Devo essere sincero: non ho ancora capito se il progetto all’attenzione del governo Monti preveda che nelle scuole l’Inno di Mameli sia solo studiato o anche cantato ogni mattina prima dell’inizio delle lezioni.
Fantasticando su questa seconda ipotesi (assai suggestiva) mi sono ovviamente ricordato di quel periodo della mia vita in cui “Fratelli d’Italia” me la sono dovuta sorbire quasi tutte le mattine.
A Macomer a noi del quinto scaglione del ’94 fu riservato un trattamento non molto diverso da quello conosciuto dalle schegge che ci avevano preceduto e da quelle che vennero dopo. Il Car è il Car, amen.
Poi ci fu l’entusiasmante parentesi a Perdasdefogu. L’alzabandiera era il primo momento in cui fare drammaticamente i conti con l’estate foghesina. Alle sette già si sudava, e ai pochi militari di leva destinati a fare da camerieri o poco più agli ufficiali che sparavano missili a tutto spiano poco importava quella bandiera che si alzava lentamente, accompagnata dalle soavi italiche note.
Quell’anno il vero inno era quello che si cantava prima delle partite dell’Italia: erano i mondiali americani, quelli di Baggio che rimonta due gol contro la Nigeria e fa esplodere le burbe in libera uscita alla pizzeria “La ruota”.
(La finale invece me la guardai in nave. Siccome noi schegge dell’esercito dovevamo sparare con il fucile in dotazione alla Marina, e siccome in Sardegna i poligoni in estate sono chiusi, la sera di Italia-Brasile ci imbarcarono su di un traghetto per Civitavecchia e finimmo a Furbara, nel Lazio. I rigori sciagurati me li gustai vestito di tutto punto di una scintillante mimetica, a tipo Rambo. Ero impressionante).
Comunque, io allora già facevo il giornalista. Per cui la Patria (nella persona del colonnello Gianfranco Scalas) decise che piuttosto che lasciarmi compilare ogni mattina i buoni mensa per gli ufficiali di Perdas, era meglio farmi tornare a Cagliari per scrivere comunicati stampa e preparare rassegne stampa per i generali del Comando Regione.
Quasi subito mi fu assegnata una stanzetta nella foresteria di via Torino: un privilegio garantito a quei pochissimi militari di leva che dovevano garantire i servizi essenziali ai generali: e una rassegna stampa dei quotidiani locali alle sette di ogni mattina rientrava evidentemente nel novero delle necessità ineludibili.
Per qualche settimana però soggiornai alla caserma Villasanta. Quella degli accozzati, quella dei ragazzi già laureati e o che comunque erano chiamati a offrire servizi di un qual certo livello soprattutto nella sede del Comando di via Torino.
Ed è alla Villasanta che avvenne l’episodio che vi voglio raccontare.
A Perdasdefogu l’alzabandiera era comunque una cosa seria. Alla Villasanta no. Intanto perché le note dell’Inno di Mameli uscivano gracchianti, come se prodotte da un antichissimo 78 giri. E poi non si vedeva la bandiera, non si vedeva proprio! Il tricolore in realtà era nascosto da un grandissimo albero. Per cui noi militari stavamo ritti sull’attenti (si fa per dire) davanti a questo grande albero, manco stessimo celebrando una specie di rito pagano, ascoltando note ormai irriconoscibili tanto forte era il gracchiare del disco.
Per questo, quando ho letto della proposta dell’Inno nelle scuole, mi sono rivisto in piedi, immobile davanti ad un albero.
Questo vi volevo dire, e questo vi ho detto.
Bene Ainis, abbiamo definitivamente capito che lei non è interessato a fare un dialogo costruttivo attorno a certi temi ma solo a fare ironia spicciola basata sulle sue teorie di cui francamente ho capito poco ma che continua ad attribuirmi.
In più con la sua figuraccia sulle “scienze politiche” ha smascherato anche la sua presunta preparazione culturale dietro la quale ogni tanto si sente in diritto di farsi beffe degli indipendentisti. E per carità, è democrazia anche quella. Evidentemente non ha passatempi migliori.
