quelli che fino ad oggi non ci sono stati. Le sovranità che ci consentiranno di saperci immaginare altro, ci sono, aspettano solo di essere colte. E’ assurdo quello che succede, nessuno riflette sul fatto che noi sardi non rientriamo in alun caso sul contenimento della spesa dello stato, tranne le sue dirette concessioni, ben poche a vederle e analizzarle bene, il resto è stato deciso senza consultarci, quindi, in base allo statuto, è nullo, per noi. Invece assistiamo all’incredibile, si rinuncia, non si decide e addirittura ci si fionda dentro, piangendo e bestemmiando ma ci si infila dentro, anche dove noi non siamo. Accettare il tetto di spesa è un autentico suicidio di massa. Quell’accordo è basato su conti antecedenti le attuali condizioni di spesa e di entrate, maggiori entrambe, e non unilaterali ma concordate, quindi ben a conoscenza di ambedue. Cosa significa? Significa che non esiste naturalmente, è il governo IT che avrebbe dovuto procedere all’automatico ritocco del tetto. Non l’ha fatto? Colpa sua, non nostra. Nostro diritto è non rispettarlo per ovvio e naturale processo. Ma questo comporterebbe impegno e responsabilità, oltre a capacità, comprensione, determinazione, conoscenza e coscienza. Non ci si scaglia contro il governo IT imputando discriminazione, loro non possono in questo momento ricontrattare il patto di stabilità interno e sarebbe troppo lungo come percorso. Il governo IT ha indicato, invece, la strada da seguire: la deroga al tetto di spesa. L’ha indicato concedendola alla Sicilia con la deroga a spendere 900 milioni “oltre” le proprie disponibilità finanziarie, l’ha concesso a Roma capitale e l’ha concesso a Milano expò, tutti rigorosamente oltre le proprie disponibilità. noi la vogliamo per poter disporre delle nostre maggiori disponibilità, disponibilità che sono ovviamente ben conosciute dal governo. Abbiamo da gestire 1,6 miliardi di maggiori entrate + quei 500 milioni di cui nessuno parla, che nessuno sta tenendo in conto, 500 milioni che potrebbero far da tampone in questo momento di crisi per i settori della società che sono dentro la buca della disperazione. Sono i soldi che da quest’anno dovranno cominciare a rientrare in cassa dalla ormai famosa, misera, vertenza entrata: 500 milioni/anno per dieci anni, senza interessi, ci mancherebbe. Questi soldi non saranno spendibili senza che si pretenda una deroga al tetto. Loro, la classe politica sarda, stanno ben al caldo dentro al palazzo, loro possono aspettare che il loro governo decida una regalia, ma non quel popolo la fuori, fuori da quelle magnifiche, lucide e gigantesche vetrine del palazzo che fanno sembrare il mondo esterno come un negozio di fantocci, da dentro. Fuori, è tutt’altra storia, ma loro non se la sentono propria, la loro è oltre il Tirreno.
Bon’annu nou
Sul PD possiamo metterci la mano sul fuoco. Infatti presenta una lista di persone esperte, a parte Paolo Fadda, il cui disinteresse si equipara alla cui notevolissima preparazione. Difenderanno strenuamente l’autonomia regionale e rifiuteranno sdegnosamente di barattarla con un posto di sottogoverno, dato che ovviamente fanno politica solo per motivi ideali.
Mi è piaciuto sia il primo post ” ridicolmente serio” che il secondo molto serio e centrato ( …inoltre ho avuto modo di fare un giro di surf su Cagliarifornia : ci tornerò ) . Non condivido invece A. quando asserisce che siamo servi per vocazione, mentre non mi dispiacerebbe l’ idea del protettorato tedesco, con i quali abbiamo stranamente delle forti attrazioni, per un periodo breve per sostituire la ns classe politica … Espressa così e’ negativa, ma può essere un idea quella di importare teste non itaGliane a prescindere, in tutti i campi. Troveremo facilmente personalità degne di diventare NEO-SARDI, con una missione positiva… Non è una cattiva idea… Per tornare al post di Vito ( ciao Vito) credo che sarà molto pericoloso il prox governo itaGliano, sarà molto meno ” amico” dei precedenti e il siluramento PD del sen Francesco Sanna e’ un dato che fa pensare male…anche il voto contrario alla mozione sardista e , in seconda istanza al referendum dato per partito preso senza alcuna libertà personale ( cosa che neanche l’ UDC ) esattamente come gli ex AN e’ un brutto preallarme ….non mi sorprenderebbe un novello De Mita con il suo mitico ” mezzoterroristi” . Tutto per il solo ” assimilarsi”…. Ma allora sono diversi… Sono sardi , e non vogliono esserlo ?
Sono completamente d’accordo con Vito, esiste nel ceto politico una dipendenza così profonda e radicata, mista alla paura di “esistere”, che non esiterebbero a ripetere oggi il folle gesto del 1847, in completa continuità. Ce l’hanno nel sangue.
Non bisogna dimenticare mai il trauma della repressione sabauda del giacobinismo in Sardegna, cui è seguita la scelta di tanta parte delle élite sarde di “stare a corte”. Non sono cose lontane: agiscono ancora oggi in tanti luoghi comuni e in tanti automatismi della subalternità.
La domanda del titolo è retorica. Certo che il centrosinistra svenderà l’autonomia per uno scranno di sottosegretario. L’autonomia nasce infatti sotto il segno della rinuncia, mentre ambire a diventare Sottosegretario, o anche sottosottosegretario, è un anelito insopprimibile. Soprattutto a sinistra.
E’ gia successo quando hanno fatto rientrare i savoia dopo sa die de sa Sardigna per avere dei posti di prestigio ,è già successo con la “fusione perfetta”, è già successo cedendo i territori per le servitu’ militari e tante altre cose. SOLO L’INDIPENDENZA CI POTRA’ SALVARE da l’italia e da quei sardi che ci vendono ogni volta che votano i partiti italiani mandando dei “sardi” in parlamento per fare gli interessi dell’Italia o i propri ma non quelli dell’isola.
Non è l’unico esponente politico: «Parla il Segretario del PSFDELAD: “L’Autonomia e la specialità hanno fallito, vogliamo una dipendenza normale”» http://www.cagliarifogna.eu/2011/07/parla-il-segretario-del-psfdelad.html 😉
Questo invece è serio: «NELLA “NEOLIMBA” LA DIPENDENZA È AUTONOMIA» http://www.cagliarifornia.eu/2011/09/nella-neolimba-la-dipendenza-e.html
Ma quale autonomia. Siamo servi per vocazione. Ieri per ignoranza e necessità ci vendevamo ai sabaudi, oggi ai beduini che si comprano la costa smeralda e noi facciamo per loro i camerieri e i muratori. Ci rimane un poco di orgoglio per degli aspetti residuali (la bandiera, la lingua, le tradizioni) e con queste facciamo pace con noi stessi.
La soluzione è trasformarci in un protettorato sotto l’egida di un commissario della Germania. In pochi anni ci renderebbe almeno dei sudditi ricchi e felici