Dei tre film finora girati da Salvatore Mereu, “Bellas mariposas” è sicuramente quello meno riuscito. Perché non ha la né sapienza cinematografica di “Ballo a tre passi” né il coraggio di “Sonetaula”. La pellicola d’esordio era articolata in quattro parti, sostanzialmente altrettanti corti che il regista riusciva bene a governare, alternando stili e suggestioni. Il secondo film si reggeva tutto sulla potenza evocativa della lingua sarda, coraggiosamente utilizzata al posto di quella italiana (lingua in cui Giuseppe Fiori aveva scritto il suo romanzo). In “Bellas mariposas” invece Mereu si smarrisce per le strade di Cagliari. La leggerezza del racconto di Sergio Atzeni quasi evapora, e alla fine il risultato è deludente. Perché?
Nel racconto, pubblicato postumo da Sellerio nel 1996, lo scrittore cagliaritano tocca il punto più alto della sua ricerca letteraria, trovando un punto di contatto tra la lingua italiana e quella sarda. Il suo stile è raffinato, quasi poetico, a far da contraltare alla durezza delle vicende narrate. Nel racconto si capisce che i due codici linguistici, entrambi posseduti dalla voce narrante, si fondono sapientemente, ed è una cosa nuova e originale per la nostra letteratura isolana.
Benché gli autori attingano fedelmente e a piene mani dal racconto pubblicato da Sellerio nel 1996, della lingua di Atzeni nel film di Mereu si perdono le tracce. E questo per un motivo molto semplice: perché gli attori non parlano la loro lingua, ma ne parlano una che non gli appartiene. Che non è né sardo né italiano, ma un misto inesistente e senza senso. Una lingua senza verità.
Se nei primi due suoi film Mereu ha tratto forza dalla lingua degli attori non professionisti che ha chiamato a recitare sul set, in “Bellas mariposas” il miracolo non si ripete. Le due giovani protagoniste non sempre convincono, perché la lingua che il copione impone loro di parlare non è la loro: per questo il miracolo della spontaneità non si ripete. E anche il resto del cast sembra vagare alla ricerca di una identità precisa, alternando piattezza ad eccessi linguistici di stampo macchiettistico. Unica eccezione, la figura del padre: che il sardo mostra di parlarlo veramente (e infatti risulta il più convincente di tutti).
Che trarre un film dal racconto di Atzeni non fosse facile era risaputo. Forse avrebbe giovato attingere a piene mani dall’intero universo atzeniano e non solo da quello contenuto in “Bellas mariposas” per cercare di riprodurre sul piano cinematografico il 3 agosto di Cate e Luna. Ma non aver capito che bisognava lavorare di più sulla lingua che non sulla storia è stato un errore fatale per la riuscita del film.
Serviva una sceneggiatura diversa, forse ancora più distante dal racconto originario per coglierne meglio lo spirito, e sicuramente interpreti in grado di reggere meglio la parte che sono stati chiamati ad interpretare, con una aderenza a quel mondo narrato e una confidenza con la lingua sarda maggiori. Oppure bisognava lasciare che questi attori presi dalla strada parlassero la loro lingua, non quella imposta loro da una sceneggiatura fuori fuoco. Forse sarebbe bastato per far volare veramente le “belle farfalle”.
E così alla fine anche Mereu si è perso; e il linguaggio piatto e incoerente a cui ha costretto i suoi attori (compresa Micaela Ramazzotti con il suo l’improbabile mix roman-napoletano, lontanissimo dal senso del racconto) ha condizionato anche la sua regia, stavolta meno felice che nelle precedenti occasioni, benché proprio stavolta più che mai servisse realmente uno “sguardo d’autore” capace di dare sostanza cinematografica alle suggestioni evocate da Atzeni. Peccato, perché quella di far parlare “in camera” la protagonista è stata un’idea felice, ma non è bastata a colmare i vuoti e le lacune di un film che appare non risolto, incompiuto.
A Mereu resta il grande merito di avere poggiato lo sguardo su una realtà tragica come quella delle periferie cagliaritane, che dopo Atzeni pochi altri hanno avuto il coraggio di indagare. Cate e Luna esistono veramente, ma fino a quando volteremo ancora lo sguardo?
Dopo questo ricco e interessante dibattito mi permetto di invitarvi – a te Vito prima di tutti – a un incontro con il regista in cui si potrà discutere con lui dei nostri punti di vista ed eventualmente si potranno fare obiezioni, critiche o anche apprezzamenti.
L’incontro, promosso dal Corso di laurea in Scienze della comunicazione e dal CELCAM dell’Università di Cagliari, si tiene martedì 13 novembre alle ore 17.30 nell’aula Capitini 11A della Facoltà di Studi umanistici (ex Magistero – Via Is Mirrionis, 1 – Cagliari) e l’ingresso è libero. A coordinarlo ci sarò io con Elisabetta Gola, presidente del corso di Scienze della comunicazione e docente di teoria dei linguaggi.
mah, non so vito perchè dici che è una lingua senza verità. le mie alunne di sant’elia parlano esattamente così, ma proprio uguale uguale, vieni in classe…
Dopo avere visto il film, che per inciso mi è piaciuto e mi ha fatto a tratti commuovere, mi sento di affermare che, paradossalmente, proprio il problema della lingua sia stato risolto egregiamente. In San’telia sa genti chistionada cummenti in su film, non in sardu ma in casteddaiu. Ho trovato vero e non artefatto il linguaggio, quasi mai ho avuto la sensazione che non ci fosse immedesimazione tra l’attore e il personaggio.
anche io l’ho visto ieri sera
http://madrigopolis.blogspot.it/2012/11/bellas-mariposas-le-belle-farfalle-sono.html
Ieri sera, sono andato a vedere Bellas Mariposas.