Gentile Bomboi,
se lei chiama “dialogo costruttivo” la ripetizione monotona di un bizzarro insieme di stereotipi, tipo: “perché in Scozia sì e in Sardegna no?”, allora risponda alla mia domanda: perché prima parlavate dell’Irlanda ed ora, al contrario, si è passati alla Scozia?”.
Solo che avere la memoria corta aiuta quando si deve render conto delle cazzate dette in precedenza.
Potrebbe darsi che lei abbia qualche difficoltà perché continua a studiare l’identità con le “scienze politiche”, ma ci sta anche questo: la costituzione italiana non lo vieta (,agari la costutizione sarda che ha in testa lei, sì).
Cordialmente,
PSS – Sì, mi ha scoperto, sono un ignorante! Adesso non dormirò più dalla vergogna, ceeeeess
PPS – Ha visto che bravo? Continuo a risponderle così lei può contnuare a parlare di indipendentzia: mi offre una birra?
Non preferisce uno Scotch Whisky?
Gentile Bomboi,
lo scotch whisky è una ciofeca. Mai sentito parlare di Cannonau?
Facciamo così: lei si beva l’whisky che io sorseggio un bicchiere di Turriga (se paga lei anche una bottiglia).
Cordialmente,
PS – visto che bravo? Non ho neppure nominato la Guinness
ahaha bravo, un ottimo nazionalista 😀
Gentile Bomboi,
no! Un buongustaio!
Cordialmente,
Dipende Ainis, in mezzo mondo far parte di uno Stato non significa automaticamente far parte della nazionalità del medesimo Stato. Ci sono Sardi che di italiano hanno solo la carta d’identità. Ad esempio mia nonna, buonanima, morì che non aveva mai imparato l’italiano, parlava solo sardo e di Italia non sapeva molto. Eppure conosceva tutti i maggiori poeti in lingua sarda. Bisognerebbe quindi capire cosa si intende per “propri”, dalle nostre parti c’è una popolazione che ormai si sente italiana ma anche una parte di popolazione che si sente Sarda prima che italiana, altri ancora che si sentono Sardi e basta: nazione e stato sono due concetti diversi e non sempre coincidenti. Il politologo Walker Connor, tra i massimi studiosi mondiali di nazionalismo, non a caso ritiene che la nazione sia prima di tutto un sentimento.
Ma francamente, dopo 60 anni di omologazione centralistica trovo grottesco che oggi si voglia ricorrere persino all’inno nelle scuole, liberi di farlo, ma ci si ricordi che quì c’è anche una minoranza linguistica che da decenni attende ben altro che un inno nelle scuole, perché attende una vera parificazione linguistica tra sardo e italiano.
Intendo dire che a scuola potrebbero anche suonare la marsigliese, purché prima di tutto si rispetti la specificità linguistica territoriale al posto di sfornare la solita retorica patriottarda del mito risorgimentale.
Gentile Bomboi,
sì, siamo una “nazione” intrisa di “sardità” (ha dimenticato il “popolo sardo” però, e anche il “pollo sardo”, che sarebbe il popolo senza la po, ma con una “l” in più). Adesso cosa dovrei fare, parlarle di mia nonna come fa lei con la sua? Sa qual’è il problema serio? Che se gli intellettuali anziché parlare per stereotipi (come fa lei) si interessassero di cose serie si vedrebbero in giro meno assurdità palesi (tanto per essere chiari, meno “nazioni” e “sardità” concetti privi di senso se non per gli intellettuali del Sardistàn).
Certo, ci sarebbe anche meno gente che vivacchia con i due soldi della LSC (e non parlo solo in termini economici, c’è chi con la LSC ha trovato pure un ruolo fingendosi intellettuale) ma sarebbe solamente un progresso (di cui avremmo un gran bisogno).
Invece ancora a prendersela per quello che cantiamo!
Ma riusciremo presto o tardi ad essere Sardegna e non Sardistàn?
Che palle!
