La crisi all’Unione Sarda sta degenerando. Oggi il giornale non è in edicola, ed è il secondo sciopero domenicale in poche settimane. Le cause della vertenza sono semplici: i redattori lamentano la mancata stabilizzazione di cinque precari ampiamente utilizzati in questi anni, nonché il ritorno di quattro colleghi a Videolina, e diversi pensionamenti a cui non hanno fatto seguito nuove assunzioni. Perché l’Unione Sarda, negli ultimi nove anni, ha assunto a tempo indeterminato una sola persona. E con tredici giornalisti in meno la redazione deve comunque produrre lo stesso numero di pagine. Da qui la protesta.
La risposta dell’editore, l’immobiliarista Sergio Zuncheddu, è stata chiara: per quello che vi pago, dovreste lavorare anche per i colleghi che non ci sono più. E poi c’è la crisi, ringraziate che avete un posto di lavoro e smettete di diffamare il giornale con i vostri comunicati sindacali. Nei quali ad esempio, si ricordano gli investimenti immobiliari sballati (sede di Olbia sovradimensionata), le campagne di autopromozione incessanti (pista di pattinaggio sul ghiaccio e simili…), e la gestione insufficiente del sito on line (indubbiamente uno dei più brutti in circolazione).
Ieri i membri del Comitato di redazione (l’organo sindacale interno, dove in questi anni Zuncheddu non è mai riuscito a far nominare un giornalista di sua stretta osservanza, nonostante le incursioni squadristiche di alcune note firme del giornale nella sede dell’Assostampa, colpevole di non aver avallato il diritto di voto anche per i giornalisti precari, così come da normativa nazionale) hanno ricevuto a casa loro una bella letterina da parte dell’avvocato di Zuncheddu, nella quale vengono diffidati dal continuare a “diffamare il giornale”. Se non è intimidazione questa, ditemi come definirla.
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L’Unione Sarda è il primo quotidiano sardo e il suo gruppo editoriale è ricco e potente. Ergo, i problemi dell’Unione Sarda non sono, tout court, i problemi dell’informazione isolana, ma solo una loro (importantissima) parte. Risolvendo i problemi dell’Unione non si risolvono tutti i problemi dell’informazione sarda; ma se la situazione all’Unione degenera, l’effetto domino è assicurato.
Torniamo a monte dunque, e chiediamoci: perché in Sardegna non esiste un vero pluralismo dell’informazione? La mia risposta è semplice: perché la politica sarda non ha mai creduto nel pluralismo dell’informazione. Perché il pluralismo alla politica non conviene. Infatti i margini per intervenire c’erano, eccome se c’erano.
Così come il centrosinistra nazionale, una volta tornato al governo, si guardò bene dal varare una legge sul conflitto di interessi che avrebbe spazzato via la prepotenza mediatica berlusconiana, allo stesso modo il centrosinistra sardo (tornato al potere nel 2004 con il presidente Soru) si è guardato bene dall’intervenire su un settore così fondamentale per la vita democratica. Anzi, a Soru (che pure dall’Unione è stato abbondantemente bastonato) va ascritto tutto il demerito di aver svuotato di senso e di risorse la legge regionale 22 sull’editoria. Che adesso sarà anche obsoleta (come dice qualcuno), ma che otto anni fa era assolutamente all’avanguardia e che fu appunto una delle prime vittime della politica soriana.
(Il motivo è molto semplice e ve lo spiego tra parentesi. La legge 22 finanzia anche l’editoria libraria e la corte degli scrittori che circondava allora il presidente aveva deciso che le case editrici sarde non dovevano più essere sostenute dalla Regione. Detto, fatto. Solo che insieme agli editori ci passarono anche le emittenti radiotelevisive e i piccoli giornali, che grazie a quella parte della legge 22 che non è mai stata applicata avrebbero potuto essere consolidati, in nome appunto del pluralismo dell’informazione. Quelli erano gli anni in cui si sarebbe potuto lo strapotere dei giganti, facendo crescere realtà importanti. Questo non avvenne).
