Tutti si lamentano, tutti pretendono qualcosa: “Uno stadio nuovo subito!”, “Il parco di Tuvixeddu subito!”, “La metropolitana leggera subito!”, “Qualunque cosa subito!”. Le richieste alla nuova amministrazione cagliaritana di centrosinistra, guidata dal sindaco Massimo Zedda, in realtà raccontano molto di chi le avanza.
Le classi popolari sono molto affascinate dal tema stadio, come se dalla costruzione di un nuovo impianto calcistico per il Cagliari dipendessero le loro sorti economiche della città. Per una certa élite della sinistra impegnata invece esiste solo e soltanto Tuvixeddu, e più in generale l’eterna battaglia contro il cemento. Anche per le élite della destra il problema è solo il cemento, ma in senso opposto ovviamente.
Poi ci sono quelli che senza i baretti del Poetto “Cagliari non è più Cagliari”. E così via.
Per carità, non che questi non siano problemi veri e annosi: ma non lo sono fino al punto di oscurare tutto il resto. Anche io vorrei uno stadio nuovo (e lo vorrei veramente, perché la lamiera della Curva Nord è fredda è triste), ma capisco che le priorità della città sono altre; vorrei anche un bel parco a Tuvixeddu (e qui siamo tutti d’accordo) ma non valuto l’amministrazione solo da come affronta questo tema; ai baretti non ci vado ma capisco che sono importanti per tanti giovani, e comunque un anno senza baretti si può vivere tranquillamente.
Però se anch’io dovessi indicare un problema, se anch’io fossi chiamato a indicare il mio “Vorrei, subito!”, io non avrei dubbi: al cima delle mie priorità c’è la lotta alla dispersione scolastica in città.
A rilanciare l’allarme è stato un articolo pubblicato oggi su Sardegna Quotidiano, che riprende il rapporto di Save the Children secondo cui uno studente sardo su quattro viene bocciato alle superiori e “l’area di Cagliari viene considerata a rischio come quella di Napoli e Caserta”. Niente di nuovo, direte voi; appunto, ribatto io.
Già qualche settimana fa il giornale aveva posto l’attenzione sul numero di respinti nelle scuole superiori cittadine. Anche in questo caso, la percentuale registrata a Cagliari risultava seconda solo a quella di Napoli.
Volete un po’ di numeri? Ve li do in sintesi, e qui trovate l’inchiesta completa condotta dal sito skuola.net (i dati di tutte le nostre scuole superiori, una per una, lei trovate in fondo al documento).
La percentuale dei bocciati nelle scuole superiori cagliaritane è pari al 17,8 per cento: solo a Napoli va peggio. Al Meucci si tocca la percentuale record del 33,7 per cento, seguito dal Besta con il 26,8, il Martini con il 25,3 per cento, lo Scano con il 22,6 di respinti. Allo Scientifico Alberti i bocciati sono il 10,7 per cento. Nei liceo classici va decisamente meglio: il Siotto fa registrare il 6,1 per cento di respinti, il Dettori il 5,8.
Sono dati mostruosi, che testimoniano come il futuro dei giovani cagliaritani rischi di essere compromesso da una preparazione gravemente insufficiente.
Per questo la dispersione scolastica è, secondo me, IL problema della nostra città. Più di Tuvixeddu, più dello stadio, più del Poetto. Perché se si combatte la dispersione si combatte anche la disoccupazione. Ma questa emergenza non fa notizia e non eccita né le classi popolari, né le élite di destra e di sinistra, né la classe media. Della dispersione scolastica a Cagliari non gliene frega praticamente niente a nessuno. Eppure i dati sono mostruosi. Che fare?
Il problema è complesso, ma quale problema grave non lo è? Ora si sta mettendo in mezzo pure la Regione, che con la scusa del dimensionamento degli istituti rischia di peggiorare la situazione.
Ecco, alla fine io giudicherò l’amministrazione cagliaritana soprattutto sulla base dei risultati che riuscirà a conseguire nella lotta alla dispersione scolastica. So bene che il Comune condivide le sue responsabilità con altre istituzioni. Ma il Comune è il Comune, e da un sindaco e una giunta di centrosinistra io mi aspetto un impegno straordinario su questo fronte. E non c’è Tuvixeddu, stadio e baretti che tengano, tutto il resto secondo me dovrebbe venire dopo. Sto esagerando?
Ma quanti cagliaritani si rendono conto che, in quanto a dispersione scolastica, la loro città è seconda solo a Napoli? Lo sanno?
Mi chiedevo… ma voi (chi ha scritto l’articolo e chi ha commentato) quale pensate sia la causa della dispersione scolastica?
Gentile Matteo,
sfortunatamente i fenomeni come la dispersione scolastica non hanno “la causa”. E’ un po’ più complicato (in verità “complesso”).
Per fare un parallelo, provi a guardare le feroci polemiche sulla situazione finanziaria e sui possibili rimedi (a sentire dieci economisti, ci sono almeno undici soluzioni diverse, e questo perché non c’è “la causa” ma un concorso di cause, spesso diversissime, che porta all’emergere di una situazione).
Scorrendo i commenti, se ne trovano molti plausibili, ma l’idea di avere un rapporto causale semplice è priva di fondamento. Ad esempio, Sovjet ha ragione, ma non c’è nessuno nei panni del grande vecchio (o un complotto di grandi vecchi) che ordina la dispersione e la persegue.
Di certo, non è sufficiente un singolo provvedimento per cambiare la situazione: c’è bisogno di una valutazione complessiva del contesto generale che determina la dispersione e per attenuarla bisogna agire sul contesto (cioè intervenire contemporaneamente su “molte cause”).
Cordialmente,
Grazie dell’attenzione. Ma non son del tutto d’accordo.
Io tendo ad escludere che i motivi (e tutto quel che di complesso ne conviene) siano da attribuire unicamente a discutibili scelte finanziare.
Questo è quel che mi pare di capire, da questo articolo.
Sia chiaro, non voglio fare il guastafeste.
Francamente, considero che una possibile causa scatenante, un innesco, sia stato il deterioramento degli obbiettivi, in generale, e dei valori.
Vede, se io volessi, mettiamo il caso, risolvere un problema, preferirei cercare la causa scatenante di questo. Vale lo stesso discorso per i disturbi psicologici.
Non posso razionalizzare facendo due più due, quando il problema si è manifestato per cause emozionali. E non posso nemmeno valutare, come cause, circostanze che si son verificate dopo la nascita del problema. Quindi attuali scelte di investimento di denaro pubblico.
Una delle cause scatenanti, a mio avviso, è il desiderio.
Quanto di ciò che vogliamo fare, è veramente nostro?
Quanto possiamo dire, che una scelta che facciamo, sia totalmente personale o che invece sia frutto di desideri che in realtà non ci appartengono?
Quante persone sanno quello che vogliono?
Come ho letto in un libro ”Oggi la gente vede la pubblicità delle patatine al formaggio e subito si fionda fuori a comprarle”, grosso modo diceva così.