Sono andato senza preconcetti.
Sono andato a vedere un Film, senza aspettare al varco nessuno.
Il film, mi ha commosso, divertito, in alcuni punti annoiato, ma complessivamente devo dire che la trasposizione cinematografica racconta egregiamente la mia città, la periferia della mia città, che potrebbe essere una qualsiasi periferia, di una qualsiasi città del sud.
Come ogni operazione cinematografica, Bellas Mariposas, ha i suoi limiti, ma non posso non riconoscere in Mereu, una grande preparazione, unita a professionalità e voglia di rischiare, doti rare, in questo settore.
Quindi nel panorama, di un cinema preconfezionato, intravedo una spirale di speranza, un neo-neorealismo, che affida alla mano del regista l’interpretazione di un autore: Atzeni, che già con la parola aveva detto più o meno tutto.
Alcuni momenti ed alcuni personaggi sono esilaranti, sfiorano il grottesco, ma risultano comunque credibili; l’uso della lingua nella variante regionale sarda campidanese non sempre appare azzeccata, alcuni interpreti non riescono ad utilizzarla al meglio, e risultano finti,
ma la lingua della periferia, e’ una lingua in continua evoluzione, e nel momento in cui la catturi in un fotogramma si è già evoluta, ed il rischio che si corre e’ appunto quello di risultare finta.
Eppure, il Film ti conquista, e racconta la mia Cagliari, dal punto di vista visivo, in modo sublime.
il film è bellissimo. è bellissimo come film, la sua struttura, la fotografia che dà di cagliari, la luce in cui la avvolge, che non è la luce della città del sole, ma la luce di una città che non riesce a volare, pesante, immobile sulle acque. è bello l’uso della vasca, la stanza da bagno dalla quale una voce ci invita a entrare (dove?) troppo piena e occupata. Bello il rimontaggio del testo. Bella la frenesia di una giornata completa (tutto in 24 ore?). è bellissimo in relazione al racconto, ne restituisce la dolorosa poesia, la risata in un mondo drammatico, il lieto fine scalcinato e doloroso, il bacio finale. Le farfalle non volano, certo, ma possono volare in modo diverso dal baciarsi? dal ridere per niente? dal nuotare? Cosa,invece non mi convince? Non rende la neolingua atzeniana, ma non lo pretendevo dal film. Non rende il padre che dice al figlio segna … almeno tu, una consapevolezza che il protagonista del libro non ha. Sopratutto non regge il confronto anni 70 anni 2010. Le due periferie, le due umanità, le due socialità e le due lingue sono completamente diverse. La trasgressione di entrare al lido dalla spiaggia ora non vuol dire niente e nei pilots delle nostre periferie non si scende a prendere il fresco, ma si rimane a casa. Anche l’eroina è tutta un’altra storia.
si e semplicemente parlato di un quartiere degradato per colpa di chi ci abita, ma sopratutto di per anni ha governato questa citta’ e li usati per i voti elettorali,un ex custode
A me pare che PROPRIO il vincitore del Festival di Venezia, Kim Ki Dook, sia un autodidatta!
http://www.mymovies.it/biografia/?r=16833
Lo scrivo soltanto come inciso, considerando la premessa del discorso postato, ieri, da Gelindo (discorso in buona parte condivisibile, peraltro).
Il film è un bel film a prescindere dall’aver frequentato, il regista, il Centro Sperimentale. La ‘messa in scena’ sarebbe potuta essere anche diversa, certo, ma discutere di altre possibili scelte registiche, al momento, non è neppure un esercizio teorico: credo che sia maggiormente interessante fermarci al lavoro di Mereu tralasciando per un momento il libro di Atzeni perché, se volessimo riferici al libro, la sceneggiatura avrebbe forse dovuto discostarsi ancor più dal testo di Bellas Mariposas.
La forza del film (e la bellezza) l’ho trovata in quel tantino di ‘sguardo sul mondo’ che il film mostra e ancor più nei volti dei personaggi (di alcuni più che altri …).
…. ovviamente, al posto di “Ki Dook”, avrei voluto scrivere Ki-dŏk 🙂
troppi e i soliti luoghi comuni su sant’elia,si poteva far vedere e raccontare la parte buona e positiva del quartiere anche perche’ esiste veramente, un vero peccato.un ex custode
Vorrei aggiungere alcune considerazioni al dibattito in corso sul valore del film di Salvatore Mereu, “BELLAS MARIPOSAS”. Mi parrebbe opportuno sottolineare, prima di tutto, il fatto che ci troviamo di fronte ad un regista che padroneggia molto bene il mezzo cinematografico, con una tecnica che è frutto di una seria preparazione al Centro Sperimentale e non dei soliti stages più o meno saltuari e improvvisati, o di una semplice frequentazione dei cineforum; un regista che riesce a chiudere un budget da 1.800.000 euro (e coi tempi che corrono è veramente un miracolo), ad acquisire una distribuzione nazionale importante, arrivando perfino al Festival del Cinema di Venezia, dove continua ad essere considerato una delle voci più interessanti della nuova cinematografia. Tutto questo non mi pare cosa da poco.