Ora la consigliera regionale del Pd (presto europarlamentare) Francesca Barracciu, ha iniziato una incredibile battaglia di retroguardia, concentrando la sua attenzione sulla pubblicità istituzionale erogata dalla Regione, ignorando che le risorse per questo tipo di comunicazione sono crollate e che l’editoria ha invece bisogno di interventi strutturali. Quelli appunto possibili grazie alla legge 22 smantellata dal centrosinistra e attualmente ignorata dal centrodestra.
In un periodo in cui il mercato pubblicitario è in picchiata e le risorse pubbliche carenti è giusto essere più rigorosi. Ma sulla pubblicità istituzionale utilizzata discrezionalmente dal presidente della Regione Cappellacci, perché non ammettere onestamente che la prassi fu inaugurata dal suo predecessore?
E perché non ricordare che la recente norma proposta dal sardista Maninchedda di porre un tetto alle risorse destinate a vario titolo e natura ai gruppi editoriali è stata affossata dal centrosinistra? E già che ci siamo, perché non ricordare anche la festa nazionale del Pd sponsorizzata appena qualche anno fa proprio dall’Unione Sarda?
Insomma, l’Unione Sarda è solo la punta di un iceberg. Come ha scritto bene il collega Gianni Zanata su facebook
“Unione Sarda, Radio Press, Sardegna 1, Videolina, Sardegna 24, Sardegna Quotidiano, Nova Tv, Cinquestelle: il 2012 ha fatto registrare il collasso del sistema dell’informazione in Sardegna.
Gli editori – o presunti tali – si sono rivelati presuntuosi, arroganti e inadeguati.
La politica? Spenta o non raggiungibile.
E i giornalisti? Ottima domanda, mi vien da dire”.
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In tutto il mondo la crisi sta colpendo duramente l’editoria. Le imprese che non riescono a stare al passo con i tempi, vengono spazzate via. E, come dice Gianni, in Sardegna “gli editori – o presunti tali – si sono rivelati presuntuosi, arroganti e inadeguati”. Zuncheddu di editoria evidentemente ne capisce poco, ed ora che la crisi mette tutti avanti alle proprie capacità questo suo limite è sempre più evidente.
Ma c’è un motivo più profondo che a mio avviso è causa della crisi dell’Unione Sarda, ed è collegato alla crisi del centrodestra e più particolare del berlusconismo.
Zuncheddu entra nel settore editoriale nel 1996 diventando azionista del Foglio, giornale della famiglia Berlusconi. Giornale di qualità, nel quale l’immobiliarista di Burcei è chiamato a dare un contributo da portatore d’acqua, non certo di sensibilità politica o culturale.
Poi nel 1999 Zuncheddu compra l’Unione Sarda, e il giornale (nella sua linea politica) diventa una succursale de Il Giornale e di Libero.
È chiaro che oggi con la caduta del berlsuconismo, anche i giornali militanti vicini al fondatore di Forza Italia vivono una crisi di senso. E l’Unione Sarda ne sta dando puntuale dimostrazione, incapace com’è di tenere una linea politica seria e coerente, di capire la realtà sarda, di interpretarne in maniera sincera le attese e le speranze.
L’Unione Sarda dal ‘94 in poi (ultima fase Grauso, quella coincisa con la sciagurata direzione Liori) è stato un giornale berlusconiano. E Zuncheddu è, editorialmente parlando, una creatura di Berlusconi. Se tramonta Silvio, figuriamoci Sergio: magari si sarà anche pentito di aver comprato il giornale (tranquillo dottore, è quello che pensano tutti gli editori falliti).
Senza il suo protettore politico, Zuncheddu sta entrando in crisi. Perché sta entrando in crisi profonda il suo prodotto, e magari anche il suo sistema di relazioni politiche e bancarie.
