Oggi Sergio Atzeni avrebbe compiuto sessant’anni. Ce lo ricorda Gigliola Sulis con un bell’articolo uscito sulla Nuova Sardegna, dal titolo “Sulla terra leggeri, l’ironia e il disincanto di un poeta delle città”.
Ogni scrittore continua a vivere nelle sue opere. Però ha ragione Gigliola a dire che Atzeni ci manca: perché in realtà nessun autore in Sardegna ne ha mai raccolto l’eredità.
Scrive Sulis: “Di Atzeni ci mancano il suo sguardo ironico, disincantato e curioso sulla realtà, la coerenza intellettuale e il rigore dell’analisi di uno scrittore che raccontava con onestà e serietà, ma senza mai prendersi troppo sul serio”.
Ritrovate in questo ritratto di Atzeni, l’identikit di qualcuno dei nostri più celebrati scrittori?
Ritrovate nei nostri più celebrati scrittori (più celebrati di quanto non lo sia mai stato in vita Atzeni, benché abbia scritto libri di gran lunga superiori a quelli che oggi tutti magnificano), ritrovate in costoro quell’amore per la scrittura, quella sincera tensione morale, quello sguardo originale sulla Sardegna che ancora apprezziamo non solo nei romanzi di Atzeni, ma anche nei suoi più importanti interventi giornalistici?
Sergio Atzeni per la cultura sarda quasi non esiste più. E non perché è morto, tragicamente scomparso nel 1995, ma perché è stato dimenticato. Anzi, perché è stato rimosso. Atzeni non è più (sempre che lo sia mai stato) il termine di paragone col il quale è necessario confrontarsi quando si vuole scrivere di Sardegna.
Meglio ignorarlo, dimenticarlo, meglio far finta che non sia mai esistito. Perché ogni confronto con i nostri più celebrati scrittori sarebbe impietoso. Perché i più celebrati scrittori sardi di oggi non hanno niente da dire. Ma lo dicono benissimo. Di Atzeni invece da anni non parla più nessuno.
Ma non per questo sono pessimista. Lo scrittore è ancora lì, nei suoi libri, che nessuno potrà mai toglierci. Il suo esempio di autore e di intellettuale è ancora valido, la sua scrittura ancora vera, così profetica e potente perché distillato eccezionale di una vita vissuta veramente. E da qualche parte dell’isola un giorno spunterà nuovamente un giovane tormentato e coraggioso, capace di amare la scrittura più delle luci della ribalta, che vorrà inventare storie per spiegarci quale futuro ci attende. Ne sono sicuro.
Bellissimo articolo di Gigliola Sulis studiosa e grande conoscitrice di Atzeni. E molto bello anche il ricordo di Vito.
Un duetto quasi poetico con lo scrittore a cui rendete giustizia e meriti.
Qualcuno cercava di immaginare un confronto tra Sergio Atzeni e gli scrittori/scrittrici sardi contemporanei; io non vedo in loro o solo in loro la responsabilità dell’oblio in cui si rischia di far cadere certi autori .
L’indifferenza che circonda la figura di Sergio Atzeni (anche se per onestà e per fortuna dobbiamo dire che non da tutti è stato dimenticato) è la stessa indifferenza che l’ha circondato quando era in vita e che, forse, gli ha procurato qualche ferita profonda.
E nonostante le ferite ha voluto cantare e incantare noi tutti diventati personaggi reali e immaginari dei suoi libri e la sua città bianca. Quella che nessuno prima di lui aveva voluto, o saputo raccontare.
Le storie, i personaggi, le poesie, le dediche, ma anche certe assenze evidenti nei suoi libri dicono molto, inducono a riflettere, ad interrogarci, per capire qualcosa in più di noi e qualcosa di lui.
E’ questo uno dei punti più intriganti per me, le domande che, immagino, Atzeni ci pone attraverso i tanti i fili che lascia sospesi, come volesse passare la mano, invitandoci a continuare la tessitura del suo arazzo.
Qualche filo l’abbiamo pure raccolto ma siamo maestri nell’aggrovigliarlo di più in modo che nessuno mai riesca a scioglierlo: noi e il rapporto con noi stessi.
Com’è che ancora non riusciamo parlarci, a parlare dello scrittore con animo sereno e alle parole preferiamo le guerre o le ipocrisie?
Perché non indagare quei meccanismi collettivi (non solo degli intellettuali) che ci hanno impedito già da quando era vivo di ascoltare le sue parole, di capire la sua musica, di accogliere la sua arte?
Perché ancora oggi non riusciamo ad averne rispetto?
