Politica / Sardegna

Ecco perché le miniere del Sulcis sono destinate alla chiusura. Ma l’insipienza della nostra classe politica non può essere un pretesto del governo per affossare la Sardegna

Le miniere di carbone del Sulcis non sono salve, manco per idea. I titoli dei giornali strillano questo, ma le cronache raccontano ben altro. Ci dicono cioè che il governo Monti, dopo avere chiaramente espresso la sua contrarietà al progetto di gassificazione del minerale e di stoccaggio delle scorie perché troppo oneroso (un miliardo e mezzo di euro di fondi statali e comunitari), ha chiesto alla Regione Sardegna di rivedere radicalmente i suoi piani, e di farlo in appena quattro settimane. Non in un anno (come inizialmente si era creduto), ma in un mese.

Questo termine viene confermato da Ugo Cappellacci, in una intervista resa oggi all’Unione Sarda, il cui titolo è (appunto), “Nuovo piano in un mese”. “Ridurremo un po’ il progetto, per pesare meno sulle bollette”, dice con nonchalance il presidente della Regione.

Prima considerazione: riuscirà Cappellacci a fare in trenta giorni quello che non ha voluto fare per anni, cioè presentare un progetto credibile e in grado di superare le perplessità avanzate a più riprese dall’Unione Europea? Io penso di no, e dopo vi dirò il perché.

Seconda considerazione: se i minatori non avessero occupato le gallerie, la Regione avrebbe continuato a puntare su di un progetto totalmente perdente. La mobilitazione ha costretto la dunque Regione ad aprire gli occhi. Il fatto che la Regione debba oggi riscrivere un progetto di questa portata, certifica clamorosamente il suo fallimento e quello di tutto il management della Carbosulcis e della Sotacarbo.

Trenta giorni per salvare la miniera, dunque. Ma in che modo? Torniamo a Cappellacci: “Ridurremo un po’ il progetto, per pesare meno sulle bollette”.

Quanto pesasse il progetto rigettato dal Governo (perché non in linea con le indicazioni richieste dall’Unione Europea, senza il cui sostegno economico l’iniziativa non potrebbe essere avviata) ce lo racconta la Nuova Sardegna di oggi, nel pezzo a pagina 2 “Carbosulcis, si aspetta un nuovo piano”, a firma di Giuseppe Centore: “65 milioni per la miniera, 965 per la centrale e 534 per la sezione della cattura e stoccaggio della Co2”. Totale 1,564 miliardi di euro. Che sarebbero stati pagati dalle bollette degli italiani o botte da 200 milioni all’anno per otto anni.

Ma la Nuova ci dice qualcosa di più importante. Perché non basterà, come afferma Cappellacci, “ridurre il progetto per pesare meno sulle bollette”. No, ed ecco il motivo:

“Risulta alla Nuova che gli uffici del ministero non stiano pensando a una proroga per il bando di gara definita nel tempo, un anno, come le altre due, ma solo per il tempo necessario alla definizione del nuovo progetto, le cui caratteristiche dovranno essere profondamente riviste. Non un “restyling” come si augurava sino a ieri il presidente della Sotacarbo (e direttore generale della Carbosulcis) Mario Porcu, con una cura dimagrante del vecchio progetto che riducesse di un terzo i costi, ma un vero e proprio cambio di passo, un altro progetto, con altre caratteristiche, e soprattutto con una diversa filosofia, che stacchi la centrale dalla miniera e non obblighi il costruttore della centrale ad acquistare per contratto una elevata parte della materia prima dalla Carbosulcis”.

Eccolo qua, il punto. Ecco il motivo per il quale il progetto di gassificazione e stoccaggio è praticamente inattuabile. Non perché sia troppo oneroso o tecnologicamente impossibile da realizzare. Sotto questo aspetto anzi, potrebbe anche essere una sfida da cogliere, come spiega bene su chicagoblog il fisico Angelo Spena in un post dal titolo “Il Sulcis paradigma e sfida se l’Italia vuole fare sistema”. Sarebbe, se non ci ritroviamo questa classe dirigente isolana (ma non ditelo al direttore dell’Unione Sarda, Paolo Figus: per lui “lo Stato centrale è l’unico responsabile”).