Non capisco quindi perché in Sardegna all’uscita di ogni suo film si scateni una ridda di polemiche legate a episodi marginali della sceneggiatura, che mettono in secondo piano il valore complessivo del suo lavoro con un accanimento del tutto inspiegabile. Ricordo i commenti inveleniti all’uscita di “BALLO A TRE PASSI”, che vertevano quasi esclusivamente sull’episodio dell’accoppiamento “alla pecorina” del pastore con l’aviatrice, considerata un’offesa all’identità del popolo sardo, ignorando però la leggerezza e la capacità trasfiguratrice, l’amore per la sua terra, che trasparivano da ogni inquadratura.
Che poi sia lecito esprimere delle riserve sui risultati mi pare innegabile, ma con il rispetto che merita la serietà del suo lavoro. E’ certo che in “BELLAS MARIPOSAS” lui abbia tentato una sfida quasi impossibile, quella cioè di costruire un “plot” narrativo attorno al flusso ininterrotto di parole della protagonista dello stupendo libro di Atzeni; e dovendo ridisegnare i raccordi fra una scheggia e l’altra ha corso il rischio di banalizzare lo “slang” cagliaritano inventato da Atzeni, senza riuscire peraltro a chiarire allo spettatore quale fosse veramente il centro di gravità di una storia che oscilla continuamente fra grottesco e serietà.
Ed è altrettanto vero che il personaggio della “Coga” non poteva essere affidato ad una attrice come Micaela Ramazzotti, del tutto estranea al mondo ed al linguaggio dell’originale (un pericolo che aveva già corso in “BALLO A TRE PASSI”, nell’episodio della
“suora”). Ma non è difficile intuire che si è trattato di un prezzo da pagare alle esigenze del distributore, che qualunque regista, del resto, avrebbe pagato volentieri pur di riuscire a chiudere il film.
E non possiamo non sottolineare la sapienza visiva e l’efficacia della ricostruzione di quell’interno angosciante nel quartiere di “Santa Lamenera”, trasformato in una sorta di “Scampia” cagliaritano, la sua capacità di scegliere i volti dei personaggi unita all’efficacia nella direzione di 2 ragazzine del tutto a digiuno di qualunque rudimento di recitazione.
Mi piacerebbe che tutti questi aspetti riacquistassero la considerazione che meritano in un dibattito che a me pare viziato da forme di preconcetto.
Qualcuno potrà considerare questo mio intervento un pò troppo partigiano, ma mi preme sottolineare il fatto che non ho alcun rapporto con Salvatore Mereu, né ho mai avuto alcuna occasione di frequentazione con lui.
Pingback: Fare i sardi (e Bella mariposas)
Beh, il film e’ bello, fatto da un regista a cui non piace vincere facile. Bastava leggere il racconto di Sergio Atzeni – breve e leggero – che e’ un atto d’amore per la Cagliari delle tante contaminazioni culturali e per certi suoi abitanti emarginati ma saldi depositari dell’anima poetica popolare. Ai personaggi ci si affeziona subito, li si segue con emozione e il lavoro del regista su di loro si vede bene. I sardi sono sempre sul chi vive quando si parla, si scrive o si fa un film sulla Sardegna e su di loro…all’uscita dalla proiezione ho sentito qualche persona che avrebbe gradito una censura sul linguaggio, ma la leggerezza di Atzeni, la poesia di queste esistenze la si ritrova nel coraggioso film di Mereu e fa riflettere sull’eloquio abituale quotidiano di tanti nostri giovani nati nell’era berlusconiana della volgarita’ televisiva e della sottocultura imperante.
proprio oggi ho visto il film le aspettative erano tante,il film non è brutto, ma neanche bello , per certi versi mi ricorda un film girato a livorno, una citta’ molto simile a cagliari. il titolo era ovosodo, mereu, doveva sfruttare di piu’ cagliari e i suoi quartieri
Quanto scritto da Biolchini è molto onesto. Non mi sento di fare il critico cinematografico e, con tutto il rispetto per il lavoro di Salvatore Mereu – il film è comunque da vedere – però, alla uscita dalla sala ho provato un senso di delusione. Un senso di delusione, forse, per una occasione mancata. Quelle belle farfalle magari avrebbero potuto volare un pò più in alto se non le si fossero intrappolate in un contesto forse un pò troppo greve e probabilmente un pò troppo romanzato. Dalla scena della improbabilissima coga in poi mi è sembrato un susseguirsi di scene molto tipiche di film ambientati in una qualunque periferia grondante di problemi, purtroppo tutti veri e tutti seri. Ma quella era Cagliari, era Sant’Elia con tutte le sue particolarità, le sue contraddizioni ed i suoi problemi, con il suo enorme carico di varietà umanità e di varie umanità, non era un quartiere popolare qualunque di una qualunque città del sud. Mi è mancata molto nel film quella “cagliaritanità” che in quei personaggi ed in quei dialoghi proprio non sono riuscito a vedere. Nel suo genere “Brutti, sporchi e cattivi” è stato insuperabile e probabilmente Mereu sarebbe potuto andare oltre il troppo prevedibile.