Ed ecco perché l’Unione Sarda oggi non è in edicola, e forse non lo sarà ancora anche in futuro. La mossa dell’editore di fare recapitare ai singoli membri del cdr una personale diffida (leggete questo pezzo uscito du Sardinia Post) è uno schiaffo ai diritti dei giornalisti e dei lavoratori in generale. È un atto di arroganza inaccettabile, ma soprattutto un segno di debolezza di Zuncheddu. La sua stagione alla guida dell’Unione Sarda si sta evidentemente concludendo.
Per capire chi si comprerà il giornale bisognerà evidentemente attendere l’esito delle prossime elezioni.
Ai colleghi dell’Unione Sarda minacciati dal loro editore vada tutta la mia solidarietà. Certo, se arrivassero parole chiare anche dagli esponenti del centrosinistra e della sinistra non sarebbe male. Non generici appelli alla tutela dell’informazione, ma accuse chiare ad un editore che si sta mostrando sempre più non all’altezza della situazione.
“Un giornale serve anzitutto a dare notizie, possibilmente fresche, inedite, interessanti. Poi serve a spiegarle con analisi di persone competenti. Poi serve a commentarle da una pluralità di punti di vista, i più vari che si può, purché rispettosi della “linea” del giornale medesimo, che viene dichiarata fin dal momento della sua fondazione e ribadita negli editoriali del suo direttore. La nostra “linea” è molto semplice: i princìpi della Costituzione della Repubblica italiana. Noi ci accontentiamo che chi scrive sul Fatto li rispetti, dopodiché può esprimere le opinioni più disparate. Non siamo un partito, né una caserma, dunque c’è spazio per tutte le voci. A volte le mettiamo a confronto l’una accanto all’altra, altre volte le esponiamo una alla volta in successione. A nessun redattore, collaboratore, tanto meno lettore abbiamo mai chiesto di esibire una tessera di partito o di sindacato, né di dirci per chi vota o ha votato. Ci piace discutere, nelle nostre riunioni di redazione e sul giornale. Senza tabù né partiti presi. E quando arriva una notizia, non ci domandiamo mai “cui prodest”, cioè a chi giova o a chi fa danno. Ma solo di accertare se è vera e se è nuova: in caso affermativo, la pubblichiamo. Magari sbagliamo a sopravvalutarla o a sottostimarla, ma quando ciò accade è solo colpa nostra: i nostri meriti e i nostri demeriti sono sempre farina del nostro sacco, mai scelte per conto terzi.”
Marco Travaglio
Ecco, per esempio, Il Fatto credo che sia un esempio di azionariato diffuso: la società editrice è composta da piccoli soci (compresi i giornalisti) che partecipano con quote equivalenti.
Io ho tirato fuori la proposta per sapere se, anche l’Unione Sarda può avere un futuro del genere.
Non era per generalizzare e fuggire dalla questione dei 5 dipendenti non confermati. Tutti i ragionamenti vertono verso un obiettivo ultimo, che è quello della tutela del lavoro e dei lavoratori.
Non si possono sacrificare i lavoratori per difendere il lavoro… è un controsenso.
Anche se sono “solo” 5, bisogna tenere a mente che, a 5 a 5, si arriva alle centinaia e migliaia.
Però ripeto che, per salvare il lavoro, non lo si può trasformare in lavoro di stato, con stipendio statale.
Bisogna creare un substrato per cui il lavoro sia una naturale conseguenza delle necessità delle persone.
Per cui, secondo me, se un giornale informasse, avendo come diretto referente il cittadino che va in edicola e lo compra o che si abbona, invece che gli uffici stampa dei partiti e delle aziende (avete visto il servizio di Report sull’Eni?), allora le persone andrebbero a comprarlo e non ci sarebbe bisogno di aiuti di stato par mantenerlo in piedi, corrotto e invenduto.
Reblogged this on Il blog di Fabio Argiolas.
“E Zuncheddu è, editorialmente parlando, una creatura di Berlusconi. Se tramonta Silvio, figuriamoci Sergio: magari si sarà anche pentito di aver comprato il giornale (tranquillo dottore, è quello che pensano tutti gli editori falliti).