Il motivo vero per cui il progetto molto probabilmente non riuscirà ad avere il via libera dall’Ue è che le norme comunitarie non possono consentire che la nuova centrale venga alimentata solo ed esclusivamente dal carbone del Sulcis. Come ci ricorda sempre la Nuova, è stata proprio l’Unione Europea, poco più di un mese fa, ad avvertire la Regione che un progetto che prevedeva l’acquisto del carbone in gran parte dalla miniera sarda non sarebbe stato accettato perché lesivo delle norme sulla concorrenza.

Peccato però che il progetto sia stato pensato solo e solamente in funzione della sopravvivenza della miniera! La gassificazione è una scusa, un pretesto per rendere appetibile un minerale di bassissima qualità, quale è quello estratto a Nuraxi Figus. Se il carbone sardo non fosse più zolfo che altro, la miniera sarebbe in attivo e potrebbe esportare in tutto il mondo.

Invece no. Guardate: questa è la relazione Carbosulcis per il 2012: la società guadagna più dallo stoccaggio dei reflui che non dalla vendite del minerale. Incredibile, vero?

Non solo: posto e non concesso che Cappellacci riuscisse in un solo mese a presentare un nuovo e innovativo progetto, poi ci sarebbe da fare i conti con la gara internazionale a cui saranno chiamate a partecipare le imprese private che dovranno materialmente realizzarlo. E se alla fine non si dovesse presentare nessuno, che si fa?

Insomma, il carbone del Sulcis non lo vuole nessuno, né si può costringere l’Enel a continuare a comprarlo, né si può pretendere dall’Enel di credere in un progetto in cui in realtà pochissimi hanno fiducia.

Non solo: il sottosegretario De Vincenti è stato chiaro oggi sull’Unione Sarda: “Non è mai esistita e non esiste una scadenza per la vita della miniera”. E il motivo è molto semplice: la miniera è di proprietà al cento per cento della Regione, non è dello Stato. Quello di fare credere che il futuro dei minatori dipendesse dal governo è stato solo un artifizio mediatico.

La miniera presto dovrà finalmente essere privatizzata. Peccato che molto probabilmente nessuno la vorrà comprare. E questo non per colpa né di Clini, né di Monti, né di Cappellacci, ma del minerale stesso estratto da Nuraxi Figus: “zolfo con un po’ di carbone, e non carbone con un po’ di zolfo”, come ha scritto bene Roberto Bolognesi.

***

E dunque che si fa?

In un suo editoriale, Nicola Porro del Giornale sintetizza efficacemente un sentimento comune a tanti. Scrive Porro:

“Il governo Monti, come quelli che lo hanno preceduto, è davanti ad un bivio: o salva la miniera del Sulcis o salva l’economia italiana. È inutile girarci intorno. La questione va oltre i minatori sardi, che sono ottimi e onesti lavoratori, per i quali si deve trovare una soluzione. Il punto è che si deve una volta per tutte dire che la presa per i fondelli non può continuare. Ha senso salvare 460 posti di lavoro scaricando sulla bolletta elettrica una mini-tassa di 250 milioni all’anno, spalmata su tutti gli italiani?”.

Domanda suggestiva, non c’è che dire. Ma concentriamoci sul titolo dell’editoriale: “O salviamo il Sulcis o salviamo l’economia”. Cioè, in altri termini: “Se muore il Sulcis, si salva l’economia italiana”. Ed è esattamente il progetto del governo Monti: abbandonare al loro destino le are più deboli del paese per salvare le aree forti.

Sulla Tirrenia il governo ha fatto così: ha preferito favorire Onorato piuttosto che garantire i diritti dei sardi alla mobilità; sulla chimica ha fatto la stessa cosa: ha preferito subire il diktat dell’Eni piuttosto che salvaguardare le produzioni di Porto Torres. Ora sta facendo così anche per il carbone, solo che stavolta questa strategia è resa più accettabile dalla pochezza della nostra classe dirigente, incapace di presentare un piano serio per il futuro del Sulcis.

Sostenendo ad oltranza un progetto ormai irrealizzabile, Cappellacci, Pili e compagnia cantante stanno infatti facendo solamente il gioco di Monti: dimostrare che il disastro isolano è causato solo da una classe dirigente locale inadeguata, “e peggio per i sardi se hanno votato gente così”.