Siamo tanto vigliacchi da sperare che il tempo cancelli quella voce dissonante che non si è appiattita alle leggi di mercato, che ci ricorda giorno dopo giorno quanto siamo miserabili?
Forse contiamo sulla impossibilità di replica? Forse perché l’assenza autorizza i più spregiudicati e millantatori a fingere una vicinanza che se mai c’è stata è finita sepolta sotto rancori polverosi?
Bene fa chi continuerà ad intrecciare fili e trame del grande lavoro letterario di Atzeni, per comprenderlo meglio, per farlo conoscere di più, per regalare le sue storie alle generazioni future.
Non è utile inventare falsi eroi, caso mai è importante non rendersi complici di una rimozione tanto grave quanto colpevole.
oggi 7 aprile 2013 – domenica – ore 15:45
oggi ti leggo e sento brividi.
sergio è per me respiro – luce calda – nelle sue parole le mie.
anch’io noto che ci si può dimenticare
“nessuno esiste quando cessa di esistere” … e si crea un vuoto che è nelle mie mani e nelle tue.
qui possiamo costruire la protezione. qui possiamo prendere i mattoni di sergio e costruire li spazi che ci ha suggerito. qui mi posso prendere gioco del sordo e del cieco. qui posso dare uno schiaffo alle carezze e sputare ai tuoi piedi.per farti saltare e danzare e sentirsi leggeri.. leggeri..
“Lavoravo in una radio libera, continuavo ad illudermi di poter diventare giornalista, avevo smesso l’uso di qualunque sostanza stupefacente eccetto il caffè, ne bevevo litri e mi distruggeva lo stomaco, ogni tanto mi mettevo pure la cravatta e riuscivo a dare esami. Non volevo guai. E’ stato il periodo più tranquillo e inutile di tutta la vita.” da: Il quinto passo è l’addio
Struggente, incomparabile, inappagabile nostalgia.
Caro Vito,
l’oblio di Atzeni è una necessità per la sinistra cagliaritana e per gli scrittori à la page della Sardegna. Iniziamo dalla Sinistra. Lui non era un salottiero, ma una persona che conoscceva sia le lettere che la società. Aveva imparato a amare l’umanità e non a usarla (aveva vissuto a Is Mirrionis, non in Viale Merello). La strumentalizzazione del popolo lo faceva inorridire; per una parte (di successo) del Pci la strumentalizzazione del popolo era un dovere. Lui aveva un senso orgolese del valore e del merito: la vita era per lui costruzione del merito e del valore in libertà. I migliori del Pci erano branchisti, logica ferrea di gruppo nell’attacco e nella difesa, parole d’ordine, austerità patinata di comportamento. La ‘sua’ libertà era individuale ma non egoistica. Andò via da Cagliari quando il Pci diventava un partito di potere e altri giovani passavano dalla militanza sociale all’autonomia e dall’autonomia al terrorismo. Per lui il potere non era affascinante, se non come oggetto narrativo. Oggi, una persona così ricca e complessa, un libertario di sinistra, cristiano e non marxista, ostile a ogni intruppamento come un nativo orgolese che si rispetti, non sarebbe bene accetto nella sinistra sarda. Quando eravamo studenti, ne suggeriva la lettura Marci, ma non la Cerina, Maxia o Pirodda e neanche Tanda, a Sassari, che non lo capiva.
Gli scrittori contemporanei: ne incentivano l’oblio perché sono infinitamente meno dotati di lui, mancano di visione, di creatività. Basti pensare al fatto che Atzeni non è noto per il noir; Atzeni è diventato scrittore faticando sulla materia narrativa più difficile, quella della commedia umana alla Balzac. Gli scrittori attuali mancano della coscienza del mistero umano e divino. Mancano di quello spirito giocoso dello scrivere, privo di calcolo mercantile, che sta sempre alla base del successo di un grande scrittore.
Io provo verso di lui una grandissima nostalgia.
Va bene tutto, ma Atzeni è nativo di Capoterra.
Atzeni aveva “un senso orgolese del valore e del merito”? Ma cosa dice?
Difficile affermare che i contemporanei Murgia, Fois, Soriga, e direi anche Niffoi, non abbiano echeggiato nell’affollato panorama della letteratura italiana di questi ultimi dieci anni. Ma è nel nome di Atzeni, non tanto nel suo primato di notorietà, l’assoluto valore dello scrittore, e lo ancor più nel mondo che ha descritto, e soprattutto nell’articolata creatività di formule con cui ha lo ha descritto quel mondo.
Atzeni è la scrittura, se solo si pensa a quale incantesimo sia leggere “Passavamo sulla terra leggeri”. Atzeni è l’opera, se ci si immerge in quel pezzo di società che è “Apologo del giudice bandito”. Atzeni è il rifiuto del compromesso, se ci si abbandona alle emozioni degli ultimi che trionfano in “Bellas Mariposas”.
