Il rettore dell’Università di Sassari, Attilio Mastino, ha affidato ad un post la risposta ad un mio articolo sulla questione della lingua sarda. Mi sembra corretto dare alle sue parole la massima visibilità possibile. Mi riservo di rispondere nel corso del dibattito che, immagino, ora si aprirà. Grazie al rettore per essere intervenuto.
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Caro Vito Biolchini,
mi attribuisci posizioni inaccettabili con una superficialità stupefacente.
Io non ho mai detto che la lingua Sarda non esiste. Penso esattamente il contrario. Perchè tu lo fai?
Respingo con sdegno l’etichetta di reazionario, che è tutta di coloro che – da destra – attribuiscono agli altri posizioni che non essi si sono mai sognati di assumere.
Non ho bisogno di dimostrare nulla: parla per me il mio curriculum scientifico e il fatto che nel 1977 ho conseguito con lode il diploma biennale di specializzazione in Studi Sardi presso l’Università di Cagliari. Se vogliamo discutere in Sardo logudorese sono prontissimo a farlo, anche sulla tua radio.
Ti prego di leggere le cose che ho scritto sulle “eredità” della cultura romana nella Sardegna di oggi e sul prezioso valore della lingua sarda nelle sue diverse varietà.
La lingua sarda è un patrimonio di tutti i sardi. Non mi piacciono coloro che si autoproclamano difensori di questo patrimonio, offendendo gli altri sardi che vogliono capire, discutere, spiegarsi, assumendo un atteggiamento che tiene conto della complessità della questione scientifica.
Non abbiamo da chiedere denari alla Regione, se avessimo voluto avremmo già incassato il contributo regionale.
Vogliamo che l’apporto dell’Università sia utile per la Sardegna e di valore qualitativo scientificamente elevato.
Cari saluti
Attilio Mastino
Como mi paret chi sa zente siat impignada a si pasare. Chissà chi pustis si tenzat pius gana de aberrer caminos noos, pro caminare umpare, e non de fraigare muros, pro serrare dognunu s’ortigheddu sou,
E,C. e a mei mi praxit (no emu scritu sa prepositzioni simpli a)…
Ddu at fueddus chi est normali chi si bortint in sardu mancai no esistessint in su tempus coladu. Mi benit a menti, tenti po nai, petrolio. Unu de is maistus prus mannus e chi deu arreconnòsciu cumenti e maistu miu, Cicitu Masala, ddu bortaiat in ozu ‘e pedra, e mei mi praxit a ddi nai pedrollu, mentras nde ddu atrus che, tanti po nai, a computer, chi benit naturali a ddi nai aici etotu. Una lìngua bia crescit cun is tempus e tandu est normali puru chi ddu siat s’amesturu (contaminazione) cun fueddus chi s’imperant a sa pròpiu manera in casi totu su mundu. Ma no est custa sa chistioni…Est chi no si podit sighiri a gastai dinai finantziendi progetus cun sa 26 o sa 482 natzionali po ddus fai in italianu!
Deo no bos cumprendo: bos prenade sa bucca de sardu o comente agradat de prus a sos giornalistas de LIMBA SARDA, ma sighides a iscrìere in italìanu. E custu no andat bene!!!!
Ma da un’istituzione guidata da persone chiamate ancora nel 2011 (non esattamente medioevo) “magnifico”, non come formalità, ma comunemente in uso nelle illuminate stanze dell’ateneo, cosa ci si può aspettare se non posizioni reazionarie e retrograde mascherate da finto rigore scientifico?
A mie custa respusta de su retore no at irguladu in nudda. No at respustu a sa chistione chi l’ant postu: in sardu si podet faeddare de ogni cosa, o no? Proite si naro “petrolio” in italianu andat bene e si naro petrògiu ( o petrozu, petrollu, petrotzu e gai sighinde) in sardu, so ridiculu?
E comente mai como si ponet a disponidura pro nd’arresonare in sardu? Detzidit isse ite andat bene chi si faeddet in sardu, e ite no? O sa cosa non resurtat ridicula petzi cando la narat isse?