Cordialmente,
Non sono stereotipi Ainis, sentirsi parte di qualcosa è un fenomeno umano studiato dalle scienze politiche. Non mi reputo neppure accodato ai cosiddetti “intellettuali”, sono un cittadino come lei che assieme ad altre persone anni fa si sono stancate di sentirsi dire che cosa significava essere indipendentisti da movimentini che tutt’ora non riescono a cavare un ragno dal buco. E penso che lei sottovaluti il fatto che tali stereotipi non hanno solo una valenza simbolica (o politologica), ma politica. Il senso dell’articolo richiamato di sotto infatti tende a ricordare che a Bolzano la rivendicazione linguistica da parte di poche migliaia di persone conferisce a quella minoranza un enorme potere politico (e di conseguenza economico) rispetto a noi (che di partiti Sardi e abitanti ne abbiamo di più).
Quì in Sardegna abbiamo l’abitudine di pensare che mettendoci a 90 gradi di fronte allo Stato centrale…allora forse sarà più buono nei nostri confronti: è proprio quello il Sardistan da evitare a mio avviso.
E con la visita di Napolitano abbiamo assistito all’ennesima ricaduta verso questa sindrome di Stoccolma.
Lei potrà anche trovare irrilevanti dettagli come l’inno et similia (e presi singolarmente in effetti lo sono), ma nel complesso di una piattaforma politica nazionalista assumono ben altro peso. Manca tuttavia il contenitore che veicoli questi contenuti: ecco perché contestiamo i nostri movimenti indipendentisti.
Queste cose le hanno capite a Barcellona, a Edimburgo e altrove, non vedo perché non si possa fare anche quì.
Gentile Bomboi,
“sentirsi parte di qualcosa è un fenomeno umano studiato dalle scienze politiche”.
Sì, ad esempio essere tifosi della Juventus o del Cagliari (e non è studiato dalle scienze politiche ma da quelle antropologiche). Non per nulla la “sardità” è esattamente come l’appartenenza ad un club di tifosi di una squadra di calcio.
Ma sa una cosa? Non lo dico io ma le scienze antropologiche (quelle che lei invoca a sproposito ma di cui evidentemente non si occupa). Capisco che impieghi il suo tempo a parlare in sardo, ma se per caso conoscesse il tedesco (lingua bellissima) provi a leggere qualche lavoro che tratta di identità collettiva, magari eviterà di citare a sproposito l’antropologia (che lei chiama diversamente).
L’esempio di Barcellona e Edimburgo è un altro dei soliti stereotipi: Barcellona è piena di soldi e per questo desidera essere indipendente, non è che vuole essere indipendente per essere piena di soldi! Ci arriverà mai a capire la differenza?
A proposito: un tempo citavate l’irlanda e l’Islanda come esempi di indipendenza e benessere; non è che adesso che sono con le pezze al culo ve ne siete dimenticati, vero? Tanto di Irlande&Islande da citare se ne trova sempre una…
Cordialmente,
Vedo che vuole fare il saccente Ainis, io cerco di non infierire ma vedo che lei si fa prendere la mano: in tal caso la informo che si parla di “scienze politiche” al plurale proprio perché esse comprendono diverse discipline, tra le quali, ohibò, anche l’antropologia e la sociologia (e ne abbiamo una biblioteca piena).
La invito pertanto a studiare prima di salire sul podio per rimediare queste figuracce.
L’indice di benessere, sotto il profilo storico, non indica la volontà o meno di un Popolo di rendersi indipendente, vi sono parecchie variabili. Ad esempio la Barcellona che ha ricordato è ricca, l’Irlanda prima dell’indipendenza era povera. Quindi non significa nulla, c’è caso e caso. L’unico dato certo è che oggi varie minoranze nazionali stanno cercando di emanciparsi dallo Stato centrale, non perché “è bello così” o per qualche insano stereotipo, ma perché ritengono utile evitare l’intermediazione dello Stato centrale che spesso amministra male le loro risorse. E per arrivare a quell’obiettivo si usano anche i decantati stereotipi.
Gentile Bomboi,
sì, confesso sono un ignorante (mica uno studiato come lei) e ha perfettamente ragione: l’identità collettiva la studiano le “scienze politiche” (soprattutto in LSC) e ho fatto una tremenda figuraccia.
Voi ci porterete alla vittoria al benessere e alla ricchezza (ma soprattutto ad un livello culturale superiore). Contento?
Fortza paris!
Adesso ci parla dell’Islanda e dell’Irlanda (con cui avete rotto i marroni per anni) o fanno parte anche loro delle “scienze politiche” (in LSC)?