Ogni scrittore di fronte a queste “imprese” della parola è inadatto al confronto di Atzeni. Tranne una. Forse dimenticata quanto lo stesso Atzeni: Giulia Clarkson. Che con “La Città d’Acqua” ha compiuto uno di quei prodigi della letteratura troppo presto dimenticati. Un capolavoro scritto, si dice, in piena euforia emotiva da gravidanza.
Mi chiedo che fine abbia fatto la sua meravigliosa penna.
Ecco, pensando a questi due nomi si riconosce il vero segno della scrittura isolana.
Una scrittura fatta per chi ama leggere, non per chi legge per avere il libro.
Purtroppo però non solo chi non c’è più, ma anche chi è ancora in vita, talvolta, resta ai margini a discapito di nomi che diventano macchine da business, o storie sgangherate senza brividi nè ingegno. Il Maestrale, in questa piccola decadenza, è responsabile (soprattutto negli ultimissimi anni) di imperdonabili buchi nell’acqua cavalcati sulla spinta del commercio, o di altre logiche che di sicuro risarciscono l’autore, ma non il lettore.
Non si spiegerebbero certi romanzi come anche l’ultimo pubblicato nelle scorse settimane “Le figlie di Bes”: “Non storie” per eccellenza, queste sì, destinate a scomparire.
Ancora peggio quando “pensano”di ricordarlo… snaturandolo, vedi Quartucciu:
http://09044.blogspot.it/2011/04/cantieri-aperti-parco-urbano-sergio.html
http://www.skyscrapercity.com/showthread.php?t=1176161
Nel novembre del 2008, a Nuoro, durante il convegno “L’architetto e l’archeologia”, uno dei progettisti del ”Parco Urbano Sergio Atzeni” a Quartucciu, Pietro Reali, mostra in anteprima i disegni del museo, ora visibile da tutti, ed una voce dal pubblico non riesce a trattenere un: PASSEREMO SU QUARTUCCIU PESANTI!!
Forse è meglio che qualcuno lo dimentichi, che non lo si usi impropriamente. E che parlino i suoi libri…
BM
Si evidenzia un fenomeno, sicuramente negativo, a leggere post e commenti, ma, le motivazioni? Sergio Atzeni messo nel dimenticatoio, punto. Da chi? Perchè? Tutti a stracciarsi le vesti e a piangere calde lacrime senza azzardare una responsabilità. Ammesso che ce ne siano, di responsabilità, perchè questa “damnatio memoriae”?
“Sergio Atzeni per la cultura sarda quasi non esiste più… perchè è stato dimenticato. Anzi, perchè è stato rimosso.” “Meglio ignorarlo, dimenticarlo, meglio, far finta che non sia mai esistito.”
Cui prodest? Sembrerebbe di capire, ma vattelappesca, agli attuali scrittori sardi (o agli editori?). E i lettori?
Mah!? Dovrò leggere Sergio Atzeni per cercare di capirne di più.
“Meglio ignorarlo, dimenticarlo, meglio far finta che non sia mai esistito. Perché ogni confronto con i nostri più celebrati scrittori sarebbe impietoso”.
Ora lo hai capito?
Sergio Atzeni è, senza dubbio, un grande della letteratura italiana.
http://danielebarbieri.wordpress.com/2012/10/01/conoscere-la-storia-della-propria-terra/
http://lanuovasardegna.gelocal.it/regione/2012/09/25/news/sergio-atzeni-un-incontro-a-cagliari-1.5755182
Dezzideisì.. (su Wikipedia la data 14 ottobre è comparsa oggi o comunque di recente, fino al mese scorso la data di nascita non c’era)
🙂 Confermi il 14 ottobre Vito? Non ero ancora riuscito a scoprirlo.
Atzeni mi ha divertito e commosso; certo, non mi ha annoiato.
Non è cosa da poco.
Ovunque sia, stia bene.
Ho amato e amo la scrittura e gli scritti di Atzeni. A lui devo la comprensione di un percorso identitario né provinciale né becero: umano e troppo umano. Buon compleanno Sergio.
Chissà come sarebbe articolato, cosa potrebbe far trasparire, quali silenzi imbarazzati potrebbero emergere da un”incontro” tra Atzeni e scrittrici/ori isolani contemporanei..
Ancora un ottimo post pero’ non condivido, la necessita’ di paragoni con l’oggi. Perche’ la migliore pagina di uno scritore “laureato” e celebrato sardo contemporaneo vale meno di una riga di atzeni pescata a casaccio.