Lessi il Libro tanti anni fa, non ho ricordi precisi, cio’ che mi rimane di esso è il piacere che mi ha lasciato: la poesia, la leggerezza, la freschezza delle due adolescenti mai volgari malgrado il linguaggio crudo a volte scurrile; insomma del libro mi è rimasto il suo “sapore”. Questo sapore l’ho ritrovato nel film è tanto mi basta per consideralo un ottimo film, poi disquisire sull’uso della Lingua, degli attori, dell’ambientazione, se sia meglio il film del libro o vicerversa è puro esercizio retorico……. A proposito in contemporanea c’è il film di Bertolucci, che tratta (guarda caso) di due adolescenti, sarebbe interessanti ragionarci
riveduto e corretto.
Questo accade per la mancanza di una film commission locale. ci sono buone idee in partenza, quasi sempre mal poste in pratica.. Tranne, come da Lei detto, Ballo a 3 passi, al quale mi permetto di aggiungere “Il figlio di Bakunin” e poche altre cose, il cinema di casa nostra sembra adagiarsi sul atto di partenza, cioè sull’idea, di fare un film, su una base importante, costituita dal ,romanzo, cui, non sempre segue un’adeguata messa in scena. Non basta mettere la parola Sardegna, o far parlare un minimo di sardglish..o Ital-ardo agli attori, perchè un bravissimo regista come Mereu, piuttosto che un ottimo Cabiddu o chi per loro, abbiano garantita la qualità e il successo del prodotto cinematografico. A mio modesto modo di vedere le cose, data l’enorme potenzialità che si portano dietro i racconti, le idee e il mondo di riferimento, il margine di crescita, è elevato. Inutile ripetersi, l’unica cosa di buono che il sindaco Veltroni fece a Roma, è stata quella di creare appunto, o ri-creare, una film commission di elevato livello, ha rimesso a lavorare come un tempo, un settore che fu l’eccellenza della cinematografia itailana e non solo fino agli anni 70-80..Torniamo a bomba con gli intenti a livello culturale, per quanto riguardo vita e opere della nostra amm.comm.. baci e abbracci!
ps. il mio sogno è quello di realizzare un film sulla storia del Cagliari dello scudetto!
Un topo in una vecchia cineteca mangiucchia una pellicola. Arriva un altro topo e condivide con lui il pasto; poi si ferma e dice: “Mmmh… preferisco il libro.
Con questa vecchia storiella vorrei chiudere l’annosa questione del rapporto tra libro e film e nello stesso tempo annullare critiche che derivino dalla lettura di un testo che non sia solo e soltanto quello filmico.
Vito, su una cosa non sono d’accordo con te: il film secondo me non ha voluto avere alcun intento realistico. Le persone parlano quindi una lingua che non deve essere la loro; la coga arriva da un’altra realtà e questo, coerentemente, è sottolineato da un’altra lingua (parlata appositamente dalla Ramazzotti, credo l’unica attrice non sarda). Le due mariposas restano a metà tra realtà e poesia (chi mai in quella realtà si innamorerebbe di Gigi?) e poetiche, con veri e propri “guizzi di cinema”, sono alcune sequenze, prima fra tutte quella delle due ragazzine sott’acqua (scena utilizzata nel trailer ma storpiata da Cremonini, in assoluto bellissimo silenzio in sala).
Sarà per questo che uno dei commenti che mi è piaciuto maggiormente è quello di Gianni Zanata, che parla di “poesia di straziante bellezza” (http://www.giannizanata.it/bellas-mariposas/).
All’uscita dal cinema ho sentito diversi commenti negativi sul film, in particolare per la sua presunta volgarità: avrebbero fatto meglio a restare a casa a guardarsi Maria De Filippi, certamente molto più volgare delle mariposas. So di molti che hanno scelto di vedere il film perchè ambientato a Cagliari e al Poetto: non lo sapevano che non si trattava di una versione sarda di “Sapore di mare?”.
Non comment su sterili e provinciali beghe politico-finanziarie, qui fuori luogo.
Saluti
La lettura del libro (14 anni fa!), mi coinvolse completamente. Il libro trattava di cose serie, ma la poesia, l’affetto di Atzeni per i personaggi, l’uso sapiente della lingua e la perfetta ambientazione hanno reso possibile un piccolo miracolo: “passare sulla terra leggeri”. Comunque risi a crepapelle. Il film non mi ha coinvolto, non mi ha emozionato. Non mi ha fatto ridere. Questo è quanto.