Se io dovessi partire da zero, come prenderei la vita?
Sono bombardato da mass-media, vedo automobili sportive, vedo uomini di successo.
Vedo pubblicità che mostrano famiglie perfette. Vedo i telegiornali e le riviste di gossip.
Vedo la gente famosa, vedo uomini d’affari.
Il mondo che questa società ci vuole propinare, è pulito e perfetto.
E chiunque vorrebbe farne parte.
Il desiderio di possedere. E chi ce l’ha donato?
A un certo punto bisogna fare i conti con i fatti, e si paragona la propria vita, povera economicamente, allo sbando per particolari situazioni familiari.
Cosa fa un ragazzo che vede tutti i giorni lo stereotipo dell’uomo moderno e invece si trova a fare i conti con la dura e lercia realtà dei fatti?
Questa, può essere una causa.
A quel punto non resta che cercare il piacere e lo svago.
Trovarsi un lavoretto e sperperare tutti i soldi in abbigliamento, in scooter o automobili.
Non possiamo mostrare alla società che siamo diversi.
Vogliamo farci vedere fieri di noi stessi, costi quel che costi.
Quante menti sprecate si vedono in giro?
Poi c’è chi entra in conflitto con se stesso, e nemmeno lo sa.
Eccoli, signori, i ragazzi disadattati.
Gli anticonformisti, i metallari, i punk e chi più ne ha più ne metta.
Ragazzi che non trovano posto in questa società perché la loro vita, la loro esperienza, non combacia per niente.
Quelli che vediamo giù nelle piazze fino a tarda notte, sempre pronti a far baldoria.
Quelli che corrono con le macchine, quelli che ammazzano la gente per strada.
Questi ragazzi, sono come gli uomini d’affari, son come i vip che vediamo in tv e sono come tutti i perbenisti che siamo costretti a sorbirci ogni santo giorno.
Solo che son nati in un contesto diverso. Questo, fa la differenza.
Lo stadio nuovo, la metropolitana, i chioschi al Poetto.. certamente son scelte discutibili, eticamente, quando ci son ben altri problemi da fronteggiare.
Ma son venuti dopo. Non cambieremo le cose evitando l’evolversi delle infrastrutture.
E’ nella mente, che bisogna agire.
Bisognerebbe restituire la libertà di ”volere”, la libertà di scegliere e poter dire ”Io ho scelto questo perché lo voglio”
Gentile Matteo,
vede che è una questione complessa? Comunque è vero, sono d’accordo: la colpa è della patatine (quelle al formaggio poi…).
Cordialmente,
Quella delle patatine era una citazione per rendere l’idea.. evidentemente, nonostante i miei sforzi e tutto il resto che ho scritto, non son riuscito a spiegarmi. Pazienza.
Gentile Matteo,
non se la prenda per una battuta: era un modo scherzoso per dirle che sono “davvero” questioni difficili da inquadrare.
Cordialmente,
ma quanto e bella la cultura a cagliari, altri 9 milioni di euro per salvare l ‘ente lirico,sicuramente soldi spesi bene !
Caro Vito,
Condivido la scelta delle priorità, del resto come è emerso dagli incontri con le associazioni culturali e da precedenti incontri sul tema scuola (vedi la festa organizzata dal circolo Gramsci a ottobre, l’assemblea del precari a luglio ecc.) i temi della cultura e della scuola sono trattati co un approccio troppo morbido.
In questi incontri non si é mai riusciti ad avere un chiarimento sulle prospettive, sull’idea stessa di cultura e istruzione per la città.
Scusa se tengo insieme i due temi, ma l’istruzione é un percorso continuo, investire sulla scuola e sulla cultura fa parte a mio avviso della stessa strategia.
Aspettiamo, dunque, fiduciosi, un segnale in
quella direzione.
TanIa
Educare attraverso l’istruzione, questo il compito della scuola, educare alla partecipazione sociale e dunque diventando popolo, educare all’attività della politica, così si può discutere serenamente o anche vivacemente di stadio/i ovvero luoghi per lo sport, per il divertimento parchi urbani sono grandi ma poveri di contenuti aggregativi, e parchi archeologici e anche industriali senza per questi ultimi fare del fanatismo, per ultimo ma non per importanza i parchi urbani naturalizzati dopo decenni di attività industriale, non ne ho nominato perchè penso che debbano venire alla mente in modo spontaneo, senza intellettualismi oculistici. A si biri tottus in pari e in Paxi
Vito,
la questione non è per niente semplice, soprattutto perché sull’educazione ci sono differenti visioni.
La più grave è che si confonde educazione con istruzione.
Nell’educazione il patto docente-studente è un rapporto personale dalla forte carica “motivazionale”, nell’accezione “istruzione” ci si limita ad un rapporto quasi contrattuale, di trasferimento di competenze.
A mio modesto avviso se non si recupera la scuola al metodo “educazione” non si andrà lontano dalla situazione attuale.
E poi diciamola tutta, l’Italia non è propriamente al top nelle graduatorie internazionali sulla scuola…
Salvatore
Parto dal presupposto che gli asini andrebbero bocciati sempre,invece spesso questo non accade e spesso li ritrovi dietro una cattedra,nell’amministrazione pubblica,o ricoprire ruoli che ci rappresentano e in tanti altri ruoli .Perchè poi prendere come riferimento il peggio cioè la città di Napoli ,quando sarebbe meglio prendere d’esempio il meglio e mettere a confronto le due realtà.Gli studenti sardi quanta motivazione hanno per frequentare la scuola con profitto ed impegno hanno forse davanti a loro prospettive di lavoro interessanti (un bel call center?)o non hanno niente ma proprio niente?industrie che chiudono i battenti e imprese che falliscono perchè strangolate dai creditori,l’abbandono scolastico andrà in crescendo chi sarà in grado di arginarlo ma soprattutto in che modo,senza mezzi e senza preparazione da parte dell’apparato scolastico ,amen.
Partiamo invece dal presupposto che la scuola, se serve, serve proprio e principalmente agli “ASINI”.
I ragazzi che provengono da contesti familiari colti e/o motivati sono “bravi” in partenza e quasi per pressione ambientale “osmotica”, mentre c’è esattamente necessità di intervenire sugli alunni scolasticamente deboli. La bocciatura, che può rendersi inevitabile, registra e sancisce un doppio fallimento, quello dello studente e quello della scuola.
Proprio loro sono l’anello debole della catena, perché se è vero che le prospettive -lavorative- sono scarse, è comunque vero che chi ha conseguito un livello scolastico o accademico più alto ha più opportunità, senza contare che comunque non si deve e non si può parlare solo di Istruzione/Formazione ma è indispensabile riferirci all’Educazione, anche come mezzo/fine della crescita sociale.
Gentile Neo Anderthal,
sono assolutamente d’accordo con lei (non svenga), Proprio il recupero dell’emarginazione intellettuale è uno dei problemi più gravi.