Senza il suo protettore politico, Zuncheddu sta entrando in crisi. Perché sta entrando in crisi profonda il suo prodotto, e magari anche il suo sistema di relazioni politiche e bancarie.
Ed ecco perché l’Unione Sarda oggi non è in edicola, e forse non lo sarà ancora anche in futuro. […] La sua stagione alla guida dell’Unione Sarda si sta evidentemente concludendo.
Per capire chi si comprerà il giornale bisognerà evidentemente attendere l’esito delle prossime elezioni.”
Di questa parte del post condivido anche gli spazi. Analisi perfetta.
Chi comprerà L’Unione Sarda lo sapremo nel 2013, perché dopo le elezioni politiche, tempo qualche mese e Cappellacci andrà a casa.
Mi spiace ma proprio non riesco a solidalizzare con l’Unione Sarda.
Infatti devi solidalizzare con i giornalisti
magari solo con alcuni giornalisti.
E’ esattamente con i giornalisti che non solidarizzo. Chi fosse Zuncheddu, il suo conflitto di interessi e la sua linea editoriale erano cose note già dal 1999, evidentemente finché gli ha fatto comodo loro
non se ne sono accorti.
certo, tutta questione di diritti e principi. Magari sarà che, gente (giornalisti) che prende anche 5, 6, 7, 8 ecc. mila euro al mese si impunti sul contratto di secondo livello che prevede altri 8.000 euro in più?
Reblogged this on er blog der gatto col sombrero.
Il dato vero è che l’Unione non ha cassa e non ha più dietro di sé il Banco di sardegna (stessa cosa sta succedendo ai Pinna di Thiesi, ai Loi di Orosei ecc. ecc.). L’editore è a un bivio: non può più usare l’editoria per sostenere l’immobiliare. Dovrebbe sviluppare una strategia per l’editoria e non ci riesce perché non è il suo mestiere: ha sbagliato il direttore, anzi “i” direttori; ha sbagliato la linea editoriale Pili- Cappellacci; ha sbagliato l’endorsement a Doddore Meloni (folkloristico); ha sbagliato a coricarsi con Zedda a prescindere dagli scivoloni del sindaco; ha sbagliato a tenersi in casa gli ex direttori (Casu, Filippini, Mascia ecc.); ha sbagliato ad assumere persone troppo legate ai poteri cittadini; sta sbagliando tutto con la vicenda del Lirico; ha bucato totalmente notizie importanti come la revoca del bando di scuola Digitale o la vicenda della Saremar e del Latte; ha sbagliato a affidare Videolina al rapporto con la Coldiretti; ha sbagliato a affidare il successo del sito ad alcune immagini sexy. Insomma, ha sbagliato quasi tutto perché non ha lo straccio di un intellettuale serio con cui confrontarsi.
Caro Barisone, ma non sia mai che dietro questo simpatico nick non si nasconda un paio di baffi che mai sono riusciti a circondare un sorriso da direttore dell’Unione Sarda?
E che ora, dopo un’onorata – sì, forse, magari sì – carriera in quel giornale, ti diverti a fare le pulci al lavoro dei tuoi ex colleghi?
Tu, che di quella macchina sei sempre stato ingranaggio forte ma con estremo distacco, atteggiamento radical-sinistro da intellettuale mai riconosciuto?
Magari mi sbaglio, ma il tuo post – segnalatomi da gente del ramo – è nel tuo stile, velenoso quanto basta (Coldiretti…) per essere riconoscibile.
Buon Natale anche a te.
La sinistra è sempre stata zitta e connivente con gli editori sin dai tempi di Nicola Grauso, quando i giornalisti si battevano contro la commistione fra la pubblicità istituzionale regalata a L’Unione dall’assessore all’agricoltura Muledda (Pci) e l’informazione. L’unica solidarietà ai giornalisti in sciopero è arrivata da Mario Melis (presidente della Giunta) e da Emanuele Sanna (presidente del consiglio).