Peggio per noi, certamente: ma ciò non giustifica l’atteggiamento del governo centrale. Come ho scritto qualche giorno fa, chiudere le miniere non significa abbandonare i minatori. Il Sulcis non può perdere dall’oggi al domani 500 posti di lavoro: non può. E se la nostra classe dirigente non è in grado di immaginare a breve un piano credibile, questo lo deve fare il governo romano. Monti, Passera e Clini non possono nascondersi dietro un dito.

Invece l’impressione è che ancora una volta le aree periferiche saranno abbandonate al loro destino. Perché, come dice bene l’organo della destra conservatrice italiana, “Se muore il Sulcis (cioè la Sardegna), si salva l’economia italiana”.

Ecco perché bisogna usare tutte le nostre forze per pretendere piani credibili in grado di creare lavoro vero e duraturo, per pretendere una politica che non affondi le aree depresse, per creare una nuova classe dirigente isolana capace e responsabile: non per le miniere.

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16 Comments

  1. pietro says:

    ma il progetto da 1,564 miliardi di euro è questo?:
    http://www.enea.it/it/Ricerca_sviluppo/documenti/ricerca-di-sistema-elettrico/centrali-carbone-costi/rse155.pdf
    Si vorrebbe estrarre gas metano stoccando Anidride Carbonica (CO2) e facendola ‘assorbire’ dal carbone.
    Pare che in Australia si faccia così. Erano australiani anche quelli dell’oro a Furtei?

  2. Cavaliere Nuragico says:

    Bene, dopo tutti questi commenti, bisogna fare sintesi di tutto
    ciò che se si è detto.
    La capacità di unire anime di diversa estrazione politica che vada da quelle indipendentiste e autonomiste e non solo, in un progetto politico serio di pochi punti, ma credibile.
    La mia speranza e idea, passa per forza di cose in un cambiamento: quello di lasciarsi alle spalle le proprie convinzioni e idee di partito, per un progetto politico nuovo che riquarda tutti, altrimenti non stiamo parlando di politica ma di un’ altra cosa.
    Bisogna puntare su donne e uomini capaci di elaborare nuove idee, liberi di pensare e non legati ad una mentalità medioevale in epoca moderna come il clientelismo ed altro che la fanno da padroni.
    Per questo faccio appello ai Sardi che scelgono di essere cittadini protagonisti del proprio futuro.
    Bisogna organizzarsi in assemblee dove si discuta delle problematiche economiche e sociali, del proprio territorio, in grado di unire tutta la Sardegna dandole una sola voce, perchè tutto ciò possa aiutarci a corregere gli errori del passato, solo così nascerà un movimento serio, utile per la nostra terra e per le generazioni future.
    Un sogno? Forse…..
    Ringrazio Vito Biolchini, di avermi fatto scrivere nel suo blog.
    Forza Paris

  3. efisio erriu says:

    ma dell’editoriale di Figus hai letto solo il titolo o anche il resto?
    perchè se hai letto il resto immagino che l’azione successiva sia stata tirare la catenella…

  4. Anonimo says:

    Sembra di entrare in una macchina del tempo e di spostarsi indietro di decenni leggendo l’articolo di Giorgio Macciotta e di nostalgici di un sindacalismo più tossico perfino dei metalli pesanti di Alcoa. Non è lo Stato che ci molla. Siamo noi che abbiamo accettato un modello non compatibile e lo abbiamo perfino sostenuto. E gli altri abitanti del Sulcis? E le altre piccole economie possibili? E le colpe di chi sapeva che sarebbe finita così e ha continuato a sostenere il sistema per non perdere posizione?

  5. Giamar says:

    Un modo per far ripartire l’economia in Sardegna e non solo nel Sulcis, ci sarebbe, si chiama defiscalizzazione e viene già praticata in diverse aree d’Europa, le Canarie ad esempio dove l’Iva è al 7% ( vedi http://qr.net/jwK7 ) e anche i carburanti beneficiano di riduzioni fiscali, oppure la Svizzera che sta attirando aziende in fuga dall’Italia con vantaggiose agevolazioni fiscali per gli investitori, succede nel Vallese presso Sion e anche nel Canton Ticino ( articolo Corriere della Sera del 28 04 2012 http://svel.to/418). M allora perché nessuno ne parla? Dovrebbe essere nell’agenda di qualsiasi politico minimamente serio e invece si parla ancora di buttare miliardi di euro per un futuro, che avrà lo stesso sapore rancido di questo grottesco presente.