Figurarsi se tra questi scrittori, ben orientati al mercato e pure alla bancarella, possiamo ritrovare un intellettuale.
Molti devono molto ad atzeni e qualcuno gli deve qualcosa in piu’, per non averlo compreso. Anzi, per averlo danneggiato.
Ancora lo penso con emozione; “la Cultura si offre, non si difende…”
E c’è ancora chi lo ricorda e ama
Vito, hai ragione piena su Atzeni. Sul panorama letterario cosi’ povero, a conti fatti. Ma soprattutto hai ragione a credere che passata la nottata arriveranno tempi migliori, come espresso nella chiosa. Questo significa essere autenticamente progressisti. Come lo e’ pensare che il vero progresso passi attraverso le pagine dei libri (ancora: quelli che restano, s’intende).
Sono del tutto d’accordo con l’articolo di Gigliola Sulis.Magari non del tutto sull’ironia. Mi provocano un po’ nausea, ma passa subito, quelli – pochi, per fortuna – che chiamano familiarmente Sergio Atzeni con il solo nome: “Sergio”.
Hai ragione. Non ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Sergio Atzeni (il padre si per motivi politici) ma effettivamente c’e’ il dubbio che in giro si millanti molto al proposito. Per il resto ha ragione Vito. “Passavamo sulla terra leggeri” commuove e lascia stupiti a ogni verso, meriterebbe una piazza d’onore in tutte le antologie della letteratura italiana e non solo sarda. Di certe consumabilissime opere di contemporanei tra un paio d’anni parleranno solo i loro autori.
Condivido il ricordo del grande Sergio Atzeni. Mi spiace che per evidenziarne la grandezza sia necessario (lo è davvero?) dover dire che “i più celebrati scrittori sardi di oggi non hanno niente da dire”. Credo che Atezni, nel celebrarne il ricordo, possa meritare qualcosa di più.
Lilliana Palitta.
Come lui nessuno mai. Mai piu’letta,anzi sentita nella pancia,quella vicinanza alla realta’,quel sentimento di struggimento,non ho ancora capito cosa fosse.
Come lui nessuno mai
“Volete farvi un’idea di Cagliari senza visitarla? Ne ritrovate l’essenza tra le pagine di Sergio Atzeni, da cui affiorano immagini, suoni, odori, sensazioni che solo chi ha vissuto intensamente questa città può evocare. Riconoscere i luoghi e i personaggi, o quello che dopo quindici anni ne rimane, sarà bellissimo e commovente.
Sergio, te ne sei andato troppo presto.”
( http://dionisopellegrino.com/2010/11/26/quanto-e-bella-cagliari/ )
Caro Vito, mi sa che hai ragione.
Solo ultimamente in molti sembrano essersi accorti che ci fu un Sergio Atzeni scrittore, anche grazie a “Bellas Mariposas”-film. Scrittore sardo, un gigante però, gigante vero, con il suo modo di scrivere che ti spiazza sempre, in ogni opera, in ogni romanzo o racconto che sia. Quel modo di raccontare che ti invita ad abbandonare le strade conosciute per addentrarti in quelle viuzze secondarie, odoranti di vita, di storie, anche della città che tutti conosciamo. Vi sono barlumi di genialità in Sergio Atzeni (sempre dosando bene la parola “genialità”, oggi regalata allo spreco in troppe occasioni, ma si sa, oggi ci si meraviglia per poco), scrittore moderno abile e di certo non scontato. Ha avuto solo una “colpa”: essersene andato troppo presto. Il resto è stato fatto ignorandolo, nascondendolo. A me piace pensare per ignoranza (Vito, diciamolo chiaramente, quanti sardi, ancora oggi, riuscirebbero a capire e seguire un “Passavamo sulla terra leggeri”?) e non vorrei mai arrivare a pensare, invece, per strategia.
Sergio, ci manchi. Ci mancherai ancora a lungo, credo.
Ciao.
Ricordo una frase di Atzeni sentita dal vivo un qualche giorno dei primi Anni Novanta, aula magna corpo aggiunto Magistero di Cagliari alla presentazione dell’Apologo: . Si trattava dell’approdo non scontato di un ex contrario a queste idee, cresciuto nella negazione della sardità. Passavamo sulla terra leggeri è infatti un romanzo epico, una serie di nuovi miti fondativi della sardità. Oggi mancano proprio gli scrittori in grado di fare una letteratura epica, politica e civile. I loro libri guardano solo al mercato. Per questo, per mascherare il senso di colpa, fuori dai libri, si occupano tanto di politica e di Sardegna.
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Il problema è se saremo ancora vivi quando inizierà a scrivere e se qualcuno ne pubblicherà il lavoro.