Secondo me sei estremamente ridicolo.
Anche a me capita di sentirmi ridicolo quando uso delle parole, specie se moderne, in sardo. Forse perché abbiamo un lessico limitato. Allora torna utile il ragionamento fatto in alcuni commenti in basso: altro che università! Serve insegnare il sardo nelle scuole, a partire dalle elementari.
Eh, ma si essere istadu retore… 😀
🙂
Un’àteru interventu bessiu sàbudu in “Il Minuto”, un’intervista a Ivo Murgia:
http://www.ilminuto.info/2011/07/unintelletuali-impinniau-po-sa-lingua-sarda-intervista-a-ivo-murgia/
Credo che l’origine delle incomprensioni stia a monte: sbaglia la Regione a mettere in unico calderone l’insegnamento della lingua sarda e la sua diffusione. Mi spiego meglio: la volontà di diffondere l’uso del Sardo nei mezzi di informazione e nelle pubblicazioni di tutti i tipi è cosa nobile e utile, specialmente in questi tempi nei quali tra le quattro mura la nostra lingua è sempre più soppiantata dall’Italiano.
Ribadisco però che l’insegnamento scolastico del Sardo è una chimera. La lingua la fanno i parlanti, e chi la Sardegna la conosce sa che ogni angolo ha il suo microcosmo nel quale si parla in un certo modo, con una certa cadenza, determinati suoni, particolari modi di dire che per chi fa parte di un microcosmo anche attiguo sono incomprensibili. Siamo (credo) tutti d’accordo sul fatto che la lingua comune sia una aberrazione, perciò sono convinto che il Sardo debba essere studiato da chi già abbia nozioni di linguistica, conosca altre lingue e abbia viaggiato. Si parta da Wagner, dal canonico Spano, e si arrivi a Sergio Atzeni passando da Peppino Mereu, Montanaru, i remitanos, i poeti improvvisatori, Michelangelo Pira. E se si vuole introdurre il Sardo nelle scuole, lo si faccia solo per far conoscere la storia dell’Isola e gli autori che hanno scritto nelle tante varianti della nostra lingua.
Valerio, proa unu pagu a istorrare s’arrèsonu chi faghes:
“la volontà di diffondere l’uso dell’Inglese nei mezzi di informazione e nelle pubblicazioni di tutti i tipi è cosa nobile e utile, specialmente in questi tempi nei quali tra le quattro mura la nostra lingua è sempre più soppiantata dal francese.
Ribadisco però che l’insegnamento scolastico dell’inglese è una chimera. La lingua la fanno i parlanti, e chi l’Inghilterra la conosce sa che ogni angolo ha il suo microcosmo nel quale si parla in un certo modo, con una certa cadenza, determinati suoni, particolari modi di dire che per chi fa parte di un microcosmo anche attiguo sono incomprensibili. Siamo (credo) tutti d’accordo sul fatto che la lingua comune sia una aberrazione, perciò sono convinto che l’Inglese debba essere studiato da chi già abbia nozioni di linguistica, conosca altre lingue e abbia viaggiato.”
Ite nde pensas?
Proprio perché parlato in tutto il mondo, anche l’Inglese è una lingua viva, e per la sua duttilità e ricchezza lessicale si presta ad essere la lingua della scienza. Il Sardo è una lingua intima, che descrive, appunto, microcosmi familiari o dei paesi.
Dell’inglese, come delle altre lingue codificate, si insegna la grammatica, ed è universale. Del sardo? A me non piace l’idea del sardo standard, questo ormai è chiaro. Mi piace che avendo vissuto in giro per la Sardegna ho ascoltato e compreso molte parlate, e alcune le padroneggio un po’, affiancandole alla mia lingua campidanese. Lingua viva, che nessuna scuola può insegnare se non la vita, con un po’ di apertura, di curiosità e ovviamente di orecchio.