  6. GD- centopercento says:

    Se ne conclude quello che si è sempre saputo, cioè che il governo italiano se ne strasbatte le palle della Sardegna, che altro non è che una sua colonia, il governo italiano fa, giustamente, gli interessi dell’Italia. Noi sardi cosa intendiamo fare?… Andiamo avanti , siamo tutti fratelli .

    • Questa storia degli interessi “nazionali” è interessante.
      Se a fare gli interessi nazionali è la Finlandia (cioè nemmeno 5.500.000 abitanti), tutta l’Europa scatta sull’attenti; se è la Sicilia (cioè più di 5.000.000 di abitanti, senza considerare quelli in giro per il mondo, certo più dei Finlandesi), l’Europa sghignazza e se ne fotte.
      La domanda è facile facile (la risposta meno): perchè?
      Se non rispondiamo a questo (e non è facile rispondere, anche se potrebbe sembrare), avremo difficoltà a rispondere ad un’altra domandina: “perchè della Sardegna se ne fottono sia la Finlandia che la Sicilia, in rappresentanza dell’Europa intera?”.
      Vi prego, non cercate di rispondere alla seconda domanda senza aver risposto alla prima!
      Giusto per dare un altro numero, ricordo che la Norvegia ha 4.700.000 abitanti, senza contare i troll, naturalmente, ma contando i barili di petrolio, che votano compatti alle elezioni, evidentemente, visto il tipo di politica europeistica di quel paese.

      • Azzardo una risposta.

        Io e Lei siamo due contadini. Dobbiamo fare un investimento. Dobbiamo piantare un frutteto. Andiamo in un consorzio agricolo e chiediamo i semi da piantare. Tutti i semi sono un albero in potenza, a condizione però che i semi siano sani.
        Ci vengono proposte due qualità di semi: una qualità è bella sana e l’altra è un po’ avvizzita, malaticcia. La prima costa il triplo della seconda. Un amico ci dice che ha comprato la seconda qualità e adesso il frutteto sta morendo: sta cercando di tenerlo in vita con fertilizzanti e insetticidi, però ha qualcosa che non va, e non sa se ce la farà a sopravvivere.

        Lei quali semi sceglierebbe per piantare il suo frutteto ? Io la prima qualità.

        La Finlandia è un seme sano (o per lo meno, meno malato) e la Sicilia invece è un seme avvizzito. Non si da tanta considerazione ad un seme avvizzito. La Sardegna è un seme secco, morto. Non c’è dubbio: non diventerà mai un albero. Un seme da scartare senza filosofeggiarci troppo attorno.

        Cosa ne pensa ?

      • Che, senza nulla togliere ai Finlandesi, che ammiro e che trovo anche simpatici, la pera Sicilia è molto più succosa e profumata del piringino Finlandia.
        Se quindi si tratta di produzione, cerchiamo bene di capire perchè tutta l’Europa debba rinunciare a gustare frutti opulenti (ma bacati) di antica e selezionata specie, per accontentarsi di striminziti (ma sani) fruttarelli semiselvatici.
        Anch’io amo ciò che è sano, ma prima di tagliare la pianta ci penso.
        Quanto agli amici, ci guardi Iddio: magari hanno piantato il seme sbagliato nel terreno sbagliato, o impiantato un bel bananeto a Bolzano, o un palmeto da datteri a Como, per poi sostenere di essere stati fregati da qualcuno non meglio identificato, perchè il raccolto non va bene.
        Quanto alla Sardegna, abbiamo inventato il formaggio marcio, figuriamoci se ci impressiona qualche bacarozzo. Il che vuol dire – ovviamente – innovazione, cioè saper vedere il bene “oltre” quello che sembrava male o inutile.
        Il pericolo vero sta però nel rischio che, in base al principio che “ogni scarrafone è bello a mamma soia”, ci si metta a produrre vermi invece che pere.
        Succede.