Cordialmente,
Credo che sull’istruzione una domanda dobbiamo farcela: cui prodest?
A chi serve e a cosa serve, oggi, un cittadino dotato di strumenti critici e conoscenze, capace di un minimo analisi della realtà?
Avremmo cittadini del tutto inadeguati alla società attuale, problematici come consumatori, problematici come elettori, potenziali agitatori sociali.
L’istruzione rende liberi e uguali, ma se i valori portanti della società attuale sono quelli mutuati dal pensiero economico dominante, che ricordo è ideologia della destra conservatrice e della “sinistra” travestita, dove ciascuno deve stare al suo posto e possibilmente inquadrati in un ordine gerarchico immutabile o con mobilità sociale ridottissima.
La nostra è definita “società dei consumi” non a caso: è costruita su misura sui consumatori e su chi, usando i consumatori come animali da produzione, sui consumi ingrassa. C’è sempre meno spazio per chi produce, un tratto evidente della contemporaneità è la compressione dei diritti dei lavoratori e si arriva addirittura a pretendere che si autocontengano in nome di “crescita e competitività” irraggiungibili, perché i poveri del mondo sono molto più capaci a “contenersi”.
In fondo le grandi competenze necessarie per far funzionare tutto il sistema si trovano, oggi si può fare molto con pochi, che possono essere formati direttamente in apposite cattedrali del sapere specifico o direttamente sul lavoro. Il resto sono lavoratori – massa, consumatori – pecora (ma dotati di potere d’acquisto) e umanità inutile.
Quindi, la dispersione scolastica, la crisi dell’istruzione (che è crisi della cultura come valore in sé), questo precipitare verso una “idiocracy” diffusa non è patologia, ma fisiologia di questa società.
Prima di tutto grazie per avere sollevato la discussione su un tema che -salvo qualche voce isolata, come Marco Pitzalis- è largamente assente dal dibattito pubblico, sia dal confronto delle opinioni che, peggio, nel confronto politico.
Il tema, decisivo, è vastissimo e la sintesi difficile. Certo è che a risultati scadenti come quelli che presenti non si arriva nel giro di pochi giorni, e dalle situazioni inveterate non se ne esce facilmente, così come sono vere almeno in parte praticamente tutte le opinioni esposte nei commenti. Infilo tra i tanti anche il mio,
Vero è il ritardo e l’inadeguatezza della preparazione di tanta parte del corpo insegnante, citata da Enrico Pau, verissima la distanza tra obiettivi proposti dalla scuola e gli interessi e la cultura materiale della fascia più debole della gioventù -perché si parla di loro, dei ragazzi a rischio dispersione- nel momento in cui la formazione non garantisce all’apparenza nessuna prospettiva di inserimento sociale e lavorativo e incredibilmente vera la scarsezza di mezzi e strumenti di cui la scuola sarda dispone, e altrettanto vera è la deriva tristemente sottoculturale che funesta l’immagine e la percezione di sé che permea lo strato debole e marginale -sotto il profilo socioculturale, purtroppo non da punto di vista numerico- di tantissimi giovani sardi, e in specie di quelli dei ceti deboli, come si incarica di ricordarci Casu Axedu.
Stiamo raccogliendo i frutti di decenni di svalutazione continua della Scuola e del Lavoro scolastico -iniziata in grande stile coi tagli del governo Amato, nel ’92, e proseguita con pochissime deviazioni per i successivi 20 anni fino ad ora-, e della contemporanea mutazione del panorama e dello stesso paradigma culturale, che ha avuto come Zeitgeist il consumismo e la tendenza alla appropriazione simbolica dei simulacri del “successo”. La cultura di opposizione -o forse la cultura tutta- non ha avuto la forza di porsi in contraddizione, vuoi per debolezza della idealità politica, vuoi per vero e proprio “tradimento dei chierici”, alcuni impegnati nel loro accreditarsi come esponenti della sinistra liberale, e alcuni venduti al migliore offerente -Berlusconi, chi se no?-.
Ma ci sono stati, per restare in questi anni e in Sardegna, provvedimenti immediatamente pratici che hanno avuto conseguenze nefaste e visibili. Il responsabile dell’Ufficio scolastico regionale, Armando Pietrella, ha negli scorsi anni condotto una feroce politica di tagli, meritandosi encomi ministeriali -dalla Moratti prima e dalla Gelmini poi- per l’incisività con cui ha demolito, accorpandole, autonomie scolastiche e articolazioni delle stesse scuole fino a imporre i maggiori tagli, e quindi il maggiore numero di alunni per classe, dell’intero territorio nazionale, per non parlare della negazione -scandalosa- dello stato miserevole della stessa edilizia scolastica, che è mediamente in condizioni penose.
In tutto questo periodo la Regione Sardegna ha dormito e subito, sulla pelle degli studenti e dei lavoratori della scuola.
A questo ultimo proposito si segnalano negativamente proprio gli Istituti Professionali, in cui affluisce l’utenza mediamente più problematica, dato che per effetto dell’afflusso tardivo di altri iscritti – spesso tramite “passerelle” da altre scuole- nel corso dell’anno le prime classi si gonfiano in certi casi fino ad oltre 35 iscritti -meno i “dispersi” -.
Ci si trova in situazioni paradossali, in cui il compito prevalente prima ancora che di insegnare qualcosa è quello di tenere gli alunni in classe, in ogni senso.
I provvedimenti praticabili per dare un segnale di svolta dovrebbero partire dall’inizio -scuole dell’infanzia generalizzate- e e proseguire con interventi atti a ridurre le disparità di partenza -tempo prolungato come regola e non come rara eccezione per le scuole elementari e medie- e a favorire sia il lavoro didattico ordinaria che gli interventi di recupero alle superiori -primo fra tutti un numero massimo di 20 alunni per classe, dovunque-.
Il ruolo possibile per i Comuni -anche se in grave crisi economica- è proprio quello legato alle scuole primarie. Ci si aspetta qualche segnale forte, ora. La frana è in corso, e ha già travolto generazioni di studenti.
La Gelmini disse ghignando che la sua riforma della “squola”, rispetto alla quale il governo Monti ha affermato più volte di porsi in continuità, era intesa a “chiudere l’era del ’68”. Infatti si sta andando ancora più indietro, al 1962, anno di grazia in cui fu abolita la distinzione classista tra scuola media, dove per altri 18 anni circa si continuò a insegnare il latino, e avviamento professionale, riservato ai “meno abbienti”. La scuola media unica insieme allo statuto dei lavoratori è stata una delle poche conquiste dell’effimero centrosinistra targato Fanfani, Nenni e Moro che governò a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Non potendosi tornare indietro, si demolisce il sistema per altre vie: la dispersione scolastica, frutto dell’assoluta mancanza di orientamento che indirizzi i giovani secondo le loro inclinazioni e magari non quelle dei loro genitori (perché caxxo mandare al classico un ragazzo che ha inclinazione per l’arte, anziché all’Artistico di cui molte famiglie cagliaritane negli anni ’80 diffidavano perché bollato come “zeppo di drogati”?) tiene luogo del vecchio avviamento professionale, ma non ti avvia a un caxxo di niente, se non a fare inutili corsi di formazione utili solo per le tasche di chi li organizza e disastrosi per le pubbliche casse, o verso il limbo del NIEET (Not In Education, Employement, Training, è giusta la sigla?).