Io di Mereu ho visto solo Ballo a tre passi e mi sono piaciuti gli ultimi due episodi ,che trovo molto poetici , mentre non ho apprezzato nè il primo , scontato , nè il secondo , francamente irritante . Non ho avuto voglia di vedere Sonetàula perchè le storie ambientate in una Sardegna arcaica ormai esistente solo nella testa di alcuni autori mi hanno annoiato . Bellas Mariposas invece mi è piaciuto molto , e trovo che abbia reso bene l’atmosfera del bellissimo racconto di Sergio Atzeni . Ho trovato gli attori bravi e spontanei , in particolare le bambine Cate , Luna , Luisella , e il padre ‘ mandrone ‘ ; l’unica palesemente improbabile era Micaela Ramazzotti nel ruolo della Coga , che forse andava reso diversamente .La scelta del regista di far parlare la protagonista in camera è stata felice ; che importa che non sia una novità ? Tutti i film si avvalgono di tecniche registiche già sperimentate prima , e con ciò ? Per quanto riguarda il sardo parlato dai personaggi del film concordo con il commento di Mamma Tigre . Aggiungo che io frequento l’ambulatorio medico di Sant’Elia da molti anni , e la lingua parlata dagli abitanti del quartiere , in particolare dai giovani , oggi risulta omologata al linguaggio televisivo ( vent’anni di Maria de Filippi hanno lasciato il segno ! ) ,e molto diversa dalla lingua usata da Sergio Atzeni . Per me è un bel film che ha , oltretutto , il merito di aver descritto con efficacia il degrado di alcune realtà periferiche di Cagliari .
Sentite, io non sono un critico, ne un esperto di tecniche cinematografiche. Sono uno spettatore, uno che paga il biglietto, quindi più importante di tutti gli espertoni! A me il film è piaciuto molto. E lo consiglio a tutti. Sono d’accordo con chi dice che non si deve paragonare un film a un libro, mai. Infatti Mereu ha scritto: ..liberamente tratto da…. Un film non può competere con le mille possibilità immaginifiche di un libro, a partire dalla fisicità dei personaggi, che son sempre diversi da come ti immagini. Con un amico grande lettore come me, spesso ci raccontiamo un libro che abbiamo letto: sembra quasi che non si tratti dello stesso libro! Mereu ha liberamente tratto il film da una storia di Atzeni, quella che ha letto lui, che è diventata sua. Ma è riuscito a rendere quell’atmosfera greve con un occhio realistico, mai compiacente nè affetto da inutili e facili pietismi, non cadendo mai nella tentazione di giudicare. Quella periferia degradata è raccontata in maniera semplice, diretta, senza alcun filtro. E le ragazzine, poi, bravissime, e non bisogna essere un esperto per capire che dietro quel realismo, quella freschezza, c’è un bravo regista. Bravo Mereu! andate a vedere il film, è un bel fim.
Non ricordo nemmeno tutto quello che ha scritto colui che ha criticato il film, ma la frase: “Mereu doveva puntare tutto sulla lingua, non sulla storia tratta dal racconto di Atzeni ” è, a mio avviso di un’arroganza senza eguali! Se tu pensi (scusa il tu) che il film andava addirittura fatto in un altro modo…perchè non l’hai fatto tu? Questo è il film di Mereu, non il tuo!
Caro Vito,
non entro nel merito della qualità del film, né tantomento dei tuoi giudizi (i gusti sono gusti, si sa, e non si discutono. Le argomentazioni che usi, anche a proposito dei film precedenti, mi lasciano perplesso ma non mi ci soffermo), voglio semplicemente riportare una considerazione che facevo dopo aver visto il film il mese scorso all’anteprima di Nuoro. Pensavo che uno dei problemi nel rapporto dei cagliaritani con le Mariposas di Mereu sarebbe certamente stato il confronto con Sergio Atzeni. Il film è così stilisticamente diverso, pensavo, così narrativamente complesso, così tanto cinematografico (qualcuno dei commentatori del blog dice che qui non c’è cinema, mah!), anche di cura dettagliata, quasi maniacale del linguaggio cinematografico (e sottolineo l’uso attento del linguaggio cinematografico, non certo consueto in ciò che si vede comunemente nelle sale. E’ questo il linguaggio su cui Mereu lavora, non mi sembra che la parlata sia poi tanto rilevante), che inevitabilmente deluderà i fan di Atzeni abituati a leggere il racconto con una prospettiva affatto particolare. Il problema non se lo son posti in questi termini per esempio i critici nazionali che hanno apprezzato o meno il lavoro “tratto da uno scrittore che ha molto successo in Sardegna”, ma non hanno considerato la fedeltà al testo ispiratore (peraltro la trasposizione è sempre un tradimento, lo sanno tutti).
Io credo che avere sempre come riferimento il testo letterario sia un approccio sbagliato, e il risultato andrebbe valutato per quel che è il film: può lasciare perplessi, certamente, ma l’eventuale perplessità non può dipendere dal rapporto col racconto da cui è tratto.
Personalmente do sul film un giudizio più che positivo anche se lo trovo molto differente dal testo di Atzeni su cui do ugualmente un giudizio positivo, ma per motivi che sono diversi, come diverse sono le due opere.
Caro Antioco,
io penso che “Bellas mariposas” non sia un film pienamente riuscito, e ho cercato di spiegare i motivi di questo mio giudizio. Forse i motivi sono sbagliati, non so. Atzeni o non Atzeni, sicuramente da spettatore ho sentito di trovarmi di fronte ad un’opera incompiuta e meno “risolta” rispetto alle due precedenti di Mereu.