      • Io non credo che il nodo sia quello della produzione. Credo che sia un problema di prospettiva. Noi abbiamo, secondo le previsioni (e si scommette su quelle), un futuro povero. Ci danno per spacciati. In Sud America ci considerano uno stato fascista e morente. Gli stati sudamericani stanno confiscando e riappropriandosi dei possedimenti terrieri che (li si, in modo coloniale) i potenti hanno comprato con la corruzione per controllare zone strategiche (l’acqua soprattutto). Per l’Italia si calcola un danno di 400 miliardi di euro. Dove li recuperiamo ?
        L’Europa sta pensando di tagliare i rami secchi per sopravvivere, perché il periodo delle colonie e degli schiavi è finito. Noi siamo i rami secchi.

        E’ anche vero che “ogni scarrafone è bello a mamma soia”; ma il nostro destino non dipende da mamma. Dipende in buona parte da estranei. E per gli estranei, uno scarrafone è uno scarrafone. E se lo incontrano gli danno un bel calcio o lo schiacciano.

        C’è Sergio Di Cori Modigliani, che nel suo sito spiega in modo illuminante le dinamiche di geopolitica che ci stanno coinvolgendo.

      • Francamente, io non credo – invece – ai rami secchi.
        Credo piuttosto alle topologie e all’insiemistica politica e sociale.
        Per capirci, all’essere “dentro o fuori qualcosa”, all’essere o meno nella Schindler list del momento.
        La Germania Est, per dirne una, era bellamente “fuori”. Un ramo secco, direbbe lei; un posto dove – fino al 1989, ai piedi della Porta di Brandeburgo – si ammazzavano persone che cercavano di andarsene.
        Nessuno lo ha tagliato, anzi. Una bella potatura, e dentro, a sgomitare verso (contro?) il resto dell’ Europa.
        Ricordo sommessamente che, se appena avessero voluto, sia Inghilterra che Francia avrebbero potuto impedire la riunificazione, e nessuno avrebbe potuto dire bah.
        Al momento, invece, c’erano altri interessi: il muro da far cadere, l’URSS da smontare, etc. etc.
        Tutti gli europei, sostanzialmente, erano lì ad applaudire, con le lacrime agli occhi.
        Anche i rami secchi, che all’epoca avrebbero potuto magari far valere interessi contrastanti.
        Ora, o si pota sempre, o non si pota mai.
        E, soprattutto, non a colpi di speculazione finanziaria.

      • Anonimo says:

        Caro Campus, la differenza sta nel fatto che i finlandesi sono seri. Invece da queste parti no. Vuole esempi locali e cagliaritani? Chi crede a chi ha amministrato male per decenni? La differenza non è nei numeri, ma nei comportamenti.

      • Mi sembra una buona cosa: faccia gli esempi, nomi e cognomi.
        Visto che c’è, ci metta anche il suo. Non pretendo che lo metta in mezzo a quelli che considera poco seri, ma – magari – sotto, come firma: sarebbe un piccolo segnale…

  7. Il discorso dell’inattuabilità del progetto gassificazione del Sulcis va inteso in altri termini quando si parla di costi e difficoltà tecniche, nel senso che una simile sfida la si intraprende in località che hanno: a) capitali a disposizione (e quì non ci sono); b) utili certi (e nei progetti sperimentali questo discorso non esiste); c) un adeguato peso demografico in relazione alla struttura economica del territorio e al volume dell’investimento necessario. Su quest’ultimo punto si intende quanto stiamo già dicendo in tanti questi giorni (compreso il fortunato articolo di Bolognesi), e cioè: ha senso rischiare un capitale potenzialmente elevato per poche centinaia di lavoratori quando un simile impegno finanziario potrebbe essere impiegato per ben altro (e con ricadute maggiori sul tessuto sociale)?
    E’ una domanda retorica..insomma..non siamo in Canada…
    Bisogna decidersi se avviare o meno un nuovo modello di sviluppo, e meno tempo si perderà dietro alle chimere, meglio sarà.

  8. Pingback: Quello che bisogna sapere sul carbone del Sulcis | Bolognesu

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