Se a ciò aggiungiamo la quasi proletarizzazione del corpo insegnante (tutti ricorderanno la storia della docente precaria di Oristano che non riusciva neanche a pagarsi la benzina per recarsi a lavorare) la frittata è bell’e fatta.
Caro Neo, più che segnali forti qui ci vorrebbe un’autentica rivoluzione, e può farla solo un centrosinistra unito, compatto e con una chiara qualificazione. Invece, stiamo a perderci in mezzo alle sparate di Veltroni sull’articolo 18. Poi mi dirai “sei tu del PD …” … eh si purtroppo ….
Tutto vero, l’unica osservazione riguarda l’azione della Gelmini.
Neanche nei sogni più sfrenatamente ottimistici si potrebbe chiamare “riforma” quell’accozzaglia di provvedimenti vari ed eterogenei messi insieme dalla Ministra di Catanzaro/Desenzano allo scopo di effettuare i tagli che hanno espulso dalla scuola 120 mila tra collaboratori scolastici, impiegati e insegnanti.
Si è trattato di un riordino contabile, sotto dettatura di quello stesso Tremonti che “la cultura non si mangia”…
Diceva il maestro di giornalismo libero Sergio Turone, che forse Biolchin ricorderà, che le classi dirigenti, quando vogliono far passare una scelta impopolare e retriva, la contrabbandano come una “riforma”.
Contraddizioni di Cagliari. E dire che proprio il Meucci, che è un istituto professionale, potrebbe vantare tra i suoi insegnati di lettere un regista come Enrico Pau e una scrittrice tradotta anche all’estero come Milena Agus. Ma gli studenti di Cagliari neanche sanno di chi sono fuori dalla scuola i loro insegnanti, perché i modelli culturali sono altri e in tanti anni la città dei Fiori ha messo in primo piano tante altre cose, tra queste non certo la cultura.
Gentile Giovanni,
guardi che il problema di Cagliari (e non solo, della Sardegna) è che gli “intellettuali” sono del tipo di quelli che cita lei! Ma le pare che queste persone possano avere una visione lucida e critica della realtà tanto da indirizzare noialtri? E ci aggiunga Murgia, Fois e Niffoi (o Todde!). Al di là del fumettone non andiamo, ahimé! A volte neppure dignitoso!
Ci rendiamo conto che non abbiamo un solo scrittore capace di leggere la realtà isolana per tirarne fuori il senso? Ricorda il Busi di “Vita standard di un venditore provvisorio di collant?” che legge con incredibile lucidità la perversione del lavoro precario e dei piccoli imprenditori del nord? Me ne trova uno sardo capace di ciò (anche se non pretendo il genio di Busi)?.
Guardi, mi concede una battuta?
Ma lei l’ha mai letto un romanzo di Agus? O ha mai sentito Murgia parlare di economia? E Fois che si propone per il MAN?
Cordialmente,
Caro Gabriele,
abbiamo delle opinioni diverse. Lei non apprezza la Murgia, eppure con il racconto della sua esperienza in un call center oristanese ha descritto in modo credibile qualcosa che appartiene tristemente alla realtà italiana di questi anni (non certo solo a quella isolana), e la conferma di aver toccato un tema importante è che ha ispirato anche uno dei pochi film italiani di successo degli ultimi decenni che non sia un cinepanettone. Ma temo che ci sia un dato anagrafico che non le permette di cogliere l’attualità di quel libro. Poi vabbè, lei da sardo emigrato è un arci-italiano e ci sono altre questioni che le fanno velo.
Di Enrico Pau probabilmente non ha visto i film, Pesi leggeri e Jimmy della collina, che pur con risorse molto ristretti hanno raccontato il mondo del pugilato cagliaritano e storie di riscatto sociale: due film che i ragazzi di Cagliari dovrebbero vedere almeno per sapere di se stessi.
Aggiungo poi, per tornare al mio post precedente, che uno scrittore non è necessariamente un intellettuale che deve indirizzare la società (l’arte è fine a se stessa e non è un mezzo utilitaristico). Leggere in classe gli autori italiani con Milena Agus è un valore aggiunto che una scuola può offrire, quando una città e una scuola ne sono consapevoli.
Cordialità
Gentile Giovanni,
sul mio essere arci-italiano (ed emigrato) lascio correre altrimenti Biolchini mi sega. Pertanto non le dico che tipo di arci- sia lei!
Sì, effettivamente non riesco a cogliere l’importanza di Pesi leggeri e Jimmy della collina (tratto da un racconto di Carlotto, che notoriamente tratta di temi isolani, come sappiamo tutti). Ciò non sarebbe un problema, salvo il fatto che, come fa notare lei stesso, sono coloro che dovrebbero a non cogliere. Questo non le dice nulla?
Immagino di no: e questo è l’altro grande problema di Cagliari (e della Sardegna): che a forza di considerare i Pau, Murgia e Agus come intellettuali, si perde di vista ciò che davvero dovrebbe essere un intellettuale (uno che parla a coloro che cerca di raccontare). Le piaccia o meno, Pau parla con i Murgia che parla con i Todde che parla con i Pillonca. Da questo non si esce: si parlano tra di loro e da lì non si esce! (Bella genia di intellettuali, vero?). Quelli come lei amano ascoltare (e leggere) tutti costoro.
Noto con piacere che non fa finta di aver letto un libro di Agus e le rendo merito della sua onestà intellettuale; quanto al leggere gli autori italiani in classe con Milena, le faccio un’altra domanda: ma lei c’è mai stato in classe con lei a leggere gli autori? L’ha mai sentire tentare una conversazione? Sia onesto.
Murgia. Mi fa piacere che non tiri fuori il fumettone tradotto anche in aramaico, ma per il libro che cita lei, un’altra domanda: c’è mai stato in un call center a lavorarci dentro? Se sì: ci si ritrova nelle pagine di Murgia? La verità è che quella roba è un altro fumettone, di cui hanno parlato gli intellettuali, lodandolo. Chi ha avuto la disavventura di stare in un call center nel libro di Murgia ha trovato solamente stereotipi (buoni per quelli come lei, per l’appunto).
Infine la perla rara: “Aggiungo poi, per tornare al mio post precedente, che uno scrittore non è necessariamente un intellettuale che deve indirizzare la società (l’arte è fine a se stessa e non è un mezzo utilitaristico)”. Ecco, questo rende conto bene del perché gli intellettuali sardi fanno pena, ma se non se ne accorge non posso farci nulla. Si tenga l’arte fine a sé stessa (posto che riesca a definirla), legga pure le favolette di Milena Agus e sia felice: pare che stimolino la produzione di endorfine, come masturbarsi, però quest’ultima attività costa meno e non spreca neppure l’energia elettrica per tenere accesa la luce.