Sull’aderenza o meno al testo non posso che essere d’accordo. Anzi, come ho anche scritto, forse Mereu doveva allontanarsi ancor di più dal racconto atzeniano. Forse un po’ troppo esile per poterci ricavare un film, e in questo stava l’azzardo.
Quanto poi al problema della lingua, ribadisco le mie riserve: al di là dell’aderenza o meno allo spirito di Atzeni, alcuni attori non sembravano essere pienamente convinti né di quello che facevano né di quello che dicevano. E questo non giova alla riuscita complessiva del film.
Completamente d’accordo.
Tutti critici di cinema. Pogarirari!
a mei est pràxiu meda, su filmi fiat beru cumenti su libru. Diversus s’unu de s’atru, eja, ma in donniunu c’apu biu beridadi. Sa pitichedda est stètia stravanada: Vito, ma nd’has mai biu piciocheddus recitendi? In d’unu filmi italianu mìnimu ci poniant una piciocca de 21 annus ca fadiat finta de essi pitica.
Ma ndi olleis biri de filmis totu sballaus a pitzus de sa Sardigna? e Arcipelaghi ca est bessiu unu filmi de fantascienza? (chentz’ ‘e du bolli)
deu connosciu a memoria su libru de Atzeni e segundu mei su filmi est arrennèsciu, c’apu biu sa Casteddu ca connòsciu e ca unu pagu no c’est jai prus…
“siamo grezzi”
finalmente una voce fuori dal coro che coglie con serietà una verità incontrovertibile verso un cineasta molto mediocre e sovra stimato ma che ha molti e solleciti santi in paradiso nel potere trasversale dell’isola. Qui furbamente il regista ha è scelto di “usare” Atzeni come prima ha fatto con Fiori: oltre alla confusione linguistica (presente anche in Sonetaula -dove tra gli stessi familiari si parla dal logudorese col figlio che risponde in campidanese: una babele di lingue) il regista rifà l’operazione finto naif alla Niffoi per (s)vendere meglio la Sardegna ai critici continentali (che ci cascano ancora, ma forse non il pubblico che al cinema vede di tutto, e punì il costosissimo Sonetaula con sonoro insuccesso). Qui per “vendere” meglio il suo prodotto “furbo forse, ma non sincero” l’autore ci informa in tutte le occasioni che “tutte le periferie del mondo sono così, quindi questo è il film più internazionale fatto in Sardegna” quando la forza (e scelta “politica”) di Atzeni era proprio il dettaglio particolare, il cantare l’originale di una cultura rivendicandolo, e portandolo a dignità alta, come parte del mondo. Manca al film tutta la verità e leggerezza di un mondo, che è anche la sua lingua, l’universo onirico e il realismo magico e poetico di Atzeni. E’ tutto finto, eccetto forse a tratti Curreli, tutti “recitano” con impaccio, è girato in maniera rozza. Così le uniche emozioni vengono dal testo di Atzeni; mai si “vede” un guizzo di cinema. Un regista dovrebbe dare vita vera alle storia che racconta, cinema non è radio illustrata, e dovrebbe far vedere mondi: ma quando c’è da far vedere tutto crolla impacciato (che dire delle pagine sulla Coga di Atzeni e quello qui si fà fare alla Ramazzotti?). Patetico e molto provinciale che i servili critici si sforzino a citare Fellini o che spaccino il parlare in macchina per “grande intuizione di regia”. L’accondiscendenza servile dei giornali isolani va smascherata: è un “prodotto di potere” di un venditore di fumo: e la chiave va forse cercata nei titoli di coda dove trionfa una lunga lista di ringraziamenti: in primis a tal Giovanni Follesa, e a tutte le istituzioni dell’isola schierate come non mai: dalla Regione alle varie province e comuni. Ma quanto è costato questo film che appare così povero e triste sullo schermo?? Sarebbe giornalisticamente giusto e interessante (e magari questo blog lo vorrà fare, allargando la riflessione dal Lirico, al rapporto potere/cultura) leggere la delibera della Provincia di Nuoro e del comune di Dorgali per un film tutto girato a Cagliari…..
Perché non scrivi nome e cognome così diamo anche vino al vino? Un post che è un concentrato di luoghi comuni e invidia alla sarda. Non sono i giornali isolani ad aver premiato a Venezia Mereu per il coraggio dell’operazione cinematografica. Se il tuo è un de gustibus ci può stare (e conta come tale), ma nel tuo scritto di critica cinematografica non c’è nulla e di letture alternative al testo di Atzeni meno che mai. Siamo ancora in attesa di capire cosa intendi per “guizzo di cinema”, il resto è rimaneggiato dal post dell’autore di questo blog, pari pari. Ma certo, siamo tutti bravi a fare il cinema e i registi. Concludo dicendo che meno male che le istituzioni isolane sono schierate per questo film, spero solo che la tendenza si rafforzi. Povero e triste cosa? Quel che mostra o come lo mostra (tutt’altro che in modo povero, se vai a chiedere a chi si intende davvero di comae si fa un film)?