Grazie fp 40 per la considerazione, e sono d’accordo sul fatto che in sardo si possa parlare di tutto. Un piccolo aneddoto che forse avvalla le tue tesi: più di dieci anni fa, a Nuoro, i miei colleghi dell’Università preparavano gli esami e si interrogavano tra loro in sardo. Solo davanti al professore “traducevano” di nuovo in italiano le nozioni che avevano appreso di selvicoltura, di chimica organica o di dendrometria. Mancava ancora qualche anno alla possibilità di dare gli esami direttamente in sardo, ma gli studenti erano già pronti!
A proposito di questo tema, segnalo un mio commento su Sardegna Quotidiano di oggi: http://www.cagliarifornia.eu/2011/07/un-mio-commento-su-sardegna-quotidiano.html
Caro Roby,
dove, come, quando il Rettore Attilio Mastino ha dichiatato quello che gli si attrbuisce ?
Saluti
Amalio Stinotti
Sono completamente d’accordo con Alessandro Casu. La maggioranza dei sardi vuole/vorrebbe 2-3 ore di sardo in sardo (nelle varianti locali) obbligatorie nelle scuole materne e nelle scuole elementari, così come esistono 2-3 ore obbligatorie d’inglese con insegnanti abilitati a farlo che siano laureati in scienze dell’educazione e padroneggino la variante che vogliono insegnare: cagliaritano, oristanese, nuorese, macomerese, baruminese, sassarese, tempiese, lurese, calangianese, samassese, algherese, tabarchino ecc. La lingua unica può attendere, è meglio salvare quello che c’è ora, poi si vedrà. Per non parlare poi del prestigio che questa nuova materia avrebbe se insegnata a scuola e quale importanza nello sviluppo della personalità (anche linguistica) dei bambini.
È inutile continuare a litigare per la lingua unica, lo si fa ormai da trent’anni, inutilmente, anche io inizialmente ci ho creduto, ma mi sono convinto che è necessario procedere in modo più graduale e più democratico. Non si può continuare a litigare, basta! Nella regione della Svizzera dove si parla romancio sono stati insegnati i dialetti locali per 70 anni e solo da poco si tenta (peraltro con limitato successo) di imporre nelle scuole una lingua unica.
Allora facciamolo anche noi per 10-20 anni e poi penseremo alla lingua unica.
Ci sono ottimi romanzieri in Sardegna che scrivono le loro opere nella loro variante, ma anche altri che scrivono romanzi stupendi in lsc che si potrebbero anche utilizzare a scuola con i bambini riformulandone delle parti nelle loro varianti e ottendendo così un duplice risultato, perché no?
Ci vuole quindi una nuova figura: quella dell’insegnante di lingua e civiltà sarda come esiste quello di lingua e civiltà inglese, e non quello di insegnante di geografia, matematica, ecc. Quelle materie sono e per ora devono rimanere in italiano. Poi l’insegnante di lingua sarda una volta che i bambini scrivono, leggono e parlano in sardo, potrà impartire in sardo anche qualche nozione di storia sarda e altre cose, così come fa l’insegnante d’inglese.
Qualcosa di simile prevedeva anche il disegno di legge approvato dalla giunta regionale verso fine legislatura nel dicembre 2008, perché poi a fine legislatura e non prima? Ma anche quella proposta di legge prevedeva per le scuole soltanto le briciole, e oggi va quindi riadeguato e riformulato (con parole proprie e non copiato dal Friuli come era stato fatto allora) e riapprovato al più presto, anche dal consiglio regionale, non si può attendere di nuovo fine legislatura per non essere tacciati di opportunismo e populismo come si fece con la proposta soriana.
La lingua si salva insegnanola a scuola: per cui non ha senso che il piano triennale stanzi 50.000 euro per insegnare il sardo nelle scuole e altri 2-3 milioni di euro per dizionari (che già esistono), atlanti (che già esistono), trasmissioni tv, radio, adesivi, convegni ecc. Se la regione sarda stanziasse 10-20-30 milioni di euro per la lingua come si fa in Catalogna allora sarebbe possibile ma con i pochi soldi a disposizione in Sardegna non si può prescindere dall’utilizzare almeno il 90% devono essere utilizzati per insegnare la lingua ai bambini e non per altre cose. Non me ne vogliano i gestori di radio, televisioni, case editrici, uffici della lingua, loro i soldi possono procurseli anche attingendo ai fondi della legge nazionale ma quelli della legge regionale per cortesia canalizziamoli nella scuola, per adesso.