Cordialmente,
Va bene, scantoniamo, finche il Biolchini ci lascia.
Gentile (n’somma…) Gabriele, so bene che la Letteratura, come la Vita in genere, non è roba per donnicciuole e neppure per intellettuali -che sono quei tipi sfigati con gli occhiali, se non sbaglio- ma non le sembra di essere un pochino, solo un po’, apodittico con questi giudizi così tranchant?
Gentile Neo Anderthal,
non so se ha notato, ma finché si parla per stereotipi siamo tutti bravissimi. Murgia è un genio, Agus meglio di Grazia Deledda, Todde un nuovo Pasolini, anzi meglio. poi qualcuno osa dire: ma vogliamo vedere cosa fanno “davvero”? Allora si comincia a parlare di merito e c’è chi scappa con una battuta, chi si incazza e chi si offende. Soprattutto chi “offende” (sei un emigrato, arci-italiano, quindi non sardo, e io ne so molto più di te di Sardegna; che sarebbe l’equivalende di Maninchedda che mi diceva: non ti ho trovato in biblioteca e neppure nei convegni, quindi non esisti!).
Sarebbe stato semplicissimo rispondermi: “Dici un sacco di cazzate, infatti: Murgia ha descritto benissimo le contraddizioni profonde dell’essere titolari di tre lauree e lavorare in un call center, Agus ha parlato mirabilmente di non so cosa e Todde è stato capace di indicare una strada verso la difesa del paesaggio. Tu non capisci un fico!”.
Sa qual’è laverità? Che Agus è un business letterario come ce ne sono a bizzeffe, inventato da Nottetempo (gran marpioni della vendita; vada sul sito ci troverà scritto che loro pubblicano libri che si leggono con facilità e infatti usano caratteri grandi e un formato che sta bene in mano); scrive favole per adulti. Murgia (che conosce l’uso del congiuntivo meglio di Agus) è l’equivalente dotto di Einaudi e Todde un giallista. Sono persone che vendono storielle per vendere libri. Mi dice per quale motivo dovrebbero essere in grado di dare una lettura della realtà migliore di quella di Tore Puddu di Pabillonis? Allora perché non un venditore di scarpe che vende più stivali di quanto Murgia non faccia coi libri? Ma dobbiamo guardare alle classifiche di vendita dei libri o a ciò che queste persone dicono e scrivono??
Sa perché mi permetto di parlare in questo modo? Perché Murgia Agus e Todde ho cercato di ascoltarli (io sì, il buon Giovanni no perché lui ama l’arte per l’arte, quindi i libri li appende al muro per guardare le copertine!). Ho letto ciò che hanno scritto e ascoltato ciò che (non) avevano da dire: sono pronto a parlare con chiunque delle tesi politiche di Murgia e delle proposte di Todde. Di Milena non saprei perché a volta non si capisce neppure se parla in italiano.
Questi pretesi “intellettuali”, gentile Neo Anderthal, fanno parte di una piccola comunità che parla al proprio interno, vende libri, partecipa a convegni, organizza improbabili tenzoni letterarie e gioca a ping pong tra giornali e blog. Spesso e volentieri con i soldi pubblici!
Violano la legge? No, però, mi incazzo (e non poco) quando si spacciano (o qualcuno vuole spacciarli) per intellettuali.
Mi scusi se scantono: sì, mi pregio di essere gentile. Io non le direi mai che “non è sardo (o intellettuale) abbastanza” o che non capisce ciò di cui parla perché vive a Madrid o a N’Djamena, guarderei piuttosto al contenuto delle sue parole. Sfortunatamente c’è chi ama vivere di stereotipi perché anche far finta di adoperare il cervello è faticoso e si diventa pure antipatici.
Cordialmente,
Dimentichi Flavio da Uta…
Vede, caro Gabriele,
una volta che si legge un suo messaggio è come aver letto anche i prossimi che scriverà: lei la sa più lunga di tutti, i sardi suoi interlocutori sono tutti mezze seghe, complimenti a Biolchini che a volte riesce a dire cose intelligenti, e il tutto condito con la sua nota finezza linguistica. Le prime due cose che ho detto la assomigliano a certi miei zii sardi emigrati al Nord, che votano Lega e vengono in Sardegna d’estate con la puzza sotto il naso. Non sono ingegneri, hanno la terza media, ma per il resto…
Ognuno ha le sue ossessioni pittoresche. Lei è stato già descritto da Dante, dove parla di due sardi emigrati nei paesi caldi: potrebbero avere altri pensieri, ma a dir di Sardigna le lingue lor non si senton stanche.
Gentile Giovanni,
quando si ha poco da dire resta la strada della denigrazione e della (banale) battuta letteraria. A parte il vago razzismo di ritorno (ma lei insegna ai suoi alunni espressioni come “puzza sotto il naso” e “mezza sega”?) il suo commento riflette ciò che ha da dire: niente!
Cordialmente,
La scuola non era nel programma di nessun partito, né di destra né di sinistra. Personalmente l’ho segnalato già al tempo della campagna elettorale ai partiti di centro-sinistra. Mi è stato risposto che se ne sarebbero occupati dopo. Se ne saranno dimenticati.
Marco Pitzalis
Professore, per tanto tempo si è pensato che la scuola fosse materia da appaltare alla CGIL a fini quasi solo sindacali, e forse lo si pensa tuttora. Comunque l’attenzione che il vecchio PCI riservava alla scuola con l’impegno di persone di grandi competenze come Francesco Cocco, Antonio Prost e altri che sicuramente mi sfuggono, fa piangere se si riguarda all’attenzione che oggi vi riserva il PD locale.
http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_18_20050104115857.pdf pagg 5, 18, 28 e ss.
http://www.chiccoporcu.it/CPWeb.nsf/0/9CE4C3B517EDE9EBC1257559003DAD63/$file/PROGRAMMA_LaSardegnacheCambia.pdf pagg 22 e ss
Basta saper leggere
Caro Ciccio, a leggere e scrivere siamo capaci in molti.
Detto che condivido praticamente ogni parola -meno l’uso del l’orripilante verbo “implementare”- non ho visto le parole tradotte in pratica con la necessaria forza ed urgenza neppure nella legislatura a guida di Soru -che comunque qualcosa ha tentato-.
Sul quadro attuale sarebbe facile trarre le somme, invece.
La giunta Cappellacci ha conseguito un risultato rotondo, lo zero -per la scuola pubblica, visto che per quella privata si sono trovati i fondi, soldi veri e non spiccioli, considerata la quota parte-.
Gentile Neo, ti invito a esercitare ulteriormente la tua pazienza consultando il documento che troverai all’indirizzo:
http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_46_20070117173122.pdf
Pagg 45, 46, 47 e 48.