Cordialmente,
PS – Seguendo il suo illuminato ragionamento, l’identità collettiva la studierebbe la scienza (di cui fanno parte anche le scienze politiche): quindi assieme alla geometria, fisica, e mirmecologia. Tutto in LSC, naturalmente (ne avete una biblioteca piena)!
Pensi lei Ainis a quando imposero la lingua italiana: non era forse peggio dell’LSC per chi parlava solo Sardo, Siciliano, Veneto, ecc? I generali piemontesi non riuscivano neppure a imporre ordini alle truppe e così si inventarono cose come la “Brigata Sassari” per avere almeno un barlume di omogeneità di traduzione nei reparti. Neppure la Legione Straniera aveva di questi problemi…
Ma spero lei non sia tra coloro i quali sostengono che certi temi non possono essere trattati in lingua Sarda: http://www.sardegnadigitallibrary.it/mmt/fullsize/2010011412224700015.pdf
E per le “scienze politiche” in generale, parecchi testi credo che non li troverà neppure in italiano, ce li leggiamo in lingua inglese. Infatti l’Italia sotto il profilo dell’innovazione accademica non risulta essere ai primi posti nel mondo….
Io voglio di meglio per i miei figli, non so lei.
Gentile Bomboi,
ma certo: i piemontesi, i pisani i romani e i fenici (e i cartaginesi? e i Vandali?).
Ma mi scusi, non mi vorrà mica dire che sta tentando di non parlare dell’Islanda e dell’Irlanda, no?
Com’è che quando le nomino lei scantona? Non erano i modelli da seguire per la santa indipendenza? Che fine hanno fatto? Vuole provare con Malta (come urlacchiava qualcun altro) oppure vuole seguire il mio consiglio e guardare alle Comore?
Ma oltre gli stereotipi della libertà ad ogni costo (del tipo: “Manchi il pane ma non l’autonomia!” basta che il pane manchi agli altri perché io ritiro al pensione ogni mese) e dell’identità studiata dalle scienze politiche (sic!) non ha altro da dire?
I suoi figli? Fortunatamente ciò che dice lei non lo ascolta nessuno, come dimostrano ampiamente i risultati elettorali, pertanto è possibile che abbiano un futuro decente.
Se fosse per lei, avrebbero lo stesso degli sciagurati abitanti delle Comore, fieramente indipendenti e morti di fame (ma non metaforicamente, muoiono proprio di fame, perché hanno provato a mangiarsi l’indipendenza ma pare che l’apporto calorico sia insufficiente)
Cordialmente,
PS – Ma l’Islanda e l’Irlanda proprio non le vanno giù, vero? Guardi, facciamo così, per la Scozia ne riparliamo tra cinque o sei anni, quando anche loro avranno le pezze al culo, va bene? Nel frattempo troverà qualche altro esempio e sarà comunque felicissimo, perché una Scozia non si nega a nessuno, soprattutto ai sardi.
Ainis, io non ho capito di chi sta parlando esattamente, né il perché sia fissato con l’Islanda e l’Irlanda. Cerchiamo di capirci: io nel 2005 ho fondato assieme ad altre persone una piccola associazione con l’obiettivo di introdurre una critica politica di matrice liberale verso l’inefficienza dei movimenti Sardi. Lo chiami viral marketing o qualcosa di simile. Per farlo abbiamo utilizzato il mezzo più potente ed economico che poteva garantirci un accesso discreto alle case di tanti giovani indipendentisti aggirando gli inutili convegni di bottega: il web. Basti una foto per capire quanto ha influito silentemente la nostra COSTANTE presenza per temi e comunicazione: http://www.sanatzione.eu/wp-content/archivio_media/uploads/2010/01/IRS-ieri-ed-oggi-URN-Sardinnya1.jpg In pochi anni abbiamo fatto ciò che alcuni antropologi e “intellettuali” non sono riusciti a fare in anonimi dibattiti per lungo tempo. E se consideriamo quale era la qualità e la quantità dei contenuti veicolati prima di quella data, senza mezzi, posso dirle che in un ambito così conservatore e denso di personalismi (come l’insieme dell’indipendentismo sardo) abbiamo dato un piccolo ma fondamentale contributo (che a catena ha smosso le acque anche nel sonnacchioso sardismo). Le garantisco