Il film è costato un milione e ottocentomila euro. I film costano. E hanno bisogno delle istituzioni, dei ministeri e degli assessorati. Finché durano (soldi e istituzioni). Servono anche a discutere e anche quelli belli fanno discutere. Questo è un film bello, né più né meno. La ricerca della perfezione linguistica, percepita diversamente a pochi chilometri da qui, è ridicola anche se deve restare una tendenza. Si figuri poi, caro pane al pane, chi se ne frega di Follesa, che non so chi sia. Non ho letto nessuna critica servile ( e servi di .che?). Atzeni non “cantava l’originale di una cultura” per vari motivi. Ma lei sembra solo interessato ad altro e la discussione astiosa non è il mio forte. Le delibere della provincia di Nuoro e di Dorgali se le legga lei e poi ce le riassuma. Oltretutto il film, che, le ripeto, è bello, ha vinto, proprio perché è tale, un premio che contribuisce alla sua distribuzione. Lo faccia lei un bel film, scriva lei un bel romanzo. Sarà meglio che leggere delibere animati dal fiele.
Si è astiosi e si spara ad alzo zero perché si vorrebbe far passare la tesi che, finita una certa esperienza di governo, sia finita la cultura in Sardegna. Purtroppo, o per fortuna, non è così, e se Giovanni Follesa lavora per questo tipo di produzione culturale ben venga. Dovremmo forse fare guerre a livello personale? O far finta che chi ha vinto le elezioni invece meritava di perderle? Hanno deciso i cittadini. E non dimentichiamo quei finanziamenti ad personam a sceneggiati Rai sui banditi stereotipati….pro caritate..In quanto al film mi è piaciuto, ma ha ragione anche il proprietario del blog.
E chi ancora prima di Woody Allen, molto più di 30 anni fa.
Ma queste sono considerazioni spicciole, che aimè, non c’entrano proprio un bel niente.
Lo sguardo in macchina è ormai una trasgressione consolidata.
Non è certo su quello che oggigiorno possiamo basare una critica cinematografica.
Almeno non costruttiva.
Le opere, qualsiasi esse siano, vanno contestualizzate.
gente che di mestiere scrive di cinema
http://www.facebook.com/bellasmariposas/photos_stream?ref=ts#!/photo.php?fbid=363277500417374&set=pb.335411116537346.-2207520000.1351424380&type=3&theater
e gente che non sa scrivere di cinema
http://www.giannizanata.it/bellas-mariposas/
da prendere in considerazione il consiglio finale di quest’ultimo
Questi film non funzionano perché non funzionano questi progetti e, tutto sommato, questi registi. Senza voler offendere nessuno, anzi rispettando le persone e le loro scelte artistiche, questi non sono film, sono altro. Il cinema è fatto anche di intrecci, azione, montaggio, ricerca di un linguaggio, di un codice di comunicazione con lo spettatore.
Certo, simili film hanno anche riscosso un discreto successo di critica, tenendo conto, però, che le giurie cinematografiche tentano di sottrarsi all’abbraccio omologante hollywoodiano e che quindi spesso vanno alla ricerca dell’esotico, del poco trattato del poco conosciuto: un anno vado a vedere un po’ gli afghani, un altro i thailandesi, un anno, appunto, i sardi e così via. Questo, per quanto ho potuto vedere io di cinematografia, senza necessariamente far coincidere la ricerca dell’esotico, con un effettivo interesse narrativo e cinematografico del prodotto, come dire: buona l’idea, un po’ meno, spesso molto meno, la realizzazione tecnica e la riuscita complessiva in termini di comunicazione.
Insomma, senza voler arrivare a Fantozzi e la sua Corazzata, non è detto che essere elitari voglia per forza dire realizzare prodotti indimenticabili
Queste, poi, sono iniziative che da noi si basano molto sul percepimento di fondi come quelli per la lingua sarda, che è uno dei pochi modi per racimolare soldi e fare cultura in Sardegna.
Ognuno di noi, allora, potrà dare la sua valutazione sulla validità, la riuscita o anche sull’opportunità di questi progetti.
Di certo, a me come spettatore non mi interessano.
Il Medievista: .
Luogo comune da bar dell’università di grande falsità, Vai a leggerti i bilanci della Regione e vediamo quanto si spende per la lingua sarda e quanto per altri settori. Poi ne riparliamo. Informati prima di pontificare. Noi degli uffici degli uffici linguistici lavoriamo poco e mancano i soldi.
Nessuno si è permesso di pontificare. Personalmente ho espresso una mia valutazione, nell’assoluto rispetto delle persone, aggiungendo (senza dire se è un bene o un male) che qui da noi uno dei pochi mezzi per reperire qualche soldo è, appunto, reperire fondi pubblici. Perché non siamo a Holliwood ma in un’isola di un milione e mezzo di abitanti, i quali non possono essere tutti dei geni o dei talenti immortali. Tutto qui. Niente fiele, please.
Nessuno si è permesso di pontificare su alcunché. Per quanto mi riguarda ho solo espresso una mia valutazione personale, nel totale rispetto delle persone, peraltro, aggiungendo (senza dire se è un bene o un male) che qui da noi uno dei pochi modi per reperire dei soldi è il ricorso alle leggi e ai fondi pubblici. Perché non siamo a Holliwood ma in un’isola di un milione e seicentomila abitanti che, fisiologicamente, non possono essere tutti dei geni o dei talenti immortali. Tutto qui.