Anche queste, dirai, sono chiacchiere. E tuttavia io sono dell’avviso che al netto degli errori che Soru e la sua giunta hanno commesso, quella rimane la migliore esperienza amministrativa regionale dell’ultimo quarantennio. Certo, si deve essere sempre critici e alla ricerca del meglio ma mai come questa volta (leggi Cappellacci) la ricerca del meglio è stata il nemico del bene.
Un affettuoso saluto
Quella di Soru rimane molto probabilmente la migliore -ma mi ricordo anche la giunta Melis 1984/89, che non era male-, al netto di interventi sin troppo drastici sul fronte della formazione, che era di sicuro “un cesso da scoperchiare”, solo che nell’azione ci sono passati di mezzo tanti lavoratori, e tra tante posizioni indebitamente raggiunte c’erano anche persone che onestamente facevano il proprio lavoro.
Ma l’essere migliori è un dato comparativo, e davanti o in mezzo a Cappellacci e Pili e Masala si “vince facile”. Non trovi?
qvuesto perchè al meucci è pieno di zotici del basso campidano che rovinano il nostro bel colle dei punici e il decoro del condominio
Pingback: Ecco dove investire: scuola, scuola, scuola
Come prima cosa consiglierei al sindaco Zedda di emettere un’ordinanza che VIETI l’apertura delle innumerevoli sale giochi e similari durante l’orario scolastico (da due ore prima a due ore dopo almeno) e manderei, a campione, vigili in borghese nei bar e nei locali di aggregazione durante le ore di lezione per verificare l’effettiva presenza di studenti in vela. Quando eravamo giovani noi al massimo si andava a Monte Urpinu.
Saluti
Quando eravamo giovani noi di qualche anno più giovani pure, o altrimenti se ne approfittava per esplorare le bellezze nascoste di Cagliari. Due partitine ai videogiochi al massimo se ci si trovava per la “vela” alla stazione col compagno di banco che veniva da Assemini. O a Monte Urpinu quando dava spettacolo Plinio prendendo in giro le nostre donne (me lo ricordo ancora in un febbraio primaverile, mentre stavo abbracciato a una bella biondina), e cosa vuoi di più dalla vita? Comunque ogni tempo ha il suo “genio” negativo, oggi i vari Cineworld per fortuna non fanno i “matinee”, un po’ di anni fa li facevano apposta per le scolaresche in vela.
Temo che il problema non sia che non vanno a scuola perché vanno al cinema. Non vanno a scuola perché hanno famiglie – se le hanno – incasinate, povere, in difficoltà.
Beh non per tutti c’è anche il problema di chi segue un tipo di studi che non ci azzecca con le proprie inclinazioni, o che semplicemente gli hanno scelto i genitori. Certamente le famiglie più agiate hanno anche i mezzi per correggere le conseguenze di un orientamento di studi sbagliato, magari con qualche passaggio al Cambosu per recuperare anni persi.
Caro Vito
Insegno in una scuola di frontiera dove la dispersione non è l’eccezione ma è la regola, quello che osservo è che il fenomeno è diventato endemico senza che l’istituzione, cioè la scuola, i suoi dirigenti a vari livelli, siano mai riusciti a correggere la rotta.
Il problema è legato essenzialmente alla formazione di noi insegnanti, non abbiamo strumenti per affrontare questi nuovi ragazzini che vivono immersi in una società che ha cambiato velocità. Invece la scuola viaggia con una lentezza disperante generata dal taglio continuo di risorse economiche. Noi non siamo formati per questo cambiamento e insegniamo ancora con strumenti del passato. Questi giovani sono abituati alla velocità dei nuovi media e nelle aule ci sono ancora le lavagne di ardesia, i computer, quando ci sono, sono lenti e inefficaci, le televisioni sono vecchie, non si possono comprare gli strumenti didattici in formati contemporanei, parlo di semplici dvd didattici. Molti colleghi inoltre non si pongono il problema di mettere in discussione il loro ruolo, di autovalutare la loro capacità di impattare su queste menti giovani e magmatiche con strumenti didattici nuovi, ma anche, soprattutto con più empatia, e continuano nella loro visione, ahimè, ancora da scuola gentiliana del rapporto fra docente e discente, anche alle latitudini delle scuole di frontiera.
Per migliorare la scuola ci sarebbe bisogno di un investimento enorme per collegarsi con il mondo esterno, basterebbe una semplice lavagna multimediale capace di connettersi con quella enorme libreria virtuale che è “you tube”, sarebbe un passo in avanti deciso insieme a una rivoluzione del corpo insegnante, aiutato finalmente a riprogrammare la sua performance didattica con corsi e aggiornamenti continui che aiutino i docenti a immaginare il loro ruolo, già umiliato dagli stipendi più bassi in Europa, in forme diverse da quelle attuali. Non sono ottimista sul futuro, mi sembra che la scuola, come la cultura, non siano fra le priorità dei nostri governi, il rischio è che questo sia solo l’inizio e che anzi, questo degrado sia programmato e programmatico.
Tra le molte cose da fare, credo sia importante “mettere a sistema” tutti gli interventi pubblici in materia di orientamento e lotta alla dispersione scolastica e formativa. Rammento che di tale questione se ne occupano: la Regione, gli Enti locali, l’Università, le Camere di commercio, le scuole, le agenzie di formazione professionale … Il problema non è tanto che se ne occupino tanti soggetti, quanto che lo facciano senza alcun coordinamento e, appunto, senza alcuna logica sistemica. Le risorse in campo sono notevoli, la gran parte di provenienza comunitaria. Ci sono senza dubbio molti sprechi, troppi interventi inutili e ripetitivi. Occorre qualcuno che si faccia carico del coordinamento: il Sindaco o chi altri… E’ comunque una questione da discutere seriamente a partire da tutte le sedi istituzionali, creando un collegamento tra le stesse. Credo che il Comune di Cagliari abbia iniziato a discuterne seriamente. Se ne sa poco e comunque certamente occorre fare molto, molto di più e il più possibile insieme
Il problema è gigantesco, spaventoso, antico. E si riflette poi su tutti gli altri problemi, perché avere cittadini profondamente ignoranti fa male a tutto, alla democrazia, all’economia, e anche a Tuvixeddu. Il Comune può fare poco? No, questa è la scusa di Delogu e Floris per ogni problema irrisolto. Il Comune secondo me può fare molto per aiutare i suoi cittadini e (per definizione) deve comunque fare di più. La cultura – in tutte le sue manifestazioni – è un ammortizzatore sociale, e nei tempi di crisi ce n’è, quindi, ancora più bisogno.
secondo me cagliari ha tutte le possibilita di diventare una piccola barcellona ,ma purtroppo non ci sono imprenditori seri , non c’e’ la cultura del turismo, non esiste una metropolitana ,la politica locale parla , parla , sia la dx, sia la sx, e non fa l’interesse del bene comune,e quindi non ci sono possibilita di creare posti di lavoro, e una citta mediocre ,che per tanti anni e stata governata da politici mediocri,ricordate il ventennio delogu, floris, per quanto riguarda il sant’elia sta diventando una vergogna nazionale , a cellino non le si da la possibilita di costruirne uno nuovo il vecchio stadio cade a pezzi, p.s. vito come ti capisco visto che ho 8 anni di abbonamento al cagliari calcio in curva sud.
caro Vito, ben il 38,2% della popolazione residente in Sardegna ha solo la licenza media e ben il 24,5% solo quella elementare o, addirittura, alcun titolo.