Se almeno, non dico molto ma il 50 % dei soldi che sono stati spesi negli ultimi 30 anni per la lingua fossero stati utilizzati per insegnare il sardo a scuola oggi avremmo non meno di 200 maestri e maestre di sardo e decine di migliaia di bambini che parlano, scrivono e leggono (nelle varianti locali) e sarebbero anche in grado di capire le restanti varianti ecc.
Invece il sardo dalla scuola è stato bandito (quasi) completamente e i danari vengono canalizzati in altre direzioni.
L’università di Sassari non si trova quindi di fronte a un compito facile in quanto dovrà organizzare (cosa che fa già) corsi di sardo (nelle sue varianti), oltreché di sassarese, gallurese, algherese ecc.
Per una mia critica più al piano triennale rimando a:
http://www.sardegnaeliberta.it/?p=2994
Ho profonda stima per Attilio Mastino, non solo per quanto ha fatto come intelletuale nella sua carriera accademica e nelle attività di impegno sociale, sempre su posizioni aperte, progressiste e democratiche, ma segnatamente per i suoi attuali comportamenti da Rettore dell’Università di Sassari, riferendomi, solo per fare un esempio, alla modalità fortemente partecipata con la quale l’Ateneo, sotto la sua guida, ha costruito il nuovo statuto (sottoposto in questi giorni nella sua versione definitiva all’approvazione degli organi di governo universitari). Proprio con riguardo alle tematiche del dibattito che qui ci coinvolgono Il testo della proposta di statuto è veramente encomiabile per i principi che sostiene e per le politiche che prefigura sulle relazioni tra l’Ateneo e la Sardegna. In materia di lingua sarda, il nuovo statuto non accoglie le indicazioni dei suoi più avanzati sostenitori, che auspicano l’adozione della lingua sarda tra le lingue “ufficiali” dell’Ateneo, assumendo essi per tale opzione il modello catalano, tuttavia marca un impegno deciso e non ambiguo dell’Ateneo nei confronti di tutte le questioni che riguardano i sardi e la Sardegna e pertanto espressamente in materia di cultura e di lingua sarda (andate a leggere la proposta di statuto nel sito di Uniss: http://nuovostatutouniss.blogspot.com/2011/07/nuovo-statuto-dellateneo-proposta.html). Forse (ma io ne sono certo), allo stato, è quanto di più avanzato si potesse proporre per coagulare il maggior numero di consensi su uno testo pregevole. Ancora sulla questione della lingua sarda, fermo restando la discutibilità (nel senso che se ne deve discutere) delle posizioni assunte dall’Università di Sassari e pertanto concordando sulla necessità di approfondire ed allargare il dibattito, voglio mettere in evidenza come l’Ateneo sassarese sia intervenuto in forme ufficiali, cioè con impegno istituzionale, segnalato dal fatto che a prendere posizione siano stati il Rettore e il Senato accademico, insieme alla Commissione accademica competente. Non è cosa da poco, in considerazione che spesso questioni importanti vengono delegate esclusivamente agli esperti (gli studiosi, la commissione di turno), praticandosi comportamenti pilateschi, laddove sarebbero necessari impegni formali coinvolgenti tutto l’Ateneo. Dunque, avanti con il dibattito, nella convinzione che la questione della lingua sarda costituisce parte essenziale per le possibili nuove prospettive per la nostra terra, che possono essere felici e praticabili solo con il più vasto consenso delle popolazioni. A tale missione sono chiamati innanzitutto gli intellettuali e le Istituzioni, a partire dalle Università e dalle altre organizzazioni della cultura, della ricerca e della formazione.
faccio lo spettatore interessato a questa discussione. ho sempre considerato il sardo la mia lingua e mi rammarico di non saperla scrivere e parlare correttamente.. grazie in anticipo per tutti i contributi che arriveranno nei commenti.. bonu dominigu..