Niente fiele, per pietà: ne ho sinceramente abbastanza, Vito, di vedere che ogni volta che si interviene su un argomento, si scatenano gli umori più antipatici delle persone. Sembra che siamo davvero un popolo senza pace, incarogniti gli uni con gli altri. Non gliene importerà niente a nessuno ma, per quanto mi riguarda, sta diventando perfettamente inutile intervenire in questi “dibattiti”. Continuerò invece a leggerti con il solito interesse.
mi intendo di cinema quanto si intendono di musica i fan del festivalbar. però a me il film è piaciuto, il romanzo lo leggerò presto. buona domenica vito.
Se è per questo, ancora prima anonimo. Vatti a vedere Fino all’ultimo respiro di Godard. La scelta felice cui si riferiva Vito forse premiava quella di Mereu di averla adottata, come sembra suggerire il racconto di Atzeni.
Sai che ti dico Vito? Che me ne frego della filologia sarda (dettaglio critico che peraltro non condivido affatto rispetto a quanto dici). E chi mi auguro che questa Cagliari mai filmata prima così, questa Sardegna di oggi e questa favola dentro un dramma sociale che potrebbe essere di ogni dove possa arrivare soprattutto ad un pubblico non sardo. Perché questo serve al cinema sardo, e ancora di più a tutto il cinema italiano. Dei soliti bisticci “libro contro film” (il cui esito è quasi sempre scontato a favore del primo) potremmo anche farne a meno. A me ad esempio non è piaciuto affatto il ragazzino “etnico” del primo episodio di “Ballo a tre passi”, quello che va al mare. Mi chiedo: esistono ancora ragazzini così in questa nostra isola? Mentre di certo esistono ragazzine come Luna e Cate, e se fai un giro per certi quartieri nostri troverai un sardo “marinaro” ibridato col napoletano e altre parlate “slang” suburbane che mettono insieme italiano-casteddaio e altre cose ancora.
La trattazione che suggerisci tu avrebbe dato probabilmente vita ad un film “teatrale” per specialisti, tutto chiuso dentro il recinto di noi sardi che ce le diciamo fra noi. Mentre c’è bisogno di uscire da qui. Cinematograficamente, più che mai. Con stima
Certo che rifiutare il piccolo recinto sardo per abbracciare il poco meno piccolo recinto italiano…ci vuole coraggio…Ajò, svegliatevi. L’Italia è un piccolo mercato asfittico, un luogo fuori dal mondo. Mollate l’Italia entrate nel mondo.
Primo episodio di Ballo a tre passi: imbarazzante nella sua inutilità. Concordo in pieno con Cristiano.
Mi sembra che Mereu sia troppo interessato a inserirsi e legittimarsi in una cultura mainstream nazional-regionale per impegnarsi troppo sul tema della lingua. Manca la riflessione, il confronto, l’analisi fuori dagli stereotipi da Premio Ozieri. Anche l’uso della lingua in Son’e taula, per quanto positivo, rifletteva un’idea antropologica di lingua, non certo artistica.
L’ho sentito una volta parlare in pubblico del tema della lingua e non mi è piaciuto. Livello troppo da bar. Anche Columbu a volte cade inqueste trappole. Non c’è elaborazione originale e soprattutto non si tiene conto di quello che sta succedendo in questi anni nella società sul tema. Non si anticipa,nè si riporta il cambiamento di percezione sociale. Siamo fermi agli Anni Ottanta.
Non ho visto gli altri di Mereu, non potrei fare un paragone (e forse è anche meglio non farlo)…
Il film mi ha suscitato le stesse emozioni del libro. E anche lo stesso senso di disagio nello stomaco quando sono andata via dalla sala. E non è cosa da poco, perché di solito per me i libri sono meglio della trasposizione cinematografica.
L’interpretazione che ho apprezzato di più in assoluto è quella della sorellina di Cate, una macchietta di spontaneità, sembrava non recitasse mai.
Quanto alla lingua, è vero che alcuni attori si destreggiavano meglio con il sardo: il padre di Cate è molto verosimile anche perchè da una frase della moglie che sbotta con la bambina, si capisce che provengono dalla zona disagiata di Iglesias (altra trovata di Mereu che ho apprezzato) e tutto lascia pensare che si esprima così, da sempre, da prima che arrivasse a Sant’Elia.
I ragazzi invece vivono nel nostro tempo, in una Cagliari un pò più attuale di quella di Atzeni e forse anche a Sant’Elia non parlano più il sardo come una volta. Concordo con la tua osservazione “Oppure bisognava lasciare che questi attori presi dalla strada parlassero la loro lingua, non quella imposta loro…”
Si, il personaggio della coga era una bella idea, però c’era quel qualcosa che non mi convinceva…
Nel complesso mi è piaciuto molto.
http://www.youtube.com/watch?v=k1IZN7r5PK4
L’idea di far parlare la protagonista in camera e’ felice, ma c’e’ chi lo faceva gia’ piu’ di 30 anni fa.