Vuol dire che il 62,7% dei residenti in Sardegna in età lavorativa (dai 15 anni in poi) è privo di qualifica professionale (da Sardegna Statistiche, anno 2009).
Questo è il vero problema della Sardegna e di Cagliari.
Non c’è cultura e non c’è nemmeno una decente preparazione lavorativa/professionale.
Un’Isola di braccianti, una Città di manovali.
E dove cavolo vogliamo andare in queste condizioni? Chiedilo agli “intellettuali”, magari ci fanno un bel flash mob 😉
Stefano Deliperi
Gentile Deliperi,
posso abbracciarla?
Lei mi ha preceduto (causa febbre alta) altrimenti i dati li avrei citati io). Chiedere agli “intellettuali” del Sardistan? Ma scherziamo? Sono impegnatissimi, dallo studio di Atlantide in poi, passando per l’importantissimo problema della scrittura nuragica da trattare sul Bollettino di Studi Sardi!! (E la limba dove la lasciamo?)
Però mi permetto di andare un passettino più avanti: non è vero che siamo arretrati, tutt’altro, noi stiamo sperimentando per primi il tipo di società che fa comodo al neo-capitalismo di questi anni e che si tenta di imporra ovunque, con la differenza che da noi non c’è industria (ecco la mancanza di qualificazione professionale: a chi servirebbero i periti meccanici? Meglio i casari che fanno i muratori!).
In ogni caso ringrazio Biolchini che ha sollevato un bel tema, ignorato dai più. Recentemente mi ha garbatamente rimproverato per il trattamento inurbano riservato ad alcuni intellettuali, e gli ho risposto che quelli sardi (con pochissime eccezioni) vivono in un palcoscenico metafisico e autoreferenziale privo di legami con la realtà: quello dell’istruzione (e della cultura in generale) è uno dei temi più clamorosamente ignorati proprio dagli “addetti ai lavori”.
Visto che siamo in tema di appelli (sacrosanto quello per Rossella Urru, ne ho scritto di recente e mi associo) perché Biolchini, come blogger di peso, non ne lancia una per la scuola in Sardegna?
“Molto” cordialmente,
Posso garantire che,il sottoscritto appartiene alla categoria da lei elencata,lavoro da dall’età di sedici anni, e quando scrive, è privo di qualifica professionale, lei cosa intende?ci sarebbe da discutere animatamente, ma, vista l’ora, per il sottoscritto è ora di andare a dormire.
Il vero problema di Cagliari sono le tre M: Mattone, Massoneria e Ibarbo.
dimentichi le altre tre b di cagliari , bambu , bessiu pagu, benimindimundu.
La dispersione scolastica è cosa diversa dal numero di bocciature, è la diserzione della scuola prima del diploma. I dati sulle bocciature in parte sono indicativi (la Sardegna è al primo posto in Italia) tuttavia bisogna considerare che una buona parte di bocciati si riiscrive e prima o poi conclude, e che c’è anche una parte di promossi che non prosegue gli studi, quindi in un articolo sulla dispersione scolastica sarebbe interessante leggere dati che riguardano l’effettiva dispersione, tipo questi: http://www.sardegnastatistiche.it/documenti/12_199_20091116124740.pdf, non quelli che sono impropriamente presentati così da skuola.net
Per me la dispersione è la conseguenza di un’altro problema. C’è sempre meno cultura, e c’è anche un atteggiamento sempre più diffuso di demonizzazione della cultura. Cultura in tutti i sensi: dai classici latini e greci all’attualità politica, passando per la musica, la storia, la tradizione popolare… tutto. Si sta perdendo tutto.
In questo senso il Comune può fare qualcosa: può promuovere la diffusione di cultura che sia interessante per tutti i cittadini, non solo per un’élite già altamente acculturata e giustamente attenta alle manifestazioni di maggior pregio culturale.
Quindi, secondo me bisogna cominciare un’opera di diffusione culturale ad ampio spettro, che abbracci tutta la popolazione, e poi puntare anche su qualche perla che dia lustro e che porti turismo. Per fare questo bisogna appoggiarsi a tutte le associazioni culturali che già operano in città, e trovare nuove idee che coinvolgano la popolazione dei diversi quartieri.
Se si riesce a portare più cultura nelle famiglie, a partire dai genitori, si avrà anche meno dispersione scolastica.
La dispersione si può ridurre poi se si riesce a dare una prospettiva ai ragazzi. Una prospettiva lavorativa in diversi campi, con un progetto industriale che indichi quali sono i campi lavorativi in cui serviranno più lavoratori tra 10 anni. Mi spiego meglio: bisogna che le persone sappiano quali lavori saranno disponibili tra 10 anni, in modo tale che non intraprendano una carriera studentesca senza sbocchi lavorativi, o per lo meno che lo facciano consapevoli del fatto che si dovranno reinventare. In campo medico queste previsioni sono facili da fare: sappiamo quanti medici andranno in pensione tra 10 anni e quanti dovranno essere i nuovi medici, e così per tutti i campi sanitari. Si può fare anche in altri ambiti lavorativi? Forse è più complicato ma non credo che sia impossibile. Possiamo provare a fare qualche esempio ?
dimenticavo una cosa importante. è anche fondamentale investire di più nella cultura dei bambini, dall’asilo alle medie. con le lezioni in lingua straniera fin dall’asilo (un giorno in inglese e uno in italiano per esempio), poi un’approccio alla musica più importante, un programma alle elementari che riempia di più la giornata del bambino, più sport, più educazione civica intesa come studio dell’attualità sociale e politica, filosofia (leggera, non hegel) fin dalle medie, ecc… cosa ne pensate ?
Forse è inutile commentare per dire che sono completamente d’accordo con AleSestu, ma lo ribadisco lo stesso. L’accesso alla cultura per tutti, a cominciare dai bambini e dai giovani in età scolare, è un diritto fondamentale. Per tutti, non solo per quelli che sono già educati a fruirne. Per tutti.
E per tutti non vuol dire dare ai giovani di Is Mirrionis gli spettacoli di Maria de Filippi, significa dare anche a loro gli strumenti per fruire il più possibile espressioni culturali “complesse”.
In molti parti del pianeta questo si fa da anni.
Bravo Ale Sestu, ottimo commento!!!
…e qui ti sbagli! il vero problema di cagliari, almeno per la “nuova” politica che avanza e per la vecchia editoria che incombe, sono i marciapiedi scassati!
più marciapiedi per tutti!