che non sono banalità. Anche la riforma dell’indipendentismo è un processo, così come sarà un processo la conquista della sovranità. Ma il cammino per arrivare ad un serio progetto politico è ancora lungo. C’è ancora da mettere ordine nelle idee, nei percorsi e nei metodi con cui arrivare agli obiettivi e noi non abbiamo le risorse sufficienti per essere più incisivi. Ma in tanti stanno comprendendo che lo slogan “indipendentzia”, senza contenuti, è solo tempo perso. Noi esistiamo per parlare di queste cose: http://www.sanatzione.eu/2011/11/la-proposta-nella-nuova-sovranita-un-antitrust-sardo-contro-le-posizioni-dominanti-del-mercato/
Lei forse non ha afferrato i motivi per i quali spesso sente parlare di Islanda/Irlanda/Malta/Scozia/ecc. I motivi non deve cercarli nel benessere di quei Paesi, né nei loro periodici fiaschi economici, non è quello il punto (perché ogni caso è diverso), il punto è che alcuni di quei Paesi avevano ed hanno sviluppato una politica che ha ridotto la frammentazione delle sigle territoriali e si è conquistata i contenuti riformistici e la credibilità per governare rispetto alle politiche dello Stato centrale di appartenenza. Al fine naturalmente di evitare l’intermediazione amministrativa di cui parlavo in precedenza. Noi guardiamo a questi Paesi per quel motivo, ma nei movimenti indipendentisti Sardi esistono ancora troppe divisioni e scarsa apertura alla conquista di una sovranità graduale, alcuni settori preferiscono continuare ad urlare lo slogan “indipendentzia” senza poi rivestirlo di contenuti.
Adesso che vuole che le dica? Non è forse nel suo interesse e dei suoi figli far sì che lo Stato restituisca il suo debito dovuto alla vertenza entrate? Non è nel suo interesse far sì che il territorio sviluppi una propria fiscalità o che migliori la sua performance in vari campi dell’economia? Non è nel suo interesse che ciò lo si possa fare anche tramite la riscrittura dello Statuto Sardo? (e non siamo i primi a dirlo, ma a ripeterlo affinché entri nelle zucche sì). Noi riteniamo che tutti questi temi non possano essere lasciati solo nelle mani di partiti italiani che non vogliono e non possono (per una serie di ragioni) ottemperare a queste esigenze. E lei mi parla di fame? Continui pure a prendersi i pesci in faccia da Roma ringraziandola, noi invece ci batteremo affinché si sviluppi una politica capace di rispondere a queste mancanze.
Gentile Bomboi,
vedo che l’irlanda e l’Islanda (gli esempi che usavate “ad minchiam” prima che andassero a donne perdute e fossero sostituite da Catalogna e Scozia) non le vanno.
Bene, me ne farò una ragione. A me invece piacciono le Comore, simpatico stato che somiglia a ciò che vorrebbe lei per la Sardegna..
Se poi ha bisogno di qualcuno che le risponde (per avere visibilità sul web, come dice lei), perché non si risponde da solo? Avrebbe più opportunità, non le pare?
Guardi, faccia così, si ricordi di aver parlato di Islanda e Irlanda e si accusi di averlo fatto, poi faccia finta di dimenticarsene e scriva che adora Scozia e Catalogna spiattellando le sue splendite e lucidissime teorie politiche (di “scienze politiche”, però, mi raccomando, altrimenti non vale, eh?): in ogni caso il senso di ciò che dice sarà sempre lo stesso: un po’ di tragicomica propaganda.
Cordialmente,
Ainis, lei che è di mentalità aperta avrà capito che il ns paradosso non consiste nel sapere che altrove si ascoltino o imparino simboli e linguaggi diversi, ma il fatto che in Sardegna non si conoscano i propri.
Gentile Bomboi,
adesso che me l’ha spiegato potrei anche averlo capito (ma non ci conti troppo, notoriamente sono persona di poca perspicacia).
Naturalmente, visto che i sardi sono italiani, l’Inno di Mameli non è di certo “proprio” della Sardegna, come l’Inno statunitense per i cittadini (americani) dell’Alaska. Infatti gli Inuit, nototriamente, cantano assieme alle balene.