Caro Professore,
Le sono grato per il coraggio e l’onestà che a Sassari state dimostrando. Ci sono due questioni in ballo, che mi sembra bene tenere distinte:
1) Le osservazioni che avete fatto al nuovo piano triennale. Denunciate, con parole pacate, una serie non piccola di interventi che sono dei veri e propri sprechi: mi è rimasta in mente la carta delle minoranze linguistiche, finanziata con tanti soldini facendo finta che non esistano già strumenti di questo tipo e che basterebbe fotocopiarli. Segnalate le storture di una politica linguistica tutta basata su affermazioni dogmatiche, su modelli catalani o friulani scopiazzati malamente. E sottolineate che di tutto questo denaro quasi niente va alla scuola! Mi domando perché i giornalisti non siano entrati nel merito di queste affermazioni, vallo a capire.
2) I progetti per la formazione di insegnanti di lingua sarda. Ho letto che ci sono in ballo 750.000 euro: ho capito che, assumendo una posizione critica nei confronti della Regione, ancora non avete visto neppure un soldo. Bene, io penso che in questo momento, in cui c’è qualcuno che vuole depotenziare l’Università pubblica e ridurne l’autonomia, qualche segnale forte di amor proprio l’Università pubblica debba darlo. (Ciò non toglie che nel passato qualche errore coi fondi della sardistica a Sassari lo abbiate fatto, ma Lei è il nuovo Rettore, sicché aspettiamo cose nuove.)
Ma vado oltre. Vi dovreste interrogare con serietà sullo scopo di questi insegnanti di lingua sarda, anzi insegnanti “in lingua sarda”. Se serviranno a portare a scuola un paio di ore settimanali di sardo (o gallurese o quello che è), per fare meglio capire ai nostri figli la loro cultura. O se invece serviranno a insegnare in sardo poche o molte materie (la matematica? la geografia? il latino?), inseguendo il sogno di qualche minoranza di nazionalisti: investendo una marea di soldi finché il politico di turno ci darà l’alt da Roma o, peggio, finché i genitori diranno – a parte qualche intellettuale illuminato – “no grazie”. Siamo sicuri che non si stia facendo solo demagogia? E per esserne sicuri: perché non facciamo un bel sondaggio e chiediamo ai sardi se vogliono una scuola che parla in sardo? Così, magari, qualcuno che fa finta di interpretare il pensiero dei sardi la smetterà di urlare a squarciagola nei vari blog. Sì, facciamolo questo sondaggio!
E il sardo continui a parlarlo, ma quando pare e piace a Lei, non per dimostrare a qualcuno che lo sa parlare. Non ce ne è proprio bisogno.
“Respingo con sdegno l’etichetta di reazionario, che è tutta di coloro che – da destra – attribuiscono agli altri posizioni che non essi si sono mai sognati di assumere.”
Non capisco che cosa voglia dire il Magnifico.
Tento di analizzare: …sono reazionari coloro che – da destra – (e perchè non da sinistra?) attribuiscono ad altri posizioni che questi non hanno assunto…
Continuo a non capire, francamente, perchè siffatte persone debbano essere considerate come “reazionarie”. Fastidiose, false, stupide, indegne forse… ma perchè reazionarie?
I reazionari sono ben altro e – sempre francamente – ciascuno stia attento a cercarli anche avendo preso per riferimento il classico epsilon piccolo a piacere.
Detto ciò, parlare su un tema come quello della lingua sarda (o non, sia ben chiaro) comporta -a mio modestissimo parere – la necessità del più assoluto abbandono di posizioni ideologiche o politiche, specie se d’accatto: notoriamente, infatti, la lingua poco si presta a fare da sponda a simili atteggiamenti. Men che mai il linguaggio.
Se non credete a me, leggete Stalin, che pure qualche pensierino doveva avercelo fatto.
allora se parla il suo curriculum, per carita’! una domanda: ma nel curriculum del rettore mastino, c’è scritto che puo’ smentire quello che ha dichiarato poco prima ?