Ma perché l’avete finita a parlare del movimento 5 stelle?!?! Si perde di vista l’argomento principale e cioè che a 5 colleghi dell’Unione non è stato rinnovato il contratto dopo anni di sacrifici. E il motivo dello sciopero credo siano i pessimi rapporti azienda-rappresentanza sindacale. E non i 5 giornalisti a spasso. Forse anche loro hanno perso di vista il tema principale… È qui si parla di Beppe Grillo… Bah!
hai ragione, ma vedi, se il problema fossero solo i 5 dipendenti, allora non c’è problema.
Con tutti i lavoratori a tempo indeterminato licenziati, mi perdonerai ma non riesco a fare una tragedia per cinque precari non stabilizzati.
Il punto è invece il rapporto tra la gestione sindacale e la libertà di stampa: allora si che i cinque lavoratori diventano significativi
E allora non bisogna parlare dei loro contratti, ma delle ragioni che giustificano o spingono l’editore a compiere determinate scelte imprenditoriali.
“Fichi e Formaggio” stanno proprio bene insieme.
partiamo dai fatti concreti: quando il M5S parla di azionariato popolare probabilmente non sa di che si tratta: fare l’editore significa mettere i soldi per entrare al tavolo e cacciar fuori i soldi quando servono.
siccome nessuno in questo mondo attuale (e tantomeno in sardegna) mette i soldi senza avere un tornaconto, l’idea tramonta in partenza.
e pure quando si dovesse pensare ad una forma alternativa al capitalismo, come le cooperative, le pur brillantissime recenti iniziative cagliaritane purtroppo hanno evidenziato i loro limiti: senza un polmone finanziario la corsa dura poco.
e allora veniamo a zuncheddu: forse è vero quello che dice vito, forse la crisi del giornale corrisponde alla crisi del berlusconismo. Sul secondo aspetto tutti vorremmo davvero festeggiare, sul primo invece io personalmente non festeggio: un giornale in crisi (anzi, il primo giornale della sardegna) è un brutto segno, anche per i suoi detrattori.
peggio ancora il presagio: aspettiamo di vedere chi vince le elezioni per sapere chi comprerà.
Non so voi, ma io francamente non vedo nessun imprenditore in sardegna che abbia le capacità, finanziarie innanzitutto, e editoriali, se vogliamo, per sostituirsi a zuncheddu e produrre migliori risultati.
Vito, prova a fare tre nomi, anche due….dai, me ne basterebbe uno solo. Ma che abbia i soldi però, non che li debba chiedere ad horas, come qualcuno che di recente ha comprato una squadra di serie A……
Finora l’unione ha pagato gli stipendi, e su questo l’editore ha ragione da vendere: guardate l’esempio di sardegna 24 e poi venite a lamentarvi che non sono stati stabilizzati i precari.
Lasciate ai sindacati fare i sindacalisti: io che sono un mero lettore, non vorrei affatto vedere una bella mossa politica oggi (stabilizziamo !) e una cassa integrazione per tutti domani, con la testata storica messa all’asta da un curatore fallimentare.
Partiamo dai fatti concreti: quando il m5s parla di azionariato popolare sa benissimo di cosa parla. Ne parla dopo una discussione durata 2 anni che ha coinvolto circa 600 mila persone, come contatti del forum.
E’ ovvio che fare l’editore significa cacciare i soldi.
Il problema sta proprio nel fatto che adesso gli editori, fanno il loro mestiere “con il culo degli altri”. Non va bene.
lungi da me entrare in disputa con il M5S
mi limito a dire che ritengo di sapere perfettamente cosa sia l’azionariato popolare, evidenzio come in italia non esiste neppure un esempio funzionante di azionariato popolare nelle imprese che generano ricavi, figuriamoci se può esistere in imprese che non ne generano come quelle editoriali.
se conoscessi poi come funziona l’azionariato popolare (o meglio diffuso) dove esiste davvero, ossia negli USA, scopriresti che è il sistema meno democratico che esiste, perché qui comanda il socio, che almeno qualche soldo l’ha messo nelle casse, lì invece comanda il manager, che non ha messo neppure un soldo.
se vuoi conferme che, tuttavia, non vengono dai forum, leggi
Strong Managers, Weak Owners:
The Political Roots of American Corporate Finance
Mark J. Roe
che non è un blogger, che ogni tanto si dedica a queste questioni, ma uno che nella vita studia esattamente ciò di cui parli.