Cordialmente,
A me non piace Procurade de Moderare, come inno userei “Oh Sardigna custa est s’ora” dei Kenze Neke, versione lenta. Non mi è mai piaciuto neanche Mameli, musicalmente osceno. Meglio “Il Mio Canto Libero” di Lucio Battisti, magari con qualche adattamento delle parole (se Mogol e la testarda vedova di Lucio consentissero …)
Giusto ZunkBuster, però quel “bandas comunistas” dell’utlima strofa taglia fuori tutti i sardi che non sono comunisti. Non trova?
Beh se il problema è che un inno deve essere ecumenico, anche “Procurade de moderare” potrebbe avere qualche contenuto pruriginoso. Magari rispetto ai baroni universitari o a quelli della medicina. Mettiamo “S’Ispera Manna” dei Tazenda e non ne parliamo più, oltre tutto esalta la maternità.
Gentile Zunkbuster,
che ne pensa di “Whisky birra e Johnny cola?”. Ci rappresenta benissimo: “Su conti su baroni e s’autista…”.
Cordialmente,
Vedi come sono diverse le esperienze di naja…
Quando – molti anni or sono – ho fatto il militare, da AUC (allievo ufficiale) in corso a Cesano, ho avuto l’opportunità di fare quattro esperienze: schierarmi col battaglione in formazione davanti al generale Westmoreland (quello del Vietnam), sfilare il 2 Giugno in via dei Fori Imperiali con la MG a pettarm, e fare due guardie in Quirinale.
Del primo evento ricordo solo l’immensa fatica e il fantastico buco in terra realizzato dall’ingegno italico per contenere una parte di un mio commilitone che – superando di molto i due metri – rovinava l’allinemento.
Della sfilata ricordo appunto lo “attenti a…” e l’Inno Nazionale, vera ciliegina dopo un’abbuffata di esaltanti marce (voce del verbo “marciare”) militari.
Delle guardie in Quirinale, ricordo quella fatta alla Bandiera.
Quale bandiera?
“Quella”, proprio “Lei”, la Bandiera della nostra Patria: a due passi da me, il simbolo più alto (con il Presidente e la sovranità del Popolo) del nostro Stato.
Beh, lo ricordo con commozione…
Quanto alla mia Nazione, molte cose mi commuovono, dai Quattro Mori a Cunservet Deus su Re, a Deus ti salvet Maria…
Quanto all’identità, mi commuove anche (quasi crederlo non lice) l’idea di Europa, ma certo non per questo mi sento meno Italiano e Sardo.
Gli inni e le bandiere sono simbolo di qualcosa che – come il coraggio di Don Abbondio – o ce l’hai o non te lo puoi dare.
“…e l’infame sorrise…”
Credo che ci aspettino anni molto bui, di conservazione e di revanchismo. L’Italia sta palesemente tornando indietro. L’autoritarismo, evidentemente, non era solo colpa di Berlusconi. La Sinistra è ormai diventata neo-nazionalista per reazione alla Lega, il Centrodestra si deve riscomporre e ricollocare, per la Lega (che non ha portato a compimento nessuna delle riforme federaliste promesse) è pronto un trappolone spaziale. E ‘ finita un’epoca, ne comincia un’altra: il rischio è che sia anti-democratica e non rispettosa per nulla delle individualità anche nazionali presenti all’interno del territorio dello Stato Italiano.
Del resto i festeggiamenti per i 150 anni sono stati un’occasione sprecata per rivedere il processo di unificazione forzata dell’Italia, così come le pagine non gloriose delle guerre criminali condotte dai nostri nonni e bisnonni, e pertanto, in concomittanza con la crisi economica, una svolta autoritaria e nazionalista è scontata.
E l’iniziativa di imporre l’Inno è coerente con questo quadro.
In tema: http://www.sanatzione.eu/2012/03/a-dubai-si-impara-la-lingua-sarda-in-sardegna-linno-di-mameli/
Gentile Bomboi,
esempio davvero pregnante: anche a Milano si studia l’Inupiatun e in Alaska si suona l’Inno statunitense!
Complimenti.
Cordialmente,