[sic]
ps
e voglio proprio vedere quanti commenti raccoglierà questa tua sacrosanta riflessione…
Gentile Vito, la realtà è probabilmente anche peggiore. Se si va su Sardegna statistiche nel sito della Regione Sardegna vedrà i dati dell’alfabetizzazione relativi al censimento del 2001.
Sono dati desolanti che ho sentito raccontati in pubblico durante un incontro con Gherardo Colombo e ai quali non avevo francamente creduto. Ho poi verificato e sono drammaticamente veri. Lei farebbe un opera meritoria pubblicandoli. Concordo con lei. E’ qua il cuore del problema, ma non è del tutto staccato dalla condizione della città e dal trattamento che le viene riservato. Anzi, è strettamente connesso allo stadio, a Tuvixeddu e ad altri gravi problemi. E non è solo un problema della sola Cagliari, né della sola isola. Un consiglio di lettura per chi fosse interessato al problema è: “La cultura degli italiani” di Tullio De Mauro, Ed. Laterza, 2011. Saluti cordiali.
Caro Vito,
È meritorio da parte tua riportare l’attenzione su un problema come la dispersione scolastica, un argomento sicuramente poco mediatico ma di importanza vitale per ogni società.
Tuttavia credo che il Comune inteso come istituzione possa fare pochissimo in merito. La condizione in cui versa il sistema formativo italiano è disastrosa e disastrose sono le condizioni di coloro che ci lavorano.
Ancora complimenti per avere riportato l’attenzione sul problema.
C’è disagio sociale, ma incide molto di sicuro la mancanza di un serio percorso di orientamento scolastico e/o professionale; quelli che ci sono sono troppo estemporanei.
Purtroppo, non si riesce neanche a far capire ai ragazzi che iniziano il percorso delle superiori che la scelta che faranno inciderà sul loro progetto di vita e sulle loro possibilità lavorative. Senza contare che i “capaci e meritevolI” spesso e volentieri non sono valorizzati e neppure individuati come tali, e magari finiscono al Meucci quando, con tutto il rispetto per lo storico Ipsia cagliaritano, potrebbero aspirare a qualcosa di più.
Insomma un bel problema, ma se il destinatario è il Comune, che può fare? In fatto di scuola, forse ha molte più competenze la Provincia, che coi referendum magari non ci sarà più.
le province saranno abolite prima del referendum, le competenze provinciali dovrebbero passare alla regione e ai comuni. non so dove ricadrà la scuola. io la farei gestire ai comuni, perché sono realtà molto vicine alla comunità in cui stanno (con “vicine” intendo dal punto di vista umano) e sono anche molto spesso realtà delicate, delle quali è importante una conoscenza diretta, quotidiana, dell’amministrazione.
Vito, hai citato il piano di dimensionamento degli istituti scolastici. Involontariamente, penso, hai così evidenziato una delle prime stupidaggini fatte dalla giunta Zedda. Premesso che il piano di dimensionamento doveva interessare solo la razionalizzazione delle presidenze (perchè non è giusto che il preside del De Sanctis prenda lo stesso stipendio del preside dell’Arborea che ha 5 volte gli studenti) richiesta dal governo nazionale per il rientro della spesa pubblica, senza intaccare il concreto servizio offerto a studenti e famiglie. Il Comune di Cagliari chiamato a fare la sua parte, pur di non toccare le sedie di alcuni dirigenti scolastici, ha tirato fuori una delibera che è uno spasso, cercala. I consulenti del Sindaco e dell’assessore hanno tirato fuori il principio della particolarità linguistica di Cagliari, per lasciare la situazione immutata. Evidentemente l’attuale situazione della scuola a Cagliari per loro va bene così come è. Tieni presente che neanchè ad Alghero, Carloforte, Barbagia hanno osato tirare fuori la questione linguistica, e ne avrebbero avuto motivo maggiore che Cagliari. Quella delibera è un documento con idee vecchie e povero di contenuti. Zedda si deve cercare altri consulenti.
eh no, AA! lo sai quali scuole chiuderebbero a Cagliari? Quelle a Sant’Elia, Is Mirrionis e Santa Teresa a Pirri. Lo sai cosa significherebbe? e se il lavoro dell’assessore è così scadente, com’è che tutti i sindaci sono d’accordo con lei?
Gentile mm, purtoppo non sai di cosa stiamo parlando. Nessuna scuola sta chiudendo, tantomeno quelle che hai citato. Si tratta solo di una razionalizzazione amministrativa, cioè diminuisce il numero dei presidi. Non è vero che i sindaci sono d’accordo con l’assessore, in tanti comuni sono state fatte proposte di dimensionamento. Dimensionamento che, lo ricordo, è un obbligo di legge. Un solo esempio fra tanti: il Comune di Assemini.
Il problema della dispersione scolastica non eccita le classi popolari perchè le stesse sono impegnate, sino a tarda notte, a godersi, mollemente accovacciate sul divano, il Festival, i vari “Uomini e donne” e amenità di questo genere, con i loro figli che, la mattina dopo, sono troppo stanchi per poter avere il livello di attenzione necessario a seguire una qualsiasi lezione di una qualsiasi scuola secondaria superiore. Certo il Comune potrà/dovrà fare qualcosa, ma il problema è culturale delle famiglie che non devono permettere ai loro figli di andare a scuola senza aver studiato, fatto i compiti, preparato le loro relazioni. Insomma: il comune dovrà fare il Comune, ma le famiglie facciano le famiglie (e gli insegnanti gli insegnanti). Un pochino meno TV, un pochino di più applicazione allo studio, non dico diventeremo tutti dei geni ma recepiremo gli strumenti per un vivere civile meno disastrato di quello attuale.
PS non rimpiango i tempi andati ma la democrazia a scuola non ha prodotto grandi risultati!
Concordo con Riccardo..cosa può fare il Comune con questi studenti che non fanno una mazza dalla mattina alla sera?
-Aumentare le tasse a chi perde l’anno? Io lo farei, così con quelle tasse, si pagano le borse di studio degli studenti meritevoli.
-Abolirei le scuole private per recuperare gli anni (anche se non è competenza del comune), in quanto ormai è una moda. Uno si gratta per tanti anni, poi paga 5mila euro e può fare 4 anni scolastici in 1 (rimanendo nell’ignoranza totale), mentre io, ho dovuto studiare per 5 anni per prendermi uno straccio di diploma senza mai farmi bocciare.
Che altro si potrebbe fare?
…..Ma questa emergenza non fa notizia e non eccita né le classi popolari, né le élite di destra e di sinistra, né la classe media. Della dispersione scolastica a Cagliari non gliene frega praticamente niente a nessuno. Eppure i dati sono mostruosi. Che fare?…..
purtroppo i diplomi, le lauree i master etc…contano sempre meno nel mondo del lavoro, servirebbero delle scuole di avviamento professionale realmente utili….
ma il sindaco credo che non abbia alcun potere in merito.