Non c’è bisogno di andare fino ad Harvard per sapere cos’è l’azionariato diffuso.
Comunque il punto è che questo sistema distrugge un monopolio intollerabile (perché in America possono anche permettersi il lusso di discutere sull’efficienza delle società a proprietà diffusa, qui in Italia partiamo invece da un problema ben più grosso).
Aumenta quindi la pluralità dell’informazione e rende i proprietari, o gli azionisti direttamente responsabili della dirigenza. Quindi il manager, se non rispetta il volere dei soci, viene sostituito.
Poi ho letto che in Italia, le aziende ad azionariato diffuso sono circa il 18% del totale. Qualcuna dovrà pur produrre ricavi; o no ? E così anche le imprese editoriali, cosa significa che non producono ricavi ? Non capisco. Non fanno mica beneficenza: stanno sul mercato per vendere un prodotto. E se non lo vendono chiudono. Non li si può mica trasformare tutti in dipendenti pubblici, con finanziamento pubblico.
Poi infine, ripeto: se ci sono idee migliori, sono qui per imparare. Se lei ha un’idea migliore la esponga.
Caro Anonimo, forse vivi in Cambogia o dentro una stalla.
L’Unione Sarda ha dedicato una pagina, con un annuncio anche nella prima pagina, all’assoluzione (…) di Soru.
Malafede.
oh giuseppe non posso risponderti perche mi ha di nuovo censurato .
E’ vero, Fodde, sei in Malafede.
Oppure ti sei confuso (…).
Adriano, tu hai capito, Foddis, non puo’ capire per sua sfortuna, e non e’ colpa nostra.
O Fodde, scirarì, si stava parlando di Biolchini!
Comunque Biolchini nel suo blog non è che è tenuto a dare tutte le notizie del mondo.. per quello ci sono i giornali e i citizen magazine..
Bello vedere la tastiera del mio tablet su un altro blog. Ciao Vitoooooo!
Il fatto che l’editoria sia in crisi è assodato. Così come in Sardegna ed in Italia credo che lo sia in tutto l’Occidente.
Posto questo dovremmo interrogarci su come mantenere in piedi un sistema di informazione, slegandolo da tutti i lacci e lacciuoli che lo corrompono e lo snaturano, trasformandolo in cosa altra dal quarto potere che dovrebbe essere.
O sbaglio ?
Me lo chiedo perché dici che: “Per capire chi si comprerà il giornale bisognerà evidentemente attendere l’esito delle prossime elezioni”.
A me questa cosa mette i brividi. Non me ne faccio niente di un giornale che sventola a destra o a sinistra, a seconda del vento che tira. Non lo compro un giornale così. E non mi sta bene neanche che i soldi pubblici vengano spesi per mantenere in piedi giornali che altrimenti chiuderebbero.
In Argentina stanno facendo questo (riporto dal blog di Modigliani):
Ieri, 30 novembre, per tutta la giornata, in Argentina si sono svolti convegni, manifestazioni e discussioni relativi a un’altra legge che va alla votazione alla fine della prossima settimana e che riguarda il secondo pilastro della democrazia e della ripresa economica: la legge sul conflitto di interesse e una nuova legiferazione nel campo della libertà di stampa, dell’informazione e delle comunicazioni. Verranno prese misure specifiche per impedire che possano essere eletti in parlamento soggetti politici legati al mondo dell’informazione, e soprattutto viene impedito a società finanziarie, banche d’affari private e grossi colossi finanziari internazionali di poter aggirare l’ostacolo diventando editori. Chi si occupa di informazione lo fa costituendosi come “editore puro” attraverso il rischio di una impresa privata. Il tutto per impedire che la finanza, in maniera subdola (come avviene in Italia ad es.) usi il proprio gigantesco potere per esercitare pressioni sull’opinione pubblica al fine di salvaguardare interessi finanziari e non il diritto alla libertà dell’informazione.
Quindi mi chiedo quali sono, secondo te, le regole che bisogna fissare per puntare a questo risultato. Oppure, se è più complicato di così, perché è più complicato e cosa vedi tu.
Thanks !
Mi associo completamente con quello che ha scritto il signor Anonimo.Per quanto riguarda il comportamento della sinistra è meglio non fare commenti.Però vorrei dire anche che il servilismo non sempre paga.Ripeto che la dignità non dovrebbe essere mai in vendita.
Nell’articolo si evidenzia ancora una volta tutta l’inadeguatezza della sinistra quando si trova ad aver a che fare con il sistema dell’informazione. E’ un limite antico, che parte dalla protervia con cui venne difeso un ormai insostenibile monopolio pubblico dell’informazione anzichè creare i presupposti per un sano pluralismo dei media televisivi. In Sardegna si è raggiunto il massimo quando, felici di essere riusciti a costringere Grauso a vendere, la sinistra sarda si ritenne soddisfatta del risultato, senza accorgersi che quella era solo una fase intermedia, che è finita con l’arrivo di Zuncheddu. Poi la lungimirante corte dei miracoli di soriana memoria ha completato l’opera. E’ quindi inutile sperare di ottenere qualcosa dai rappresentanti di questa sinistra, in attesa come cani sotto il tavolo durante un pranzo, di un osso da rosicchiare sotto forma di uno “spazietto” sul giornale o di una comparsata che, si sa, in periodo di elezioni fa sempre bene.
Nel programma del M5S, riguardo l’informazione di massa, c’è un punto interessante.
• Nessun canale televisivo con copertura nazionale può essere posseduto a maggioranza da
alcun soggetto privato, l’azionariato deve essere diffuso con proprietà massima del 10%
• Le frequenze televisive vanno assegnate attraverso un’asta pubblica ogni cinque anni
• Nessun quotidiano con copertura nazionale può essere posseduto a maggioranza da alcun
soggetto privato, l’azionariato diffuso con proprietà massima del 10%
• Vendita ad azionariato diffuso, con proprietà massima del 10%, di due canali televisivi pubblici
• Un solo canale televisivo pubblico, senza pubblicità, informativo e culturale,indipendente dai
partiti
Il programma sarà ampliato e aggiornato in rete, prima delle elezioni.
Se proponete una legge, ma anche solo uno spunto interessante, prometto di metterlo ai voti nel forum che completerà il programma da portare in Parlamento.
Irrealizzabile…nessun soggetto economico entra nel campo televisivo con un orizzonte temporale di 5 anni. Ma cos’è una rivisitazione della NEP?
Con una buona programmazione si possono fare affari d’oro anche in un anno.
Una televisione non è un baretto del Poetto.
Poi la NEP è roba da comunisti leninisti… o da Marxisti per Tabacci…
Il M5S invece è notoriamente di destra…
L’IMPORTANTE E CENSURARE CHI TI SCRIVE CHE RENATO SORU, E STATO ASSOLTO ANCHE IN APPELLO , IL GRANDE FORMATO HA FATTO UN PEZZO PICCOLO. IL TG. DI VIDEOLINA LO HA PRESENTATO COME QUARTA NOTIZIA, E TU CENSURI QUESTA NOTIZIA, MI DISPIACE DIRTELO MA PRIMA ERI UN PO’PIU’ DEMOCRATICO.!
?????
oh su bixinu si non cumprendisi itta ci porisi fai !
Nel tg della Rai 3 era il primo articolo del tele giornale! Ma quelli si sa da che parte stanno! ihihihihihihih
dalla parte di voi altri ?